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L'ingannevole cuore: di un giovane vecchio
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L'ingannevole cuore: di un giovane vecchio
E-book145 pagine1 ora

L'ingannevole cuore: di un giovane vecchio

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Info su questo ebook

“Arrivato nel mezzo del cammin della mia vita, mi son ritrovato, come Dante, nella mia personalissima selva oscura. Il senso di fallimento, d’aver buttato alle ortiche cinquant’anni di vita, di non aver realizzato neanche mezza delle aspirazioni giovanili, stava iniziando a opprimermi, anche fisicamente. Avevo un costante dolore al petto. La mia autostima era ostacolata da alte montagne che dividevano l’ansia dalla luce. Inutile dirvi da quale parte delle montagne mi trovavo. Il senso di frustrazione mi teneva sveglio la notte e mi assonnava la mattina, quando dovevo alzarmi per andare a lavoro. Mia moglie, povera donna, non riusciva a venirne a capo, e stava, giustamente, iniziando a stancarsi”.

Andrea Fulgheri, scrittore e sceneggiatore, nasce a Cagliari il 20 agosto 1968. Dal 2016 insegna scrittura creativa all’Accademia d’Arte di Cagliari. Dal 2018 è membro del consiglio direttivo e responsabile del settore scrittura dell’Accademia d’Arte di Cagliari. Le sue pubblicazioni: Storie minime,  Amicolibro,  (2015); Sedici porte, Amicolibro  (2016); Scriviamo con Carmen,  Amicolibro, (2017); Odissea Nerd, Amicolibro , (2018); Cronache Steampunk,  Amicolibro - (2019).
foto di copertina di Carmen Sals
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2020
ISBN9788834196595
L'ingannevole cuore: di un giovane vecchio

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    L'ingannevole cuore - Andrea Fulgheri

    ANDREA FULGHERI

    L’INGANNEVOLE CUORE

    DI UN GIOVANE VECCHIO

    Amicolibro

    Andrea Fulgheri

    L’ingannevole cuore

    di un giovane vecchio

    Proprietà letteraria riservata

    l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore

    © 2019 AmicoLibro

    Vico II S. Barbara, 4

    09012 Capoterra (CA)

    www.amicolibro.eu

    info@amicolibro.eu

    Prima Edizione

    ottobre 2019

    IL GRANDE CUORE DI LAURA

    CINQUE REGOLE PARI

    LA GOCCIA SCENDE LENTA

    A MIO CUGINO

    SI ALZA IL VENTO

    LUCIO FERRO

    L’AMORE RITROVATO

    COME I GAMBERI

    GEPI

    ALLELUIA

    INCONTRI

    IL NONNO CHE SALTAVA NEL TEMPO

    A Roberto

    Arrivato nel mezzo del cammin della mia vita, mi son ritrovato, come Dante, nella mia personalissima selva oscura. Il senso di fallimento, d’aver buttato alle ortiche cinquant’anni di vita, di non aver realizzato neanche mezza delle aspirazioni giovanili, stava iniziando a opprimermi, anche fisicamente. Avevo un costante dolore al petto. La mia autostima era ostacolata da alte montagne che dividevano l’ansia dalla luce. Inutile dirvi da quale parte delle montagne mi trovavo. Il senso di frustrazione mi teneva sveglio la notte e mi assonnava la mattina, quando dovevo alzarmi per andare a lavoro. Mia moglie, povera donna, non riusciva a venirne a capo, e stava, giustamente, iniziando a stancarsi.

    Ci impiegai un po’, ma alla fine presi coscienza che necessitavo di un aiuto, anzi, di un supporto. Ne parlai con un amico, anche se non uno dei miei migliori amici. Spesso è più facile mostrarsi con chi è al di fuori dalle nostre più strette sfere affettive. Questo amico mi consigliò il nome di un bravo specialista, uno psicologo per la precisione. Non vi svelerò il nome per una questione di privacy, e anche perché, quando ho deciso di scrivere questo libro, ha espressamente chiesto di non essere nominato. Non voleva rischiare d’essere associato a un prodotto che non fosse all’altezza del suo blasone. Un altro colpo alla mia autostima.

    Lei vende cioccolatini, che ne può sapere di psicologia, mi vomitò addosso con disprezzo.

    Trattenni a fatica le lacrime. Capisco che ciò vi possa apparire poco dignitoso per un uomo della mia età, ma dovete capire che ormai percepivo la realtà come un presbite senza occhiali. Sfocata dalle mie incertezze.

