La questione politica nell'impegno pastorale di Mons. Natale Mosconi
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Anteprima del libro
La questione politica nell'impegno pastorale di Mons. Natale Mosconi - Sergio Vincenzi
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Intro
Uno studio importante e difficile, ma doveroso nei confronti di un Pastore che si è occupato di politica, nel senso autentico del termine, senza mai uniformarsi a scelte precise e vincolanti. Studioso di storia della Chiesa, mons. Natale Mosconi aveva capito che l’impegno politico doveva essere accompagnato dalla verità e dalla carità, che sono l’espressione autentica di intendere il Vangelo.
PRESENTAZIONE
Consapevole della personale insufficienza, ma richiesto dalla sincera cordialità dell’invito, dirò appena quanto un’attenta lettura del testo mi suggerisce.
L’Autore, don Sergio Vincenzi, innanzitutto, intende offrire alla memoria del vescovo del cuore una perseverante indagine condotta sino a raggiungere, con il presente, un sesto volume. È facile pensare che si tratti di una operazione apologetica, di carattere quindi agiografico, visto com’è il prelato allo spartiacque tra la strenua difesa della societas christiana
oramai al tramonto e le sempre più avanzate rivendicazioni della laicità dello Stato.
Obiettivamente, l’Autore riconosce che è difficile scorgere nell’arcivescovo Mosconi momenti e gradi di consapevolezza critica in questo epocale trapasso storico. Il magistero pontificio globale nelle sue progressive recezioni del nuovo risulta per il Presule il criterio derimente, come apertamente si evidenzia nel IV volume, edito nel 1949, della sua Storia del Cristianesimo .
Tutto passa attraverso questo prisma veritativo: così è per Murri, Sturzo, De Gasperi e persino per il sindacalista bianco, Guido Miglioli, l’amico della sua terra: la cremonese e battagliera Soresina. Tale magistero pontificio non è colto secondo scansioni temporali differenziate ma viene considerato da Mosconi nella sua globalità e sostanziale immutazione.
Vincenzi, ampiamente informato sul flusso delle interpretazioni ermeneutiche di oggi rispetto ai fatti di ieri, da Scoppola a Guasco, da Lepre a Sale, inquadra il suo Personaggio entro le correnti di pensiero che trascorrono dalla Metafisica sociale
dei neotomisti al personalismo comunitario
di Maritain. L’evolversi del pensiero di Mosconi coincide quindi con l’evolversi sociopolitico del pensiero dei papi (Pio XI e Pio XII).
In Mosconi interagisce entro questa impostazione pure il suo vescovo, una autentica perla dell’episcopato italiano, Giovanni Cazzani, che da giovane presule aperturista
a Cesena, salvi sempre i limiti invalicabili del Modernismo, in età matura passa a Cremona, e, per così dire, va a sintetizzare gli atteggiamenti (meglio sarebbe chiamarli carismi) contrassegnati dai nomi emblematici di Primo Mazzolari e di Natale Mosconi.
Che l’uno e l’altro fossero avversi al fascismo, specie al locale di Roberto Farinacci, pur sotto angolazioni diverse ma confluenti nel segno della Libertà, è pertinentemente annotato da Vincenzi.
Dell’Autore è da apprezzare la diuturna attenzione portata ad un Vescovo, ad un Pastore di anime, sul quale si affievolisce e, in qualche modo, la memoria viene relegata al passato. Un passato che pur deve far meditare tanto l’oggi, comunque le due età si interpretino.
Mons. Antonio Samaritani
INTRODUZIONE
Nel 20° della dipartita dell’Arcivescovo Natale Mosconi (1904-1988), ho voluto, con questo sesto volume, La questione politica nell’impegno pastorale in mons. Natale Mosconi , onorarne la memoria. È l’ultimo studio della collana riguardante mons. Mosconi e il territorio ferrarese.
Uno studio importante e difficile, ma doveroso nei confronti di un Pastore che si è occupato di politica, nel senso autentico del termine, senza mai uniformarsi a scelte precise e vincolanti. Studioso di storia della Chiesa, aveva capito che l’impegno politico doveva essere accompagnato dalla verità e dalla carità, che sono l’espressione autentica di intendere il Vangelo.
Questo studio può dare l’impressione di essere partiti da tempi remoti, in realtà, ciò che viene preso in considerazione è l’evolversi di un cammino storico-politico, senza la conoscenza del quale, non si capirebbero i cambiamenti e le trasformazioni dentro un percorso che riguarda la storia della Chiesa e anche quella dello Stato italiano.
