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Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016)
Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016)
Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016)
E-book666 pagine6 ore

Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016)

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Info su questo ebook

Raccolta sistematica delle 15 raccolte poetiche pubblicate dall'autore dal 1976 al 2016, comprendenti, in calce, un centinaio di recensioni, note e commenti apparse su quotidiani e riviste specializzate. Trattasi, in prevalenza, di poemetti che abbracciano varie tematiche, accomunate da una girandola di versi che irrompono da un universo mediterraneo denso e lieve a un tempo, laddove la natura, frequentemente presente, è talvolta sfondo e talaltra allegoria.
LinguaItaliano
Data di uscita29 nov 2018
ISBN9788827859810
Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016)

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    Anteprima del libro

    Nebrodiversi (poesie 1973 - 2016) - Filippo Giordano

    Indice

    I fili si allungano verso i balconi

    I FILI SI ALLUNGANO VERSO I BALCONI

    DISSOLVENZE

    CONTADINI

    AUTUNNO

    DOMENICA DI PAESE

    UN ALTRO GIORNO

    ANCORA

    MISTRETTA

    STORIA

    RIVOLTA

    L’amore epigrammato

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    Se dura l’inverno

    SULLA GROPPA DEI NEBRODI

    NELL’IRIDE

    DISOCCUPATI (1)

    GIORNO QUALSIASI

    NEL NOSTRO PUNTO D’OROLOGIO

    LIEVI ONDEGGIANO LE CANNE

    DISOCCUPATI (II)

    APRILE ’79

    INVERNO

    FERIE AL PAESE

    ERA GIUGNO

    È LUGLIO E LE RIVISTE

    LA LOTTA, LA PAURA, LA TRANQUILLITÀ

    LA VENDEMMIA

    LIBERTÀ

    NOMI QUALSIASI D’UN PAESE A MERIDIONE

    ALLE SPALLE MUOVE LUCE IL SOLE

    EPPURE ESISTONO LE SPALLE SENSIBILI

    DISOCCUPATI (3)

    Passeggiando intorno alla primavera

    DUETTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 1

    MARE

    PASQUA

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 2

    ATTESA

    PALERMO – SANTO STEFANO DI CAMASTRA

    ENTROTERRA

    ORA E’ TEMPO DI… VOTAZIONI

    DUETTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 3

    L’AUTUNNO

    IL TEATRO CHIEDE ORECCHI

    IL TELEGIORNALE

    PREOCCUPATE FORMICHE

    IL CONCORSO

    ORA CHE GIUDA HA BACIATO NELL’ORTO

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 4

    QUELLO STRANO RESPIRO

    SICILIA

    VARIANTE

    L’OROLOGIO AL QUARZO

    TALVOLTA IN PAESE

    DODICI LUNE

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 5

    IN PROSSIMITA’ DELLA ESTIVA GEOGRAFIA

    Villaggio fra le braccia di Morfeo

    Morfeo & Lucio

    Morfeo & Fulvio

    Morfeo & Salvatore

    Morfeo & Isa

    Morfeo & Pina

    Morfeo & Nuccia

    Morfeo & Pippo

    Morfeo & Sebastiano

    Morfeo & Enzamaria

    Morfeo & Enzo

    Sussulti d’acquazzone sulle tegole

    ESSERE

    TEMPO

    SUSSULTI D’ACQUAZZONE SULLE TEGOLE

    MERCATI POPOLARI

    AI DISOCCUPATI DI PALERMO

    DEPLIANT TURISTICO

    Del sabato e dell’infinito

    DEL SABATO… E DELL’INFINITO

    NASCENDO

    VIA SAN NICOLO’

    FRAMMENTI

    IL RACCOLTO

    MEZZO ETTARO DI TERRA

    DOPOGUERRA

    HA UN ALITO DI PIANTE DI BOSCO

    FACCIA DI LUNA

    UN BAMBINO

    8 MARZO

    UN GIOVANE CASTAGNO

    MANDORLI

    NEL BOSCO DEL DEMANIO

    NENIA DI CICALE

    CRONACA D’ESTATE

    LE PAROLE

    LAMPI GIALLI DEL TEMPO

    DELLE VENDEMMIE

    PASTORI

    ROSE

    BIANCOSPINI

    I VOLI E I VERSI

    GIARDINO D’INVERNO

    LIMONI

    IL BOSCO

    SOLSTIZIO

    SETTEMBRE

    IL MELOGRANO

    BACCHE

    IL PAESE USA ANCORA CANTARE

    PALERMO

    L’IDOLO

    OLTRE GLI USCI OMBROSI

    Minuetti per quattro stagioni

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    Scorcia ri limuni scamusciata

    SCORCIA RI LIMUNI SCAMUSCIATA

    I PALORI

    A FESTA RU SANTU PATRUNI

    LIMINA

    PAISAZZU RI MUNTAGNA

    I CARUSI RU QUARANTUOTTO

    I FICURINII

    A MUSICA

    L’INNU

    U SCECCU

    CHINNICCHENNACCHI

    TALÈ, TALIÀTI

    Il sale della terra

    GENERAZIONI

    FIUMARA

    ZAMPILLI DI LUCE SULL’ACQUA

    IL FUOCO padrone

    IL FUOCO servo

    LA PAROLA

    LA SCRITTURA

    IL CANTO

    LA POESIA

    PERDUTA PATRIA

    PAROLA DI GESU’

    COPERNICO

    CRISTOFORO COLOMBO

    LA MUSICA

    RADIOFONIA

    IL VOLO

    CINEMA

    LA LUNA

    TELEFONO

    NUMERI

    UN DISCO DI ROSA BALISTRERI

    EDISON 2003

    LA FOTO

    GIANO BIFRONTE

    IMMENSA NEVE

    Ntra lustriu e scuru

    NTRA LUSTRIU E SCURU

    STASCIUNI

    Cu nni sapìa

    Lampi e tuoni

    A PALUMMA

    A CARUTA

    A FIRI

    A CICCIU, CA È DUTTURI

    A CRUCI, A CRUCI!

