Codice Quattro: Oltre questo solo il silenzio
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Una raccolta di episodi reali, tutti narrati, con lo stile semplice e diretto che lo ha contraddistinto dall'esordio come scrittore.
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Anteprima del libro
Codice Quattro - Francesco Carè
1
IL NONNO NON È UN MOSTRO
Breve dialogo tra padre e figlio
Alessandro sette anni chiede al padre di spiegargli cos’è la morte e perché fa così tanta paura:
Alessandro «Papà, cos’è la morte?»
Renato «Perché me lo chiedi?»
Alessandro «Perché tutti dicono che hanno paura della morte.»
Renato «Tu hai paura della morte?»
Alessandro «No! Non so neanche cos’è.»
Renato «Uhm… Tu lo sai che il nonno non c’è più?»
Alessandro «Si!»
Renato «Ecco, la morte è quella, quando una persona termina la sua vita e non torna più.»
Alessandro «Ah! Pensavo diverso, ma allora perché fa tanta paura?»
Renato «Fa paura perché non si conosce veramente, nessuno sa di preciso cosa succede in quel momento, e questo spaventa la gente. E tu di cosa hai paura, per esempio?»
Alessandro «Io? Io ho paura del buio e delle punture.»
Renato «Perché hai paura del buio?»
Alessandro «Perché non si vede niente.»
Renato «E tu hai paura di qualcosa che non si vede? Se non lo vedi come puoi averne paura?»
Alessandro «Perché al buio magari si nascondono i mostri.»
Renato «Tu hai visto mostri nel buio?»
Alessandro «No! Però magari loro ci sono e io non li vedo.»
Renato «E delle punture perché hai paura?»
Alessandro «Perché mi fanno male. Tu le hai fatte le punture?».
Renato «Certo che le ho fatte le punture e so benissimo che possono fare male. Ma perché secondo te le persone si fanno fare le punture?»
Alessandro «Perché sono ammalati e allora con le punture guariscono.»
Renato «Ecco, allora adesso provo a spiegarti cos’è e perché la gente ha paura della morte.
La morte è la fine della vita, come è successo al nonno; immagina di andare a letto per dormire, quando prendi sonno tutto quello che ti sta attorno perde il suo valore, la sua importanza.
Mentre dormi non pensi ai giocattoli, non pensi a mangiare o bere, non pensi di andare in bicicletta, insomma mentre dormi tutto quello che ti succede attorno non esiste.
A volte però una malattia può fare tanto male. Quando le persone soffrono vorrebbero guarire subito, ma non sempre è possibile, allora fanno delle punture che li aiutano a stare meglio.
Come vedi a volte per guarire bisogna soffrire un po’, con la morte invece la sofferenza termina, il corpo si addormenta per sempre e l’anima va in un luogo dove può stare meglio; quel luogo noi non possiamo vederlo adesso, quindi è come per te il buio di cui hai tanta paura, ti spaventa solo perché non lo comprendi e perché non puoi guardarci attraverso. Tu credi che il nonno sia un mostro?».
Alessandro «No, il nonno non è un mostro, giocava sempre con me e mi raccontava le sue storie. I mostri sono diversi, sono brutti e cattivi, il nonno invece era bello e mi faceva tanti regali a Natale.»
Renato «Ecco vedi… Non è detto che un luogo, solo perché tu non ci vedi attraverso, deve essere abitato da mostri. Il nonno abita in un luogo che noi non vediamo, eppure lui ci vuole bene comunque e non sarà mai un mostro ai nostri occhi.»
Alessandro ha lo sguardo basso mentre con le mani strofina i pantaloncini all’altezza delle ginocchia, quasi vuole rassicurarsi con quel gesto.
Alza gli occhi, guarda suo padre e con l’innocenza tipica della sua età ritorna solo per un attimo su quell’argomento, sente quasi la necessità di porre una fine a tutto quel discorso che probabilmente da molto tempo gli frullava in testa.
Alessandro «Sì insomma, la morte non fa paura perché è come andare a dormire. Io quando dormo sto bene, e i mostri non mi possono fare nulla perché il nonno li vede e li manda via tutti.»
Suo padre Renato lo guarda dritto negli occhi e con un cenno di assenso del capo conclude «Bravo il mio ometto, tu hai capito tutto!».
Immagino vi chiederete per quale ragione abbia inserito questo breve dialogo tra padre e figlio così all’inizio di questo libro.
