Fiori d'inverno. Amarsi
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Anteprima del libro
Fiori d'inverno. Amarsi - Annalisa Caravante
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Note
ANNALISA CARAVANTE
FIORI D'INVERNO
Amarsi
Seguito di Battiti
© Annalisa Caravante
Prima edizione – 2013 L'inverno e la primavera – Corebook Editore
Seconda edizione – 2017 Fiori d'inverno. Amarsi –
Copertina: File: #119861830 | Autore: rdrgraphe
ISBN: 9788892672277
Youcanprint Self-Publishing
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistite o esistenti è puramente casuale. L'opera nasce dalla fantasia dell'autrice.
Alle mie sorelle Grazia e Laura
Un grazie particolare ad Annalisa Gagliardi
ed Emi White
Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano
Paulo Coelho
Capitolo 1
Battiti
– Cristian, Cristian... – aprii gli occhi e intravidi dei fasci di luce su di me: – È pieno giorno. Assunta, perché non mi avete svegliata? – sollevai la schiena dai cuscini e guardai la stanza. Ero in salone, distesa sulla poltrona. Sentii le gote secche, le ciglia appiccicaticce e le palpebre pesanti. Perché sono qui?
. Non ricordavo nulla.
– Signora. – Assunta mi corse incontro, s'inginocchiò al mio capezzale e mi porse un bicchiere – Bevete, signora mia.
Osservai l'acqua muoversi e mi sembrò di vederci riflesso Luca, in piedi in corridoio. Poi mi risuonò in testa la sua voce: "Mi dispiace dirtelo, ma Cristian è stato trovato morto... La polizia ha contattato Corrado. Mi dispiace, lo hanno identificato subito. È stato trovato in strada.".
Dopo quelle parole ero svenuta.
– Cri... morto? – mormorai; la cameriera mi guardava con occhi colmi di pietà.
– No... – sussurrai. Il respiro mi divenne improvvisamente corto.
– State calma, signora mia. – Assunta, ancora inginocchiata, giunse le mani – Fatelo per quell'angelo di vostra figlia.
Mi alzai: – No! – e il bicchiere si frantumò a terra. Luca accorse e si fermò davanti a me; provò ad abbracciarmi ma io lo allontanai e gli chiesi, balbettante, di smentire le sue parole.
– Martina, ti voglio bene, stai calma.
– No! Non sto calma, non voglio stare calma! – strinsi i pugni, infilandomi le unghie nella carne – Voglio Cristian, qui, adesso! Chiunque abbia dato quest'assurda notizia, si è sbagliato. Cristian è vivo! – ne ero sicura, lo sentivo nel cuore: – Dov'è, dov'è mia figlia? Dov'è?
– Sta con Federica. L'ha portata a casa nostra.
Incredula, scossa e atterrita, corsi nello studio e mi guardai attorno: – Cristian, esci immediatamente. Dove ti sei nascosto? Questo scherzo è stupido, è cattivo!
Cercai dietro la scrivania, dietro la tenda, in bagno. Uscii e rientrai nello studio sempre con Luca alle spalle. Dove sei?
echeggiava per la casa, mentre dal salone giungeva il pianto di Assunta. Vidi i libri di mio marito, gli occhiali che ultimamente indossava quando leggeva e la laurea incorniciata alla parete. – Dove sei, Cristian, dove sei? – urlavo, sperando di farmi sentire da lui, aspettando che uscisse allo scoperto e mi dicesse – Ci hai creduto, panzarotta scema.
Poi guardai la scrivania e vidi il tagliacarte. "Mi dispiace dirtelo, ma Cristian è stato trovato morto... Mi dispiace... mi dispiace... morto... morto." quelle parole mi vorticavano maligne nella testa. Cristian è morto?
.
– Non sentirò più la sua voce? Non lo vedrò più? – scrutai mio cognato.
– Martina, pensa a Teresa.
– Cristian è morto! – afferrai il tagliacarte.
