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Stare con il Signore, andare verso i fratelli: Scritti sulla presenza pubblica della Chiesa e dei cattolici
Stare con il Signore, andare verso i fratelli: Scritti sulla presenza pubblica della Chiesa e dei cattolici
Stare con il Signore, andare verso i fratelli: Scritti sulla presenza pubblica della Chiesa e dei cattolici
E-book518 pagine7 ore

Stare con il Signore, andare verso i fratelli: Scritti sulla presenza pubblica della Chiesa e dei cattolici

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Info su questo ebook

«Sono passati ormai quasi due anni dalla morte del Card. Nicora, ma la sua memoria rimane viva in tutti coloro che hanno avuto la grazia di conoscerlo e, direi, anche solo di incontrarlo [...]. La sua fu una personalità capace di intrecciare dimensioni tra loro distinte, come una vita interiore schiva e riservata ed un’elevata sensibilità pastorale, una ricca umanità ed una formazione giuridica di altissimo livello. [...] Tanti erano i suoi interessi e tanti i risultati ottenuti, sebbene, come traspare dalle pagine di questo prezioso volume, il ruolo per il quale
verrà sempre ricordato è l’impegno profuso nel suo incarico di Co-Presidente per la Parte ecclesiastica della Commissione Paritetica italo-vaticana incaricata di predisporre, nel quadro della Revisione del Concordato Lateranense, la riforma della disciplina relativa ai beni e agli enti ecclesiastici, e alla sua successiva – e forse ancora più difficile – fase attuativa. In quegli anni il Card. Nicora ha speso ogni energia, senza alcuna riserva, per affrontare e risolvere, con spirito di innovazione, gli snodi essenziali della nuova amministrazione
ecclesiastica che si andava configurando in quel periodo.» (dalla Prefazione del Card. Parolin)
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2019
ISBN9788838247941
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    Anteprima del libro

    Stare con il Signore, andare verso i fratelli - Attilio Nicora

    Attilio Nicora

    Stare con il Signore, andare verso i fratelli

    Scritti sulla presenza pubblica della Chiesa e dei cattolici

    ISBN: 9788838247941

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREFAZIONE

    PRESENTAZIONE

    NOTE BIOGRAFICHE DEL CARD. ATTILIO NICORA

    INTRODUZIONE

    PARTE I. L’impegno nella vita sociale

    1. CARITÀ E POLITICA. PER UN SERVIZIO DEI CRISTIANI ALLA COMUNITÀ CIVILE*

    2. IL GIUBILEO: PEDAGOGIA DELLA CHIESA E RISVOLTI SOCIALI*

    3. L’IMPEGNO DEI CRISTIANI NELLA VITA POLITICA E CIVILE*

    4. L’ENCICLICA SOCIALE DI PAPA WOJTYLA E L’IMPEGNO SOCIALE DI OGGI*

    5. LA LAICITÀ E LE LAICITÀ. NUOVI TEMI E NUOVI PROBLEMI*

    6. PER UNA EFFETTIVA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA*

    7. LA POVERTÀ: PROFILI DI TEOLOGIA CRISTIANA*

    8. LA RIFORMA DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE TRA ALLARGAMENTO E COSTITUZIONE*

    9. IL MONDO CATTOLICO DI FRONTE ALLA 142*

    10. LA TESTIMONIANZA DELL’ANIMAZIONE SOCIALE*

    11. POLITICA, GIOVINEZZA, VANGELO*

    PARTE II. Gli accordi concordatari e la loro attuazione

    1. IL CONCORDATO NELLA COSCIENZA E NELLA PRASSI ATTUALI DELLA CHIESA*

    2. PATTI LATERANENSI: LO STATO DELLA QUESTIONE*

    3. REVISIONE DEI PATTI LATERANENSI: PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO*

    4. IL CONCORDATO TRA SANTA SEDE E LO STATO ITALIANO A SETTANTACINQUE ANNI DALLA STIPULA E A VENT’ANNI DALLA REVISIONE (1929-1984-2004)*

    5. SANTA SEDE E VESCOVI ITALIANI ALLA PROVA DEL CAMBIAMENTO DELLE REGOLE*

    6. LA CHIESA CATTOLICA E L’ATTUAZIONE DELL’ACCORDO DEL 1984*

    7. I BENI CULTURALI ECCLESIASTICI E IL NUOVO CONCORDATO*

    8. IL MATRIMONIO CONCORDATARIO IN ITALIA*

    9. IL FINANZIAMENTO DELLA CHIESA IN ITALIA: LE RAGIONI DI UNA RIFORMA

    10. CHIESA, SOLIDARIETÀ E DIRITTO. UN CASO EMBLEMATICO: IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO ITALIANO DOPO LA REVISIONE DEL CONCORDATO*

    11. SOSTENTAMENTO DEL CLERO: CIÒ CHE È STATO FATTO E CIÒ CHE SI DEVE FARE*

    12. SOSTENTAMENTO CLERO: LA PREPARAZIONE ALLA FASE DEFINITIVA (DAL 1989/1990 IN POI)*

    13. TRATTI CARATTERISTICI E MOTIVI ISPIRATORI DEL NUOVO SISTEMA DI SOSTENTAMENTO DEL CLERO. QUALCHE ANNOTAZIONE A PARTENZA AVVENUTA*

    14. AGLI INCARICATI DIOCESANI PER IL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA*

    15. IL RUOLO DELLA COMECE NEL QUADRO DEI RAPPORTI TRA CHIESA CATTOLICA E UNIONE EUROPEA*

    CONCLUSIONE

    PUBBLICAZIONI DEL CARD. NICORA

    CULTURA

    Studium

    158.

