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Yulara magia australiana
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Yulara magia australiana
E-book264 pagine3 ore

Yulara magia australiana

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Info su questo ebook

Il Kookaburra Ranch è grande quanto Milano, chilometri e chilometri quadrati che si estendono a poca distanza dalla cittadina di Yulara. Ed è di proprietà di Rossella.
Questo, almeno, è ciò che crede lei, quando molla tutto e parte per l'Australia. 
Ad attenderla trova però una realtà ben diversa da quella che si era immaginata: niente che le consenta di vivere da agiata proprietaria terriera, ad esempio, e una specie di cowboy sfregiato che, dopo un inizio amichevole, pare del tutto intenzionato a rispedirla in Italia il più presto possibile. 
Per Lochlan il Ranch è casa, è lavoro, è famiglia: tutto ciò che ha, tutto quello che ha costruito con fatica nel corso degli anni, è racchiuso nel perimetro del Kookaburra e non lascerà che una tizia annoiata devasti ogni cosa.
E poi c'è Sencond Chance, la lava incandescente che si agita sotto la calma superficie del Ranch, coi suoi segreti mai rivelati... Lochlan ne è certo: Rossella deve andarsene, prima che sia troppo tardi.

***
Romanzi della stessa autrice:
- "Come lampo"
- "Vendetta sottobanco"
- "La Principessa e l'Orso"

Su StreetLib sono disponibili anche le opere minori dell'autrice
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2020
ISBN9791220233330
Yulara magia australiana

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    Anteprima del libro

    Yulara magia australiana - Lucrezia Monti

    Lucrezia Monti

    Yulara

    magia australiana

    UUID: 5e6e61cf-2bc6-4b77-b66f-81d2b0a236cc

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Sogni e parole

    In principio era il Verbo,

    il Verbo era presso Dio

    e il Verbo era Dio.

    - Giovanni 1,1 La Sacra Bibbia

    ***

    Sono sempre i sogni

    a dare forma al mondo

    sono sempre i sogni

    a fare la realtà.

    - Ligabue, Mondovisione

    Non sono mai stato bravo con le parole. Nella mia vita, ne ho dette poche e scritte ancora meno e spesso anche quelle poche si sono dimostrate essere sbagliate per la prova del tempo.

    È con difficoltà, dunque, che scrivo questa lettera e spero che scuserete i miei errori, ma so che i giorni che mi rimangono ormai non sono molti e devo mettere in chiaro un po' di cose.

    Loch, figliolo, tu sei tutto quello che la vita non aveva voluto darmi. È stata dura, per te e per me, ma siamo riusciti a costruire qualcosa di importante e sai che sei il padrone del Kookaburra Ranch, anche se non te l'ho mai detto. Spero di riuscire a parlarti prima di andarmene. Ma le parole non sono il mio forte e tutte le medicine che mi sparano in vena non aiutano, e poi il tempo stringe.

    A ogni modo: Second Chance è tua e in nessun modo tu e chi l'ha resa ciò che è dovrete esserne allontanati. A meno che non siate voi a decidere di farlo.

    Tienilo presente anche quando arriverà Ross dall'Italia.

    Mi sono ricordato di Ross solo di recente, dopo il mio primo attacco, quando il dottore ha detto che sarebbe stato meglio sistemare un po' i miei affari, mettere ordine e non lasciare faccende in sospeso.

    Ho conosciuto suo papà durante il servizio militare, mi sembra che sia passata una vita da allora e mi domando, mentre me ne sto sdraiato in questo letto come un vecchio smidollato, che fine abbia fatto quel giovanotto alto e dal petto largo che faceva impazzire la sua Giovanna. Ah, Giovanna, l'amore della mia vita... L'unico conforto nel sapere che sto per crepare è che forse potrò riabbracciare lei. Ma sto uscendo dai binari, l'ho detto io che con le parole non ci so fare!