– Pensa a tua figlia! – Luca avanzò lento – Non fare sciocchezze, tu sei forte e devi pensare a tua figlia, a Teresa, la tua Teresina. Noi ti saremo accanto per tutta la vita. Non siamo tuo marito, ma ti amiamo tutti.
– Non sarei più una buona madre.
– Non è così. Ti prego, non farla restare orfana anche di madre, lei ha bisogno di te, non puoi abbandonarla.
– No! Cristian è morto e quindi non ho ragione di vivere.
– Pensa a Federica, la faresti soffrire, le faresti perdere anche la sorella.
– Io non vivo senza Cristian! – la mia voce sembrava arrivare dritta dall'inferno. Assunta entrò nello studio e, vedendomi rossa in viso, fece il segno della Croce. – Volete sentirvi male? Signora mia, vi supplico. – la osservai irata. Quella distrazione concesse a mio cognato di buttarsi su di me, ci fu una breve colluttazione e involontariamente lo ferii alla mano. Mi soffermai con la vista sul suo sangue, le mie labbra tremavano, i capelli si erano sciolti lunghi i lati del volto. – Martina, ti voglio bene, ascoltami. – riprese Luca, mentre cercava di fermare l'emorragia. Spostai di nuovo lo sguardo sulla scrivania e vidi un nastrino, quello che mi aveva regalato Francesco. Allentai la presa, il tagliacarte tintinnò a terra e mio cognato lo afferrò all'istante. Feci qualche passo e presi il nastrino, osservando il suo rosso contrastare col bianco del mio palmo. Devo andare da lui
. Non capivo il perché, né me lo chiesi, sapevo solo che dovevo andare da Francesco. Scansai Luca, feci l'appartamento di corsa, scesi le scale e giunsi in strada. Mi guardai attorno, poi mi buttai fra la gente, sempre con mio cognato alle calcagna. La strada scorreva sotto i miei piedi, come il pianto sulle gote e attraverso le lacrime rivedevo Cristian.
Arrivai in via Duomo. Caddi, sbucciandomi le gambe, mi rialzai e ripresi a correre. Arrivai, affannata, al palazzo di Francesco e cominciai a gridare il suo nome dal piano terra. Luca mi giunse alle spalle e mi strinse. – Hai detto che mi avresti aiutata, che sei stato mandato da me per aiutarmi e allora cosa aspetti? Cosa aspetti? Mi hanno detto che Cristian è morto e io non ce la faccio, non ce la posso fare; io mi uccido, io mi uccido! Hai sentito, hai capito? – ormai mi faceva male la gola ma le parole sembravano uscire da sole. Francesco si affacciò dalla balaustra e guardò di sotto; io avevo la testa alzata verso di lui. Scese le scale a passo svelto, seguii il suo tragitto e ci ritrovammo nello stesso punto in cui c’eravamo incontrati alla morte di Carolina. Adesso, però, ero io ad avere bisogno di lui. Gli mostrai il nastrino: – Mi ha fermato questo.
– Lo so. – mi rispose con voce sicura. I suoi occhi erano fermi sui miei ed erano privi di espressione, privi persino di quell'ansia che mi avevano sempre trasmesso.
– E adesso devi dirmi come facevi a saperlo. Come sapevi che avrei tentato di uccidermi e come sapevi di mio marito? Parla!
– Martina, – mi prese le mani – faccio un grosso sforzo con me stesso, rievocando quanto ho vissuto; per questo, evita di contrastare le mie parole.
Annuii come quando una madre chiede alla figlia di obbedire.
– Tempo fa ti dissi che avevi molti amici, ma anche molti nemici. Sono stati i tuoi amici a chiedermi di aiutarti. Io credevo di dover salvare Cristian e sono stato male perché non sapevo come, poi stamattina Guido, in negozio, mi ha chiesto se volevo comprare qualcosa e non so come, ma ho capito che dovevo aiutare te. Ho visto quel nastrino e gli ho chiesto di portarlo a te.
