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I pirati di Venere: Carson di Venere 1
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I pirati di Venere: Carson di Venere 1
E-book249 pagine3 ore

I pirati di Venere: Carson di Venere 1

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Fantascienza - romanzo (218 pagine) - Il primo romanzo del divertente e avventuroso ciclo di Venere dal creatore di Tarzan e John Carter di Marte


Il pianeta Venere, così luminoso e perennemente coperto dalle nubi, nasconde un meraviglioso segreto: il mondo straordinariamente bello ma letale di Amtor. Ad Amtor, città di esseri immortali, fioriscono alberi giganti alti centinaia di metri; bestie feroci si inseguono nel deserto sottostante; rari lampi di luce solare provocano tempeste devastanti; e gli abitanti credono che il loro mondo sia a forma di disco con un centro ardente e un bordo ghiacciato. Bloccato su Amtor dopo che la sua astronave si è schiantata, l'astronauta Carson Napier viene trascinato in un mondo sull'orlo di una rivoluzione, dove l'amore di una principessa ha un caro prezzo e la morte può arrivare dalla lama di una spada o dal raggio di una futuristica pistola.


Edgar Rice Burroughs (1875-1950) è senza alcun dubbio uno degli scrittori d'avventura di maggior successo. Eppure la sua carriera è nata quasi per caso: senza istruzione oltre la scuola dell'obbligo, non riesce né nella carriera militare né in quella professionale, passando da un lavoro all'altro senza mai fortuna. Ormai sull'orlo del suicidio prova con la scrittura: il suo primo romanzo, Sotto le lune di Marte, pubblicato a puntate sulla rivista The All-Story, viene accolto con entusiasmo e sarà l'inizio di un ciclo – quello di John Carter di Marte – che arriverà a contare undici volumi.

Ma è nulla rispetto al successo che ottiene due anni dopo, con la pubblicazione di Tarzan delle scimmie. Una serie che diventa un clamoroso fenomeno che darà il via non solo a numerosi romanzi, ma a oltre trenta film, e fumetti, serie tv, cartoni animati. Al punto che ben due città, Tarzana in California e Tarzan in Texas, prendono il nome dal suo personaggio.

Oltre a Marte e alla giungla Burroughs visita il centro della Terra con la serie di Pellucidar, la Luna col ciclo del Popolo della Luna, e Venere col ciclo di Carson di Venere, che presentiamo in questa collana.

LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2021
ISBN9788825414295
I pirati di Venere: Carson di Venere 1
Autore

Edgar Rice Burroughs

American writer Edgar Rice Burroughs (1875 - 1950) worked many odd jobs before professionally writing. Burroughs did not start writing until he was in his late 30s while working at a pencil-sharpener wholesaler. But after following his call to writing, Burroughs created one of America's most enduring adventure heroes: Tarzan. Along with his novels about Tarzan, Burroughs wrote the notable Barsoom series, which follows the Mars adventurer John Carter.

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    Anteprima del libro

    I pirati di Venere - Edgar Rice Burroughs

    collana.

    Capitolo primo

    Carson Napier

    «Se una figura femminile avvolta in un velo bianco entrerà nella sua camera da letto a mezzanotte del giorno tredici del mese corrente risponda alla mia lettera, altrimenti non lo faccia.»

    Avendo scorso la lettera fino a questo punto, stavo ormai per affidarla al cestino della carta straccia dove finisce tutta la mia corrispondenza priva d’importanza, ma per chissà quale motivo proseguii la lettura.

    «Se la donna le parlerà, la prego di ricordare le sue parole e di riferirmele nella sua lettera di risposta.»

    Forse avrei continuato a leggere fino in fondo, ma proprio allora il mio telefono trillò e io lasciai cadere la lettera in uno dei cestini disposti sulla mia scrivania; il caso volle che si trattasse di quello della «corrispondenza in uscita», e se gli eventi avessero seguito il loro corso ordinario quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrei sentito parlare della lettera, perché la corrispondenza che finiva in quel cestino veniva riposta negli archivi.

    La persona al telefono era Jason Gridley, che pareva estremamente eccitato e che mi chiese di recarmi subito nel suo laboratorio. Dal momento che capita di rado che Jason si agiti per qualcosa, mi affrettai ad acconsentire alla sua richiesta, anche per soddisfare la mia curiosità, e balzai sulla mia auto, percorrendo in breve tempo i pochi isolati che ci separavano. Una volta a destinazione scoprii che Jason aveva fondati motivi per essere eccitato, in quanto aveva appena ricevuto un messaggio radio dal mondo interno, Pellucidar.