    Dunque, vediamo di riprendere il filo del discorso e voi per favore cercate di seguirmi: Amedeo, il papà di Ross, l'ho conosciuto facendo il militare ed è stato il solo amico che mi sia rimasto vicino anche quando è successo quello che è successo, poco prima che io decidessi di venire in Australia. Oggi posso dire che sia stato il mio solo, vero amico e mi è molto dispiaciuto sapere che era morto ben prima del mio attacco; sentivo di dovergli dimostrare in qualche modo la mia riconoscenza, non solo perché durante il servizio militare avevo potuto approfittare dei suoi quattrini, facendo vita da signore rispetto ai nostri commilitoni, ma anche e soprattutto per quello che è successo dopo, e così anche una volta saputo della sua morte ho deciso di non cambiare testamento: quello che sarebbe spettato a lui andrà a Ross e in ogni caso sono sicuro che voi due insieme riuscirete a tenere in piedi la baracca.

    Ho riletto questa lettera, se avrò il tempo e la lucidità necessaria cercherò di sistemarla meglio, ma voglio sia chiaro che quando parlo di voi due intendo te Loch e Ross. Siete due ragazzi in gamba (tu lo sei di certo, figliolo, e anche se non ho mai visto Ross conoscevo bene Amedeo e i suoi princìpi e, come si dice, la mela non cade lontana dall'albero); perciò, anche se voi due non vi conoscete e venite da ambienti diversi, so che troverete il modo di andare d'accordo, se non per voi per il bene del Kookaburra Ranch e di tutte le persone che ci lavorano e che hanno qui la loro intera vita.

    Quando parlo di Kookaburra Ranch parlo della casa dove viviamo, ma anche del Kangaroo Lodge, dei terreni, degli animali. Tutta la baracca Second Chance, insomma.

    Forse ho combinato un casino mandando quelle carte in Italia, nominando Amedeo mio erede.

    Forse avrei dovuto parlare con te Loch e dirti quello che so che nei nostri cuori abbiamo sempre saputo anche senza bisogno di dircelo, ma la verità è che non volevo legarti qui, al Ranch, a questa terra, a questa vita.

    Sei stato un figlio per me e un padre vuole solo il meglio per il proprio figlio.

    Lo volevo prima dell'attacco e lo voglio ancora adesso, forse persino di più. Quindi non ti lego al Kookaburra. Fanne ciò che vuoi. Ma ti prego di pensare a Margaret, Daniel e a chi in tutti questi anni lo ha fatto diventare ciò che oggi è.

    Stai bene ragazzo.

    Tony

    Piccole mani paffute sfiorano la lettera, stretta tra le dita lunghe e ormai esili di un uomo morente, il sonno indotto dai medicinali che presto o tardi sarà sostituito dal sonno cui nessuna medicina può porre rimedio. Piano, con cautela, ditini dalle corte unghie sporche di terra sfilano il foglio dalla presa che lo imprigiona sul lenzuolo ancora profumato di bucato. Un passaggio di consegne tra la vita che se ne sta andando e quella che da poco è cominciata, ma il bambino nemmeno lo sospetta.

    Per lui tutto questo è solo un gioco. Una delle tante mascalzonate fatte allo zio Tony, per divertirlo. Quando se ne accorgerà, pensa, farà finta di arrabbiarsi, strizzerà la fronte facendo comparire tutte quelle pieghe sulla pelle abbronzata che lo fanno diventare tanto buffo e chiederà, con la stessa voce che usa quando fa quella del lupo cattivo delle favole, Chi ha rubato la mia lettera?, guardando sia lui sia suo fratello, uguali come due gocce d'acqua. Lo zio Tony non indovina mai chi dei due è stato a fare lo scherzo e di certo non lo indovinerà nemmeno questa volta, pensa il bimbo che già pregusta il successo della birbonata, uscendo in punta di piedi dalla stanza, il foglio piegato in quattro alla bell'e meglio e messo al sicuro nella tasca dei jeans impolverati, stando attento a non svegliare l'uomo che dorme sebbene siano soltanto le tre del pomeriggio. E poi via, di corsa giù per le scale di legno, lungo il corridoio, fuori dalla porta e via, via, via, nel sole del pomeriggio del Kookaburra Ranch.

    1

    Rossella

    La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri piani.