– Chi? Chi sono questi amici e questi nemici?
– Martina, mi hai già creduto pazzo una volta, lo farai di nuovo o vuoi sentire come stanno le cose?
– Voglio sentire tutto! E adesso, subito!
– Be', chi mi ha messo sulla strada giusta per aiutarti è stato Giovanni.
– Giovanni? Ma cosa...?
– Quel ragazzo che stava con noi da tua zia e che voleva fare l'attore.
– Cosa? Giovanni è morto da anni. Cosa vai blaterando?
– Vieni con me.
Francesco mi prese la mano e mi condusse all’aperto, sulla strada, fra la gente distratta che s’affrettava a terminare le proprie attività. Luca non capiva, ci seguiva e ci osservava perplesso, mentre io, con l’anima avvolta dal dolore, pendevo dalle labbra del mio amico. Sentivo come se da lui dovesse venir fuori una verità che potesse in qualche modo alleviare il mio cuore. Mi faceva male vedere i negozi e le vie che tante volte avevo percorso con Cristian a braccetto.
Camminavamo così, io che piangevo, Francesco che mi tirava e Luca che ci seguiva.
Non avevo idea di dove stessimo andando ma, per come mi sentivo, sarei andata anche all’inferno, non m’importava più di nulla. Avevo davanti agli occhi il volto di mio marito, i suoi soffici riccioli, il suo sguardo furbetto e i suoi occhi intensi ed espressivi. Ma più andavo avanti, più le forze venivano meno e mi aggrappavo a Francesco per non cadere. Guardavo i volti della gente e speravo che da un momento all’altro spuntasse Cristian e mi dicesse che era stato solo un errore.
– Non ce la faccio! – gridai e mi fermai – Io lo amo troppo, non posso vivere senza di lui. E tu dove mi stai portando?
– Lo so, lo so. – rispose Francesco, stringendo le mie braccia – È dura, è inconcepibile, è assurdo, ma devi fargli giustizia, devi essere forte anche per lui.
– Lui non c’è più, che cosa posso fare ormai per Cristian? – lo strattonai e sospirai – Ah, non so nemmeno io perché cavolo sono venuta da te!
– Sei venuta per scoprire chi lo ha ucciso.
– Cosa?
– Ti è stato detto? Te lo hanno detto?
– È stata Simona Schreiber. – esclamò Luca; mi voltai verso di lui incredula.
– Martina, guardami, – Francesco mi prese il volto tra le mani – non è così, non è così.
Era una situazione paradossale, ma quegli occhi, sicuri su di me, mi dicevano qualcosa. Sentivo di trarvi una forza senza senso.
– Come, non è così? Lo ha detto la polizia. – Luca si arrabbiò, mi afferrò a un braccio e allontanò Francesco, facendolo quasi cadere: – Smettetela d'importunare mia cognata. Le è appena morto il marito, lasciatela stare!
– Martina. – il mio amico seguitò. La mente mi diceva che era sbagliato stare lì, ad ascoltare le parole di un forsennato, ma l'anima m'inchiodava a qualcosa che veniva da lui e che non capivo. – Sono andata io da Francesco, – risposi a Luca – lo hai visto, lui non ha colpa.
– Sì, ma adesso dobbiamo tornare a casa.
– No! – mi liberai dalla morsa e mi avvicinai al mio amico – Io so che quando una persona muore, muore e non ritorna più, eppure, sento che c’è qualcosa, sento Cristian vicino a me, che mi spinge a credergli. Io mi devo aggrappare a questo, altrimenti sai cosa sono capace di fare.
– Quello che senti è Teresa, è tua figlia, lei ti darà la forza di andare avanti.
– No, non è vero. Io non sono forte come Cristian. Se fossi morta io, lui sì che avrebbe reagito degnamente e avrebbe cresciuto nostra figlia nel migliore dei modi, ma io posso farle solo del male.