    ATTILIO NICORA

    STARE CON IL SIGNORE,

    ANDARE VERSO I FRATELLI

    Scritti sulla presenza pubblica

    della Chiesa e dei cattolici

    Prefazione del Card. Pietro Parolin

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0 .

    Volume pubblicato grazie al contributo

    della Libera Università Maria SS. Assunta di Roma

    Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 9788838247941

    www.edizionistudium.it

    PREFAZIONE

    Ho accolto di buon grado l’invito del Magnifico Rettore della LUMSA di aprire, con una mia breve prefazione, il volume in memoria del caro e compianto Cardinale Attilio Nicora, che è stato, tra i diversi e prestigiosi incarichi ricoperti, anche Presidente di questo benemerito Ateneo.

    Sono passati ormai quasi due anni dalla morte del Card. Nicora, ma la sua memoria rimane viva in tutti coloro che hanno avuto la grazia di conoscerlo e, direi, anche solo di incontrarlo. La rilevanza della sua figura e della sua opera è attestata anche dalle diverse commemorazioni e simposi che gli sono stati dedicati, sia in quella terra ambrosiana che gli ha dato i natali che qui a Roma. Ricordo, in particolare, il convegno che si è svolto presso il Palazzo della Cancelleria, nello scorso autunno, dove è stato tratteggiato il suo profilo poliedrico e messo in luce il suo amore per la Chiesa, che ha servito con tutte le sue forze e le sue capacità e per la quale ha sofferto.

    È proprio questo amore competente e appassionato per la Chiesa – sì, proprio appassionato, se si riusciva ad andare al di sotto del tratto severo e apparentemente distaccato che lo caratterizzava – che mi ha sempre colpito. Ed è il ricordo più bello tra quelli che conservo di lui, carichi di affetto e di stima. Cominciammo a frequentarci quando lui, come Delegato della Presidenza, si occupava delle questioni giuridiche e concordatarie presso la Conferenza Episcopale Italiana ed io ero Sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Veniva spesso alla Terza Loggia del Palazzo Apostolico per trattare le questioni legate alle intese attuative dell’Accordo di modifica del Concordato del 1984, ma, dopo gli aspetti tecnici, si finiva sempre e a lungo per parlare della Chiesa, condividendo gioie e speranze, attese e preoccupazioni. Affrontava le tematiche con una lucidità che mi sorprendeva e con l’amore più sopra ricordato, non scevro da sincero dolore per quanto riteneva non andasse bene. I rapporti sono ripresi nel 2013, al mio ritorno dal Venezuela, chiamato all’incarico di Segretario di Stato da Papa Francesco, mentre lui era, dal 2011, Presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF). Ancora una volta ho potuto ammirare, da una prospettiva differente, il suo spirito di servizio, un servizio quotidiano, svolto esemplarmente con la parola, misurata ma efficace, con uno stile fermo, con dedizione generosa e ininterrotta. La sua fu una personalità capace di intrecciare dimensioni tra loro distinte, come una vita interiore schiva e riservata ed un’elevata sensibilità pastorale, una ricca umanità ed una formazione giuridica di altissimo livello. Ciò lo ha preparato e gli ha permesso di svolgere in maniera efficace e fruttuosa ogni ministero che gli è stato affidato, dai primi anni del suo sacerdozio fino alla nomina a responsabile di alcuni Dicasteri Vaticani, passando per l’ufficio di Ausiliare di Milano e di Vescovo di Verona e molti altri ancora. Cresciuto e maturato alla scuola di Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, e dallo stesso, divenuto Papa Paolo VI, chiamato all’Episcopato, ha sempre mantenuto un tratto lombardo sobrio ed equilibrato. Non posso tralasciare di menzionare anche la sua libertà di lasciare, la sua disponibilità a fare un passo indietro, di cui sono stato testimone diretto. Qualcuno l’ha paragonata all’indifferenza per le cose del mondo di cui parla Sant’Ignazio di Loyola.

    Come ha sottolineato il Santo Padre Francesco nel telegramma di cordoglio ai familiari del Card. Nicora in occasione del suo ritorno alla Casa del Padre, «egli lascia un ricordo carico di stima e di riconoscenza per il prezioso servizio offerto con singolare competenza sia alla Chiesa che alla società civile in Italia». Credo il termine singolare sia particolarmente appropriato per lui, uomo di Dio che ha saputo mettere i talenti non comuni di cui era dotato e la profonda preparazione che lo contraddistingueva al servizio della Chiesa e del prossimo. Tanti erano i suoi interessi e tanti i risultati ottenuti, sebbene, come traspare dalle pagine di questo prezioso volume, il ruolo per il quale verrà sempre ricordato è l’impegno profuso nel suo incarico di Co-Presidente per la Parte ecclesiastica della Commissione Paritetica italo-vaticana incaricata di predisporre, nel quadro della Revisione del Concordato Lateranense, la riforma della disciplina relativa ai beni e agli enti ecclesiastici, e alla sua successiva – e forse ancora più difficile – fase attuativa. In quegli anni il Card. Nicora ha speso ogni energia, senza alcuna riserva, per affrontare e risolvere, con spirito di innovazione, gli snodi essenziali della nuova amministrazione ecclesiastica che si andava configurando in quel periodo.