    Alla vigilia della partenza del grande dirigibile O-220 dal nucleo della terra, in seguito alla conclusione coronata da successo di quella storica spedizione, Jason si era mostrato deciso a restare sul posto per portare avanti le ricerche di von Horst, il solo membro mancante del gruppo, ma Tarzan, David Innes e il Capitano Zuppner lo avevano convinto della follia di una simile impresa, e David aveva inoltre promesso di mandare un corpo di spedizione costituito dai suoi guerrieri nativi di Pellucidar per rintracciare il giovane tenente tedesco, se era ancora vivo e se fosse stato possibile scoprire dove si trovasse.

    Nonostante tutto questo, e pur essendo tornato nel mondo esterno con il dirigibile, Jason aveva continuato a essere tormentato da un senso di responsabilità per la sorte di von Horst, un giovane che si era reso molto popolare presso tutti i membri della spedizione, e più volte aveva espresso il proprio rimpianto per aver lasciato Pellucidar prima di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per ritrovarlo o di aver appreso in maniera certa e definitiva la notizia della sua morte.

    Al mio ingresso, Jason mi indicò una sedia e mi offrì una sigaretta.

    – Ho appena ricevuto notizie da Abner Perry – mi annunciò – le prime da mesi.

    – Devono essere state notizie interessanti – commentai – per eccitarti in questo modo.

    – Infatti – ammise lui. – A Sari è giunta voce che von Horst è stato ritrovato.

    Dal momento che questi avvenimenti sono relativi a un argomento del tutto estraneo a quello trattato in questo volume, mi sento ora in dovere di precisare che vi ho accennato soltanto allo scopo di spiegare due particolari che, pur non di importanza vitale, hanno comunque un leggero peso sulla notevole sequenza di eventi che seguì. In primo luogo, essi mi indussero a dimenticarmi del tutto della lettera di cui ho parlato poco prima, e in secondo luogo ebbero l’effetto di fissarmi nella mente la data di quel giorno… il dieci del mese.

    Il motivo principale per cui menziono il primo particolare è il mio desiderio di sottolineare il fatto che la questione della lettera, dimenticata in maniera così rapida e assoluta, non aveva avuto l’opportunità di imprimersi nella mia mente e quindi non poteva influenzare, almeno da un punto di vista oggettivo, la mia valutazione degli eventi che seguirono: il pensiero della lettera era svanito dalla mia mente entro cinque minuti da quando l’avevo letta, in maniera così completa come se non l’avessi mai ricevuta.

    I tre giorni successivi furono per me particolarmente densi di impegni e quando andai a letto, la sera del giorno tredici, la mia mente era piena degli irritanti dettagli di una transazione immobiliare che non era andata per il verso giusto, cosa che mi causò una certa difficoltà ad addormentarmi. Posso affermare in tutta sincerità che i miei pensieri erano assorbiti da atti di amministrazione fiduciaria, ripartizioni di quote e giudizi fallimentari.

    Non so cosa mi svegliò, so soltanto che mi sollevai a sedere di scatto in tempo per vedere una figura femminile avvolta in quello che sembrava un ampio velo bianco entrare nella mia stanza attraverso la porta. Vi prego di notare il fatto che ho parlato della porta e non della soglia, perché di questo si trattava: la porta era chiusa. Quella era una notte limpida rischiarata dalla luna, la cui luce rendeva perfettamente visibili gli svariati semplici oggetti della mia stanza e soprattutto la figura spettrale che si librava ora ai piedi del mio letto.

    Non sono soggetto ad allucinazioni, non ho mai visto un fantasma né ho mai desiderato di farlo, quindi ero del tutto ignaro delle regole da applicare in una situazione del genere, e del resto anche se la signora in questione non fosse stata così evidentemente soprannaturale, non avrei comunque saputo come accoglierla a quell’ora nell’intimità della mia camera, perché io sono di ceppo puritano e prima di allora nessuna donna sconosciuta l’aveva invasa.

    – È la mezzanotte del giorno tredici – affermò la mia visitatrice, con voce sommessa e musicale.

    – Infatti è così – convenni, e in quel momento ricordai la lettera che avevo ricevuto tre giorni prima.

    – Lui è partito oggi per Guadalupe – continuò la donna. – Aspetterà a Guayamas la tua lettera.

    Tutto qui. Un momento più tardi il fantasma attraversò la stanza e ne uscì, non dalla finestra, che era a sua completa disposizione, ma attraversando la parete. Per un intero minuto rimasi seduto a fissare il punto in cui l’avevo visto per l’ultima volta e cercai di convincermi di aver sognato, ma non era così: in effetti ero sveglio, talmente sveglio che trascorse un’intera ora prima che riuscissi con successo a sedurre Morfeo, com’erano consueti esprimersi gli scrittori vittoriani, ignorando il fatto che il sesso di quella divinità doveva rendere la cosa particolarmente imbarazzante per gli scrittori di sesso maschile.