    Stavo lentamente regredendo al periodo della mia adolescenza. Anni di oblio, di solitudine, di notti bagnate dal pianto per un amore non corrisposto. Anni in cui la morte sembrava l’unico autobus per allontanarmi dal mal di vivere.

    Quel medico voleva riportarmi al momento esatto dello scarto, l’istante della presa di coscienza in cui scoprii che potevo essere apprezzato, che potevo perfino essere divertente e piacere alle ragazze… in altre parole, essere amato e, finalmente, stracciare il bigliettino dell’autobus.

    Ma andiamo con ordine. Capirete meglio leggendo.

    Salto tutta la parte dei convenevoli e arrivo direttamente alla nostra ultima seduta.

    Quanto sotto è la registrazione del nostro incontro. All’inizio ero un po’ contrariato. Lasciare traccia dei miei segreti mi inquietava non poco. Tuttavia alla fine mi sono arreso, con la promessa che tutte le registrazioni, terminate le sedute, sarebbero rimaste mie.

    Mi dica, è felice?

    Non tutti i giorni.

    Riformulo la domanda: oggi è felice?

    Mi sento meglio a parlare con lei.

    Non ha risposto.

    Oggi sto bene, felice è un po’ troppo, ma sto bene. Davvero!

    Le credo. In queste settimane abbiamo fatto grossi passi avanti.

    Grazie.

    Non deve ringraziarmi. È il mio lavoro. Ci sono, però, ancora dei punti che non mi sono chiari.

    Tipo?

    Tipo che lei è un grande chiacchierone, ma non si lascia mai andare fino in fondo.

    Ma ho risposto a tutto quello che…

    Intendevo che lei è un ottimo affabulatore…

    Grazie.

    La prego, non mi ringrazi continuamente.

    Scusi.

    Dicevo, lei è un ottimo affabulatore, ma non svela mai nulla di troppo intimo.

    Scusi.

    Non deve neanche… lasciamo perdere. Quello che le voglio dire è che ancora non so nulla, per esempio, di ciò che lei pensa dei suoi genitori, di sua sorella, del suo lavoro.

    In che senso?

    Che nei nostri incontri, lei è sempre testimone di ciò che racconta, mai protagonista.

    Mi faccia un esempio.

    Lei ama scrivere, giusto? Ha anche pubblicato qualcosa. Eppure quando ne parla, racconta sempre episodi in cui era presente ma non direttamente coinvolto. Come se volesse, in qualche modo, schernirsi del suo ruolo di scrittore, anzi, cerca sempre dei sinonimi, come autore o narratore.

    Credo che sia per via del mio complesso dell’impostore.

    Ah! Questa non l’avevo mai sentita. Mi spieghi, la prego.

    L’ho rubata al mio amico Massimo Loriga.

    Un collega psicologo?

    No, ha un negozio di fumetti assieme al fratello.

    Andiamo avanti che è meglio. Su, mi spieghi di questo fantomatico complesso.

    Penso sempre che, prima o poi, arrivi qualcuno che mi sbugiardi, che dimostri che non valgo nulla.

    Allude alla sua attività di scrittore?

    Scrittore mi sembra troppo pretestuoso.

    Ma lei è uno scrittore.

    E va bene. Sono uno scrittore. E adesso?

    Facciamo una cosa. Un gioco. Se ha voglia.

    Dica.

    Mi racconti una storia che rappresenti il suo stato d’animo attuale. Poi la analizziamo assieme. Le va?

    Sì, ma così, su due piedi?

    È proprio questo lo scopo. Parli, ma di pancia.

    Ma qualcosa d’inedito oppure qualche…

    Non prenda tempo, è indifferente, purché inizi a raccontare.

    Va bene, ci provo. Dunque, vediamo. Mi ricordo di questa ragazza, Laura, anzi una donna ormai.

    Benissimo, mi parli di questa Laura.

    IL GRANDE CUORE DI LAURA

    Ho vissuto la vita come un sonnambulo che attraversa la città; conscio del principio, ignaro del percorso, consapevole dell’arrivo.

    Questa mattina l’infermiera ha terminato di leggermi il racconto di un autore che, come ripete continuamente, è del continente ma sembra nasciu e pesau a Cagliari, e subito dopo si è lasciata andare a una risatina imbarazzata, forse per quel suo parlare un po’ italiano e un po’ campidanese. Prima di andare via ha riposto sul comodino carico di medicinali una bottiglia d’acqua con una lunga cannuccia dentro.