    Per gli alunni della LUMSA, per i giovani giuristi e per tutti i lettori che si accosteranno a queste pagine – e che forse non hanno mai avuto l’occasione di incontrarlo personalmente – questi scritti costituiranno senz’altro un modo efficace per avvicinare l’eminente figura del Card. Nicora e conoscere meglio la sua opera e, in particolare, il contributo che egli ha offerto alla storia dei rapporti tra Stato e Chiesa.

    Dal Vaticano, 18 febbraio 2019

    XXXV° Anniversario della Revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede.

    Pietro Card. Parolin Segretario di Stato

    PRESENTAZIONE

    Il più naturale e significativo tributo che una istituzione universitaria può dedicare a chi intende ringraziare ed onorare è una pubblicazione. È questo che tutta la nostra comunità ha immediatamente pensato al momento della improvvisa scomparsa del Cardinale Attilio Nicora, il 22 aprile 2017.

    Al presidente del suo consiglio di amministrazione la LUMSA ha dedicato la nuova biblioteca centrale di Ateneo ed ha promosso il 25 ottobre 2018, presso il palazzo della Cancelleria, un convegno di studio e di riflessione sulla sua figura, i cui atti sono in corso di pubblicazione a cura dei professori Giuseppe Dalla Torre e Carlo Cardia, concluso dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, che vivamente ringraziamo anche per onorare questo volume con la sua prefazione.

    Diamo conto delle pubblicazioni del Cardinale Nicora nella nota bibliografica conclusiva, che peraltro riteniamo suscettibile di essere ulteriormente arricchita. Proprio perché è una produzione, la sua, non sistematica, strettamente legata e provocata da un impegno di servizio pastorale che lo ha portato nei più diversi contesti e veramente onora e attua il suo motto episcopale: ubi caritas libera servitus.

    Gli scritti qui raccolti, scelti con l’aiuto di don Paolo Scevola, e con Alessandro Travaglini e Claudio Gentile, che ha anche seguito con acribia le diverse fasi redazionali, sono stati organizzati intorno a due polarità, per le quali ha rappresentato un importante punto di riferimento nella comunità ecclesiale e un interlocutore sicuro e disponibile nel dialogo con tutti, ovvero l’impegno sociale e politico e gli accordi concordatari. Il primo e l’ultimo saggio, che incastonano le due parti del volume, ci permettono di coglierne l’identità di prete e di vescovo e fondano quell’appello molto semplice e molto genuino alla coerente e qualificata operosità, che naturalmente il volume sembra suggerire a partire dal titolo, che riprende una efficace espressione dello stesso Autore.

    Queste pagine, spesso trascrizione di interventi alle platee più diverse, diventano allora un prezioso riferimento per aiutarci nell’intrico della storia, a tenere il timone nella linea giusta, non confondendo i valori e mettendo la forza della giustizia e della carità a sevizio delle cause giuste, vere, eticamente fondate.

    Scriveva questo, il Cardinale Nicora, a proposito delle grandi sfide del terzo millennio: una consegna, un augurio, un impegno anche per la nostra Università, nell’anno ottantesimo della sua fondazione.

    Francesco Bonini

    Rettore della LUMSA

    NOTE BIOGRAFICHE DEL CARD. ATTILIO NICORA

    Il Cardinale Attilio Nicora, è nato a Varese, Arcidiocesi di Milano, il 16 marzo 1937. Dopo gli studi liceali, ha conseguito la laurea di Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore (1959).

    Entrato nel Seminario Maggiore della Diocesi ambrosiana, è stato ordinato Presbitero il 27 giugno 1964, e ha conseguito la licenza in Teologia nell’autunno del medesimo anno presso la Facoltà Teologica di Milano.

    Inviato a Roma dall’Arcivescovo Giovanni Colombo per gli studi canonistici, è stato alunno del Pontificio Seminario Lombardo e dell’Università Gregoriana, presso la quale ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico. Al rientro a Milano ha insegnato Diritto Canonico e Diritto Pubblico Ecclesiastico nel Seminario Maggiore, del quale è divenuto Rettore nel 1970.

    Eletto Vescovo titolare di Fornos minore da Papa Paolo VI il 16 aprile 1977 con l’incarico di Ausiliare dell’Arcidiocesi di Milano, è stato ordinato il 28 maggio dello stesso anno dal Cardinale Colombo. Questi gli affidò la pastorale sociale e l’apostolato dei laici. Divenuto Arcivescovo il Cardinale Carlo Maria Martini, Mons. Nicora è stato nominato Pro-Vicario Generale, continuando a seguire i due settori richiamati e i rapporti con le istituzioni locali e regionali.

    Nel febbraio del 1984 è stato nominato Co-Presidente per Parte ecclesiastica della Commissione Paritetica italo-vaticana incaricata di predisporre, nel quadro della Revisione del Concordato Lateranense, la riforma della disciplina concernente i beni e gli enti ecclesiastici. Le conclusioni raggiunte furono adottate a livello pattizio con il Protocollo tra Repubblica Italiana e Santa Sede, firmato a Roma il 15 novembre 1984 ed entrato in vigore il 3 giugno 1985.