    Il mattino successivo raggiunsi il mio ufficio un po’ più presto del solito, ed è inutile dire che la prima cosa che feci fu cercare la lettera che avevo ricevuto il giorno dieci. Non riuscivo a ricordare né il nome di chi l’aveva scritta né il suo luogo di provenienza, ma il mio segretario rammentava almeno quest’ultimo particolare, perché la lettera era stata fuori dell’ordinario quanto bastava per attirare la sua attenzione.

    – Veniva da un paese del Messico – mi disse, e dal momento che le lettere provenienti dall’estero erano archiviate a seconda degli stati da cui giungevano non ci furono difficoltà a rintracciarla.

    Potete essere certi che questa volta la lessi con estrema cura: portava la data del giorno tre ed era stata imbucata a Guayamas, un porto della Sonora che si affaccia sul Golfo della California.

    Questo era il suo contenuto:

    Mio caro signore,

    Essendo impegnato in un’avventura di grande importanza scientifica mi trovo nella necessità di sollecitare l’assistenza (non dal punto di vista finanziario) di una persona psicologicamente in armonia con me e che sia al tempo stesso dotata di cultura c di intelligenza tali da poter apprezzare le enormi possibilità aperte dal mio progetto.

    Sarò lieto di spiegarle il motivo per cui mi sono rivolto a lei nell’eventualità che un colloquio personale appaia indicato, cosa che potrà essere determinata soltanto mediante una prova che ora procederò a spiegarle.

    Se una figura femminile avvolta in un velo bianco entrerà nella sua camera da letto a mezzanotte del giorno tredici del mese corrente risponda alla mia lettera, altrimenti non lo faccia. Se la donna le parlerà, la prego di ricordare le sue parole e di riferirmele nella sua lettera di risposta.

    Le garantisco il mio apprezzamento per la seria considerazione da lei concessa alla mia richiesta, che mi rendo conto essere alquanto insolita, e la imploro di mantenere il suo contenuto del tutto confidenziale fino a quando gli eventi futuri non ne permetteranno la pubblicizzazione.

    Molto rispettosamente suo,

    Carson Napier

    – A me sembra un altro svitato – commentò Rothmund.

    – È quello che ho pensato anch’io il giorno dieci – convenni – ma oggi è il quattordici e la storia mi appare del tutto diversa.

    – Cosa c’entra il fatto che oggi è il quattordici? – domandò lui.

    – Ieri era il tredici – gli ricordai.

    – Non mi vorrà dire… – cominciò Rothmund, con scetticismo.

    – È proprio quello che le voglio dire – lo interruppi. – La signora è venuta, l’ho vista, e ha vinto.

    – Non si dimentichi quello che l’infermiera le ha detto dopo la sua ultima operazione – ammonì Ralph, preoccupato.

    – Quale infermiera? Ne ho avute nove e non ce ne sono state due che mi abbiano detto le stesse cose.

    – La Jerry. Ha detto che spesso l’anestetico continua ad avere per mesi degli effetti sulla mente dei pazienti – mi ricordò lui, in tono pieno di sollecitudine.

    – Bene, se non altro la Jerry ha ammesso che io avessi una mente, il che è più di quanto abbiano fatto le altre. In ogni caso, i postumi dell’anestesia non hanno certo influenzato la mia vista, e so che cosa ho visto. La prego di mandare una lettera al Signor Napier.

    Qualche giorno più tardi mi giunse da Guayamas un telegramma di Napier, che diceva:

    LETTERA RICEVUTA – STOP

    GRAZIE – STOP

    VERRO’ DA LEI DOMANI

    – Verrà in volo – commentai.

    – Oppure avvolto in un sudario bianco – suggerì Ralph. – Credo che telefonerò al Capitano Hodson perché mandi qui una squadra: a volte questi svitati sono pericolosi – aggiunse, ancora scettico.

    Devo ammettere che attendemmo entrambi l’arrivo di Carson Napier con pari interesse; credo che Ralph si aspettasse di trovarsi di fronte a un folle dagli occhi dilatati, mentre io non riuscivo assolutamente a immaginare che aspetto potesse avere quell’uomo.

    Erano circa le undici del mattino successivo quando Ralph entrò nel mio studio.

    – Il Signor Napier è qui – avvertì.

    – Ha i capelli dritti sulla testa e il bianco degli occhi che spicca intorno alle iridi? – chiesi, sorridendo.