    Il canto dei paesi

    IRONIA DI ROSA

    DAL LATO DELLE COSE POSITIVE

    Talvolta il verso è una soave luce

    MARE NOSTRUM

    PARTENZE

    IL MONDO DENTRO LA QUIETE

    FRESCA E FUGACE

    AUREOLE DI FUMO

    ÀNCORA E PROIEZIONE

    NEBRODI SOUND

    I CICLI DEL CESPUGLIO

    ERBE SELVATICHE

    A MEZZANOTTE

    DEPRESSIONI

    DUBBIO MAGISTRALE

    DISCORSO DEL FIGLIO

    IL GLICINE IN TERRAZZA

    ALBI-COCCOLARCI A CICE’

    IL CANTO DEI PAESI

    LA POESIA

    Sussurri del cielo e mormorio di numeri primi

    NATALE

    LUCE SOAVE DELLE ESSENZE

    NON LAGNARTI SE IL TEMPO

    SE IL MISTERO DELLA DIVINITA’

    NEL MARE GRANDE DELLE ATTRAZIONI

    Mormorio di numeri primi

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    PRIMA DEL PRINCIPIO ERA LO ZERO

    I

    II

    III

    IV

    V

    FIACCOLATE, SUPPLICHE E PROTESTE

    R I E P I T U

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    Mentre piano risali il torrente

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    Commenti a SE DURA L’INVERNO

    Commenti a L’AMORE EPIGRAMMATO

    Commenti a VILLAGGIO FRA LE BRACCIA DI MORFEO

    Commenti a STRAMBOTTI PER VIOLA D’AMORE (antologia)

    Commenti a DEL SABATO E DELL’INFINITO

    Commenti a RAMI DI SCIROCCO

    Commenti a SCORCIA RI LIMUNI SCAMUSCIATA

    Commenti a IL SALE DELLA TERRA

    Commenti a NTRA LUSTRIU E SCURU

    Commenti a MINUETTI PER QUATTRO STAGIONI

    Commenti a IL CANTO DEI PAESI

    Commenti a SUSSURRI DEL CIELO E MORMORIO DI NUMERI PRIMI

    Commenti a NEBRODIVERSI (1973- 2012), Edizione Il Centro Storico,2013

    Commenti a RIEPITU

    Commenti a MENTRE PIANO RISALI IL TORRENTE

    Filippo Giordano

    NEBRODIVERSI

    Poesie

    (1973 – 2016)

    I fili si allungano verso i balconi

    poesie scritte fra il 1973 e il 1976

    tratte da

    Spirale, Ed. Società Storica Catanese, 1976)

    I FILI SI ALLUNGANO VERSO I BALCONI

    I fili si allungano verso i balconi

    con la biancheria che danza per aria.

    Il sole si arroga la strada.

    Dall’imboccatura spunta strana

    l’ombra di due sconosciuti.

    Dalla finestra sguscia attenta una testa.

    DISSOLVENZE

    Quando il sole perde forza

    non è ancora impensabile

    vedere signore vestite di ricordi

    andare fra qualche rosso di papaveri

    a slacciare una minestra

    discorrendo sui figli,

    sui reumatismi e sul paese…

    e poi tornare con le borse mezze.

    CONTADINI

    Corpi, sulla strada del ritorno,

    la sera, meditano speranze

    per figli sballottati a nord

    di questa loro vita.

    Stanchi, col cuore teso

    a un rigo di conferma.

    E lassù

    inghiottono fumo e nostalgia

    per un traguardo inerpicato in alto.

    AUTUNNO

    Occhi profondi d’amore vagano

    per vicoli e strade specchiando

    lampade da pochi watts

    in queste sere pregne d’inverno.

    Occhi di operai, occhi di studenti,

    gli occhi dei miei amici,

    i miei occhi.

    Partiranno domani col solito

    treno diretto verso il nord.

    Saranno gli occhi di un carabiniere,

    di un operaio della fiat,

    di un laureato.

    Saranno gli occhi di uno straniero.

    DOMENICA DI PAESE

    Domenica.

    Festa di abiti nuovi.

    Una folla di piedi

    sale e scende

    per il corso.

    Le più belle raccolgono

    manciate di sguardi.

    E la notte

    lascia

    i soliti quattro gatti in piazza

    a dissolvere

    un’altra cotta d’alcool.

    UN ALTRO GIORNO

    Dai monti dell’est

    l’alba

    toglie strati di blù

    al cielo notturno.

    Con gli amori

    si è consumata la notte.

    Il vento scherza coi rifiuti

    creando strani mulinelli.