    Per seguire da vicino la fase attuativa del nuovo disegno pattizio, l’11 febbraio del 1987 Mons. Nicora è stato posto a disposizione della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) a Roma con la qualifica di Incaricato per i problemi relativi all’attuazione degli Accordi del 1984.

    Nominato Presidente del Comitato CEI per i problemi degli enti e dei beni ecclesiastici, è stato fino al 1995 Co-Presidente della Commissione Paritetica Italia-Santa Sede per l’attuazione del «nuovo» Concordato.

    Dal 1990 al 1992 ha ricoperto anche l’incarico di Presidente della Commissione Episcopale per il servizio della carità e di Presidente della Caritas Italiana.

    Il 30 giugno 1992 Giovanni Paolo II lo ha trasferito alla sede episcopale di Verona, dove ha svolto il suo ministero, continuando nel contempo a collaborare con la CEI e con la Santa Sede nella trattazione delle questioni giuridiche di natura pattizia. Il 18 settembre 1997, rinunciando al governo pastorale di Verona, è rientrato a Roma, riprendendo a tempo pieno la cura delle questioni giuridiche canoniche e concordatarie presso la CEI come Delegato della Presidenza e assumendo la rappresentanza dei Vescovi italiani presso la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (Bruxelles), della quale nel 2000 è stato nominato Vice-Presidente.

    Il 1° ottobre 2002 il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha chiamato nella Curia Romana in qualità di Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) ed elevato alla dignità arcivescovile.

    Dallo stesso Pontefice è creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 ottobre 2003, del Titolo di S. Filippo Neri in Eurosia (Diaconia elevata pro hac vice a Titolo Presbiterale il 12 giugno 2014).

    Nel 2005 ha partecipato al Conclave che ha eletto Papa Benedetto XVI.

    Il 21 febbraio 2006 Papa Benedetto XVI lo ha nominato Legato Pontificio per le Basiliche Papali di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi e lo è rimasto fino alla scomparsa.

    Dal 2007 e fino alla sua morte è Presidente del Consiglio di Amministrazione della Libera Università Maria SS. Assunta (LUMSA) di Roma.

    Dal 2007 al 2013 è stato Membro della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dell’Istituto per le Opere di Religione (I.O.R.).

    Il 19 gennaio 2011 Papa Benedetto XVI lo ha nominato primo Presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.), nuova Istituzione eretta dallo stesso Pontefice con Motu Proprio del 30 dicembre 2010.

    Il 7 luglio del 2011 il Santo Padre Benedetto XVI ha accolto la sua richiesta di essere sollevato dall’incarico di Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica per poter dedicarsi in modo esclusivo alla conduzione dell’Autorità di Informazione Finanziaria, carica che mantiene fino al 30 gennaio 2014.

    Il 12 e il 13 marzo 2013 ha partecipato ancora una volta, in qualità di Cardinale Elettore, al Conclave che ha visto l’elezione al Ministero Petrino di Papa Francesco.

    È stato inoltre Membro:

    del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato;

    della Congregazione per i Vescovi;

    della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli;

    del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;

    del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi;

    dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA);

    della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano;

    del Collegio per l’esame dei ricorsi in materia di delicta reservata.

    È tornato improvvisamente alla Casa del Padre a Roma, la sera del 22 aprile 2017 all’età di 80 anni. Le esequie cristiane si sono svolte il 24 aprile all’altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro: la Liturgia esequiale è stata celebrata dal Cardinale Angelo Sodano, Decano del Sacro Collegio mentre al termine della celebrazione Papa Francesco ha presieduto il rito dell’ultima commendatio e della valedictio. Hanno concelebrato alla Santa Messa venticinque Cardinali, tra i quali il Segretario di Stato, Pietro Parolin e sedici presuli. La salma è poi stata traslata e tumulata a Verona all’interno della Cattedrale di Santa Maria Matricolare, dopo un’altra Celebrazione Eucaristica, alla presenza del Cardinale Arcivescovo di Milano, Angelo Scola.

    INTRODUZIONE

    Eventuali difformità redazionali presenti tra i saggi qui raccolti sono da attribuire alla conservazione delle caratteristiche originarie degli stessi.

    IL MISTERO DELLA CHIAMATA AL SACERDOZIO [1]

    Gesù salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni.

    Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro: poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello che poi tradì.

    Dal Vangelo secondo Marco (3, 13-19)

    Vogliamo riflettere sul tema della vocazione o chiamata, come dice la parola latina, al ministero sacerdotale. Più esattamente dovremmo dire al ministero apostolico perché il prete, che è la persona a cui noi facciamo solitamente allusione quando parliamo di questa vocazione speciale, non ha senso in se stesso, ma come collaboratore del vescovo; e il vescovo, i vescovi, il collegio dei vescovi sono i successori e i continuatori del gruppo degli apostoli. Per questo, forse, più profondamente dovremmo usare l’espressione ministero apostolico di cui anche i preti partecipano a titolo qualificato e particolare perché sono i primi e necessari collaboratori dei vescovi. È per questo che ho voluto scegliere come brano di Vangelo per questa liturgia quello della narrazione molto concisa, ma anche molto chiara, della chiamata e della istituzione dei dodici come apostoli, fatta da Gesù nel racconto che ci ha lasciato l’evangelista Marco.

    E la meditazione che vorrei fare con voi è semplicemente la ripresa di questo breve brano, nel tentativo di raccogliere con attenzione alcune espressioni che l’evangelista non ha buttato lì per caso, ma che invece sono volute e sono molto ricche di significato.

