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Il male dentro: Una nuova indagine per il commissario Scichilone
Il male dentro: Una nuova indagine per il commissario Scichilone
Il male dentro: Una nuova indagine per il commissario Scichilone
E-book169 pagine2 ore

Il male dentro: Una nuova indagine per il commissario Scichilone

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Info su questo ebook

Una cosca di ’ndrangheta ed un gruppo malavitoso albanese si contendono il traffico di droga sul territorio di Ventimiglia. Il rapimento del nipote del boss calabrese Salvatore Cannizzaro detto “il vecchio” sposta gli equilibri della contesa. Il commissario Scichilone verrà risucchiato da un’indagine dai contorni cupi che lo condurranno su un territorio in cui i compromessi lo costringeranno a scelte difficili.

Roberto Negro è nato ad Asti il 13.10.1960 e risiede a Perinaldo (IM). È un criminologo che ha prestato servizio per trent’anni nella Polizia di Stato con la qualifica di Sostituto Commissario. Nella sua carriera ha avuto incarichi di polizia giudiziaria anche presso le sedi diplomatiche italiane di Istanbul (Turchia), Karachi (Pakistan) e Colombo (Sri Lanka). Successivamente è stato il Responsabile della Sicurezza e della Tutela del Patrimonio Aziendale del Casinò di Sanremo. Attualmente è titolare dell’enoteca DiVino e... di Perinaldo. Ha collaborato con A.I.FO. (Amici Raoul Follereau – ONG aiuti umanitari) in Brasile – Ceres (Goias) nel progetto Pro - Han per la cura ed il recupero dei malati di lebbra. Con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Il tesoro di Perinaldo (2005), Omicidio ai Balzi Rossi (2006), Bagiue le streghe di Triora (2007), I fuochi fatui (2008), Sinfonia per un delitto (2008), Bocca di rosa (2010), Rien ne va plus (2011), Oltre la giustizia (2012), Anime alla deriva (2013), Il mistero del cadavere senza nome (2016), La solitudine di Adamo (2018).
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2022
ISBN9788869436314
Il male dentro: Una nuova indagine per il commissario Scichilone

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    Anteprima del libro

    Il male dentro - Roberto Negro

    1

    Tutto cambia.

    La vita, per tanto che l’abbia pianificata, programmata o anche semplicemente immaginata si è rivelata una compagna di viaggio irrequieta ed infedele.

    Nonostante ciò ho cercato di assecondarla, affrontando il quotidiano così per come si proponeva.

    Ho cavalcato l’onda lunga delle emozioni, ho goduto della serenità di bonacce, temuto e vinto le burrasche, sicuro che ci sarebbe stato comunque un domani.

    Non mi sono mai preoccupato di quando i titoli di coda sarebbero arrivati, mai.

    Mai, sino ad oggi.

    Piove.

    Le gocce che si inseguono sul vetro disegnano scie umide, incrociandosi, sovrapponendosi, come atleti che si sfidano per raggiungere il traguardo.

    Oltre la finestra la città, i tetti lucidi e le facciate delle case, gli ombrelli che si muovono lesti nelle vie, i tergicristalli delle automobili in coda che spazzano l’acqua: istantanea d’autunno che si ammanta di grigi.

    L’ho amata, nonostante tutto, al di là dei luoghi comuni che l’hanno troppo in fretta stigmatizzata come una città di malavita. Ho respirato la brezza della Marina, giocato nei vicoli della città alta, mi sono perso nel primo bacio rubato alla Maurgunaira.

    Non ho mai pensato di abbandonarla, allontanandomi per raggiungere Paesi lontani ed esotici dove la vita avrebbe potuto essere solo spiagge e mare: il sogno di molti.

    Io non l’ho mai avuto, perché ho amato Ventimiglia così com’è.

    Ho sempre desiderato un’esistenza fatta di concretezze, di punti di riferimento immutabili.

    Purtroppo tutto cambia anche se non avrei mai voluto che ciò accadesse.

    Ci sono stati momenti in cui avrei voluto congelare il tempo, cristallizzando le emozioni per renderle eterne: un’utopia.

    In qualche modo, parte di queste, sono riuscito a preservarle nell’archivio della memoria, mentre ho perso irrimediabilmente la consistenza del passato. Di questo mi rimangono poche immagini fotografiche che conservo in una scatola di cartone, uniche testimoni di una giovinezza sfumata nell’incessante inseguirsi delle stagioni.

    Quando i ricordi hanno il sopravvento sulla realtà, chiudo gli occhi abbandonandomi ad essi, nella speranza di essere trascinato via. Scorrono lesti come la pellicola di un film che non mi stanca mai e mi illudo di tornare indietro a quando il presente era un futuro imprevedibile.

