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Giulia la rossa
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E-book311 pagine4 ore

Giulia la rossa

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Info su questo ebook

Arturo e Marietto, due ex compagni di collegio, si incontrano per caso dopo anni. Arturo è diventato un commediografo, Marietto uno spiritualista che da giovane voleva farsi prete; un passo impedito dal suo ex professore di latino, un sacerdote che non lo riteneva adatto per quella missione.

Il pretino però non si era dato per vinto, e aveva continuato per suo conto a portare in pericolose contrade, la Buona Novella. Aveva viaggiato per gran parte del mondo, conosciuto tribù africane e popolazioni primitive, e rischiato più volte la vita.

Tornato in Italia, in cerca di un equilibrio interiore, s’imbatte in Zadr, uno zingaro.
Cosi con Arturo insieme a Elisa, la grassa commessa di una libreria, inizia una corsa alla ricerca di una trapezista e di suo figlio, un lanciatore di coltelli.

 
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2019
ISBN9788899735777
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    Anteprima del libro

    Giulia la rossa - Martino De Vita

    9788899735777

    1.

    Arturo, che da anni scriveva romanzi e commedie, grande appassionato di viaggi, entrato un giorno in una libreria e non riuscendo a trovare un atlante, chiese alla commessa:

    - Mi scusi…

    - Non vede che sono occupata? Si rivolga a qualcun altro!

    Gli rispose senza garbo.

    Avrebbe voluto replicare, ma si guardò intorno. Volgendo la testa notò una ragazza grossa, corpulenta; che stava mettendo in ordine alcuni ripiani. Le si avvicinò.

    - La sua collega è impegnata, posso rivolgermi a lei?

    - Sì, certo, dica pure.

    - Stavo cercando l’ultimo atlante sui deserti del mondo.

    Quel breve scambio di parole gli parve interminabile. Nel momento in cui chiedeva, e nell’altro in cui aspettava una risposta, aveva avuto modo di osservare il suo viso: bello, pieno, lunare. In quella grande faccia si avvertiva uno sguardo intenso, penetrante. Aveva occhi chiari, vivaci, esaltati da un paio di occhiali dalla montatura rossa, leggera, appena accennata. Completavano l’aspetto di Elisa – così si leggeva sulla targhetta di riconoscimento – i capelli corti, neri, quasi corvini e due piccoli orecchini ai lobi. Elisa, quel nome così melodioso, sembrava fondersi con la insolita generosità delle sue forme. Ma Arturo già aveva avuto modo di osservare l’immenso di dietro come scosso da una danza del ventre in una notte stellata nella terra di Allah.

    La ragazza avviò la ricerca al computer, ma la risposta fu poco incoraggiante.

    - Il suo atlante non è disponibile al momento. Se vuole glielo posso ordinare.

    - La ringrazio. Ripasserò fra qualche giorno.

    E uscì col cuore in gola. Aveva bisogno di un lungo respiro.

    Mah! Entro in una libreria e cosa mi succede…ne esco pazzo per una cicciona…

    Tornato a casa, più confuso che mai, sprofondò su una poltrona.

    L’aveva appena conosciuta, scambiato con lei tre o quattro parole in tutto. Chiuse gli occhi e la vide avvicinarsi intera, imponente. Gli accadeva spesso di avere avventure in sogno, mai però con una balena.

    … Elisa, sfiancata creatura! Invaghirsi così, all’improvviso…E ora che dovrei fare, divorare carne contro ogni ragione solo per un’ampia caverna appena intravista e per un seno enorme? Eppure quella ragazza…

    Atlanti sui deserti! Aveva viaggiato per mezzo mondo fino a un anno fa, vissuto l’esperienza di esploratore in quelle terre leggendarie; assistito a infinite danze da Le Mille E Una Notte. Una sera, a Marrakech, una ballerina si esibì in una danza del ventre molto…molto…eccitante. Si azzardò a sfiorarla, era vicinissima, avrebbe voluto sussurrarle tutto il suo amore. È che non parlava arabo.

    Ancora frastornato, si mise a scrivere. Niente da fare! Decine di fogli finirono nel cestino.

    In libreria Elisa l’aveva degnato appena di uno sguardo, del tutto professionale. E come un lampo gli era apparso quel pensiero erotico. Aveva sempre frequentato nudi di donna anonimi, facilmente da dimenticare. Odiava i seni piccoli. In genere nascondevano caratteri spigolosi; mai però aveva osato scalare montagne!