    «Chiamò a sé quelli che egli volle»

    Anzitutto la prima: «Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle, ed essi andarono da lui».

    Vorrei mettere l’accento sulle parole «chiamò a sé quelli che Egli volle». Qui emerge un primo tratto del mistero della chiamata, perché a voler parlare con precisione, dobbiamo dire che la vocazione è un mistero. Questa frase del Vangelo è un po’ sconcertante; tutte le volte che io la rileggo resto un po’ turbato. Il Vangelo non dice: «chiamò a sé i migliori », nemmeno dice: «chiamò a sé quelli di cui era più sicuro», neanche dice: «chiamò a sé quelli che secondo la gente erano i più degni». Ma dice a costo di scandalizzarci: «chiamò a sé quelli che egli volle».

    Qui c’è un mistero di libertà divina e di gratuità di elezione e di scelta, ed è questa la prima radice del mistero della vocazione, che è un dono di grazia. Riusciamo a capire ancora meglio la parola del Vangelo se leggiamo l’elenco dei dodici che Gesù ha chiamato, e noi sappiamo che non erano proprio necessariamente i migliori.

    Pietro, il primo. Il Vangelo ce lo descrive come un tipo un po’ strano, emotivo, impulsivo, pronto a dire di sì al Signore («Signore verrò con te fino alla morte») e poi, qualche ora dopo, pronto a tradirlo di fronte ad una servetta.

    Poi c’è Giacomo di Zebedeo e Giovanni, due fratelli che avevano una mamma che un giorno fece al Signore la raccomandazione per i suoi figli con un criterio non proprio soprannaturale: «Mi raccomando, quando costituirai il tuo Regno, uno alla destra e l’altro alla sinistra».

    E poi c’è Simone lo Zelota. Il termine zelota noi lo potremmo tradurre oggi con l’espressione il brigatista. Gli zeloti erano un gruppo di scalmanati che volevano liberare la Palestina dal dominio dei romani e non badavano a mezzi, anzi, teorizzavano l’uso della violenza contro i romani, soprattutto l’uso degli attentati proditori attraverso un pugnale corto ed affilato che si chiamava sica in latino, da cui il termine sicario; e zelota vuol dire sicario. Questo è un ex sicario, un ex brigatista. E poi soprattutto l’ultimo, un certo Giuda Iscariota. Nota il Vangelo: «quello che poi lo tradì».

    Dunque se facciamo passare la serie ci accorgiamo proprio che non erano i migliori, come noi li pretenderemmo, quelli più garantiti in partenza. Sappiamo poi, più in generale, che non erano neanche laureati, non erano neanche particolarmente scaltri come organizzatori e come capacità manageriale, perché quando il Signore fu messo in croce, se fosse dipeso da loro, l’azienda sarebbe subito fallita. Erano dodici persone qualunque con i limiti e anche con qualche valore; ma soprattutto con tanti difetti come li hanno tutti gli uomini.

    Perché il Signore ha scelto questi?

    Non c’è una risposta precisa: «chiamò a sé quelli che egli volle».

    «Pregate il padrone della messe»

    Se potessimo tentare un’interpretazione potremmo dare questa: che il Signore si è un po’ divertito – se mi lasciate passare l’espressione – a prendere quelli proprio apparentemente meno idonei per manifestare che quella grande impresa che Egli avrebbe affidato a loro non era loro, non dipendeva dai loro meriti; perché nessuno si vantasse davanti a Dio – come disse in una certa pagina l’apostolo Paolo – ma si riconoscesse che noi siamo niente e tutto quello che riusciamo a fare lo possiamo perché la sua potenza è con noi. E noi siamo strumenti efficaci nelle sue mani. Forse è per questo che il Signore ha scelto quei dodici. E questo stile, Dio continua ad usarlo anche con coloro che vengono dopo gli apostoli. Perché sono diventato Vescovo io? È difficile dirlo. Io sono convinto che c’è in giro tanta gente più brava di me.

    Perché sono diventati preti i vostri sacerdoti, e ogni anno alcuni giovani preti si aggiungono al gruppo dei preti delle diocesi? Perché questi e non altri?

    Nessuno può rispondere esattamente, esaurientemente. L’unica cosa che appare chiara, sempre ed in ogni modo, è questa: che Dio, per un incomprensibile mistero di misericordia, ha fissato i suoi occhi su di loro e li ha chiamati. Questa libertà di scelta di Dio spiega allora anche perché il Signore – in un’altra pagina del Vangelo – dice: «Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe».

    Se li avessimo noi pronti da sfornare, i preti, non ci sarebbe bisogno di pregare il Signore che li chiami. La Chiesa, invece, deve implorare dal Signore che Egli eserciti ancora e sempre questa sua sovrana libertà al di là dei nostri poveri meriti.

    Se volessimo ben guardare, ad essere un po’ pignoli, un po’ precisi, chi sarebbe mai degno di diventare prete o di diventare vescovo? Nessuno.

    Allora bisogna chiedere che il Signore eserciti, nonostante tutto, questa sovrana libertà e chiami ancora qualcuno. E il Signore ci ha promesso che lo farà, se la nostra preghiera nascerà proprio da questa convinzione.

    I preti non li sforniamo noi come il miglior prodotto della nostra ditta. Noi offriamo solamente al Signore il povero risultato del nostro impegno educativo.