Pur seguendo la storia che va dal 1870 al dopoguerra fino al 1970 circa, ho cercato di fare un percorso con l’aiuto degli studi, conferenze e predicazione di mons. Natale Mosconi, per avere la massima obiettività del suo pensiero e del conseguente impegno nell’ambito pastorale.
Gli scritti dell’Arcivescovo, esprimono molto bene il suo pensiero cristiano e civico e restano, secondo me, la testimonianza più autentica di un credente che ha vissuto con le radici rivolte al cielo.
Per il suo impegno e contributo dato alla storia
, mi sembra giusto aver contribuito alla conoscenza di un uomo che merita, al di là di personali impressioni, un ricordo importante dentro un territorio che egli ha amato e per il quale si è speso fino in fondo.
Don Sergio Vincenzi
PREMESSA
Mons. Natale Mosconi, nasceva a Soresina (Cremona) il 26 dicembre 1904. Da poco più di un anno, era stato eletto ed incoronato Pontefice il Patriarca di Venezia Giuseppe Melchiorre Sarto, che assumeva il nome di Pio X (9 agosto 1903).
Nel 1917, a quasi quattordici anni, entrava in Seminario e veniva iscritto alla IV ginnasio (era Papa: Benedetto XV).
Il 2 aprile 1927, veniva ordinato sacerdote dal suo Vescovo e Padre mons. Giovanni Cazzani (pontefice: Pio XI).
Ora, diventa obbligatorio fermarsi sul cammino spirituale e culturale del giovane don Natale, per dare un po’ di spazio alla storia d’Italia e della Chiesa, che nello spazio di 47 anni, ha avuto delle tappe troppo importanti, significative, di grandi cambiamenti e trasformazioni. Mons. Mosconi, molti eventi li aveva sicuramente vissuti nella loro pienezza e drammaticità.
Bisogna, per forza di cose, partire dal pontificato di Pio IX e precisamente dalla presa di Porta Pia da parte dell’esercito italiano il 20 settembre 1970. Questa data è importante perché coincide con la fine del potere temporale dei Pontefici, non con quello spirituale che attraverso il Concilio Vaticano I (1869-1870), ne sanzionò il primato apostolico sulle Chiese e su tutti i Pastori in materia di fede, morale e disciplina ecclesiastica.
80 ANNI DI STORIA. TRA CAMBIAMENTI E STABILIZZAZIONE
Pio IX e il 1870.
Lo scoppio della guerra franco-prussiana e la caduta di Napoleone III a Sedan, renderanno possibile l’occupazione di Roma. Il governo italiano presieduto da Giovanni Lanza riteneva opportuno agire e annettere Roma all’Italia, supportato dalla volontà del re Vittorio Emanuele II, che intanto, invitava il Papa a cedere per evitare gravi danni alla Chiesa.
Pio IX, rispondeva al re dove, in una lettera amara diceva: «Io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principi che essa contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa che è interamente la sua» ¹.
La lettera del Santo Padre, non sortiva alcun effetto. Il Re e il governo italiano, davano l’ordine al generale Cadorna di penetrare in territorio pontificio, ma di rispettare la città Leonina dove si trovava il Vaticano.
La mattina del 20 settembre 1870 le truppe pontificie comandate dal generale Kanzler e le truppe regie aprivano le ostilità. La battaglia durò circa quattro ore, ci furono 56 morti e 141 feriti tra i bersaglieri e i fanti italiani e 20 morti e 49 feriti tra le truppe pontificie. Scrive lo storico Danilo Veneruso: «Fu merito di Pio IX. Il pontefice si dimostrò saggio nell’ordinare il cessate il fuoco non appena iniziò lo scontro. Proviamo ad immaginare lo spargimento di sangue se il Papa avesse incitato o chiamato alla resistenza l’intero popolo cristiano» ² .
Con la breccia di Porta Pia, si apriva una lacerante frattura tra Chiesa e Stato. Pio IX si dichiarava prigioniero politico dell’Italia e attraverso l’enciclica Non expedit
³, vietava ai cattolici di prendere parte alla vita politica del Paese. Soltanto nel 1929, i Patti Lateranensi risolvevano la tormentata questione romana
.