    Era la prima volta che si sentiva attratto dal ridondante; ma come usare tutto quel grasso…

    Si immaginava la ragazza a sistemare volumi sull’ultimo scaffale. Se l’avesse invitata da lui, la poltrona, il divano avrebbero ceduto.

    Bello, bello… quel nudo disteso sul velluto…

    Il giorno dopo l’avrebbe convinta a farsi cambiare l’atlante con un bel romanzo, un saggio filosofico, un testo d’arte.

    Elisa… non mancare proprio oggi!

    Ritardava, non voleva avvicinarsi al negozio troppo presto preferendo affrontare per le vie della città percorsi alternativi. Incontrò un conoscente e si intrattenne con lui. Indugiò davanti ad una vetrina di ottica. Si avvicinò poi a quella dei libri sbirciando l’interno. L’impiegata alla quale si era rivolto la prima volta stava svolgendo regolarmente il suo lavoro, ma non riusciva a scorgere Elisa.

    Non poteva permettersi di perder la ragione dietro a un fisico possente. Ma che dire, lo trovava irresistibile.

    Quali maniglie dell’amore potrebbe possedere… Mi ci aggrapperei, notte dopo notte…e poi affronterei quei seni. Dal primo momento in cui i tuoi occhi hanno sfiorato i miei è come se mi avessi stregato. Amo le tue forme piene… vigorose…

    Guardò per l’ennesima volta i volumi esposti.

    E finalmente entrò. Sbirciò una copertina, sfogliò qualche pagina. Sentì per caso dire dalle commesse che quella mattina, lei, aveva il giorno libero.

    Un lungo sospiro e poi uscì.

    Avrebbe potuto ammirare le sue belle cosce con più calma, con meno ardore in seguito; e così i suoi generosi seni che la camicetta non riusciva a contenere… gli orecchini, i braccialetti ai polsi; belli… forti.

    La mattina dopo prese la bici e se ne andò sul fiume.

    Percorreva tranquillo gli argini ammirando la natura, osservando il volo degli uccelli e una famiglia di anatre, con gli anatroccoli in fila dietro mamma anatra, come una favola.

    Da lontano gli parve di scorgere una figura familiare. Sembrava lei, la grassona…

    Elisaaaa!!!

    Una donna, effettivamente un po’ obesa rispose:

    - Sì…?

    - Mi scusi, non volevo…cercavo un’altra persona.

    Sono io, la tua Elisona! Vieni con me…andiamo…andiamo in libreria…

    Stormivano gli alberi.

    Tornò a casa, in preda ad una profonda agitazione. Scrisse fino a notte fonda, poi andò a letto, portandosi con sé quella grande figura.

    La mattina dopo era domenica, le strade erano quasi deserte. Andava sempre alla ricerca della sua panchina preferita lungo i viali. La trovò libera, si sedette, e si fumò tranquillo un mezzo sigaro. Rifletté sulla sua ultima commedia, cercando di recuperare un po’ di estro creativo messo a dura prova dagli ultimi avvenimenti. Era capace di contemplare per ore, senza vedere intorno a sé neppure una foglia cadere. Si alzò un po’ dolorante per l’inattività. Gli faceva male la gamba rotta. Qualcuno gliela fratturò in più punti. Fu per un incidente di gioco accaduto quando ancora era ragazzo. Un tackle disgraziato, un fallo da espulsione. Proprio lì, a due passi dalla panchina, sullo spiazzo di un baluardo, dove si svolgevano epiche partite di calcio che spesso sfociavano in vere e proprie risse.

    Fece qualche passo e non ci pensò più. Vide una bancarella, comprò dei brigidini, e offrì le briciole ai piccioni.

    Gli venne in mente di andare al cinema.

    Dopo il primo tempo era già fuori. Quella stupide, demenziali, gratuite scene di squallido erotismo gli risvegliarono il malumore.

    "Che me-ra-vi-glio-sa giornata! Ma dove sarà quella… splendida… creatura incarnata!

    Esclamò, a voce alta.

    2.

    Elisa, naturalmente, in quel momento non c’era. Al contrario s’imbatté – e grande fu la sorpresa – in un incredibile individuo: un mezzo fantasma che proveniva da chissà quale oscuro, remoto passato.

    - Arturo…

    Si sentì chiamare. D’istinto si voltò. Vide una faccia, vagamente conosciuta…

    - Sono Marietto, non mi riconosci?