    Dopo tante cose fatte, dette, vissute, eccomi qui. Seduto su una poltrona, osservo il mio mondo, quello che conosco, l’unico posto in cui ho voluto vivere.

    Già, vivere, ma quale senso ha la mia vita adesso?

    Non avrei mai desiderato quanto è accaduto, non era così che doveva andare.

    Purtroppo non sempre le aspirazioni che abbiamo sono condivise dagli altri, a volte per semplice indifferenza. Ma l’indifferenza è un fattore tipico della nostra società e quindi ci può stare se proviene da estranei o collaboratori; non è tollerabile quando arriva da una persona cara.

    Si può anche non essere d’accordo e allora occorre discutere, confrontarsi in modo costruttivo, magari con toni accessi, esponendo i propri punti di vista, sviscerando i dubbi le perplessità. L’unica cosa che non sopporto è non essere ascoltato.

    Eppure ho parlato, spiegato... a nulla è servito ed ora sono qua che aspetto.

    Ciò che è stato fatto non consente più appelli e quello che accadrà è inevitabile.

    Non sono mai fuggito dalle mie responsabilità, assumendomi ogni onere delle decisioni prese e nemmeno adesso lo farò.

    Non ho paura.

    2

    Il commissario Scichilone fissò la busta appoggiata sul piano della scrivania.

    Era una corrispondenza ordinaria, di foggia ordinaria, di un ordinario colore bianco, affrancata con un francobollo ordinario.

    Quell’ordinarietà non avrebbe dovuto suscitargli un particolare interesse ed invece rimaneva lì ad osservarla calamitato dalla grafia con cui era stato scritto il nome del destinatario. L’aveva riconosciuta immediatamente perché quel tratto rappresentava la parte del suo passato che non era mai riuscito a metabolizzare e che continuava a vivere dentro di lui.

    Più cercava di allontanarlo e più emergeva prepotentemente con il suo carico di dolore, di domande senza risposte.

    Ne aveva anche parlato con la sua analista Tette profumate che era riuscita a strapparlo dalla depressione, riallineandolo alla vita.

    Lei non lo aveva sollecitato più di tanto, limitandosi a dirgli parlami di te e lui era stato un fiume in piena. Per la prima volta nella sua esistenza si era sentito libero di esprimersi, svuotandosi di tutto ciò che aveva dentro. Dopo ogni seduta, la sensazione che provava era quella di leggerezza: aveva la convinzione che la condivisione del suo disagio lo aiutasse ad allontanare gli spettri che albergavano in lui.

    Così quegli appuntamenti erano diventati la vera terapia, meglio delle pastiglie che la dottoressa gli prescriveva. Era diventato dipendente da quei momenti a cui anelava come un tabagista ad una sigaretta.

    La dottoressa non parlava mai: lui arrivava, si sdraiava sul lettino e cominciava a raccontare per un’ora, senza mai una pausa. Poi si alzava e se ne andava.

    Un giorno poi si era coricato rendendosi conto che non aveva più nulla da dire e quindi rimase in silenzio.

    Anche lei non aveva detto niente, si era limitata ad osservarlo per tutto il tempo a disposizione.

    In quello successivo era stata lei a parlare e lui aveva ascoltato.

    La sua analisi era stata profonda e tra i vari aspetti esaminati emergevano la figura paterna, esasperante ed autorevole alla quale era riuscito a sottrarsi solo allontanandosi da casa, e quella di Maria Assunta, l’ex moglie, su cui aveva riversato ogni aspettativa e dalla quale aveva ricevuto un abbandono che non era mai riuscito ad accettare.

    Tette profumate le aveva epurate dalla tossicità che esercitavano su lui, riproponendole in una veste più concreta, cercando così di allontanarlo dai falsi sensi di colpa che derivavano dalla convinzione di aver fallito come figlio e come marito.

    Non esistevano regole per far funzionare le relazioni affettive.

    Al centro del progetto di recupero esistenziale era stato messo lui ed in questo senso avevano lavorato per recuperare l’autostima dimenticata ed alla fine c’erano riusciti allontanando il falso io.

    La fase successiva era stata una sorta di ritorno alla vita in cui aveva riscoperto se stesso, l’adrenalinico sapore dell’indagine e quello testosteronico della conquista.

    Così si era misurato con un predatore di donne e contestualmente era diventato preda di una famelica signora che aveva cercato di trasformarlo in un toy boy, ma il nuovo Scichilone si era ribellato non sentendosi né un giocattolo erotico né tantomeno un ragazzo.

    Con l’autunno tutto era rientrato nella normalità: Ventimiglia si era spogliata dell’ingombrante presenza dei turisti, il fascicolo di Cuomo Domenico, il maniaco, era stato archiviato, Agata dimenticata e lui era di nuovo in caccia in tutti i sensi.

