Lei: Storie di donne da tutti i mondi possibili
Di Monica Serra
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Info su questo ebook
Il fantastico rimane la cornice che delimita queste storie originali ambientate in “altri mondi” che, spesso, di simile al nostro hanno solo i sentimenti. E proprio i sentimenti sono alla base di “Lei” che, prendendo spunto dalla grinta delle sue eroine, si propone come ambasciatrice di un percorso essenziale nella vita di ogni donna, quello della prevenzione: parte dei proventi della vendita di “Lei” saranno devoluti ai progetti della Komen Italia nella lotta ai tumori del seno.
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Anteprima del libro
Lei - Monica Serra
Monica Serra
Lei
Storie di donne
da tutti i mondi possibili
Questo volume rientra nel progetto
"Altrimedia Edizioni per il Sociale"
e sostiene l’Organizzazione
Susan G. Komen Italia
nella lotta ai tumori del seno.
Titolo dell’opera:
Lei
Storie di donne da tutti i mondi possibili
© 2018 Altrimedia Edizioni
ISBN: 9788869600920
© Altrimedia Edizioni è un marchio di
Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria
www.altrimediaedizioni.com
Prima edizione digitale: 2019
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
A tutte le donne meravigliose
che ho incrociato lungo la mia strada.
Grazie di esserci, in questo
e in tutti gli altri mondi possibili.
Altrimedia Edizioni per il Sociale
Mi chiedono spesso Perché fai l’editrice in un Paese che non legge?
. Potrei rispondere banalmente Perché voglio invertire questa tendenza e rieducare alla bellezza della lettura
, ma per me sarebbe riduttivo! Ho tante ragioni per cui continuo a investire il mio tempo in questa impresa e forse oggi, con il progetto Altrimedia Edizioni per il Sociale
, ho anche l’occasione di mostrarlo.
Leggere può davvero salvare la vita! E non solo perché una buona lettura può far svoltare una giornata terribile, o perché permette di vivere tutte le vite che, per questione di tempo, morale e opportunità non si potrebbero vivere, ma perché può concretamente contribuire a salvare una, dieci, speriamo infinite vite. Tu che sfogli queste pagine sappi che sei una potenziale salvatrice, o un potenziale salvatore, perché acquistando questo libro contribuirai alla promozione della prevenzione contro i tumori del seno in cui da anni è impegnata l’organizzazione Susan G. Komen Italia (che ringrazio per avere deciso di essere dei nostri in questa prima
avventura).
In fondo lo sappiamo, lo recita il famoso slogan di una altrettanto famosa pubblicità prevenire è meglio che curare
, e quando di mezzo c’è un tumore la prevenzione diventa un obbligo.
Così, per ritornare alla domanda iniziale, strada facendo in questi anni di attività c’era un pensiero latente, tipico di quei folli che investono in cultura: impegnarsi di più a favore del sociale. Perché la cultura non è una prova di forza o di erudizione, bensì una prova di coraggio, e noi quel coraggio lo vogliamo prendere e mettere a servizio di quanti ne hanno così tanto da non arrendersi a un verdetto, a una ingiustizia, a una sentenza… perché insieme sapremo fare la differenza che manca, speriamo, per vincere. Grazie quindi a voi, alla Susan G. Komen Italia, ma soprattutto a Monica Serra, al suo essere donna speciale e resiliente come poche.
Gabriella Lanzillotta
Altrimedia Edizioni per il Sociale
Prefazione
L’Autrice ha deciso di devolvere il ricavato di questo libro ai progetti di Komen Italia per la lotta ai tumori del seno. Queste pagine raccontano le storie sospese fra fatti storici e un mondo di fantasia, di re, draghi, principi, creature fantastiche.
Fra tutte, la storia della principessa Maria e del suo viaggio a lieto fine ma pieno di peripezie, mostri, affetti perduti.
Un’avventura di speranza, emozioni e sensazioni straordinarie che vogliamo accomunare a quella delle protagoniste dei nostri progetti: le Donne in Rosa.