    - Marietto…Marietto chi…

    - Non ti ricordi di me? Eravamo insieme, in collegio.

    - Marietto…in collegio…Ma sì…davvero… ma sei proprio tu? Un tipo strano, schivo, a volte cupo, ma più propenso di Arturo alla spiritualità. Gli anni erano passati per tutti e due. Il commediografo però non era molto cambiato, mentre l’amico era dimagrito, aveva i capelli brizzolati, un po’ stempiato e con gli occhi fuori dalle orbite. E sembrava che le poche parole pronunciate fino a quel momento fossero incerte.

    - Ti devo confessare, Arturo, che era da un po’ di…tempo che volevo fermarti. Avevo bisogno di… un contatto, di un contatto umano, capisci? Ti ho visto parecchie volte in città, con la tua andatura un po’ curva, preso da… chissà quali pensieri. E poi... so che scrivi.

    - Ma potevi fermarmi prima…

    - Forse è questo il momento.

    Riprese con più coraggio.

    - È vero, può essere. Ma dimmi: cosa fai, come te la passi…Ma guarda lì…in collegio. Sì, ora ricordo: ti ammiravo per la tua grande fede.

    - Lo sai che avevo la vocazione, ma mi fu negata. Quel caro Padre Faustino, nostro professore di lettere e mia guida spirituale te lo ricordi, no? – mi scoraggiò quasi subito. Ma io, ti assicuro, sentivo qualcosa… dentro. Potevo diventare un ottimo sacerdote. Adesso sono un ex religioso senza Dio, senza credenza, quasi un apolide dello spirito. E sto male Arturo, sto male. La mia esistenza…Ah! se la potessi raccontare! Io credevo in Dio fervidamente, facevo di tutto per dimostrarlo anche ai nostri cari frati; ma non mi hanno voluto.

    - Mi dispiace davvero, non sai quanto! E pensare che ti vedevo così devoto! Ma io non potrò mai dimenticare la disciplina, quasi la tortura, che ci veniva imposta quando in cortile, al freddo e al gelo, alle sei di mattina, dovevamo recitare mille volte il rosario e tutti quei Misteri… e il nostro caro fraticello con il suo breviario aperto che faceva finta di leggere ma che in realtà ci controllava come un Kapò! Tu pregavi, io invece, insieme alla banda dei sei: – tutti atei eravamo - recitavamo: Nel Primo Mistero Glorioso si contempla… e giù parolacce dissacranti! Ma tu, nonostante fossi assorto… estasiato, quasi sbirciavi dalla mia parte, come per ammonirmi. Quelle monotone, infinite, gelide mattinate! Era quaresima, ma sembrava essere più in inverno che in primavera. Padre Faustino: che personaggio. L’hai più rivisto?

    - Sì, certo. Ha lasciato il convento parecchi anni fa. Se n’è andato a fare l’eremita.

    - Ma avrà avuto le sue buone ragioni a ritenerti poco adatto al sacerdozio.

    - Lui ha predetto le mie sofferenze, il mio andare ramingo per il mondo senza portare la Buona Novella…

    - Forse, chissà, avresti convertito anche me.

    - Eh! no. Con te non c’era più nulla da fare.

    - Ero così refrattario?

    - Avrei dovuto metterci un particolare impegno. Ma sai, poi ad un certo punto del mio cosiddetto cammino mi sono stancato di Dio, delle Scritture, della Chiesa. Mi sono convertito ad un’altra religione.

    - Non mi dire che anche tu sei islamico, buddista, indù come va di moda oggi.

    - Non in quel senso. La nostra religione poteva essere più che sufficiente per me. No. La mia nuova fede, adesso è per così dire, la ricerca della felicità altrui... e tu Arturo, amico mio, puoi aiutarmi.

    - Io? E come!

    - Adesso, bontà tua, mi stai ascoltando. Un giorno, quando ci ritroveremo, capirai meglio il senso delle mie parole.

    - Be’, lo spero.

    - Voglio uscire dalle tribolazioni, e puoi davvero darmi una mano. Fai pur parte della realtà, di questa realtà. Pensa: ho avuto delle visioni!

    - Be’, in quanto a quelle… Realtà, tu dici? La mia è solo nelle commedie che scrivo.