    E già un vecchio

    è sospeso a una sedia

    sull’uscio di casa

    e una bambina

    in attesa di compagne

    gli gioca vicino.

    Con nel corpo

    ancora il sapore

    dell’ultimo amore

    donne

    si infilano le calze.

    I raggi di un nuovo sole

    colpiscono il mondo

    e gli occhi vedono

    nuovamente verdi

    le foglie degli alberi.

    ANCORA

    Ancora gambe di bambini tremano

    sotto il peso eccessivo del lavoro

    e il lavoro continua a restare

    debitore nei confronti di molti uomini

    e molta gente continua a riempire

    treni di valige e di speranze

    e troppe madri piangono figli lontani

    cupidamente falciati dal capitale

    mentre uomini vecchi montano

    questo nuovo anno.

    MISTRETTA

    Cresce uomini

    e subito li espelle,

    Mistretta.

    E vedove bianche

    attendono mariti.

    E al morto del giorno

    si piangono anche i vivi.

    STORIA

    Bisogna liberarci

    dalle storture di sangue

    affinché l’uomo non viva

    pessimi libri di storia.

    RIVOLTA

    Il carcere urla un’eco di dolore:

    fessura che rompe la diga.

    La diga è un sordo rancore

    di chi paga per tutti la colpa.

    Ma per il villaggio, per i vicoli immersi nel sonno

    passa il vento notturno, tiepido calmo e ozioso,

    posa alla siepe e negli oscuri giardini risveglia

    e nei sogni dei giovani la primavera.

    Hermann Hesse

    L’amore epigrammato

    poesie scritte fra il 1973 e il 1978,

    Ed. Forum Quinta Generazione, Forli 1993

    I

    Poiché gira la terra

    e meridiano dopo meridiano

    con raggi a siringhe

    il sole inietta l’alba,

    lentamente s’avvia la coscienza

    al teatro del giorno

    e oltre il sipario appare

    il forte odore dell’uomo.

    E scena dopo scena

    la vita si gonfia d’espressioni:

    asciutto talvolta l’animo

    come letto di torrente estivo

    che non ha fiato d’acqua;

    tenero, talaltra, e palpitante

    come fiamma che s’espande

    col soffio delle labbra.

    E meridiano dopo meridiano

    è tramonto… e meridiano

    dopo meridiano è alba altrove.

    II

    Esplosiva sorge la voglia

    d’incontrarti

    in giornate come questa,

    col sole che batte

    sull’odore di primavera,

    nei campi in fiore

    e sull’erba

    verde

    come la mia età di uomo.

    III

    Sradicarti una forte sensazione

    colore d’alba,

    desiderio – forza

    che strappa coraggio all’abitudine.

    Sradicarti una forte sensazione

    per centrare il tempo.

    Se potessi, una mattina,

    svegliandomi, trovarti consenziente,

    sarebbe un paradiso inusitato,

    sarebbe un giorno scritto con le rose.

    IV

    Tu muovi le tue labbra

    verso la mia malinconia

    e non ti accorgi

    di come, a pugni stretti,

    devo battere la vertigine

    di te vicina. Poi,

    t’allontani inconsapevole.

    E ritorni dal folto degli alberi

    stringendo un mazzo d’erba

    (fiori)

    e, muta, bevi dolcissima

    il ricordo del tuo amore

    (oppure è fantasia?)

    Io, se fossi spirito,

    potrei adorare

    questa faccia della medaglia,

    invece… ti cerco e persisto

    come da bambino cercavo

    una canna nel canneto

    per farci un fischietto

    (era un melodioso flauto con la fantasia)

    e il flauto – fischietto cercava la musica

    ai piedi d’un albero, dentro la primavera.

    V

    Gli amori piegati dal tempo

    riverberano foglie d’autunno

    e le malinconie disegnano

    presagi di bianchissima neve.

    Ora il cuore è in ordine.

    Contatti di gomito semplicissimi

    provocano nuove sensazioni

    e voglie prendono piega

    nel dolce miscuglio istinto – ragione.

    VI

    Che spina stasera spinge forte

    contro l’animo…?

    Ho voglia di mordermi il cuore,

    rotolarmi per aria,

    schiacciarmi spensierato.

    Ho provato a istruire gli occhi

    a non scorgerti ma ti sento

    dall’arroventarsi delle gote.

    E tu, sole, giri senza parole.

    VII

    Ritratto:

    abbracciabilissima.

    VIII

    Con te ho confuso

    l’attimo e l’eterno.

    IX

    Insolita estroversione mi nota

    agli occhi degli amici

    piacevolmente stupiti

    alla dialettica di chi zittisce sempre.

    Ipocrita estroversione

    partorita da 43 gradi d’alcool

    per non pensare che…

    i giorni passano amari

    su questa pelle sensibilissima

    al più fortuito contatto di te.

    E ogni contatto mi roca la voce

    e mi ricorda le dolcezze mancate.

    E tu, incosciente, mi ridi amica.

    X

    Passeggiando intorno al mio nulla,

    nuotando dentro fiumi di vento,

    girovagando per le vie dell’afa,

    spaziando verso nidi di barche,

    resta grande la carezza di una ipotesi:

    così porto le nostre carezze

    dipinte sugli occhi e gli abbracci

    di seta larghi nel sangue e il senso

    della vita dolce sulle unghie.

