Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Solitudini (raccolta di racconti)
Solitudini (raccolta di racconti)
Solitudini (raccolta di racconti)
E-book133 pagine2 ore

Solitudini (raccolta di racconti)

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«La vita è soltanto una linea dritta tra un inizio e una fine. Il filo è teso, le mani sull'asta. Perdo l'equilibrio e lo ritrovo, sorrido, è diventato un gioco anche per me e io ne sono il solo artefice.» Sul filo, come nella vita, il funambolo è solo. Il passato, le emozioni, le paure, lo inseguono e la sfida di restare sospeso nel vuoto si complica. La solitudine del funambolo appartiene a tutti noi. Che sia la sfida di affrontare, ogni giorno, una realtà difficile o quella di gettarsi in una società complicata o che sia una favola, dove la nostra fantasia si rifugia per cercare sollievo, tutti siamo dei funamboli, sospesi nel vuoto. Tra favola e realtà, i racconti ci guidano, in profondità, nelle diverse emozioni che, sul filo della solitudine, ci accompagnano, nel coraggio di sfidare il vuoto e nella paura di fallire, nella forza di affrontare la verità e nel desiderio di rifugiarsi nel sogno. La nostalgia del passato, l'incertezza del futuro e la difficoltà di restare nel presente, si condensano, sul filo, in una sola dimensione, dove ricordi, pensieri e fantasie si intrecciano senza sosta, in un monologo solitario. D'altra parte, non vi è mai certezza sul filo, neppure quella di arrivare al traguardo.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2018
ISBN9788827859179
Solitudini (raccolta di racconti)

Leggi altro di Monica Rossi

Correlato a Solitudini (raccolta di racconti)

Ebook correlati

Racconti per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Solitudini (raccolta di racconti)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Solitudini (raccolta di racconti) - Monica Rossi

    Self-Publishing

    PROLOGO

    (Monologo sul filo)

    A te che mi hai dato la vita e sei scivolata via, in silenzio, da me e dalla vita stessa. Hai lasciato a me i tuoi ricordi, filtrati dai ricordi di altri, e mi hai permesso di scoprire il tuo amore e il tuo dolore, intrecciati, stretti, in un unico filo. Adesso su quel filo ci sono io. Sospesa nel vuoto e sola, poiché, anche nella realtà più affollata, sul filo si può stare soltanto in solitudine. Passo dopo passo, non mi fermo, barcollo, ritrovo l’equilibrio, per poi perderlo di nuovo. Ondeggio, incerta, guardando al futuro, traggo forza dal presente, ma non lascio indietro il passato.

    Lo porto con me, il passato; il mio, colmo di vita, di famiglia, di figli e di dolcezza, e il tuo, lontano, pesante, gonfio di assenza e di dolore. Porto con me quello che è rimasto del nostro passato insieme, che trabocca di contrasti, di vita che resiste e di rifiuto di essa, di strappo e di nostalgia, di amore lacerato dalla sofferenza. Ho con me un cannocchiale, per poterlo guardare, quando mi mancherà, se la nostalgia mi prenderà alla gola, e un orologio, per ricordarmi di non smarrire il mio tempo, quando indugerò su di esso.

    Ho con me tante parole, alcune leggere e libere, altre pesanti, colme di altre parole, ma ancora tutte in disordine, confuse. Ho con me una penna per scriverle, insieme a un foglio che a volte resta bianco, come il vuoto su cui sono sospesa. Ad ogni passo, ho paura; temo di voltarmi o di non fare il passo successivo, cadendo nel vuoto. Ad ogni passo, le parole rimbalzano sopra di me, oltre il filo, come se dividessero due mondi in conflitto.

    Scelta o rinuncia? Successo o fallimento?

    Non posso voltarmi indietro, ormai, né guardare giù; trascino con me, nella luce dei miei ricordi, il buio della tua infanzia, nella speranza del mio futuro, la disperazione della tua fine.

    Distruzione o salvezza? Le parole restano in disordine nella mia mente e si colpiscono tra loro, in una lotta.

    Ne devo scegliere una o posso continuare ad ascoltarle?

    Mi hai lasciata così, sospesa su un filo, tra due mondi in conflitto.

    Realtà o fantasia? Fuga o coraggio? Forza o debolezza?