– Ma che cavolo stai dicendo, Martina? Tu devi ritornare a casa con me e adesso. Basta con questa storia. – Luca mi strinse di nuovo al braccio – Magai, ora andate via.
– No, ti prego, occupatene tu di Teresa, – misi le mani sul torace di mio cognato, lui mi guardò negli occhi – tu e Federica.
– Vuoi farle perdere anche la madre? Hai idea di come reagirà, quando saprà del padre? E poi, cosa vorresti fare? Andare lì e dire a tutti Sento che non è stata la Schreiber?
. Quella donna ci ha provato in ogni modo ad allontanarvi.
– Addio, Luca, abbi cura della mia bambina.
– Francesco, non assecondatela. Dove volete condurla? Questa è un'assurdità!
– Non vorrei portarla via da sua figlia, è difficile da spiegare e se lo facessi adesso, mi rinchiuderebbero di sicuro in un manicomio e Martina resterebbe anche senza di me.
– Ma perché, voi chi siete per lei? Il posto di Martina, soprattutto adesso, è a casa sua, accanto a sua figlia e alla sua famiglia!
– Luca, – dissi con voce più calma – qualsiasi spiegazione mi darebbe la polizia, non sarebbe mai abbastanza, non sarebbe mai importante come quello che Francesco può fare per me.
– Ah Martì, io sono ignorante, tutte queste strane cose io non le capisco, so solo che quando muore qualcuno, tutta la famiglia deve restare unita. E noi siamo la tua famiglia. Ti aiuteremo noi.
– In realtà non lo capiamo neanche noi, – rispose Francesco – ma entrambi sappiamo che dobbiamo andare dove Cristian ha perso la vita. Simona Schreiber è innocente. Abbiate stima di quest'uomo e non chiedetegli perché sa questo, ma lo sa. So e non posso abbandonare Cristian. Lui mi promise che al suo ritorno sarebbe stato il fratello che non ho mai avuto e da fratello io devo scoprire la verità. La stessa che anche lui ha sempre cercato in tutto.
– Come fate a dirlo? È questo che non capisco! Noi siamo qui e Cristian è stato ucciso a Torino; come cazzo fate a essere così sicuri che non sia stata lei? Ma mannaggia la miseria, Cristian è stato ucciso e noi stiamo qui a parlare di cosa?
Gli occhi di Luca si riempirono di lacrime.
– Avete mai sentito qualcuno parlarvi e avvertire allo stesso tempo che quanto dice non è vero? – Francesco prese ad affrontare mio cognato senza alcun tentennamento.
– Avete delle prove?
– Prove? Io vivo questo ventiquattro ore al giorno. Riesco ad avvertire se dite il vero o il falso, se la vostra vita va verso un precipizio o se diventerà bella!… Sapevo che qualcosa stesse per accadere a Cristian, ma non avevo idea di cosa. Stamattina ho avvertito tutta la paura e l’angoscia che ha provato, mentre se ne andava e lui ha sentito me. Tutto questo è avvenuto quando vi ho portato i tre pastori, quando ho guardato l’orologio dei vostri nonni. Ecco, era allora che moriva Cristian. Lui era andato lì per cercare Mara e ha trovato la morte. Chiamatela pazzia, chiamatela come volete. Sarà la mia anima di poeta, io non lo so!
Francesco mi prese la mano: – Scusateci, Luca, ma non possiamo lasciare le cose così.
Capitolo 2
Addio Napoli
Qualcuno da fuori sbatteva un tappeto contro una ringhiera e cantava una canzone in dialetto. I passi della strada si affievolivano per il primo pomeriggio che s'inoltrava stanco, come un uomo che conduce fiacco il suo cammino. La stanza era al buio, il sole era già sparito dietro i palazzoni che a Napoli creano una fitta rete di vicoli e vicoletti, dove i raggi del giorno faticano a entrarci. Il piccolo soggiorno affacciava proprio in una stradetta che s'imbruniva già alle prime ore dopo mezzogiorno.