    Oggi mi hanno lavato tutto, da testa a piedi, mi hanno vestito con l’abito buono, che sembro un testimone di Geova con il suo lungo elenco di campanelli pronti per essere profanati. Mancano ancora poche ore. Come ho detto prima, non ricordo molto del viaggio, però ho ben presente la partenza.

    Lei si chiama Laura ed era la ragazzina più bella di tutta la scuola. I portoni delle nostre case erano divisi dalla bottega di generi alimentari di sig. Dante, in via Lamarmora, nello storico quartiere di Cagliari. Eravamo inseparabili. Pur essendo in classi diverse, avevamo preso l’abitudine di fare i compiti assieme, solitamente a casa mia, ognuno concentrato nel suo angolo di tavolo.

    Laura era la più corteggiata, sia del rione sia della scuola. Io, per contro, ero il più sfigato forse dell’intero pianeta. Sapevo di non avere grandi possibilità di conquistare il suo cuore, e sarei un ipocrita a dire che non m’importava. Intanto, mi bastava il fatto di esserne diventato il migliore amico e averla sempre vicina, e poi, come si dice? Non si sa mai!

    Il non si sa mai arrivò il sei maggio. La scuola Manno aveva organizzato una gita fuori porta per diverse classi. Nel mio gruppo c’era una sezione maschile e una femminile. Sì! Proprio la classe di Laura. Per me quella era l’opportunità da non perdere, presto le medie sarebbero finite e con l’arrivo delle superiori tante cose sarebbero potute cambiare. Quindi, decisi che in quell’occasione avrei fatto la mia mossa con Laura. Passai tutta la notte della vigilia costruendo scenari immaginifici in cui avrei finalmente trovato il coraggio per dichiararle il mio amore e dove lei avrebbe risposto che non attendeva altro. Ma come spesso accade, la speranza e la realtà vivono per non incrociarsi mai.

    Come ogni mattina, io e lei partimmo da casa insieme, direzione piazza Martiri, dove ci attendeva una grossa corriera blu noleggiata per l’occasione. I professori erano già in loco, celebrando la liturgia dell’appello. L’aria era di festa, ogni ragazzino e ragazzina aveva il suo zainetto con dentro il pranzo al sacco. I più scaltri avevano anche una borraccia di acqua fresca appesa al collo. I più grandi, specialmente i ripetenti, avevano l’immancabile sigaretta penzolante in bocca, i più secchioni avevano delle brochure dei posti che saremmo andati a visitare, i più soggetti avevano appresso l’ultimo numero del loro supereroe preferito. Infine c’ero io, che avevo solo il cuore colmo di speranza.

    La corriera partì lentamente, scese per viale Regina Margherita, girò in via Roma, poi piazza Matteotti e infine prese la statale che porta fuori dalla città. Le ultime poltroncine erano state le prime a essere occupate. La banda dei fumatori dalle retrovie era pronta a fare scempio di scherzi a noi piccolini, ma faceva tutto parte del gioco. I docenti, quattro in tutto, erano disseminati lungo la navata dell’autobus, pronti a intervenire qualora i motteggi degenerassero nel volgare o nel pericoloso. Io mi collocai più o meno al centro, vicino al finestrino. Laura era seduta di fianco. Il tempo stimato del viaggio era di circa un’ora e mezza. Dovevamo raggiungere Monte Vecchio, vicino ad Arbus, e se il tempo fosse rimasto sereno, avremmo fatto anche una capatina per vedere alcune spiagge non troppo distanti dai diversi monumenti di archeologia mineraria e industriale che ci attendevano. Il professore di Matematica si divertiva a immortalarci con la sua macchina fotografica, comprata per l’occasione, però non voleva vedere boccacce o segni di corna, perché il rullino costava parecchio e svilupparle di più. Io presi coraggio e gli chiesi timidamente se poteva fare una foto solo a me e a Laura. Le nostre guance entrarono in contatto, la tentazione di girarmi per darle un bacio era fortissima ma desistetti. Mi limitai a bearmi del calore che il suo viso emanava. Avrei voluto congelare quell’attimo in eterno, invece il click, seguito dal flash, mi strappò violentemente da quella fantasia.

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