    Oscillo, ma nessuno dei due mondi mi appartiene davvero, immersa nel vuoto e nelle sue contraddizioni.

    A te che mi hai lasciato il ricordo sbiadito di un padre che desiderava tanto volare, ma, alla fine, ha scelto di puntare le sue fragili ali verso il vuoto, regalo queste parole disordinate.

    Oggi io sento, come un tempo lo hai sentito tu, lo stesso richiamo; il vuoto, lo sai, ha il canto melodioso di una sirena, ma le sue parole sono di piombo, scure, senza fondo. Anche adesso, il peso che conduco, rallenta il mio passo e lo rende incerto, mentre io continuo a camminare.

    A te, che hai donato a me la forza, rinunciando alla tua, va il pensiero di tutte le esistenze solitarie, sospese nel vuoto, quelle esistenze che non sanno scegliere o che, forse, hanno scelto di resistere sopra il filo, senza essere certe di arrivare da qualche parte, ma continuano, passo dopo passo, un cammino esitante tra due mondi, per riuscire a conservarli entrambi.

    Sarà forse questo il punto di arrivo? Sarà nel dover restare senza arrivare?

    A te, dunque, dedico il mio restare su questo filo e, se mai un giorno lo troverò, dedico il suo punto di arrivo.

    PAROLE IN DISORDINE

    Chi di parole da me ne ha avute tante

    e non ne vuole più

    ha bisogno, come me, di silenzio.

    (Ada Merini, Ho bisogno di silenzio)

    Di tutte le sfortune che è possibile avere nella vita, a Ermes era toccata la peggiore, quella di conoscere con precisione il giorno della propria morte.

    Il che, da un altro punto di vista, poteva essere perfino considerato una fortuna, visto che quel giorno, rispetto alla sua nascita, si collocava piuttosto avanti nel tempo. Tuttavia, questo fatto gli aveva generato una certa ansia che lo aveva accompagnato fin da bambino, lasciandogli sempre un sapore amaro in bocca, dopo ogni esperienza vissuta, per quanto gradevole o nuova potesse essere. Inoltre, man mano che gli anni passavano, l’ansia si era trasformata in una sensazione meno vaga e diffusa, più intensa e vicina all’angoscia. A volte, alla sera, lo assaliva la paura, perché, anche se conosceva la data esatta della sua morte, quest’ultima restava pur sempre un evento misterioso, un passo da fare verso l’ignoto ed Ermes non era sicuro di sentirsi pronto.

    Ma, mentre i giorni si avvicendavano e gli anni rotolavano giù per la china sempre più rapidamente, egli aveva iniziato a sentirsi quasi sollevato. Forse era il pensiero di porre fine a quell’attesa logorante, ma, tutto sommato, Ermes si sentiva sereno. Ogni tanto, apriva il cassetto del comodino ed estraeva un biglietto, quello su cui era scritta, a chiare cifre, la data della sua morte. Allora, la leggeva ad alta voce, scandendo i numeri: «Ermes, nato il 20-06-1925, morto il 01-12-2000», poi lo riponeva nuovamente nel cassetto.

    Il perentorio biglietto, che suonava come un necrologio, era stato ritrovato, molto tempo fa, accanto a lui, neonato, avvolto in una coperta e lasciato solo, in una notte prossima all’estate, sui gradini di una chiesa. Le suore del vicino convento, che lo avevano trovato il mattino successivo, ne avevano fatto un gran parlare, tanto che la sua storia era finita sulla bocca di tutti, in paese. Molte erano state le famiglie pronte ad accoglierlo e, alla fine, la sua sorte lo aveva condotto a dei genitori amorevoli, due persone semplici e buone, che desideravano tanto avere il figlio che non era mai arrivato, dopo molti anni di matrimonio. I suoi genitori, fin da bambino, lo avevano cresciuto raccontando in continuazione quell’episodio, legato alla sua nascita, come un evento leggendario e misterioso, lasciando trapelare una sotterranea preoccupazione. Gli amici, i parenti, i conoscenti, invece, ne ridevano, come se fosse un fatto bizzarro e irrealistico. Ma Ermes lo sentiva da sempre: quella era la sua verità. Egli sapeva che non sarebbe vissuto né un giorno di più né uno di meno di quello scritto nel biglietto.