    - John Lennon, Beautiful Boy (Darling Boy)

    Interminabile è la prima parola che mi viene in mente se penso al volo. Estenuante la seconda. Oltre trentuno ore di viaggio, due scali dei quali ricordo solo, in modo molto confuso, quello di Sydney, e ora eccomi qui, all'aeroporto di Alice Springs, alla ricerca di un'auto a noleggio.

    Passo spedita tra le poche persone in attesa, i cartelli di benvenuto, dribblo un autista in divisa e giro al largo da una coppia che si bacia come se il loro respiro dipendesse l'uno dalle labbra dell'altro; mi aspettavo di trovare più gente in un aeroporto internazionale, ma non fa molta differenza: sono sola, qui come altrove. Nessuno che mi aspetti, nessun cartello col mio nome scritto sopra né amici coi palloncini di benvenuto. Niente. Ma non è nulla di troppo diverso da ogni viaggio, breve o lungo, che abbia fatto negli ultimi anni. È così da un sacco di tempo. E va bene. Sono adulta, so gestire la solitudine, specie se è frutto di una mia scelta, mi dico mentre, trascinandomi dietro il bagaglio, varco la soglia dell'autonoleggio.

    Un omone gioviale, camicia bianca e una testa pelata che pare poter riflettere i raggi del sole, mi chiede i documenti, sorride compiaciuto vedendo la mia patente di guida internazionale e sposta diverse volte lo sguardo dalla fotografia della bionda con lunghi capelli fluenti al viso della tizia che gli sta davanti, devastata dal lungo viaggio quasi senza sonno, col trucco sfatto e con capelli a caschetto, scompigliati e rossi. Quando si convince del fatto che queste due donne tanto diverse siano la stessa persona mi elargisce un largo sorriso e cerca di fare conversazione esordendo con un Bella Italia! dal tono estatico e dall'accento marcato, ma ogni suo tentativo si infrange contro il mio muro di stanchezza e di inglese scolastico mai ben approfondito.

    Mi chiede dove sia diretta e, alla mia risposta, inarca un sopracciglio senza aggiungere una parola, ma alla fine mi fa strada fino a una specie di armadio su quattro ruote che scopro essere un fuoristrada. Bianco, lucido, mastodontico. Quasi di sicuro è più grosso del monolocale in cui vivevo a Milano, la mia valigia pare scomparire all'interno del portabagagli e se le mie gambe fossero più corte anche solo di qualche centimetro dubito che riuscirei a salire a bordo. Apro la portiera ed entro in quel pachiderma di metallo lanciando lo zaino sul sedile accanto giusto in tempo per accorgermi di aver appena fatto la mia prima figuraccia in terra australiana: sono sul lato del passeggero.

    Dannazione, qui guidano al contrario!

    L'omone ridacchia, una risata bassa e gutturale che finisce in un cortese colpetto di tosse quando biascico che sono molto stanca e lui mi chiede se sia il caso che mi metta alla guida: Sì - rispondo senza esitazione - Non vedo l'ora di raggiungere il Kookaburra Ranch.

    Mi guarda con fare dubbioso, immagino preoccupato per il suo bestione a noleggio, ma la perplessità viene messa a tacere dalla dura legge dell'economia: appena saldo il conto, allungando nelle sue dita grassocce un buon numero di dollari australiani, molla le chiavi e io metto in moto.

    Il bestione bianco sussulta, tossicchia, ma ben presto, docile, si piega al mio volere, imboccando la strada che mi condurrà alla mia nuova casa.

    Nota di viaggio numero uno: devo ricordarmi di procurarmi un'automobile, appena possibile.

    Questo scherzetto di noleggio mi costa un bel gruzzolo e, comunque, considerata la vastità dell'Australia, un'auto è indispensabile per muoversi.

    Cerco di calcolare a mente quanto potrebbe venirmi a costare, ovviamente di seconda mano: non ho la minima idea di quali possano essere le quotazioni australiane per i diversi modelli di veicolo, per la verità non so nemmeno se quaggiù esistano diversi modelli di auto, dal momento che finora ho visto solo e soltanto fuoristrada, e comunque, se anche avessi abbastanza lucidità mentale per calcolare il cambio dell'euro con il dollaro australiano, non credo proprio che il mio striminzito conto in banca mi consentirebbe di acquistare qualcosa di meglio di una bicicletta.