    – No – ammise Ralph, ricambiando il sorriso. – È un uomo di ottimo aspetto… ma io continuo a pensare che sia uno svitato – concluse.

    – Lo faccia accomodare – ordinai, e un momento più tardi Ralph fece entrare un giovane dall’aspetto molto attraente che giudicai essere fra i venticinque e i trent’anni, anche se poteva forse essere un po’ più giovane.

    Il mio visitatore venne avanti con la mano protesa e un sorriso gli illuminò il volto quando io mi alzai per salutarlo; poi, dopo il consueto scambio di convenevoli, venne dritto allo scopo della sua visita.

    – Per poterle dare un quadro completo della situazione – cominciò – devo raccontarle qualcosa di me stesso. Mio padre era un ufficiale dell’esercito britannico e mia madre una ragazza americana della Virginia. Io sono nato in India, dove mio padre era distaccato, e sono stato allevato da un vecchio indù che era molto affezionato a mio padre e a mia madre. Chand Kabi, così si chiamava, era una sorta di mistico, e mi ha insegnato molte cose che non rientrano di solito negli studi a cui vengono avviati i ragazzi al di sotto dei dieci anni. Fra queste rientrava la telepatia, da lui coltivata e portata a un tale livello da permettergli di conversare con persone con cui era psicologicamente in armonia anche da molto lontano, con la stessa facilità come se fosse stato faccia a faccia con loro. Non solo, ma poteva anche proiettare Immagini mentali a una notevole distanza, in modo che chi riceveva ì suol pensieri vedesse ciò che lui stava vedendo o che voleva farle vedere. Io ho appreso da lui queste tecniche.

    – Ed è stato così che ha provocato la visione da me avuta a mezzanotte del giorno tredici? – chiesi.

    – La prova – annuì lui – era necessaria al fine di accertare se fra noi esisteva un’armonia psicologica. La sua lettera, in cui lei citava le parole esatte che avevo fatto pronunciare all’apparizione, mi ha convinto che avevo finalmente trovato la persona che stavo cercando ormai da qualche tempo.

    «Ora però mi permetta di andare avanti con la mia storia. Spero di non annoiarla, ma ritengo assolutamente necessario che lei abbia una conoscenza completa della mia vita allo scopo di poter decidere se sono degno o meno della sua confidenza e assistenza.

    Gli garantii che ero tutt’altro che annoiato e lui riprese la narrazione.

    – Non avevo ancora undici anni quando mio padre è morto, e mia madre mi ha riportato in America. Dapprima ci siamo stabiliti in Virginia, dove abbiamo vissuto per tre anni con il nonno di mia madre, il Giudice John Carson, il cui nome e la cui reputazione le saranno certamente noti… del resto, chi non lo ha sentito nominare?

    «Dopo che quel grande vecchio è morto, mia madre e io ci siamo trasferiti in California, dove io ho frequentato le scuole pubbliche e sono poi entrato in un piccolo college a Claremont, noto per i suoi elevati standard d’insegnamento e per la qualità superiore tanto del personale quanto degli allievi.

    «Mi ero laureato da poco quando si è verificata la terza e più grande tragedia della mia vita… è morta mia madre, un colpo che mi ha lasciato del tutto sconvolto. Mi sembrava che la vita non avesse più nessun interesse in serbo per me: non avevo più voglia di vivere ma al tempo stesso non volevo suicidarmi, quindi come alternativa ho iniziato a condurre un’esistenza spericolata. Avendo in mente uno scopo preciso ho imparato a pilotare l’aereo, poi ho cambiato nome e sono diventato un cascatore cinematografico.

    «Non ero obbligato a lavorare, perché tramite mia madre avevo ereditato una considerevole fortuna dal mio bisnonno, John Carson, una fortuna tanto grande che soltanto un dissipatore avrebbe potuto spenderne tutta la rendita. Accenno a questo particolare soltanto perché l’avventura che sto per intraprendere richiede capitali considerevoli e voglio che lei sappia che sono del tutto in grado di finanziarla senza bisogno di aiuti.

    «La vita di Hollywood mi annoiava e la California Meridionale conservava per me troppi ricordi della persona amata che avevo perduto, quindi ho deciso di viaggiare e ho visitato tutto il mondo; in Germania ho cominciato a interessarmi alla costruzione di razzi, finanziando più di un progetto… e là è nata la mia idea, nella quale non c’era nulla di originale, tranne il fatto che intendevo portarla a una conclusione ben precisa: volevo usare un razzo per raggiungere un altro pianeta.