In questi anni le attività di Komen Italia, prima fra tutte la Race for the Cure, hanno contribuito a far cambiare l’approccio culturale nell’affrontare la malattia. Le donne, da malate, sono diventate protagoniste della prevenzione. Le titubanze e le paure delle prime pazienti invitate alla Race for the Cure come testimonial della nostra iniziativa, oggi si sono trasformate in condivisione, un modo per essere vicine alle altre donne, rendendo pubblica la propria malattia e scegliendo di indossare la maglietta rosa durante la manifestazione.
Quando una donna si ammala di tumore del seno si hanno delle ricadute importanti sulla famiglia e sulla società. Per questo è fondamentale il sostegno durante tutte le fasi della malattia.
La malattia, qualunque malattia importante, non fa che aumentare il bisogno che tutti gli esseri umani hanno di sentirsi amati e insostituibili.
La prima edizione della Race for the Cure di Roma, nel 2000, ha visto la partecipazione di 5000 persone e 500 di loro erano Donne in Rosa
, donne che si confrontavano con il tumore del seno. Oggi la Race for the Cure è la più grande manifestazione per la lotta ai tumori del seno in Italia e nel mondo, partecipano oltre 100.000 persone alle edizioni di Roma, Bari, Bologna e Brescia e di queste, più di 6.000 sono proprio le Donne in Rosa.
Un grande momento di aggregazione, dove le vere protagoniste sono le donne che hanno incontrato nella loro vita il tumore del seno e hanno scelto di combatterlo a viso aperto. Partecipano alla Race for the Cure per condividere emozioni ed esperienze.
A loro è dedicata un’area esclusiva dove possono accedere a laboratori di sana alimentazione, laboratori di terapie integrate, consulenze psiconcologiche e tante altre attività gratuite.
Le attività dedicate alle Donne in Rosa non si svolgono soltanto alla Race for the Cure ma lungo tutto l’anno. Komen Italia ha infatti attivato presso il Policlinico Gemelli di Roma, un Servizio di Terapie Oncologiche Integrate, primo in Italia nel suo genere, per offrire a tutte le pazienti con malattia tumorale accesso gratuito a un’ampia gamma di trattamenti complementari, utili a ridurre l’impatto degli effetti collaterali delle terapie convenzionali e a favorire un maggiore benessere psico-fisico globale.
Mentre effettuano le terapie oncologiche convenzionali (chirurgia, chemioterapia, terapie molecolari, radioterapia, ormonoterapia) le pazienti possono avvalersi di programmi nutrizionali personalizzati e trattamenti complementari, come l’agopuntura, la riflessologia plantare, la fitoterapia, le pratiche body-mind
tipo Yoga e Qigong, l’omeopatia, utili a incrementare l’efficacia delle terapie e migliorare la qualità di vita delle pazienti. Questo approccio olistico, scaturisce dalla convinzione che l’organismo sia qualcosa di più della somma delle sue parti e la medicina qualcosa di più efficace di una serie di consulenze specialistiche relative ai singoli organi o apparati.
Affiancando quindi ai trattamenti convenzionali anche tecniche di medicina energetica e di terapie naturali, è possibile potenziare le innate capacità di autoguarigione di tutti gli esseri viventi e ribilanciare lo squilibrio energetico che spesso concorre allo sviluppo della malattia, garantendo un percorso di cura più efficace e meno faticoso.
Grazie per aver deciso di sostenere la lotta ai tumori del seno. Grazie per aver scelto Komen Italia.
Susan G. Komen Italia è un’organizzazione basata sul volontariato, in prima linea nella lotta ai tumori del seno, su tutto il territorio nazionale.
Dal 2000 opera per stimolare la formazione, la ricerca e l’innovazione in tema di salute femminile, promuovere la prevenzione e l’adozione di stili di vita sani, tutelare il diritto a cure di eccellenza per ogni donna con un tumore del seno, offrire servizi per migliorare la qualità di vita dopo un tumore in particolare per le donne con malattia metastatica, collaborare con altre Associazioni e finanziare progetti sul territorio nazionale.
www.komen.it
PARTE I
Futuro e dintorni
CAPITOLIUM
Area letale
"Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo
che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana.
Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere,
la scienza può rimanere fiaccata per sempre,
ed ogni nuova macchina non sarà che fonte
di nuovi triboli per l’uomo.
E quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto
tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà
che un progressivo allontanamento dall’umanità."
[Vita di Galileo, B. Brecht]
Non era mai stato facile stabilire con precisione quali fossero i limiti della città. Capitolium era come un organismo dotato di vita propria; divorava lo spazio che la circondava quasi fosse una belva affamata, senza tregua e in modo progressivo: si espandeva e inglobava, attraeva e colmava distanze.
C’era stato un tempo in cui i confini erano indicati da appositi cartelli. Poi anche quelli erano stati superati e la città aveva continuato imperterrita a crescere, per chilometri, oltre i limiti che si era posta, arrivando a contenerli per superarli ancora. Come pianeti disordinati attorno alla loro stella, i sobborghi si popolarono di gente sfollata dai vecchi quartieri in cui si faceva posto alle nuove architetture.
Prima del disastro, Capitolium si presentava a chi venisse da fuori come un coacervo di destini intrecciati e sovrapposti, una sconnessa stratificazione in cui la storia collettiva e le vicende personali si fondevano in modo chiassoso, un’ardita mescolanza tra vita reale e sogni. Quel che ne restava dopo l’esplosione era un triste mélange di vita e incubi. La città era vuota, avvolta da un silenzio inquietante, in preda alle ombre crudeli e disperate che scivolavano tra le vie deserte sotto il cupo mezzo sole che da quel giorno illuminava il cielo senza più sorgere né tramontare.
Un solo edificio era rimasto in piedi, integro in mezzo a quella desolazione di cadaveri di cemento e acciaio che parevano sventrati da una furia sovrumana. Il Tempio, con la sua Cupola color ardesia dal profilo perfetto, svettava su quei resti simile a una tetra sentinella, a vegliare sulle mute rovine della città.
Il fall out si era lasciato dietro pochi sopravvissuti. Tutti gli altri, centinaia di migliaia di vite, erano stati spazzati via nell’arco di un secondo. Restavano soltanto macerie, a memoria di un antico fasto, che si espandevano dal cuore della città come satelliti deserti. Intorno a questi agglomerati urbani, il nulla.
La violenza aleggiava come una promessa su quel che rimaneva di Capitolium. Un vago ricordo che si nutriva dell’incubo nascosto oltre le recinzioni innalzate dai sopravvissuti.
Lyl si preparò, il turno di guardia toccava a lei.
La città sembrava un enorme gigante di pietra. Grigia, senza luci, muta. Dopo la distruzione, i superstiti avevano una sola fonte energetica, i fuochi alimentati dalle carcasse degli alberi carbonizzati provenienti dal parco, che venivano accesi con moderazione, poiché il legno malato, bruciando, sprigionava vapori letali.
Era solo uno dei tanti effetti dell’esplosione. Il disastro si era lasciato alle spalle mutazioni genetiche, mostruosità viventi, scheletri di alberi che uccidevano ardendo, strade deserte invase da relitti meccanici inutilizzabili, pochi, disperati sopravvissuti. Non c’era più posto per la speranza, ormai. Sopravvivere era un pensiero tanto ingombrante da non lasciare spazio ad altro.
Tutte le specie viventi, per adattarsi alle nuove condizioni climatiche generate dalle radiazioni, avevano sviluppato caratteristiche particolari. Poiché il sole aveva assunto il colore di un cupo tramonto, e in caso di esposizione prolungata i suoi raggi aggressivi provocavano gravi lesioni anatomiche, i superstiti erano costretti a rifugiarsi in luoghi chiusi per la maggior parte del tempo. La loro pelle, obbligata a quella notte senza fine, aveva assunto un colorito pallido, quasi opalescente; i capelli erano ingrigiti dalla mancanza di luce e le pupille, per poter tollerare il crepuscolo eterno, avevano sviluppato iridi rosse, in grado di vedere nell’oscurità.
Lyl pensò ai suoi compagni, che in quel momento erano di sentinella in altri punti della città. I pochi abitanti di Capitolium che non si erano dissolti nella violenza dell’esplosione si erano riuniti in gruppo. Ognuno di loro recava impresso il marchio dell’olocausto nucleare nella mente e nel corpo.