    Quella mattina aveva una preoccupazione in più: aveva paura che il contenuto di quella lettera potesse riaprire una vecchia ferita.

    Indugiò ancora un po’, osservando quei caratteri molto arrotondati che stentavano a legarsi tra loro in un corsivo che pareva ambisse ad assurgere a stampatello.

    Maria Assunta era una donna imprevedibile, capace di sorprenderlo sempre. Anche quando lo aveva lasciato c’era riuscita, andandosene senza un preavviso, dicendogli semplicemente che non lo amava più.

    Poi era salita sul treno senza un saluto, senza mai voltarsi.

    Dopo anni di silenzio, le parole della missiva sarebbero state le prime che gli avrebbe rivolto.

    Passata mezz’ora di isolamento totale, decise di aprirla.

    All’interno c’era un foglio formato A4, ordinariamente bianco, su cui apparivano sei righe, evidentemente scritte con un computer. I caratteri Times New Roman formato 14 erano asettici:

    Ti scrivo per dirti che aspetto un figlio.

    Finalmente sarò madre.

    Ciò che sognavo e che tu mi hai sempre negato si sta finalmente avverando.

    Ho preferito dirtelo io prima che tu lo sapessi da altri.

    Sono una donna felice.

    Maria Assunta

    Un pugno allo stomaco gli avrebbe fatto meno male.

    Sentì l’improvvisa esigenza di bere, di attaccarsi ad una bottiglia di Pampero Anniversario, il rum che nei momenti più bui era stato il compagno a cui si era rivolto: un amico fedele che lo aveva ricambiato con il sollievo dell’oblio, regalandogli il senso di non appartenenza di cui aveva bisogno. Essere nessuno per non affrontare il quotidiano.

    In quel momento avrebbe voluto non esistere, non aver mai vissuto.

    La donna che aveva amato, in quelle poche righe, aveva concentrato una serie di parole bellissime: figlio, madre, sognavo e felice.

    In esse c’era l’essenza della vita, le stesse che molti anni prima avevano condiviso.

    Ora le stava usando per comunicargli che quel progetto lo stava completando con un altro uomo.

    Accese una sigaretta, fumando lentamente senza mai distogliere lo sguardo dallo scritto.

    Infine ricollocò il foglio dentro la busta, si alzò e raggiunse la finestra spalancandola.

    L’aria di novembre era fresca; la percepì sulla pelle come una carezza.

    Azionò la pietra focaia dello Zippo, incendiando lo stoppino. La fiamma aveva sfumature azzurre, gialle, e bianche. Lui le guardò, ipnotizzato dalla bellezza e dalla voracità del fuoco che aggrediva la carta trasformandola in eterei frammenti scuri che si sollevarono verso il cielo.

    Li osservò roteare nell’aria: il calore aveva incenerito le parole.

    3

    Voglio parlari con il commissario e basta! Non mi muovo se non parlo con il vostro capo!

    Scichilone venne riportato alla realtà dalle urla che provenivano dall’ufficio denunce.

    Guardò oltre la finestra, incrociando lo sguardo passivo del sovrintendente Mazza che impotente stava affrontando un anziano che oltre ad urlare agitava le braccia come se volesse levitare sul posto.

    Quando li raggiunse, il subalterno era annichilito sulla sedia della scrivania mentre l’utente lo sovrastava puntandogli l’indice destro a pochi centimetri dal naso.

    …quello mi sta arrubando e voi non facite nulla…

    Ha chiesto di me?

    Il commissario aveva pronunciato le parole magiche, interrompendo l’enfasi dell’uomo di cui catturò l’attenzione.

    Aveva il viso scavato dagli anni, occhi azzurri, dita deformate dall’artrosi e dal lavoro.

    Dottore, finalmente disse. Ci posso parlare a solo? aggiunse.

    L’accento tradiva origini meridionali.

    A sua disposizione rispose il dirigente, accentuando l’inflessione siciliana ed il tono di deferenza verso di chi è più anziano.

    "Dottore mio, tengo una campagnuzza vicino a Varase dove ci coltivo nu poco di verduruzza per la famiglia… tutto in regola… comprai la terra che sono trent’anni e ci ho sempre piantato tutto quello che serve, senza mai una cammurria… ma ora sono due settimane che c’è qualcuno che notti notti viene e si faci la spesa per casuzza sua. Quando la prima volta me ne accorsi, pensai ad una cosa che poti accadire come già era successo negli anni, ma poi ci fu una secunna ed una terzi e allura pensai che nu figghiu de grandissima buttana mi stava cuineggiando e allura addecisi di postarmi dentro la casuzza ove conservo u materiali. Così

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