    Certo, i preti vengono fuori dalle nostre famiglie, dalle nostre parrocchie, ed è importante anche tutto il lavoro di formazione che si fa, però, c’è sempre questa misteriosa parola: «Egli chiamò a sé quelli che Egli volle». Per questo, bisogna pregarlo, il Signore.

    Io ho provato a fare il Rettore del Seminario per un po’ di anni e ho fatto l’esperienza precisa e sconcertante di quanto sia vera questa parola.

    Quante volte mi è capitato di parlare, per esempio, con delle mamme che spasimavano dalla voglia di avere un figlio prete e, niente da fare, perché il figlio pensava a tutt’altro; e quante volte, invece, mi è capitato di vedere diventare preti giovani provenienti da famiglie che si sarebbero meritato tutto meno che un prete.

    È davvero misteriosa l’azione della grazia di Dio!

    L’unica cosa che noi possiamo e dobbiamo fare, e l’unica cosa che è sicura perché l’ha promessa il Signore, è di pregare intensamente perché Egli eserciti questa sua libertà a nostro favore, e scelga quelli che lui sa essere i migliori secondo il suo punto di vista e non necessariamente secondo il nostro. Perché c’è chi lo vorrebbe in un modo il prete, chi lo vorrebbe in un altro. Alla fine, è meglio che sia il Signore che scelga i preti, con la sua sovrana e divina libertà.

    «Ed essi andarono da lui»

    Seconda parola che vorrei tirare fuori da questo brano: «Ed essi andarono da lui». Sono brevissime parole ma sono bellissime. Il Signore li chiamò ed essi andarono.

    È impressionante questa successione di verbi: chiamò e andarono. Non c’è scritto: «li chiamò ed essi si consultarono per vedere se valeva la pena»; non c’è neppure scritto: «li chiamò ed essi andarono dal sindacato a chiedere quali erano le condizioni contrattuali vigenti per vedere di bene firmare prima di impegnarsi»; non c’è neanche scritto: «li chiamò ed essi prima fecero il conto di cosa lasciavano e di cosa prendevano». C’è scritto: «li chiamò ed essi andarono». Quest’ultimo verbo, nella sua crudezza, fa vedere la prontezza di questo arrendersi di fronte alla chiamata del Signore che è ciò che veramente dipende da noi. Non è chiesto a noi di essere bravi, di essere i migliori. A noi che siamo chiamati è chiesto di lasciarci prendere, di dirgli di sì, di «piantar lì tutto» quello che stiamo facendo – anche le cose apparentemente più importanti e più decisive – e credere con fiducia assoluta che se il Signore ci prende è perché ha un disegno infinitamente più vero e più giusto del nostro. E quando uno ha il coraggio di fare così, allora il Signore pensa lui a dargli le doti, la forza, la preparazione e tutto quello che è umanamente necessario per fare in maniera degna il suo ministero, il suo servizio a favore degli uomini. Notate questa dimensione molto personale: «Egli li chiamò ed essi andarono da lui». Non semplicemente andarono a organizzare, a trafficare, a darsi da fare, no, anzitutto andarono da lui.

    È solo la risposta personale a quello sguardo personale d’amore con cui Dio ti sceglie che stringe questa alleanza col Signore e fa da fondamento ad ogni autentica chiamata, ad ogni vero ministero.

    Dopo verrà anche l’organizzazione, verrà il darsi da fare, verrà lo spendersi in mille modi per inventare tutto quello che è necessario per servire gli uomini annunciando il Vangelo. Ma la radice di tutto, è questo coraggio di piantar tutto e di scegliere lui come lui ha scelto noi.

    «Quello che abbiamo visto lo annunciamo a voi»

    Il Signore li chiama, li sceglie, ma che cosa gli vuol proporre, che cosa li impegna a fare? C’è qui un’altra espressione molto bella: «ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni».

    Qui c’è la tensione costitutiva di ogni essere prete, di ogni essere ministro, collaboratore degli apostoli.

    La vita del prete ha questi poli di attrazione: da una parte lo stare con lui e, dall’altra, andare a predicare e a scacciare i demoni.

    Queste due cose sono la sostanza del ministero apostolico.

    La prima: stare con lui.

    È bellissima questa parola e noi sappiamo dal Vangelo che Gesù se li è tenuti vicino per quasi tre anni. Perché? Perché per poter diventare annunciatori di lui agli altri bisogna aver fatto l’esperienza personale di una amicizia con lui talmente intensa, talmente precisa, talmente totale che quando il prete andrà a predicare lui, la parola che dice, venga accolta dagli altri come parola che non è ripetuta, parola stanca, parola astratta, parola morta, ma venga avvertita come parola che nasce dalla vita, che trasmette qualcosa di una esperienza che nessuno riuscirà mai a riferire fino in fondo ma che, in qualche modo, può davvero essere partecipata agli altri.

    Ricordate l’inizio della prima lettera di San Giovanni: «Quello che noi abbiamo visto, quello che noi abbiamo ascoltato, quello che le nostre mani hanno toccato di lui, la Parola della vita, questo noi annunciamo a voi».

    Questa è la prima componente essenziale dell’esperienza e della vita di un prete. Poter dire agli altri: «quel Dio che io vi annuncio, io l’ho visto, perché sono stato con lui, perché ho ascoltato la sua parola, perché ho mangiato con lui alla sua mensa, perché ho partecipato con lui a questa tensione appassionata verso la venuta del Regno».