Certo l’intervento bellico italiano, determinava la contrapposizione più aspra della storia tra Stato e Chiesa. La posizione e reazione di Pio IX, si può capire, perché in verità il suo non era un attaccamento al potere temporale, ma la preoccupazione per la presenza della Chiesa nella società. Inoltre, è inutile nascondere che fu la vittoria di un liberalismo e di una politica anticlericale, che tentava di distruggere la Chiesa. Del resto il liberalismo aveva in sé la negazione delle libertà religiose e già nel 1864 attraverso il Sillabo
, Pio IX condannava gli 80 errori del liberalismo tra i quali spiccano la libertà di coscienza e di culto, la separazione tra Stato e Chiesa, il matrimonio civile, l’abolizione dei privilegi del clero. Quindi già nel 1864, Pio IX, riteneva impossibile ogni collaborazione con il liberalismo. Da notare che, nello stesso tempo, il Papa condannava il funestissimo errore del comunismo e del socialismo. Oggi, è più facile avere uno sguardo più obiettivo di tutto il problema, perché i mezzi sono cambiati, la storia ha percorso strade assai diverse, ma bisognava riconoscere che dietro la conquista di Roma, si nascondeva il proposito degli anticlericali di cancellare il tessuto sociale cristiano dell’Italia. Scriveva in un articolo Vittorio Messori: «È stata una di quelle occasioni in cui il Dio cristiano sa scrivere dritto su righe storte. Perché guardandolo in una prospettiva storica quell’evento si può definire provvidenziale, come riconobbe Paolo VI. Ma per una questione di principio fecero bene ad opporsi Pio IX e gli altri pontefici fino al 1929: c’era da salvaguardare l’indipendenza della Chiesa se pur su un territorio piccolo. La libertà politica è condizione indispensabile della libertà religiosa: il Pontefice non può essere un prigioniero dello Stato, un suddito. E il suo magistero non può essere condizionato dalla politica come per esempio lo fu ad Avignone. Il 20 settembre è una data importante, se pur dolorosa per la cristianità» ⁴ .
È certo che il potere temporale del Papa era tramontato per sempre anche se Pio IX si ostinava a credere che questo sarebbe stato reintegrato nei suoi legittimi possessi.
Il suo non expedit
, non facilitò l’opera dei cattolici, che era già allora una parte essenziale nella vita politica italiana. Oggi nessun credente ha nostalgia del potere temporale della Chiesa, così come è stato riconosciuto da due grandi pontefici come Giovanni XXIII e Paolo VI.
Il problema che si era creato, era sentito anche dal Governo Italiano, che elaborava nel 1871 la famosa Legge delle guarentigie
che, ispirandosi alla premessa cavuriana Libera Chiesa in libero Stato
, garantiva al Pontefice le prerogative sovrane, la libertà della sua autorità spirituale, l’extra territorialità dei palazzi vaticani, del Laterano e di Castel Gandolfo.
Comunque questo problema di convivenza tra Stato e Chiesa, si doveva protrarre sino al 1929 con la firma dei Patti Lateranensi
, anche se i cattolici nel 1913 col Patto Gentiloni
, avevano superato il non expedit
partecipando attivamente alla vita politica.
I Pontefici, da Leone XIII a Pio XI, dovevano fare i conti con una situazione fluida, non del tutto composta, che spesso metteva in aspra contrapposizione la Chiesa e lo Stato, su questioni di diritto e funzioni della Chiesa, più volte espresse da entrambe, ma non mai ben definite.
Nella sua opera in quattro volumi, Storia del Cristianesimo ⁵, mons. Mosconi non approfondisce il tema in questione, anzi non si trova neppure un accenno. La sua Storia
, è totalmente di tipo spirituale e forse volutamente non politica. Mi ricordo però che, in una conversazione sulla fine del potere temporale dei Papi, mi diceva: «Sta tranquillo che, al di là di quello che hanno scritto, Papa Pio IX era ben felice di non dover pensare alle cose del tempo, tanto che per lui gli eventi che ne seguirono furono una liberazione che lo sollevarono non poco».
Dalla storia si ha una visuale più tormentata, però l’Arcivescovo Mosconi parlava dell’uomo Pio IX e non certo degli interessi della Chiesa che, comunque, avevano una loro validità.
Leone XIII.
Il 20 febbraio 1878 veniva eletto Pontefice romano, di quella Roma capitale d’Italia, il Card. Gioacchino Pecci di