    «In fondo, tutti sanno che prima o poi moriranno», si ripeteva. «La differenza è soltanto che a me è dato sapere esattamente quando.»

    In parte, egli ne aveva tratto anche vantaggio, in giovinezza, quando, di fronte alle raccomandazioni di sua madre:

    «Vai piano in macchina!», oppure:

    «Non buttarti nel fiume dopo aver mangiato!», egli rispondeva con noncuranza:

    «Lo sai che non è ancora il mio momento.»

    Anzi, proprio il sentirsi graziato nel ripetersi di questi piccoli eventi, lo rinsaldava nella sua certezza che, sul biglietto, fosse scritta la pura verità. Inutile chiedersi da dove venisse quel biglietto o quale messaggio recondito nascondesse, Ermes non sapeva nulla delle proprie origini, figuriamoci se conosceva cosa queste potessero significare. Era semplicemente arrivato nel mondo senza preavviso, come se fosse sceso, in una fermata a caso, da un treno, con un biglietto su cui erano scritti soltanto l’ora del principio e quella della fine del viaggio.

    Ora però, decisamente invecchiato e alla vigilia di quel primo dicembre 2000, Ermes si sentiva un po’ preoccupato. Non tanto per il momento cruciale, a cui molte volte aveva pensato senza venirne a capo, quanto per la necessità di sistemare le sue parole, l’unico bene che egli sentiva di possedere davvero e che aveva accumulato negli anni, con tanta cura.

    «Non posso certo morire, lasciando questo caos di parole ingarbugliate, sparse a cumuli per la casa », pensava.

    «Cosa diranno i vicini che verranno a pulire? Pensa se le getteranno via. E poi chissà dove si buttano le parole usate.»

    Il fatto era che Ermes, nella vita, non aveva un lavoro qualunque. O meglio, un lavoro lo aveva, come quasi tutti, avendo potuto studiare nella vita, ed era un lavoro che lo affascinava, così tanto da proseguirlo, come volontario, anche adesso che era anziano. Egli lavorava in un archivio storico, tra cataste di libri e vecchi documenti. Ma, a casa, nel suo tempo libero, la sua occupazione preferita era quella del quasi scrittore.

    Non uno scrittore, neppure uno scrittore mancato, egli era soltanto un quasi scrittore. A chi chiedeva spiegazioni, Ermes rispondeva:

    «Ho sempre annaspato tra i significati delle parole, incerto tra quelli da scegliere e quelli da scartare. Le parole hanno, per me, il fascino di una porta misteriosa da aprire. Ma non una porta chiusa a chiave o un portone blindato di cui trovare la combinazione, sono più simili a una porta girevole, in cui è sufficiente appoggiarsi un attimo, per ritrovarsi dall’altra parte.»

    A chi non capiva, spiegava:

    «Io non sarò mai uno scrittore. Non riesco a giocare con i significati, ad aprire la porta delle parole agli altri, in modo da essere io a a guidarli dove le parole che ho scelto li porteranno. Io accumulo parole soltanto per me, mi affido ad esse, per vedere dove mi porteranno.»

    Uno scrittore scrive per gli altri, uno scrittore mancato non riesce a scrivere come vorrebbe. Ermes, invece, accumulava parole su parole, sparpagliandole in casa sua, per poi seguirne qualcuna. Ogni volta era come un viaggio per lui. Per questo, egli non ne gettava mai nessuna e le parole si ammassavano una sull’altra, con i loro significati, riempiendo gli spazi vuoti della casa.

    Questo, in realtà, non era un grande problema, in quanto Ermes non aveva molti amici, e, comunque, nessuno aveva mai visitato la sua casa.

    «Nessuno capirebbe», sosteneva lui, spingendo con un piede verso il muro alcune parole che, prepotentemente, avevano invaso il corridoio diretto alla cucina. E, mentre si sedeva al tavolo, per la colazione, sorseggiando distrattamente una tazza di caffè, accarezzava le parole più piccole, quelle che teneva sul tavolo, con indulgenza, perché più delicate e fragili. Allora, tenendo tra le dita la parola bambino e quella fiore o facendo una carezza alla parola cane, finiva di leggere il giornale e poi usciva per andare al lavoro.

    Le parole più morbide, invece, nel tempo le aveva accatastate sul letto, in un disordine disorganizzato e spesso faceva confusione tra loro. Per diverse

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1