    È quello che hanno fatto gli apostoli vivendo con lui per tre anni. Ebbene, nessuno oggi, nessun prete, nessun vescovo può ripetere alla lettera quello che hanno fatto gli apostoli, perché il Signore non si fa più vedere e sentire e toccare come si è fatto vedere allora. Però noi sappiamo che nella fede, nei sacramenti, nell’ascolto della sua parola che ci è consegnata dalla Tradizione della Chiesa e dalle Sante Scritture, è possibile ripetere questa esperienza in maniera misteriosa ma vera. Allora, sempre, chi vuole essere apostolo, chi vuole essere prete, deve partire da qui: stare con lui, il Signore, e non soltanto andare da lui per ricevere un incarico, ma andare per stare con lui. E questa parola stupenda, questo stare, vuol dire una continuità di intimità, di amore, di amicizia che diventa cemento che progressivamente stringe e lega l’uno all’altro, diventa solidarietà di vita e di destino. Solo così allora si potrà predicare in maniera convincente e vera.

    Stare con il Signore

    «Stare con il Signore»: questa è la prima cosa essenziale per un prete, per un vescovo. Questa parola mi brucia le labbra perché so benissimo quanto anche noi, poi, siamo poveri peccatori e quante volte anche noi troppo poco abbiamo il coraggio di stare con il Signore trovando la scusa o l’alibi delle molte cose che abbiamo da fare.

    È vero, ne abbiamo tante di cose da fare, perché voi ce le chiedete, perché i bisogni sono tanti, perché oltre a quelli che vengono in chiesa, bisognerebbe andare a cercare quelli che non vengono, che sono di più, purtroppo.

    Però, guai, se noi perdessimo il coraggio di mettere al primo posto questa componente essenziale.

    Stare con il Signore vuol dire preghiera, vuol dire meditazione della sua parola, vuol dire ricevere noi per primi quei sacramenti che poi amministriamo; vuol dire fare l’esperienza nel silenzio, nella solitudine profonda di questa misteriosa vicinanza del Signore che riempie la nostra vita.

    E, lasciatemi dire, voi fate bene a chiedere a noi preti tante cose: «facciamo questo, facciamo quell’altro, costruiamo di qui, inventiamo di là». E difficile, però, sentire dire da voi, dalla gente, dai fedeli: «fatevi vedere un po’ di più, voi per primi, in chiesa a pregare da soli il Signore». Chi di voi ce l’ha mai chiesto? E così non ci aiutate.

    Il primo servizio che voi ci dovreste rendere, secondo la parola del Vangelo, è questo: quasi costringerci a stare con il Signore. Perché, se noi stiamo davvero con lui, allora vi nutriremo, allora vi potremo parlare davvero di lui, allora vi potremo trasmettere qualcosa di questo mistero che abbiamo contemplato.

    Se, invece, continuiamo a correre e basta, ad un certo punto rischiamo di dirvi parole vuote, di correre invano, di non essere più significativi.

    Io, vescovo, vi autorizzo a dire qualche volta a me, se mi vedete in giro, o ai vostri preti: «fatevi vedere che state con il Signore, perché così ci servirete meglio, perché così sarete veramente più profondamente preti per noi».

    Questa è la tensione, il primo polo di attrazione per il prete.

    Andare verso i fratelli

    L’altro polo di attrazione è di andare.

    Il Signore chiama a sé non per concedere il privilegio di una certa intimità un po’ gratificante, un po’ intimistica, un po’ privatistica, ma chiama a sé per riempirci di lui e per mandarci poi ad essere testimoni, annunciatori, quasi – in un certo senso – dei sacramenti viventi della sua presenza in mezzo al mondo per voi.

    Guai se non andassimo: siamo preti, siamo vescovi, perché mandati.

    Non si diventa preti o vescovi perché si è bravi, ma perché Dio ha voluto aver bisogno di noi anche se eravamo i meno degni per trasmettere agli altri qualcosa di sé.

    «Il Signore ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni».

    Ecco le grandi cose che devono fare i preti: annunciare il Vangelo (predicando alla gente non soltanto nell’omelia della messa, ma, se serve, «sia a tempo opportuno che in tempo inopportuno», come dice San Paolo, pur di far risuonare la parola del Signore) e, unitamente a questo annuncio, scacciare i demoni.

    Cosa vuol dire?

    Vuol dire rendere così attuale ed efficace quella parola da farla diventare parola che libera gli uomini dalla schiavitù che Satana mette attorno a loro e con le quali li lega ad una visione pagana della vita in contrasto col disegno di Dio.

    Scacciare i demoni, vuol dire liberare gli uomini dalle schiavitù, da ogni schiavitù, da tutte le forme di schiavitù che deturpano l’immagine dell’uomo e diventano forma di oppressione e di schiacciamento della sua dignità. Da quelle della coscienza innanzitutto, da quelle del cuore: rinnovando così l’uomo e la società.

    E questo il prete fa con la potenza che ha fra le mani che sono i sacramenti e attraverso quell’altra forza che è la sua guida pastorale.

    Succede, però, che il prete, preso da questa tensione – da una parte stare con il Signore, dall’altra andare agli uomini per annunciare il Vangelo e per liberarli dalle schiavitù di Satana – sparisce, non c è più, e questa è la cosa più terribile e più dolce assieme dell’esperienza dell’essere preti e vescovi.

