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Le cronache di Odiris. La battaglia di Baddina
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E-book73 pagine1 ora

Le cronache di Odiris. La battaglia di Baddina

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Info su questo ebook

A Baddina, città nel deserto, Tutto è pronto, niente è lasciato al caso, è il momento della battaglia finale.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2018
ISBN9788827846254
Le cronache di Odiris. La battaglia di Baddina

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    Le cronache di Odiris. La battaglia di Baddina - Flavio De niro

    Baddina

    Flavio de niro (R. I.)

    LE CRONACHE DI ODIRIS - LA BATTAGLIA DI BADDINA

    ISBN | 9788827846254

    Questo libro è stato realizzato con PAGE di Youcanprint

    Youcanprint.it

    CAPITOLO XIV

    Le truppe di Anais si  radunarono  intorno al molo. I primi a partire, mentre iniziava ad albeggiare, fummo noi. Nella barca, che al massimo poteva contenere dieci uomini, c’eravamo sistemati io, Milas, Anais e altri sette guerrieri del regno di Diamante.

    Eravamo tutti abbastanza stanchi. La sera prima, dopo lo scontro avuto con l’Akintas, Anais e i suoi guerrieri erano rimasti svegli: chi non era stato di guardia si era infatti impegnato a dare una degna sepoltura ai compagni caduti in battaglia. Milas si era distaccata dal gruppo e quando provai ad avvicinarmi mi allontanò  subito; non volle parlare con nessuno della sua esperienza di ritorno dalla morte.

    Seduto da solo in barca, passai il tempo ad osservare Anais, che studiava insieme ai suoi guerrieri tecniche di attacco e Milas, che si era sistemata  sulla  prua, pensierosa, intenta ad osservare le alti pareti di roccia e l’immenso lago che racchiudevano. Mabbis rimaneva seduto vicino a me, tappezzato di bende per prevenire eventuali infezioni dovute alle ferite inferte dal drago.

    Intorno a noi il silenzio regnava sovrano, solo a tratti si potevano sentire il cinguettio degli uccelli che avevano nidificato in buchi scavati tra le pareti delle rocce e il rumore del vento che lievemente ci accarezzava.

    Dopo circa due ore di attraversata di fronte a noi si presentò un'insenatura, stretta e lunga circa otto chilometri: era un passaggio per la Città d'Acqua che noi ci apprestammo a percorrere; all'improvviso, però, la luce del sole sparì, la corrente del vento si fece più forte e i guerrieri di Diamante ebbero difficoltà a remare.

    Dopo un'altra interminabile ora si intravide finalmente  l'uscita, ben illuminata dal sole; mi spostai in avanti, spinto dalla curiosità di vedere Sagun.

    Quando uscimmo da quel buco, ci si presentò una città immensa, circondata da acque rosse - effetto delle alghe che la popolavano, le quali liberavano con la luce del sole sostanze di color porpora.

    Anais notò il mio stupore e si avvicinò:

    - Uomo di Tanah, nel vostro mondo le città sono diverse?

    Per un tratto neanche l'ascoltai, il mio sguardo era fermo sull'immensa cupola d'acqua, che sovrastava il palazzo reale.

    - Sì, da noi simili meraviglie si sono perse da secoli.

    Ci avvicinavamo e potei vedere lo splendore del rosso vivo che ricopriva le facciate delle case circondanti  l'immenso palazzo. Era tutto come mi aveva descritto Milas, prima che si chiudesse in se stessa.

    La città di Sagun si presentava geograficamente composta da un'isola di grandi dimensioni, al centro del lago, dove era riposta la sede del Re Mashii e altri sette templi, dimora dei sacerdoti dell'acqua. L'isola chiamata Sagun, dal nome della sostanza rossa prodotta dalle alghe, era circondata da altre quarantanove isolette, dove vivevano gli abitanti del posto; separate da canali navigabili e collegate tra loro da ponti di legno, avevano ognuna un proprio nome. Un raggruppamento di sette isole costituiva un comune e  prendeva il nome di uno dei sette templi, con a capo il sacerdote che lo abitava.

    Entrammo in uno dei canali a sud della città. Molte abitazioni erano state costruite a ridosso delle acque, con terrazzini che davano sul lago. I canali si intrecciavano su loro stessi e conducevano a nord, al grande palazzo.

    Sulle pareti delle dimore si potevano notare i segni lasciati dalla grande inondazione che anni prima aveva messo in ginocchio la città; a tratti si  scorgevano casupole ormai in rovina poiché completamente inagibili.

    Milas continuava a starsene in disparte, mentre Anais era attenta ad imboccare i canali che ci avrebbero condotto più velocemente al palazzo di Re Mashii.

    Gli abitanti del luogo iniziarono a chiudersi dentro casa: alla vista delle guardie di Diamante avevano inteso che le truppe di Gundas molto presto sarebbero arrivate fino a lì. Il silenzio era pressoché assoluto, solo il rumore del vento e qualche finestra che sbatteva qua e là facevano compagnia alla voce di Anais.

    L’attraversata durò all’incirca una mezz’ora, alla fine della quale ci ritrovammo nella grande isola. Gli occhi erano tutti puntati sull'immensa cupola che sovrastava il palazzo, la quale rifletteva con la luce del sole diversi colori, dal verde all’indaco. Attraccammo in uno dei ponti posti all’ingresso dell’isola; io fui il primo a scendere dalla barca, seguito da Anais e dai suoi uomini e infine da Milas, l’unica a conoscere veramente bene la terra di Sagun.

    Il capitano fece segno a un ausiliare di ritornare indietro e così fecero anche gli altri generali arrivati insieme a noi: avevano il compito di giungere alle rive del grande lago, dove li attendevano i guerrieri appartenenti al secondo gruppo di ricognizione.

    Il ponte, fatto di legno, conduceva all’enorme piazza centrale dove ogni mattina, intorno ai sette templi, si allestiva un mercato. Finalmente si sentirono delle voci, grida di commercianti intenti a vendere la propria mercanzia e gente del posto pronta a contrattare la migliore offerta.

    Il popolo si presentava vestito con tuniche bianche, con sopra riportato lo stemma del tempio di appartenenza. I templi erano di un rosso porpora luccicante, effetto dell’intonaco ricavato dalle alghe essiccate, e circondavano lungo tutta la circonferenza l’immenso palazzo, ai confini con la possente cupola. I templi erano tutti uguali, sia per forma che per dimensione: circolari e alti circa tre metri, con una sola porta d’ingresso e due finestre al piano superiore, dimora dei sacerdoti, si differenziavano per lo stemma posto all’apice del

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