    «I miei studi mi avevano convinto che fra tutti i pianeti soltanto Marte offriva qualche supposta evidenza di abitabilità da parte di creature simili a noi, e nello stesso tempo ero certo che se fossi riuscito ad arrivarvi le mie probabilità di tornare sulla Terra sarebbero state remote. Ritenendo di dover avere qualche altro motivo oltre all’egoismo per intraprendere una simile impresa ho deciso quindi di cercare una persona con cui poter comunicare nell’eventualità di avere successo, e in un secondo momento mi sono reso conto che questo avrebbe anche potuto permettere l’invio di una seconda spedizione, attrezzata in modo da poter effettuare il viaggio di ritorno, perché non dubito che ci sarebbero molti spiriti avventurosi pronti a intraprendere una simile impresa una volta che io abbia dimostrato che è una cosa possibile.

    «Per oltre un anno sono stato impegnato nella costruzione di un razzo gigantesco sull’Isola di Guadalupe, al largo della costa occidentale della California Meridionale, e il governo Messicano mi ha dato tutta l’assistenza necessaria, per cui ora il progetto è ultimato fino all’ultimo dettaglio e sono pronto a partire in qualsiasi momento.

    A questo punto il mio visitatore smise di parlare e scomparve improvvisamente: la sedia da lui occupata era adesso vuota e nella stanza c’ero soltanto io. Sconcertato e quasi terrorizzato ricordai quanto Rothmund aveva detto a proposito dell’effetto dell’anestetico sui processi mentali, e anche il fatto che la gente malata di mente di rado si rende conto di esserlo. Ero pazzo? La fronte e le mani mi si velarono di sudore freddo e mi protesi per suonare il campanello e convocare Ralph: non c’erano infatti dubbi sul fatto che il mio segretario fosse sano di mente, e se anche lui aveva visto Carson Napier e lo aveva accompagnato nel mio studio… questo sarebbe stato per me un enorme sollievo.

    Prima però che il mio dito toccasse il pulsante Ralph entrò nella stanza con il volto atteggiato a un’espressione perplessa.

    – Il Signor Napier è di nuovo qui – affermò, c un momento più tardi aggiunse: – Non sapevo che se ne fosse andato. Poco fa l’ho sentito parlare con lei.

    Nell’asciugarmi il sudore dalla faccia e dalle mani esalai un sospiro di sollievo: se ero pazzo, allora lo era anche Ralph.

    – Lo faccia entrare – dissi – e questa volta rimanga qui con noi.

    Quando entrò, Napier aveva sul volto un’espressione indagatrice.

    – Ha afferrato appieno la situazione che le ho spiegato? – mi chiese, come se non avesse mai lasciato la stanza.

    – Sì, ma… – cominciai.

    – Aspetti, la prego – mi interruppe. – So cosa vuole dire, ma mi permetta prima di scusarmi e di darle una spiegazione. Questa è la prima volta che vengo qui, e si trattava della prova conclusiva. Se lei è certo di avermi già visto e di aver parlalo con me, e se riesce a ricordare ciò che le ho detto standomene seduto all’esterno nella mia macchina, allora lei e io potremo comunicare altrettanto liberamente quando sarò su Marte.

    – Ma lei era qui – intervenne Rothmund. – Non le ho forse stretto la mano quando è entrato, e le ho parlato?

    – Ha creduto di farlo – replicò Napier.

    – Chi è il pazzo, adesso? – chiesi con poca eleganza, ma ancora oggi Rothmund è convinto che io e Napier dobbiamo avergli giocato uno scherzo.

    – Come fa a sapere che adesso lui è davvero qui? – insistette.

    – Non lo so – ammisi.

    – Questa volta sono reale – rise Napier. – Vediamo, a che punto ero arrivato?

    – Stava dicendo di essere pronto a partire e di avere un razzo sull’Isola di Guadalupe – gli ricordai.

    – Esatto! Vedo che ha seguito ogni cosa. Ora, molto brevemente, le spiegherò quello che spero possa fare per me. Sono venuto da lei per parecchi motivi, i più importanti dei quali sono il suo interesse per Marte, la sua professione (i risultati del mio esperimento dovranno essere registrati da uno scrittore dotato di esperienza) e la sua reputazione d’integrità… ammetto di essermi preso la libertà di condurre esaurienti indagini sul suo conto. Vorrei che lei trascrivesse e rendesse pubblici i messaggi che riceverà da me, e che al tempo stesso s’incaricasse di amministrare il mio patrimonio durante la mia assenza.

    – Sarò lieto di assumermi il primo incarico, ma esito ad addossarmi la responsabilità connessa al secondo – tentai di

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