    XI

    Lo sgretolìo di una notte

    misura i pensieri

    annodati al difficile…

    E l’alba stenta una promessa

    che il giorno si rimangia.

    XII

    Se scivoli su pozzi di cinismo,

    folate di vento

    prostrano incantesimi.

    In quale percentuale

    dunque, ti ho inventata?

    XIII

    Scende,

    così fine,

    così spasmodica,

    quasi dall’inizio

    della distinzione,

    la neve,

    ma non riesce ad assumere

    una forma accettabile

    sulla terra.

    Forse, il freddo buio

    riuscirà a creare

    un innocente

    esempio di bianco.

    XIV

    D’un tratto, il vento,

    sbraita nella strada,

    rovescia la vita,

    poi,

    lento,

    s’acquieta.

    E non resta

    che un tremolìo di labbra

    sempre più lontano.

    Ora conosco

    albe di giorni

    buoni a fissarmi

    pietra di selciato.

    XV

    Il freddo parla piano

    a questo immemore fluttuare di foglie

    e il vento sospira tenero

    colmo di pudore.

    Questi occhi rivolti al passato

    conoscono la malinconia degli alberi.

    Scoprimmo la dolcezza di una primavera.

    XVI

    C’è un sorriso, per strada,

    che mi spilla

    un sentore d’affetto…

    E’ quel pettirosso non fuggito

    che scruta fra la neve

    e aspetta dei mandorli il fiorire?

    Sulla cima di un albero

    la notte posa la luna.

    Io quest’altra primavera

    vorrei farmi fiore.

    XVII

    Forse abbiamo lo stesso cuore inquieto

    nascosto nella stessa timida pelle…

    Cuore di puledri

    sedotti dal profumo delle ginestre

    ammucchiate a maggio per le colline.

    Cuore di puledri

    che lasciati liberi volano per i campi.

    Forse nei nostri cuori ci sta dormendo l’Etna.

    XVIII

    Talvolta stiamo come bambini

    immobili a guardare la farfalla…

    incerti e paurosi di perderla.

    E quando arriva il vento,

    anima inquieta, che tutto vorrebbe

    trascinare nel vortice insensato,

    resti salda la gemma sul ramo.

    XIX

    Ti amo. Ben altro che questo

    effimero canto di cicala

    vorrei alzarti, amore;

    toglierti dai saturi fogli

    di fiori e petali. Tu, invece,

    perdona questo breve

    mazzo di parole colto dall’usato.

    XX

    V’erano, un tempo, volti

    e sguardi e sorrisi di donne

    che pensavo meritassero

    una ad una,

    una frase, almeno, bella;

    farne un meticoloso album

    da risfogliare ogni tanto.

    Ma è già difficile fermare

    su un foglio di quaderno

    il tuo mutare

    da bambina, a donna, a ragazza,

    come ti guardo mutare,

    come cambiamo, se cambiamo

    o siamo quelli di una volta.

    Se dura l’inverno

    Poesie scritte fra il 1977 e il 1980

    (Seledizioni, Bologna 1980)

    SULLA GROPPA DEI NEBRODI

    Piano si alza il sipario

    sulle felci infreddolite dalla luna

    che dispare

    ingoiando l’eco dei cani.

    Poi quel tratto di strada

    dove vigilano,

    minacciose sentinelle,

    i cipressi in fila

    e il cuore si raggrinza

    per allargarsi invece all’erba

    appena mietuta sotto i gelsi.

    E finalmente il mio mandorleto

    col grano tentennante ai piedi

    e il salice di guardia alla fontana

    e il torrente magro

    dove vivevo le mie lotte con le rane…

    Ricordo improvvisamente sbucato

    da un tempo di pastori

    accovacciati all’ombra di qualche rudere

    mentre la nenia delle pecore

    si spandeva sulla groppa dei Nebrodi.

    Infanzia incavata nella memoria.

    Ora l’alba preme sui vetri.

    NELL’IRIDE

    … E i nostri occhi vorrebbero

    richiudersi indifferenti

    ma nell’iride,

    implacabile,

    s’annida l’ansia risorgente.

    DISOCCUPATI (1)

    Pazientare, calcolare, votare.

    S’allunga, intanto,

    come serpente, il giorno

    rinserrando sconfitte.

    E quando alle desolazioni in agguato

    risponde itinerante qualche p 38

    prima di sollevare la condanna

    si permetta uno spazio di dubbi

    a chi sosta sulle braci dell’attesa.

    GIORNO QUALSIASI

    Vuoto

    chiuso in una mano rabbiosa

    mentre l’altra

    disperatamente

    inutilmente

    cerca di scacciarlo.

    NEL NOSTRO PUNTO D’OROLOGIO

    Cara, simpatica Repubblica,

    dentro la bolla della tua saggezza,

    foro competente delle nostre faccende,

    l’albero genealogico

    impicca

    anche nel nostro punto d’orologio.

    C’è un nido di vergogna

    sull’albero dei giudici?

    LIEVI ONDEGGIANO LE CANNE

    Lievi ondeggiano le canne

    al suono calmo del mattino

    e flebile si increspa

    l’acqua nello stagno

    del giardino comunale

    Mio confine è la pelle.

    E mi dondolo umile nella tana.