– Lucariè. – Federica entrò nella stanza, cercando il marito; stringeva a sé la sciarpa della nipote. Teresina, solo ora, dopo essere stata portata via di casa senza spiegazioni, s'era acquietata e spogliata del soprabito. Ora se ne stava muta, in cucina, sorvegliata dal cugino. Guido aveva saputo dello zio, ma aspettava che fossero i genitori a dirlo, poiché, aveva intuito qualcosa di strano nel comportamento della zia, non essendo giunta da loro col padre.
Luca se ne stava muto, abbandonato sulla poltrona accanto alla finestra, con gli occhi rossi fissi al muro di fronte e il fazzoletto buttato sulle gambe. – Lucarié. – la moglie gli s'inginocchiò di lato, poggiano le mani sui braccioli. – Ma è proprio 'o ver'? Non può essere che ci sia stato un errore di persona?
Lui la guardò, restò un po' in silenzio; poi sollevò con lentezza la mano sinistra e le accarezzò il capo. – No... nessun errore. Cristian se n'è andato, proprio come abbiamo sempre temuto. E a che cosa è servito parlargli? Chiedergli di fare attenzione e poi, quando mette la testa a posto, viene una pazza a portarcelo via?
– E Martina? La mia adorata sorella dov'è? Perché non era a casa e perché non è venuta con te? Prima che andassi via con Teresina, mi avevi detto che me l'avresti portata qui.
– È ritornata poco dopo che te n'eri andata...
– E dov'è ora? Glielo hai detto?... Ho visto la signora Teresa andare su dal marito, era sconvolta, quindi lo hanno saputo?
– Amore mio, - Luca le prese le mani – devi essere forte. Tua sorella è impazzita per il dolore.
– Che dici? Uh Madonna mia!
– È andata da quel Francesco, Magai, lui le ha messo in testa che non è stata la Schreiber.
– Che?... Aspè, alla notizia è corsa da Francesco e lui le ha detto che non è stata quella? Perché?
– Ma che ne so io? Dice... Magai dice che lo aveva sentito, che era già preparato a una notizia così e tua sorella gli crede ciecamente... Dalle loro parole sembra che ne avessero già parlato prima.
– Prima di sapere dell'omicidio?
– Eh!
Federica portò una mano alla testa e si sedette a terra. – Ma dov'è ora mia sorella?
– So solo che vogliono andare a Torino, a scoprire chi ha ucciso Cristian.
– Ma è assurdo. Tutto questo è assurdo! È stata la polizia a dire a Corrado che l'assassina è la Schreiber... No, Lucariè, – Federica smosse la testa – io non ci credo. Forse è questo che sente Martina perché neppure io lo posso credere. C'è un errore di persona sicuramente.
– Per anni mi sono preparato anche io a una cosa del genere, per quei maledetti articoli che scriveva, ma... nun ce puo' fà nient', 'o dolor', quann' arriv', è fort' semp'. Tropp'assaje.¹ Come vorrei avergli detto Cristià, ma addò vaje?² Che ci pensi Giorgio Camporosso!
. E invece no, come uno stronzo l'ho fatto andare!
– Lucarié, tu non hai nulla di cui rimproverarti, ci hai provato tante volte a fermarlo. Tu lo sai, Cristian ha sempre avuto la testa dura... E Martina è sempre stata pazza di suo marito; potrebbe commettere una pazzia, se non si aggrappa a qualcosa. Di Francesco possiamo fidarci, io lo conosco bene. Tanto, comunque ci deve andare a Torino, per riconoscere il marito, perché sicuramente servirà la sua presenza ed è buono, senti a me, che con lei ci sia pure Francesco.
– Come sei bella, amore mio, trovi sempre il modo giusto di vedere le cose.
– E che facciamo, sennò? Cristian è morto, ma dobbiamo pensare a Teresina e Martina.