Lasciò che lo sguardo esplorasse la piana colma di nulla e un brivido le scivolò, gelido, lungo la schiena. Con la punta delle dita andò alla ricerca della barra metallica conficcata nel terreno a pochi centimetri da lei, bisognosa di un appiglio che le infondesse coraggio. Sbarre di ferro, pezzi di muri, fili metallici: erano quelle le armi con cui i sopravvissuti si difendevano da ciò che la zona letale vomitava oltre le barriere innalzate attorno alla metropoli ormai priva di ogni funzione vitale. Gli arsenali erano andati distrutti e non si trovava in tutta Capitolium una sola munizione. Quindi, i vivi avevano dovuto adattarsi.
Percorse con gli occhi la linea dell’orizzonte, palpabile confine tra la realtà e una dimensione aliena e irraggiungibile, lungo la quale l’involucro gassoso che sovrastava ogni cosa pareva fondersi con il vasto niente che circondava la città.
Come un cupo presagio, il sole sospeso tra cielo e terra tingeva ogni cosa del colore del sangue.
Fu l’odore a metterla in allarme. Un tanfo selvatico e intenso. Poi un brontolio minaccioso strisciò fra le macerie e la cosa emerse dall’oscurità di una via laterale. Dopo la pioggia radioattiva seguita al Non ritorno – il nome con cui i superstiti chiamavano l’esplosione – dalla zona proibita giungevano mostruosità e abomini: si trattava di animali, mutati in grottesche imitazioni di ciò che erano stati un tempo a causa di codici genetici stravolti dall’esposizione alle sostanze radioattive.
La bestia che fronteggiava Lyl in quel momento somigliava vagamente a un lupo, ma le sue dimensioni erano colossali. Il muso, deformato da una bocca con due file di zanne affilate, era irto di corna, laterali, superiori, disseminate ovunque. Aveva un occhio solo, di un disgustoso colore verdastro, sgranato in un’espressione in bilico tra furia e terrore.
Lyl afferrò con una mano la spranga e con l’altra estrasse dalla cintura un coltello da caccia. La belva diede una zampata, che raggiunse la manica e vi aprì uno squarcio, e gli artigli penetrarono la carne. Il fiato le si mozzò in gola e il dolore le riempì gli occhi di lacrime.
Qualcuno sopraggiunse dalla parte opposta a quella da cui proveniva l’animale e si parò al suo fianco. Il granitico Mur era il suo compagno di ronde; assunse la posizione di difesa e si lasciò sfuggire un’imprecazione.
La bestia ringhiò, preparandosi a un nuovo attacco. Prima che potesse spiccare il salto, un lampo di luce la attraversò e costrinse i due umani a ripararsi gli occhi. L’animale ricadde al suolo con un tonfo sordo. Stecchito.
Ancora accecata, Lyl intravide un’ombra dileguarsi tra i vicoli.
«Prendiamolo!» gridò Mur e si lanciò all’inseguimento.
Lyl gettò uno sguardo al cadavere. Un orrendo foro dai contorni slabbrati e fumanti trapassava il cranio del mostro da una parte all’altra. I denti erano ancora snudati e una bava verdastra colava dalla bocca, allargandosi in una pozza viscida sull’asfalto.
Lyl deglutì e sentì in bocca un sapore metallico. Del sangue stillava da una ferita sulla guancia, della quale non si era neanche accorta. Si pulì con il dorso della mano, sferrò un calcio alla carcassa della belva e corse dietro al suo compagno.
Pochi isolati più in là, l’individuo in fuga scomparve oltre la porta sconnessa di un palazzo.
La costruzione era gigantesca. Grigia e silenziosa. Disabitata e semidistrutta, come ogni edificio in quella parte della città. Mur si guardò attorno e strinse la spranga tra le mani, pronto a colpire qualsiasi cosa fosse emersa dalle viscere di cemento.
«Non c’è nessuno» sussurrò Lyl.
«Non ne sarei così sicuro» rispose Mur nello stesso tono e le fece cenno di andare dalla parte opposta a quella in cui si muoveva lui.
La donna preparò l’arma e obbedì.
Alex non riusciva a controllare i