    - Davvero, Arturo? È una bella cosa. Ma io ho avuto visioni infernali, seguite da visioni paradisiache. Mi sono visto trasformare in angelo e poi in diavolo. E eri tu! Con quella faccia da bambino un po’ smarrito, con un coltello in mano a caccia di un dio o un belzebù da sventrare, una caccia impossibile, capisci? In altre visioni, invece, mi è apparso Lui. Ma sempre con la tua stessa faccia, di bambino.

    - Ma sei sicuro? Forse non ero io…forse era solo un brutto sogno…

    - Era più di un sogno, era certezza, la certezza del mio cattivo spirito.

    - Ero io il tuo diavolo?

    - No. Io stesso ero il diavolo. Prendevo a prestito solo la tua immagine perché mi vergognavo della mia. Varcavo le soglie del Paradiso e in mezzo a tutte quelle nuvole volevo cercare il Padreterno per andargli a raccontare la storia di uno che poteva essere un suo perfetto servitore.

    - Ma lo potevi essere ugualmente senza dare in smanie.

    - Vero, ma all’epoca del collegio sentivo…sentivo un impellente bisogno di fare qualcosa di grande. E allora su consiglio di Faustino sono andato in missione volontaria tra i lebbrosi, tra gli affamati e i sofferenti, tra bambini dilaniati da bombe e malattie, tra gente a cui è stata tolta completamente la dignità di sentirsi appartenere al genere umano. Dio non si è mai accostato a loro so che per un ex praticante quel che sto dicendo è grave – eppure?

    Ma in tutti questi anni non ti ho mai dimenticato. Forse tu hai una famiglia, dei figli, un buon lavoro, sei felice o fai finta di esserlo come molti altri…ma di sicuro non sei un rinnegato come me. Tornavo dalla missione e mi mettevo a bere dallo sconforto, e sai cosa bevevo? Acqua Benedetta! La rubavo dalle chiese, quanta, quanta ne ho bevuta! Ho prosciugato tutte le acquasantiere del mondo: Date da bere agli assetati… dice il Vangelo. No, io l’ho rubata quell’acqua. E ti assicuro: faceva schifo.

    - Lo credo… acqua stagnante… e quante mani!

    - Tutte sporche, mani di infedeli!

    - E hai avuto il coraggio di berla!

    - Per anni interi. Di notte mi mancava. Uscivo pazzo per strada, mi avvicinavo alle abbazie, alle cattedrali, agli oratori. Speravo di trovare un qualsiasi luogo di culto aperto, la chiedevo persino alle perpetue, quelle bagasce… perché i parroci, attualmente, non sono serviti da vecchie perpetue manzoniane, oh no! Anche loro importano badanti dall’est. Me la davano, ma in cambio, loro, prtendevano, e non si accontentavano mai! Io ho sempre creduto che tu fossi più credente di me. In fondo anche il nostro Faustino aveva ragione. Nonostante lo sgarbo nei miei confronti, l’ho sempre considerato un maestro. Una volta che mi aveva allontanato da quel seminario mi sono procurato un po’ di soldi e li ho sperperati tutti in crapule, devi credermi!

    - Certo che ti credo. Ma tu hai una tua vita, una tua compagna?

    - No, nessuno.

    - Solo come me.

    - Anche tu?

    - Se quello che mi hai raccontato è la tua vita, la mia non è da meno, in quanto a solitudine, crisi, desolazioni…

    - Scusa se mi sono lasciato andare; non dovevo. Ti ho ubriacato di parole ma ne avevo bisogno.

    - Non ti scusare. E sono sicuro che presto ci rivedremo. Anch’io ho parecchio da raccontarti.

    - Lasciamo che sia il caso a cercare noi.

    - Il caso, sì…

    E l’ex compagno si allontanò.

    Rimase fermo, perplesso, sul marciapiede dove si erano incontrati. Poi, a testa bassa, lentamente, riprese a camminare. A casa, in poltrona, meditò a lungo su quello strano colloquio. Rifletteva che nel breve spazio di due giorni aveva fatto i suoi incontri: la grande creatura e il pretino. Visioni venute a disturbare un tran tran quasi perfetto di solitudine. Forse era l’inizio di un’insolita avventura: la personalità del suo vecchio compagno e l’invaghirsi di una grassona. Personaggi da considerare come possibili protagonisti della sua nuova commedia. Prese un foglio e scrisse, velocemente a mano:

    Marietto: un Savonarola incappucciato, che di notte percorre frusciante le stradine del centro. Lo segue la grassona: indossa un grande mantello, e il suo viso è coperto da un chador. Ai piedi un paio di ciabatte da camera viola.