– Federì, tu lo sai che sono un pasticcione, ma io te voglio bben'. Stamm' semp' vicino.
– Assaje pure io, Lucariè, te voglio bben'!
* * *
Martina
– Teresa. – dissi, ritornando a casa. Sentivo gli occhi stanchi e la testa pesante. Le stanze erano state tutte oscurate con le imposte chiuse e c'era solo una lampada accesa. Feci segno a Francesco di sentirsi come a casa sua. Lui sembrava la mia ombra.
– Oh signora mia! – Assuntina mi venne incontro. Con lei c'era anche il portiere e qualche vicino. – Signora Cirillo, ma è vero? – mi chiese uno di loro.
– D-devo ancora appurarlo. Assunta, per favore, prendi una valigia e mettici qualcosa dentro... Scusami, ma non ne ho la forza.
Andai a sedermi in salone. La vicina della porta accanto mi mise un vassoio davanti: – Prendete un po' di caffè. Vi sostiene.
Osservai la tazzina, ma mi venne un capogiro anche solo a sentirne l'odore. Chiesi scusa e allontanai il portavivande. Avevo ancora il soprabito, i capelli sciolti in avanti e sentivo le braccia deboli. Dopo poco ritornò la mia cameriera: – Signora, dove dovete andare?
– A Torino, a capire cos'è successo. – risposi con poca energia.
– È stata quella che vi regalò il quadro?
Osservai il volto sofferente di Assuntina. Annuii: – Sembra così. – replicai, mentre Francesco dava qualche notizia sommaria ad altri presenti, mantenendosi su quanto detto da Luca.
– Mia figlia è con mia sorella? – cercai conferma.
– Sì, state tranquilla. La signora Federica è tanto buona, proprio come voi. Volete che venga con voi?
– No, devi badare alla casa. Anzi, fammi una cortesia, prepara qualcosa da mangiare per il signor Magai, lui mi accompagnerà a Torino e non voglio che resti digiuno per colpa mia.
– Subito, signora.
– Assuntina, vi conosco. Mi raccomando, solo per lui.
Ma, ovviamente, non mi ascoltò e consegnò a Francesco un sacco pieno di cibo. Le raccomandai la casa, di tenerla pulita e ordinata come se nulla fosse accaduto. La mia Teresina poteva desiderare ritornarci e volevo farle ritrovare il suo nido sicuro e intatto. Mi faceva soffrire sapere che non avrebbe trovato i suoi genitori ma confidavo e mi fidavo di Federica, Luca e Guido. Loro erano la mia forza e lo sarebbero stati anche per mia figlia.
Francesco aveva noleggiato un tassì e pensava a tutto lui, io non avevo la forza neppure più per piangere. Non pensavo, parlavo poco e camminavo a malapena, come se una forza sconosciuta avesse prosciugato tutte le mie energie.
Non esistevano i rumori della stazione, non esistevano le altre persone, eppure mi passavano attorno. C'era solo la mano di Francesco che mi stringeva al braccio per guidarmi, era l'unico contatto con il mondo. Tutto il resto non m'importava.
Sulla banchina incontrammo i coniugi Cirillo. Sembravano due spettri. Corrado era impassibile, ma non arrogante come al suo solito, assente. Ci salutò solo con uno sguardo; mia suocera, invece, come me, sembrava aver consumato tutte le lacrime. – Tesoro mio. – mi strinse a sé – Come ti senti? – mi guardò in volto, accarezzandomi le guance.
– Svuotata... non lo so... è successo così d'improvviso.
– Restiamo vicine. Ci daremo la forza l'un l'altra.
La forza? La mia forza era Cristian.
mi dissi, pensando solo ora che da lì in poi lui non sarebbe più stato al mio fianco.
Capitolo 3
Senza lacrime
Un mormorio insistente serpeggiava per il commissariato, affiancando il rumore delle macchine da scrivere e le lamentele di chi aspettava nella sala d'attesa. Dalla strada giungevano altre voci,