    Posso solo sperare che mi vengano accreditati alla svelta i soldi che mi spettano e, nel frattempo, iniziare a cercare un mezzo di trasporto che non costi un occhio della testa.

    Il mio lavoro, il mio ex lavoro ormai, era tutto splendore soltanto all'apparenza: si tende a pensare che chi ha un contratto in televisione faccia soldi a palate, e forse è davvero così per chi lavora nelle reti maggiori, non lo so; so solo che posso riassumere la mia pluriennale esperienza nella piccola emittente locale con il proverbio non è tutto oro quello che luccica. Allo stupore ammirato che si dipingeva sul viso delle persone quando dicevo loro quale fosse la mia professione facevano da contraltare i continui ritardi nei pagamenti degli stipendi, oltre all'odiosa abitudine del Commendator Basilico di allungare le mani.

    Per un lungo periodo avevo anche impartito ripetizioni ai ragazzini delle superiori e mi ero adattata a fare la dogsitter per arrotondare, ma avevo dovuto rinunciare a quei guadagni extra ormai un anno fa, quando ero entrata a far parte della redazione del Tg. Un impiego che aumentava le mie ore di lavoro ma non la mia retribuzione. Stringevo i denti e andavo avanti, sorretta solo dal mio sogno di riuscire a fare cronaca io in TV come un tempo l'aveva fatta mio padre in un quotidiano, ma quando è stato chiaro che non avrei mai avuto spazio all'interno del Tg mollare tutto mi era sembrata la cosa più giusta da fare. Soprattutto dopo l'epidemia di Coronavirus, che mi aveva portata a fare un serio bilancio di quella che era la mia vita.

    D'un tratto era stato chiaro, anzi lampante, che dovevo cambiare, tutto e subito! L'eredità lasciatami da Antonio Valente - pace all'anima sua - mi era sembrata una vera manna piovuta dal cielo e, dopo un vivace scambio di opinioni con il Commendator Basilico, avevo lasciato il lavoro, racimolato un po' di risparmi e preparato tutte le carte per andarmene in Australia. Così ora mi ritrovo all'altro capo del mondo con pochissimi soldi a disposizione e con ancora meno idee di quale possa essere il mio futuro.

    Michele, che non si rassegnava all'idea di perdermi, aveva detto e ripetuto che quello che stavo per fare era un colpo di testa, e non si riferiva solo al taglio netto dei miei capelli o alla scelta di tornare al mio rosso naturale, ma il rifiuto sprezzante del commendatore alla mia richiesta di cambiare mansione era ancora troppo bruciante e il mio orgoglio ferito mi aveva spinta ad acquistare un biglietto di sola andata per l'Australia prima ancora che potessi dire cumulonembi.

    Questo mio caratteraccio impulsivo credo sia stato anche uno dei motivi che aveva portato anni fa mia mamma a fare i bagagli e trasferirsi con il suo nuovo amore alle Canarie. Stefano è un brav'uomo, dopotutto, e devo riconoscere che si era davvero messo d'impegno perché io accettassi il fatto che lui e mia madre si fossero innamorati, ma la verità è che io sono sempre stata fredda e scostante nei suoi confronti. Semplicemente, non accettavo che mia mamma potesse essere felice accanto a un uomo che non fosse mio papà. E poco importava che lui fosse morto ormai da oltre sette anni. Stefano non era papà, punto. Come poi mia mamma potesse tramutarsi da cittadina milanese a contadinella insulare era e rimane un mistero che nemmeno le più acuminate frecce di Cupido potevano giustificare ai miei occhi.

    Con l'andare del tempo avevo accettato questa loro relazione, ero persino andata a trovarli un paio di volte per delle lunghe vacanze e proprio in quell'occasione mi ero procurata una patente di guida internazionale, ma i nostri rapporti erano rimasti comunque piuttosto freddi: la gentile cortesia che si sfoggia quando si cerca in tutti i modi di andare d'accordo, senza però mettersi realmente in gioco rischiando così di poter rimanere feriti.