Il motivo è semplice: comprendere attraverso un bambino cos’è la morte e perché ci spaventa così tanto; lasciare che il racconto di un padre possa farci riflettere è forse il modo migliore di esorcizzare ciò che quotidianamente ci ostacola, spaventandoci in profondità, proprio come il buio dove si possono nascondere i mostri della nostra fantasia, da sempre così temuti e mai in realtà esistiti.
Ecco quindi che perde senso temere ciò che non vediamo, e ancora di più ciò che realmente non conosciamo; comprendiamo d’un tratto che, tutte le nostre fobie sono solo il frutto di ciò che non capiamo, solo perché non possiamo vedere oltre quel muro che si chiama incognito.
2
GOCCE DI RUGIADA A CAPE TOWN
A mia moglie Silvana.
Perché questa sua storia sia di aiuto e speranza a quanti nella vita affrontano la sofferenza nella malattia e lo sconforto nello spirito.
«Come può una sola goccia d’acqua dissetare una terra arsa e apparentemente sterile, come può da sola? E allora quante gocce occorrono tutte assieme per ridonare vita, dove la vita sembra aver rinunciato a se stessa.
Ma lei è così, la rugiada si poggia ovunque. Una moltitudine di goccioline che, singolarmente e immobili, attendono un tremore, uno scuotimento, per poter scivolare veloci su superfici talvolta inospitali ed unirsi nel loro tragitto a mille altre goccioline. Assieme formano una pioggia leggera, mai eccessiva, si adagiano sulla terra donando ristoro, la dissetano placando la sofferenza di una lunga siccità, risvegliandola da quel suo abbandono, al quale ella si era votata, ridonando la forza ad un germoglio di crescere forte contro ogni avversità.»
Sì lo ammetto, qualcuno che me l’ha chiesto c’è stato. Qualcuno così dubbioso da non credere che io, Francesco Carè, la sofferenza l’abbia veramente conosciuta personalmente oltre che vista tutti i giorni per oltre venticinque anni, c’è stato.
Ma il mondo è così. Dicono che è bello perché è vario, chissà magari hanno pure ragione.
Ma se mai per caso qualcuno ancora dubitasse che il mio scrivere è lontano dalla vera conoscenza del dolore, quello profondo che ti lacera dentro e che nessun pianto può consolare, allora si rassereni.
Io quello stato d’animo lo conosco bene perché l’ho provato, e molte volte anche.
Sappiano che ancora oggi ringrazio Dio. Posso dire di avere al mio fianco una donna che, quotidianamente, mi ricorda che solo il coraggio e la vera forza interiore possono far superare anche gli ostacoli peggiori.
Quelli che, mai e poi mai, vorresti neppure lontanamente immaginare, provandone lei sulla sua stessa pelle l’incertezza e l’incognita di un futuro che non sembrava così scontato e sicuro per una bambina di 6 anni in quel lontano 1973.
Questa è la sua storia, scritta di suo pugno. Ho voluto inserirla in questo mio libro senza intervenire in alcun modo nello stile della narrazione che è suo.
Permettendomi di pubblicarlo, ha voluto lei esprimere un suo personalissimo messaggio di speranza e amore, verso quella vita che sempre deve essere preservata e difesa, contro ogni pericolo o avversità senza mai arrendersi allo sconforto per nessun motivo.
«Ogni giorno combattiamo la nostra battaglia, consapevoli che un dì verremo sconfitti dall’incedere del tempo e che sovrano comanda su ogni creatura nel susseguirsi delle stagioni.
Solo allora potremo chinare il capo e rinunciare allo scontro, certi in cuor nostro di avere lottato fino alla fine anche solo per un ultimo esile soffio di vita.»
Ritengo questa mia pubblicazione un doveroso omaggio - a lei in primis - oltre a tutti coloro che resero possibile questo miracolo della sua rinascita a nuova vita.
Silvana Manganotti
10 gennaio 1967 - Verona
«Nacqui il 10 gennaio 1967 e da subito mi fu diagnostica una grave malattia cardiaca, quella che in gergo
viene definita come la sindrome del bambino blu
o Tetralogia di Fallot. In quegli anni non c’erano troppe speranze di sopravvivenza. Anche la cardiochirurgia non era ancora avanzata come ai giorni nostri.
A circa sei mesi di vita, i medici tentarono un primo intervento palliativo di Anastomosi di Waterston.
In sintesi si tratta di un intervento chirurgico durante il quale - vasi sanguigni dello stesso livello - vengono collegati tra loro. Praticamente l’aorta ascendente e l’arteria polmonare destra vengono interconnesse.
Fu un tentativo estremo quello dei chirurghi, per prolungare in me l’aspettativa di sopravvivenza che al mio sesto mese di vita dovevo già lottare così tanto per non