    Bravo Arturo!

    Una vocina canzonatoria, un’adulazione o un’improvvisa ispirazione sull’opera, ancora tutta da inventare? Un giorno sarebbe tornato in libreria.

    Elisa?

    Sì?

    Devo parlarti…

    Adesso non posso.

    Io fremo bella mia… immensa!

    …Vengo… subito… è un attimo…

    Ma gli mancava il coraggio. E che le avrebbe potuto dire, cosa avrebbe davvero desiderato! Gli stava forse venendo in mente di mettersi insieme a quella grossa madonna? No, forse meglio affidarla all’ex seminarista. Un quasi prete sarebbe stato più in grado di lui di soddisfare tutto quell’ammasso: sarebbe stato un fatto divertente, insolito.

    Il pretino, un po’ crucciato, ma anche sollevato dall’incontro con l’amico, in quei giorni si aggirava pensieroso per la città. Doveva procurarsi un volume piuttosto insolito. Si rivolse alla Libreria del Corso, la più fornita della città. Entrò…e la vide. Collana ed orecchini, calze a rete, gonna corta e belle cosce.

    - Buongiorno, avete libri "Old Age?

    - Mi scusi signore… non ho capito bene. Che genere di libro desidera?

    - Old Age, l’opposto della New Age.

    - Continuo a non capire.

    - Non avete Old Age. Lo immaginavo.

    - Potrebbe indicarmi un titolo. Forse facendo una ricerca…

    - Eh? Ah, sì…

    - Allora, mi dica.

    - Avete per caso La storia del Santo che rubò Acqua Benedetta?

    Questo è matto…

    - Vediamo…no, signore. Il computer non mi segnala alcun testo simile. Vogliamo provare una ricerca per autore?

    - Certo: L’autobiografia di Fra Bonaventura da***

    - Proprio da***?

    - Eh! sì, se possibile…

    Quel diavolo di un Marietto, con tutti i suoi pretesti, aveva bruciato sul tempo le intenzioni di Arturo, ancora immerso nei suoi più profondi ed incerti pensieri.

    Mentre Elisa, tra una pausa di lavoro e l’altra, provava i suoi rossetti, che si consumavano in un attimo per quel tipico gesto, naturale in ogni donna, di inumidirsi le labbra dopo una traccia di carminio, di rosa; a volte di blu. Compiuto il restauro, se ne ritornava in mezzo ai libri, conscia di sé e del suo maquillage. Se un cliente le si avvicinava per un consiglio o per un acquisto, appena uscito non poteva fare a meno di commentare:

    Forse le ci vorrebbe una cura dimagrante…

    Ma anche se lei avesse potuto afferrare la battuta, non avrebbe replicato. Aveva fondato la sua esistenza sul fascino dell’ampio… e forse a ragione. Superato il primo impatto si veniva interamente conquistati dal suo immenso eros.

    Passati neppure tre giorni Marietto si ripresentò.

    - Sa, mi interessa quel volume che mi aveva consigliato l’altra volta…

    Oh! No, ancora il matto…

    E Elisa, mostrandosi gentileche avrebbe potuto fare!

    - Ma certo signore. Ottima scelta la sua.

    E così anche a lui venne la sindrome dell’abbondanza. Anzi, gli parve di ravvisare, rispetto alla prima volta, addirittura una nota più affabile nelle parole della grassona. O si illudeva? Non conoscendo le donne…

    Bella… bella… bella. Dove sei! Io ti mangio creatura mia! Mangio tutta quella carne e bevo quel che è rimasto di tutta quell’acqua benedetta. Bevi anche tu con me. Io prete? Sì, perfetto servitore di un dio che non riesco più a trovare. Ma che conta oramai! Ti ho visto: grande. Grande sei…Ma grazie mio Dio per avermi fatto incontrare questa Matrona… donna Maestosa. Adesso ti posso ammirare dopo una vita di stenti e di pericoli. Mi sono perduto nelle foreste e nelle savane. Ho marciato fianco a fianco con i bantù dell’Angola e con tutti quei ribelli. Volevano umiliarmi perché ero andato da loro a mostrare il culo della cristianità. Ma sai quanto gliene poteva importare a quelli! Ma no, meglio così. Una grande fortuna essere usciti vivi da quell’inferno.

    3.

    Il tempo stava cambiando, l’inverno era alle porte. Gli alberi spogli, gli alberi di ogni stagione, si univano ai pensieri di Arturo:

    Desidero Elisa, un’Elisa bella, rotonda…elegante.