    Forse somiglio troppo a mia mamma, entrambe così testarde e orgogliose, perché le cose tra noi possano davvero tornare a funzionare come quando papà era vivo. Lui era sempre stato l'ago della bilancia, l'acqua cheta pacificatrice tra i nostri due caratteri di fuoco e fiamme. Tutto il suo ardore e la sua foga papà li metteva nel lavoro, a caccia di scoop.

    Il sole splende ormai alto nel cielo, non ho nemmeno idea di che giorno sia perché temo di aver fatto una confusione tremenda tra fusi orari e scali a lunga permanenza nei diversi aeroporti, ma di certo è giorno, questo almeno è assodato.

    Cielo terso, temperatura piacevolissima che mi fa subito sfilare la giacca di jeans e gettarla sul sedile posteriore: è l'inizio di giugno e quaggiù comincia l'inverno.

    Sorrido al pensiero, che stride con tutto ciò che ho sempre saputo, con quella che era la mia vita nell'emisfero boreale.

    In Australia l'inverno è nei mesi che noi consideriamo estivi e Natale si festeggia sì il 25 dicembre, ma andando in spiaggia.

    Persino i jeans iniziano a sembrarmi troppo pesanti sotto i raggi del sole che filtrano nell'abitacolo mentre proseguo lungo la strada che pare attraversare il nulla, un nulla fatto di terra rossa e di alta erba verde rinsecchita. Ci saranno tra i venti e i venticinque gradi, stimo a naso, sentendo il calore sulla pelle del viso attraverso il finestrino lasciato abbassato, così che entri un po' d'aria a rinfrescarmi le idee.

    Oh, to', una carovana di cammelli.

    Cammelli?

    Sgrano gli occhi, convinta di aver preso un'insolazione o di essermi addormentata alla guida e di stare sognando, mentre osservo attonita quella dozzina di animali che, in fila uno dietro l'altro, ciascuno con una persona in groppa, avanzano placidi nel deserto a qualche decina di metri di distanza dalla strada asfaltata. Non ci sono dubbi, sono proprio cammelli! Sbatto le palpebre, un clacson urla prepotente, guardo la strada giusto in tempo per vedermi piombare addosso una jeep mastodontica, sterzo bruscamente lanciando un grido e dopo alcuni sobbalzi la mia auto si ferma nel bel mezzo del deserto, a un centinaio di metri dalla carreggiata.

    Maporcaputtana! grido balzando giù dal fuoristrada mai così fuori strada, mentre dall'altra vettura, ferma al margine della carreggiata, scende un uomo alto e con cappellaccio da cowboy che mi viene incontro in controluce.

    Se non fossi incazzata come una bestia forse mi soffermerei a osservare quella figura alta e robusta che avanza sotto il sole come l'eroe di un vecchio film del Far West. Il che stride non poco con l'immagine da deserto del Sahara che mi si era stampata nella mente al passaggio della carovana di cammelli.

    Quando è abbastanza vicino mi chiede se sto bene, ma io gli rispondo urlandogli contro qualcosa di incomprensibile, un mix allucinato di inglese, stanchezza, italiano, spavento e imprecazioni multiculturali.

    Lui avanza di qualche passo ancora, inclina la testa da un lato e stringe gli occhi a fessura, cercando di decifrare le mie parole. Maybe you're shocked azzarda, voce calma e profonda.

    Scioccata? Altroché se sono scioccata, brutto idiota! Per poco non mi fai ammazzare!

    Lo spilungone si piazza ritto di fronte a me e, mani ai fianchi, mi fa notare che io per poco non faccio ammazzare entrambi, guidando sul lato sbagliato della strada.

    Merda, qui si guida tenendo la sinistra!

    Il tono di voce dell'uomo è sempre calmo, forse a causa dello shock sono super attenta e capisco alla perfezione il suo inglese, ma ora lui mi pare più nervoso e spazientito. La mia aggressione verbale non deve essergli piaciuta granché.

    I suoi occhi sono ancora stretti a fessura mentre mi osserva da sotto il cappello da cowboy da cui sfuggono alcune ciocche di capelli ribelli, piccole rughe gli segnano il viso abbronzato sebbene sembri giovane, direi attorno ai trent'anni, e sulla guancia sinistra ha una cicatrice. A occhio e croce

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