    DISOCCUPATI (II)

    Primavera:

    si sveglia la biancheria sui fili.

    Al tempio bar

    Libereremo il nostro pianto

    brindando

    alle nostre facce allegre.

    APRILE ’79

    Quando da poco il giorno

    agli occhi aveva allungato lo spazio,

    a questo sentore di primavera

    ancora indecisa sopra i tetti

    s’è rappreso il lezzo di un morto,

    torcia umana nella campagna d’aprile,

    ragazzo disoccupato a Siracusa.

    INVERNO

    Su queste strade d’eco

    aleggia

    lo spirito di chi è partito

    inseguendo rotte di serenità

    ed ora scrive

    segnalando fortune.

    FERIE AL PAESE

    Agosto. Sono tornati

    uomini fatti di saluti agli amici,

    dispersi, nell’anno, a Torino

    o chissà e ora ritrovati,

    magari solo per un’ora

    perché delle ferie non hanno

    lo stesso altare di giorni.

    E su queste pietre, ridiventati

    lucertole al sole, meditano

    che qui il riposo non ha incubi

    di solitudini abbarbicate ai grattacieli.

    ERA GIUGNO

    Era giugno con giri di mulo

    nell’aria rovente dell’aia

    con le mani ai tridenti

    a scovare le spighe sepolte dalla paglia.

    E talvolta il raccolto non valeva

    neanche quel sudore finale

    (non parlo di me inesperto,

    intriso di polvere di paglia,

    ma di mio padre,

    contadino abbandonato alle gelate

    e alle danze malefiche dei venti).

    E se vi domandate il senso

    dell’imperfetto e del presente

    la risposta è che di cambiato

    c’è mio padre diventato vecchio

    che non semina più.

    È LUGLIO E LE RIVISTE

    Se non fosse per lo sporadico tonfo

    di legna accumulata dal vicino

    diresti deserta la contrada

    (soltanto questo gorgogliare d’acqua

    che riempie le conche agli aranci

    e la zappa che ne cambia i percorsi).

    Non muove una foglia l’ulivo,

    ma è qualcosa la sua ombra

    contro il giogo pesante del sole

    quando riposano le braccia.

    È luglio e le riviste

    affollano di vacanze le pagine.

    Quest’uomo silenzioso tra le zolle

    non conosce spiagge famose;

    solo questo continuo frinire di cicale

    che per abitudine sembra non sentire.

    LA LOTTA, LA PAURA, LA TRANQUILLITÀ

    La vigna data in pasto alle capre,

    il rancore duro come pietra e chiuso

    come frutto di castagna dentro il riccio

    che si apre a maturazione,

    vendetta del contadino sul pastore.

    Il conto delle capre che non torna,

    il bollore che apre una falda di montagna,

    la lava che investe.

    E qualcuno rimugina albori

    diversi dalle serpi che scendono dai muriccioli

    e bevono alla sua fontana.

    LA VENDEMMIA

    Abbiamo seppellito Agosto e i suoi morti

    tra strofe di filari di ragazze.

    Ora posiamo le vendemmie e i preparativi

    e la fatica e l’allegria nelle botti.

    E l’undici Novembre dicono che San Martino

    plasmi in vino il fermentato mosto.

    E poi il vino nasce e vive nelle bocche.

    LIBERTÀ

    Quasi trentenni con speranze

    Ora confinate nelle liste speciali,

    condannati a non avere un figlio

    per non poterlo crescere.

    Intanto dal pulpito

    della roboante parola non tradotta,

    arroccati dietro i loro portafogli,

    ululano democrazie i lupi.

    NOMI QUALSIASI D’UN PAESE A MERIDIONE

    Cosa siete voi, voi che a sera vi portate

    la carezza d’un bacio sulle labbra,

    sognata o avuta non importa,

    quattro vicoli dappoco sul cuscino?

    Salvatore Di Gregorio, cosa sei,

    già lì armonizzato,

    che con le stesse monete di Chieri

    a Mistretta con ali torneresti?

    E Franco Scalone

    disoccupato, militassolto, ridisoccupato,

    finalmente assunto al respiro d’una paga

    perché freme una fuga da Milano?

    Pietro Puleo, ricordi?

    Qui tirasti un bruco dalla bocca:

    Ogni volta che sto qui non riandrei a Torino

    E il bruco ancora non è farfalla.

    Voi che ogni volta mi sembrate

    non avere cuore di ripartire,

    ma solo testa, cosa siete voi,

    agrumi, forse, trapiantati sulle Alpi?

    ALLE SPALLE MUOVE LUCE IL SOLE

    Alle spalle muove luce il sole.

    Davanti,

    ragguaglio del nostro esistere,

    il passo orribile della morte

    esploso sul congiunto, sull’amico.

    E ombra irrimediabile

    cola dal viso dei superstiti.

    Alle spalle muove luce il sole.

    EPPURE ESISTONO LE SPALLE SENSIBILI

    Eppure esistono le spalle sensibili

    al peso delle ingiurie.

    Le teste pronte a diventare protesta.

    Dieci giorni di sciopero:

    i problemi appesi ai cartelli:

    grugnito sputato al vento.

    Siamo ritornati all’ovile

    stritolati da catene secolari:

    anelli di rassegnazione intrecciati.