    E finalmente decise a tornare in libreria. Ma quando se la vide di fronte, a stento riuscì a pronunciar parola.

    - Buon… giorno…

    - Buongiorno a lei. In cosa posso esserle utile?

    - Sto cercando… Mi scusi, non so cosa stia cercando…Sa, sto scrivendo una commedia e ho perso il filo…

    Uh! Un altro matto… mamma mia… e che gli dico a questo… Rosaaa…

    - Aspetti qui, per favore, vado a chiamare la mia collega, forse la potrà aiutare…

    E andò a cercarla sul retro.

    - Aiutami, ti prego. Sbrigatela tu con quello…

    - Come… chi è…

    - Non ne posso più di matti. L’altro giorno è venuto un tizio, sembrava uscito fuori da chissà dove; aveva occhi spiritati…e voleva una biografia di Santi che rubavano acqua benedetta.

    - No! e non ce l’hai raccontato?

    - Ero troppo, troppo… presa da spasmi di risa…

    - Sono Rosa, mi dica…

    - Veramente stavo parlando con l’altra ragazza, Elisa credo che si chiami. Le ho forse detto qualcosa che non avrei dovuto?

    - Oh! No, forse si è rivolta a me perché impegnata con un altro cliente.

    - Sì, certo.

    - Le interessa un testo in particolare?

    - No, no…è…che…ma lei non può capire…mi scusi, devo andare…

    E si ritrovò fuori proiettato dalla rabbia, dal furore e dal senso d’impotenza.

    Aveva la sua piccola utilitaria ferma sotto casa da mesi. Come un automa aprì la portiera, salì, mise in moto e partì.

    Prese la strada del mare, ma ad un bivio cambiò idea e si diresse verso i monti. Li vedeva innevati, non sembravano lontani.

    Si stava avvicinando l’oscurità e il cielo era sempre più cupo. Non aveva né catene né pneumatici antineve. La strada arrivava su, fino al passo. Si sarebbe fermato al Rifugio dell’Alpe. Conosceva quel luogo, anni fa c’era andato a sciare con un amico.

    Iniziò a nevicare, in poco tempo la visibilità divenne scarsa, i tergicristalli non riuscivano a liberare completamente il parabrezza dalle falde bianche, sempre più grosse. Sentiva ghiacciare i piedi, le mani, tutto il corpo. L’auto si fermò a due passi da un dirupo. I finestrini e le portiere erano bloccate. Tentò di riavviare il motore e accendere il riscaldamento. Spingeva sull’acceleratore come poteva perché il calore si diffondesse nell’abitacolo. La marcia era ingranata. La macchina all’improvviso ebbe un sussulto, poi ci fu uno schianto. Il luogo ove si trovava era deserto; pur immerso in un silenzio inquietante, era bellissimo.

    All’alba del giorno dopo riprese conoscenza.

    - Marietto, amico mio! Ma che ci fai qui…

    - Mi hai chiamato ed io sono venuto.

    - Ma che dici, come parli. È vero che sei sempre stato un tipo ameno…

    - Sono qui per tenerti compagnia. Non vedo molta gente attorno a te.

    - Vuol dire che tu hai provveduto a me?

    - Vedi nessun altro?

    - No. Ma che è successo dove sono…

    - Non ci pensare, riposati.

    Scambiò con lui qualche altra parola e poi si addormentò. Nel dormiveglia gli apparvero immagini confuse. Si rivedeva in macchina col cambio in mano, staccato dalla sua sede naturale, Marietto che lo chiamava, ed Elisa che gli era sopra, con quel suo corpo enorme, a proteggerlo dal freddo…

    L’auto aveva avuto un’accelerata improvvisa, poi era slittata. Per fortuna un albero aveva interrotto la sua corsa. Lievi ammaccature alla carrozzeria e solo qualche escoriazione per lui, oltre ad un principio di congelamento.

    - Non dovevi avventurarti da solo per quelle strade di montagna.

    - Sì, è vero, ma forse stavo fuggendo. Non so. Mi sentivo attratto da quel posto, era fantastico. E poi dovevo allontanarmi da lei, capisci?

    - Ma da lei chi…

    - Dalla grassona, da Elisa, l’ho rivista.

    - Ma chi hai rivisto…

    - Mi è apparsa, in sogno, proprio quando ero qui, stanotte.

    - Strano.

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