Un Fannullone
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Tristan Bernard
Tristan Bernard, de son vrai nom Paul Bernard, est un romancier et auteur dramatique français. Fils d'architecte, il fait ses études au lycée Condorcet, puis à la faculté de droit. Il entame une carrière d'avocat, pour se tourner ensuite vers les affaires et prendre la direction d'une usine d'aluminium à Creil. Son goût pour le sport le conduit aussi à prendre la direction d'un vélodrome à Neuilly-sur-Seine. En 1891, alors qu'il commence à collaborer à La Revue Blanche, il prend pour pseudonyme Tristan, le nom d'un cheval sur lequel il avait misé avec succès aux courses. En 1894, il publie son premier roman, Vous m'en direz tant !, et l'année suivante sa première pièce, Les Pieds nickelés. Proche de Léon Blum, Jules Renard, Marcel Pagnol, Lucien Guitry et de bien d'autres artistes, Tristan Bernard se fait connaître pour ses jeux de mots, ses romans et ses pièces, ainsi que pour ses mots croisés.
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Anteprima del libro
Un Fannullone - Tristan Bernard
COCÒ
TRISTAN BERNARD - UN FANNULLONE
Francesco Marstein che lavorava, come elettricista, in una grande officina di Puteaux, venne una sera al caffè Balazan a ricercare suo cugino Alberto che gli doveva cinquanta franchi.
— Mio caro – gli disse Alberto – scusami, tutti i giorni volevo venire a riportarteli. Ma ti assicuro che domani... o domani l’altro al più tardi... sarai saldato. Ho firmato un contratto con una casa di via del Mail, che vende coltelleria fine, e comincio la settimana prossima un giro nell’Est.
— Tu firmi sempre contratti, – disse Francesco – e non concludi niente... Ti spacci per viaggiatore di commercio, e non ti allontani da Parigi... In fondo lo so io che mestiere fai.
— Sai che cosa?
— So, – disse Fancesco. – Tu vivi con una donna del Moulin che si chiama Irma. Ecco il tuo mestiere.
Alberto, seduto sulla panca accanto a Francesco, non rispose.
Era un uomo di costituzione robusta, con la mascella forte, il viso smunto. Aveva gli occhi neri, sognanti, e si rodeva le unghie.
— È triste per la tua famiglia – aggiunse Francesco. – Ecco dove ti ha spinto la tua pigrizia.
Gli occhi di Alberto si empirono di lacrime,
— Non auguro a nessuno di far la vita che fo io, – disse sospirando.
S’intenerì ancora e abbracciò il cugino.
— Mio caro, so che mi vuoi bene e capisco i rimproveri che mi fai. Ascolta, Francesco, permettimi di darti un consiglio: tu hai un buon posto, guarda di conservartelo più che puoi. È un gran brutto affare essere disoccupato, e non c’è niente di più triste al mondo che aver bisogno di una donna. È vero che sono sempre con Irma; ma non vivo di lei, te lo assicuro. Chi te lo ha detto ha detto una calunnia. Sono sei mesi che siamo insieme; essa non mi ha prestato che trecento franchi. Cosa dico trecento franchi! neppure duecento...
«Tu non conosci le donne; tu hai avuto delle donne come tutti gli altri, ma per sapere che cosa sono, che cosa valgono, bisogna aver bisogno di loro. Quando non sono realmente innamorate è al denaro che tengono di più; e ci tengono ciecamente, e sono attaccate ugualmente a un pezzo da una lira come a un biglietto da cento.
«Oh, quando si sale le loro scale dicendosi che si va per chiedere cinque lire! Se si entra col viso triste capiscono subito che si va per chiedere; allora è meglio entrare con l›aria allegra o indifferente e fare la richiesta facendo finta di niente, al momento buono.
«E quel che è buffo è che spesso si va a chieder loro qualche cosa non per vera necessità, ma per fare il signore elegante con un compagno che si è invitato a desinare. Ci si umilia qui per essere considerato là. Ah, il giorno che potrò buttarle in faccia tutto il denaro che mi ha prestato!
Alberto tacque un momento. Suo cugino, Francesco, volle pagare la consumazione. Alberto lo fermò:
— Non andartene; ho ancora qualche cosa da raccontarti. Tu mi sei amico; ti conosco da tanto tempo. Ti voglio dire quello che non ho detto a nessuno. Due mesi fa, visto che così non la poteva durare, ho avuto un’idea spaventosa, ho avuto l’idea di fare un colpo...
Francesco lo guardò stupito.
— Aspetta, Francesco, sentirai il seguito. Una sera che Irma rifiutò di prestarmi trenta franchi (che avevo assolutamente promesso di prestare a un compagno di reggimento) mi dissi dunque che così non poteva durare. Avevo spesso pensato a una donna del Moulin chiamata Giulia. Abitava in via Blanche; non ero mai stato da lei, ma la conoscevo un poco per averci parlato al Moulin. Sapevo semplicemente da una sua amica che aveva in una piccola scrivania, in camera, delle economie. Avrei dovuto prendere maggiori informazioni e sapere se abitava sola o se c’erano dei vicini. Mi sono domandato spesso, leggendo le storie dei delitti, perchè i delinquenti prendono così poche precauzioni. La verità è che ci pensano ma non hanno tempo. È raro che possano scegliere tranquillamente il giorno; sono sorpresi dall’occasione o dalla necessità.
«Quella sera, prima di andare al Moulin, feci un bel desinare da Lecarnier dove mangio a credito. Cercai di ubriacarmi, ma ci riesco difficilmente, mi vien la nausea prima di essere ubriaco e allora mi è impossibile continuare a bere.
«Quando arrivo al Moulin mi ci vogliono venti minuti a trovare Giulia. Stavo per andarmene, piuttosto contento a dirti il vero. E avevo deciso di confessare francamente a quel mio amico che non potevo dargli i trenta franchi, quando vedo Giulia a una tavola. Era una donna bionda, sottile, pallida; non volevo andare a sedermi vicino a lei perchè non ci vedessero insieme. Finalmente si alza da tavola; le vado incontro senza fretta e le dico: – Giulia, vuoi che venga con te stasera? – Mi risponde di sì, e io le dissi che l’avrei ritrovata fuori perchè una certa persona non deve sapere che siamo usciti insieme.
« – Sì, lo so, – mi disse. – Irma.
«Avevo portato con me un coltello, e mi ero procurato da un chincagliere un paio di tenaglie di media grandezza per forzare la scrivania. Avevo messo questi arnesi nella tasca interna del mantello. Quando