    DISOCCUPATI (3)

    È ben poco questo strusciare d’anime

    a Natale, famelica speranza mai risolta;

    quel ripromettersi l’alba a capodanno:

    ancora, il venti gennaio,

    vive l’uggia e insegue il futuro,

    si scopriranno frecce conficcate a Sebastiano.

    Passeggiando intorno alla primavera

    Aprile 1980

    (dalla omonima sezione della raccolta Se dura l’inverno)

    DUETTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 1

    Pulsa come cuore di bambino

    a nuovi giochi il giorno passeggiando

    intorno alla primavera. L’aria

    è campagna e la campagna è festa.

    Solo l’iscritto si sente

    timida bozza; incerta ombra

    di fiorito pesco al far dell’alba.

    MARE

    Questo mare ha sale di streghe,

    fatture nelle barche dei giorni,

    acque ad altissime anse

    che capovolgono quiete e tragitto.

    PASQUA

    Passate le Palme uccidono Cristo

    Ucciso Cristo alzano lune

    a lune alzate attendi chiarore

    fra un chiarore e l’altro si frappongono nubi

    fra nubi e nubi arriva la rabbia.

    E la rabbia macina la strada.

    Ed è una beffa Pasqua che arriva.

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 2

    Del cigno riflesso sull’acqua

    s’espande il riverbero… e la ragione

    sviene come l’aria, talvolta, d’estate

    (ma chi ci ha creduto, in fondo?)

    Passaggio autunnale d’uccelli

    senza tempo, né forza, né voglia

    di nidificare.

    ATTESA

    Il giorno è esploso ed ora cade

    in minuti frammenti

    sulle radici del domani. L’ansia

    è l’attesa che da qualche fessura

    del loculo apra una breccia

    alla vita un remoto canto di zufolo.

    PALERMO – SANTO STEFANO DI CAMASTRA

    Il 1° aprile, sei giorni a Pasqua,

    gli occhi fiori della primavera

    arrivando ai bordi delle rotaie

    penso abbiano dentro guardato

    l’espresso (11,40) Palermo – Milano.

    Nessuna bomba, nessun allarme,

    tutto normale: una collina di bagagli,

    un ragazzo, una ragazza moglie:

    due lacrime gemme agli occhi,

    primavera restituita al mittente,

    lungo mezza settentrionale sicula.

    Poi sono sceso.

    ENTROTERRA

    Se, piovendo, l’acqua trova l’alba

    alle dieci la piazza è irta di braccianti.

    Se ne stanno a gruppi

    attorno alle favole isolane:

    "Come vengono su, quest’anno, le fave;

    maledetto quello scirocco che in un baleno

    portò al mare lo spettacolo dai rami;

    questo mese

    ci hanno spostato il giorno di pensione".

    ORA E’ TEMPO DI… VOTAZIONI

    S’accende d’aspra lotta il pulpito.

    L’impressione addizionata ai bisogni

    è talvolta che (miope qualunquismo?)

    la corda del sermone sia solo tesa

    ad abbracciare uno spazio di semicerchio

    in più per irrinunciabile prestigio

    mentre i triti problemi

    restano cancro con effimera medicina.

    DUETTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 3

    Aprile. Quel sapore di ginestre

    che s’intrufola tra le fessure

    della primavera ci sgomenta.

    È già altro domani:

    il sole batte a frusta i raggi

    e ci inchioda all’ieri eterno.

    L’AUTUNNO

    Se passa sotto il pergolato

    l’estate a maturare l’uva

    ci si può ubriacare di novità

    seguendo un intrapreso sentiero

    d’autunno rosso di grappoli pigiati.

    IL TEATRO CHIEDE ORECCHI

    Dicono che, in virtù d’un senso

    remoto all’uomo, i cani abbiano

    loro preludi ai deliri della terra

    che sfiancano le cattedrali. Perché

    meravigliarsi, quindi, del concerto

    se li scacciano con pietre

    affinché sia tranquillo il dormire?

    IL TELEGIORNALE

    È covo degli altri, il telegiornale:

    ci sono morti e morti:

    le une che sgomentano,

    auspicate le altri. Guardo

    il tutto allo specchio e sospiro.

    PREOCCUPATE FORMICHE

    Non conosco il volo di farfalla

    e chissà quando e se

    conoscerò il prato adatto;

    né conosco la pietra della lucertola

    ove distendere i pensieri.

    Siamo cresciuti con teste

    di preoccupate formiche

    e la canzonatura è che abbiamo raccolto zero

    IL CONCORSO

    Piovendo l’acqua cresce

    e versa il fiume al mare

    (dieci spazi da manovale alle FF.SS.

    speranze undicimilacinquecento).

    D’amara risacca è viva

    l’onda infranta sullo scoglio.

    ORA CHE GIUDA HA BACIATO NELL’ORTO

    Ora che Giuda ha baciato nell’orto

    degli anni, in testa s’è fatto

    corona di spine il pensiero,

    sulle spalle croce il giorno non vissuto

    mentre andiamo al calvario dell’ignoto.

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 4

    Il grande Sinedrio s’è espresso,

    s’esprime il piccolo Sinedrio.

    Il giorno va e l’altro torna

    (infinita nenia di marranzano).

    Ove cadrà domani? E come incolpare

    quei suonatori di flauto / mitra

    che hanno inventato un nuovo minuetto?