    Questo non appartenerci più e non avere più tempo per noi, a me, provoca qualche volta, questa domanda: «ci sono ancora?», perché davvero non c’è più il tempo fisico di pensare, di coltivare quelle cose che piacciono a noi, perché la nostra vita è mangiata da questa duplice schiavitù d’amore: lo stare con il Signore e l’andare verso gli altri.

    In qualche momento ciò è terribile perché vuol dire morire giorno per giorno ai nostri gusti, ai nostri schemi, alla nostra volontà. E insieme, però, l’esperienza più dolce; in fondo è anche bello vivere una vita così, essere un po’ vagabondi per il Signore, non avere più tempo per garantirci le nostre piccole cose, ma essere quasi costretti, ormai, a liberarci anche delle nostre piccole schiavitù per essere tutti e soltanto di Dio e degli altri.

    «Costituì i dodici»

    Li scelse, li chiamò, andarono e li chiamò perché stessero con lui e per mandarli – poi – li costituì come apostoli.

    Se non c’è, ad un certo punto, un gesto del suo amore che ci cambia dal di dentro e ci fa uomini e ci segna per sempre in questo nuovo rapporto con lui e con gli uomini, non c’è ancora il prete, non c’è ancora l’apostolo. Voglio alludere al Sacramento dell’Ordine.

    Quel costituirli, con cui allora Gesù fece apostoli i dodici, continua nella storia della Chiesa attraverso il Sacramento dell’Ordine.

    Si diventa preti non per un atto di buona volontà e basta, ma solo se Lui, nel gesto misterioso del sacramento, attraverso la imposizione delle mani del Vescovo, ci costituisce, ci fa preti, cioè ci cambia qualcosa dentro.

    Quando si studiava il catechismo in maniera un po’ precisa, si studiava che il Sacramento dell’Ordine imprime il carattere. Ciò vuol dire che il Signore prende a tal punto, da segnare irrimediabilmente e per sempre il cuore e la coscienza del prete con un tipo di legame e di orientamento a lui e agli uomini che è indelebile, che è incancellabile anche se – ecco l’ultima parola che chiude il brano evangelico –, anche se il dodicesimo si chiama Giuda Iscariota e può capitare che, pur essendo stato costituito, fatto apostolo, un certo giorno, un triste giorno, abbia a tradire. Qui il mistero si fa ancora più profondo ed incomprensibile.

    Dio ci segna in maniera indelebile, però non ci toglie la libertà, non ci fa cose, strumenti materiali: ci vuole strumenti liberi, responsabili. Lui mette tutta la sua potenza per farci uomini nuovi, ma vuole che questa novità noi la rimettiamo in gioco ogni giorno con la nostra libertà, e la nostra libertà, fin che viviamo, è una libertà fragile e può anche avvenire, Dio non voglia, che perfino uno dei dodici, uno che ha visto, che ha sentito, che ha mangiato col Signore, che ha toccato il Verbo della vita, abbia a venir meno.

    Per questo il Signore ha fatto i suoi preti e i suoi vescovi non fuori dalla Chiesa, ma prendendoli dentro alla Chiesa e mettendoli al servizio della Chiesa. Il Signore vuole contare non solo sulla fedeltà dei preti ma sull’aiuto e sul sostegno di tutta la comunità cristiana.

    Se la comunità cristiana sa riconoscere il dono e la grandezza di questa chiamata al sacerdozio che emerge dentro di lei e sa aiutare e sostenere i suoi preti, allora c’è speranza che la libertà dei sacerdoti resti fedele. Allora la responsabilità diventa comune e allora verrebbe la domanda: «che cosa facciamo per aiutare i nostri preti ad essere davvero dei bravi preti fedeli fino in fondo al loro ministero?».

    E quando ci è capitato dolorosamente – tra noi, stasera, qui in famiglia, queste cose ce le dobbiamo anche dire – quando è capitato qualche volta che qualcuno se ne sia andato, ci siamo mai chiesti: «ma la colpa era tutta e solo sua o la colpa forse non era un po’ anche nostra?». Nostra, voglio dire di quella comunità cristiana dove quello era stato mandato e che non aveva il diritto soltanto di pretendere, ma aveva anche il dovere di dare perché la Chiesa è una comunione, una famiglia dove i ruoli sono diversi, ma dove la responsabilità deve essere comune.

    «Se il signore, un giorno, vi cercasse...»

    Voi state celebrando questa settimana delle vocazioni soprattutto per farne venir fuori qualcuna e Dio sa se ce ne bisogno! E allora vorrei dire una parola ai giovani perché gira e rigira, poi si arriva lì.

    Se il Signore, un giorno, vi cercasse, fissasse su qualcuno di voi il suo sguardo e vi chiamasse a sé, ricordatevi che non è un affare soltanto privato questo: è una immensa responsabilità e, dal vostro , dipende la vita di tutta la Chiesa. E anche questo vi aiuti ad avere il coraggio di non dirgli di no.

    Il Signore i suoi scherzi li fa. Io fino a vent’anni ho sempre giurato a morte che mai mi sarei fatto prete, quando qualche prete amico mi buttava lì il tranello, mi inzigava un po’: «ma tu non hai mai pensato se Dio...»; «...per carità!».

    Poi, ad un certo punto, il Signore mi ha fatto lo scherzo e a ventitré anni sono entrato in Seminario e

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