    QUELLO STRANO RESPIRO

    Quello strano respiro che strattona

    la gola alle caverne, d’asma

    ti percuote nel mezzo della notte.

    E’ un’aggiunta ai divertimenti,

    un carnevale in più… il terremoto.

    SICILIA

    Incomparabile triangolo, si è detto

    in teoremi di forme. Noi ci stiamo…

    (con una mano a Messina,

    l’altra a Palermo, testa sui Nebrodi,

    piedi a Capo Passero) un po’ crocifissi.

    VARIANTE

    Notte d’estate e ciurma di ragazzi

    con rotta una pizzeria,

    poi corde di chitarre pizzicate

    ad allegria su rena di mediterraneo

    mentre ai piedi d’uno scoglio

    ancora dura breve amore

    tra cuore siciliano e gonna di Torino.

    L’OROLOGIO AL QUARZO

    Batte il cuore all’orologio: vive.

    La mattina non prende

    caffè come tal’altri;

    brucia, robusto, le tappe al millesimo.

    Pompa / batte / monta…

    cento esatti secondi sopra la donna.

    TALVOLTA IN PAESE

    Fra una notte e l’altra il giorno

    con concerto di campane a morto

    -lugubre sandwich di tempo – .

    Come talvolta il cuore dell’uomo

    stretto fra

    una fetta di rabbia e l’altra di dolore.

    DODICI LUNE

    Liria (cappio al collo) è sparita

    già da dodici lune

    (da morta due preti la insozzarono

    con bigotte architetture).

    L’accompagnammo

    con corone d’ore calde a Maggio

    e nel sangue

    un acre accordo di settima.

    DUEOTTOCINQUE (lista dei disoccupati) / 5

    A Febbraio, Agrigento è già sagra

    del mandorlo e subito salendo

    l’invidiata primavera siciliana

    le cosce spalanca a Taormina, a Cefalù.

    La nostra amara stagione

    ha contro punte di coltello

    che cogliendo minestre toccano la terra.

    IN PROSSIMITA’ DELLA ESTIVA GEOGRAFIA

    al lettore –

    Che pena offrirti questo rantolo

    d’acqua che evapora

    (ruscello percosso dal sole)

    in prossimità della estiva geografia

    e non l’ombra d’una quercia robusta

    nel folto d’un bosco che nessuno pianta.

    Villaggio fra le braccia di Morfeo

    poesie scritte fra il 1981 e il 1982

    pubblicata nella antologia Sogni di Nessuno

    Il Vertice / Libri Editrice, Palermo 1982

    Morfeo & Lucio

    D’improvviso… la quiete rovinò

    in boato e cadde

    l’alto piano sui piani sottostanti…

    (Ci attenda o non ci attenda

    un cupo arco di cielo

    sempre lo temiamo, imprevisto

    cane rabbioso dietro l’angolo;

    relatività di possibile

    giorno spaziato dalla gioia).

    Morfeo & Fulvio

    Serpenti d’ogni specie,

    lunghissimi e robusti,

    minuscoli e a frotte,

    medi e viscidi,

    sempre ripugnanti.

    Ritmici e puntuali

    come un’ossessione…

    (Diecimila giorni e passa

    irrealizzati.

    E c’è chi sfida lo sguardo triste

    e dà le pacche sulle spalle

    e poi la mano

    e poi sparisce

    portandosi la mano e la speranza).

    Morfeo & Salvatore

    La stramberia nell’ovvia stalla

    dello zio era uno steso telone

    con sotto qualcosa, chissà cosa?

    Scrutare pertanto era un bisogno

    e prese un lembo e alzò la tela

    e vide i suoi molti cani trascorsi

    accucciati e uno che prediligeva

    e li accarezzò e si disse

    che strano che i suoi cani morti

    fossero lì, ancora vivi…

    (Se assommo che lui ha sempre avuto

    ed ha un canile

    e lo zio è un vecchio scapolo

    vissuto senza affetto di donna

    azzardo che senza valido presente

    il passato torna spesso da sovrano).

    Morfeo & Isa

    Un’arida, piccola, isola deserta,

    leitmotiv,

    quasi uno scoglio, di notte

    e lei fa cenni e grida

    e dalla chiassosa chiatta in lontananza

    sembra che guardino ma…

    non capiscono, non sentono

    (o non vogliono) e scompaiono…

    (Ragazza appena fiorita

    sul davanzale del tempo

    scoprendo che la solitudine

    talvolta trova misure

    in quel metro comune

    dell’occhio che vuole la sua parte

    e chi non offre ampie curve,

    nasini delicati, cosce lunghe

    eccetera…

    è svista e dimenticata).

    Morfeo & Pina

    Il luogo dell’ozio comune,

    il dialogare quieto…

    e all’improvviso

    divenne sensazione

    un imminente passaggio

    di cavalli sbrigliati

    e s’impose un forte scompiglio,

    un senso d’impari lotta…

    (L’ordine di meridiani e paralleli

    è ancora intessuto

    a bava di ragno

    e cadono le mosche una ad una).

    Morfeo & Nuccia

    Leitmotiv pregare in chiesa…

    talvolta con frequenza modulata

    in monofonìa di confessione

    ma… la veste di prete

    ha viso anonimo

    e sbatte a penitenza

    un lungo atto di dolore.

    (Da quando il di lei fratello

    discjockey a un posto di potere

    l’incluse

    in un pentagramma di assunzioni

    e altri rimasero fuori).

    Morfeo & Pippo

    L’esame più vicino

    (ormai esame lontano)

    torna

    con arie di gatto sornione

    e frequenza fastidiosa…

    (La sfiducia

    gatto-vita, topo-vittima,

    spesso è disincanto,

    specchio del disamore

    del quale è circondato).

    Morfeo & Sebastiano

    Basta gonfiare il petto e… è bello.

    E riprova: basta gonfiare il petto,

    riempire d’aria i polmoni ed ecco…!

    E riprova ancora: gonfia il petto

    e naviga per l’aria, libero dalla terra

    vola, contento

    della novità ma punto da un’angoscia.

    (Lui figlio disoccupato, pertanto

    dipendente, mentre il petto

    i polmoni del padre sempre più spesso

    ancorano a sofferte veglie la famiglia.

    Un padre come tanti

    che vogliono i figli così e così

    e si fanno

    inconsapevole giogo, forza di gravità).

    Morfeo & Enzamaria

    Si diressero al cinema in combriccola.

    Alla biglietteria, per un contrattempo,

    perse i compagni e li cercò

    per vie di difficili equilibri,

    ma non venne verso di soluzione

    e infine sedette sola in sala,

    rassegnata. E cominciò il film

    con lei protagonista

    seduta nella terrazza di casa sua

    e un uomo vicino, in piedi,

    che andava avanti e indietro…

    e così durò la pellicola,

    scialba ed estenuante…

    (Cerchiamo sempre la vita

    e sempre qualcosa ci sfugge.

    E prendiamo un altro treno…

    Una disfida, insomma,

    tra ciò che abbiamo e siamo

    e ciò che avremmo voluto vivere).

    Morfeo & Enzo

    Succede talvolta che

    l’ingegnere Mario fa il barista

    e talaltra che Rosario

    il dattilografo è postino

    e Rodolfo da pittore

    diviene manovale edile

    e Franco e Gianni, maestri elementari,

    parlano da impiegati del Comune.

    (Uomo come spesso capita

    con sogni lacerati

    da vita con luccichio di pugnale

    meditando amaro adattarsi).

    Sussulti d’acquazzone sulle tegole

    poesie scritte fra il 1983 e il 1986

    singolarmente edite su riviste e antologie

    pubblicata su Rami di Scirocco, Ed. Il Centro Storico, 2000

    ESSERE

    Essere in questa parte d’infinito

    solo per una porzione di tempo:

    nostro delirio nascosto fra

    le pieghe del sorriso

    mentre si brinda

    all’anno che

    va via.

    Intanto

    è giorno e

    cruda come un martirio

    continua a girare la terra

    (l’ieri e il domani non nostri

    fanno dell’oggi una prigione…)

    E s’intrecciano… e si intersecano

    fedi a sciogliere il dubbio delle cose.

    TEMPO

    Generazione dopo generazione

    il conto si perde; così

    milioni d’anni sono vicini

    all’eternità. Ma se talvolta

    le ore sono dilatate dal tum-tum

    tum-tum del cuore e talaltra

    cent’anni vengono risucchiati

    nello spazio di un sospiro

    questo male, in fondo, è schizofrenico.

    SUSSULTI D’ACQUAZZONE SULLE TEGOLE

    I

    Ventinove anelli nel tronco

    e più di un’altra stagione

    a cavallo fra lo scorrere

    della primavera con sussulti

    d’acquazzone sulle tegole

    e il sopraggiungere dell’estate.

    Niente di eccezionale

    però la notte si dormiva

    (le frustrazioni accantonate

    nell’io profondo andavano

    a spasso col sonno post-rem).

    Ora è diventata smania

    insostenibile

    l’ombra della morte.

    II

    Confusione, senso di vuoto

    in testa, senso d’oppressione

    costante al petto, martellante,

    luce strana, giallognola

    sulle cose, sulle piante

    senza senso, ombre sui muri.

    III

    Giacomo, Giacomo dolce,

    cantore di Silvia,

    perso in quest’immensità

    sudo le tue camicie.

    Gli altri…

    Esistono davvero le persone?

    O tutto è fantasia

    di quest’angoscia?

    Giacomo dolce,

    cantore di Silvia,

    un secolo è zero e tu sembri

    morto appena ieri.

    Angoscia, senso di oppressione,

    costante al petto, martellante…

    dio Dio immenso

    facci un cenno, mostrati

    non fantasia – suggestione

    di quattro apostoli,

    mostrati e perdona

    questo peccato

    di incredulo Tommaso.

    IV

    Chiusi gli occhi

    (dopo quanto tempo?)

    subito un saltello della gamba

    -sveglia-.

    Ancora un’altra notte insonne…

    V

    "Pillole efficaci! Mezza,

    al massimo una per notte…"

    Ma, chiusi gli occhi,

    -dopo quanto tempo?-

    subito un saltello della gamba

    -sveglia-

    E lente, le ore, scorrono

    e tutte finiranno.

    VI

    L’angoscia è frazionare

    l’immensità del tempo

    dividendolo per i numeri

    a due cifre della tua vita.

    Il neurologo:

    Perché sorride nel raccontare?

    "Non mi

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