Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La vita è tutto il resto
La vita è tutto il resto
La vita è tutto il resto
E-book277 pagine4 ore

La vita è tutto il resto

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un piccolo intoppo di salute, un semplice sacrificio che la vita le ha chiesto di affrontare, questo è per Rose il tumore al seno. Durante i mesi di chemioterapia e successiva cura ormonale non si sente una sola volta malata, ma tremendamente viva e scopre che esistono mille motivi per cui vale la pena sorridere. Lo scomodo coinquilino di nome cancro non è poi così scomodo, ma una semplice ambientazione, perché la vita di Rose è tutto il resto: le amicizie, la famiglia, la passione per il calcio e le interviste televisive. Anche in ospedale non è importante quali analisi lei esegua bensì le parole e le risate scambiate con il personale ed altri pazienti. Rose si concentra solo sugli aspetti divertenti e positivi di ogni giornata, li aspetta con pazienza collezionandoli, uno ad uno. Essi capitano, così, per caso, pure nell’ambientazione più impensabile, arrivano come doni, si posano silenti ed aspettano solo di essere raccolti. Qualunque problema può essere ordinario davanti alla straordinarietà della vita. Essa si prende tutta la scena e ogni difficoltà si fa irrilevante.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2019
ISBN9788831614313
La vita è tutto il resto

Correlato a La vita è tutto il resto

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La vita è tutto il resto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La vita è tutto il resto - Valentina Ligas

    Valentina

    Teacher alla riscossa

    Era il giorno dell’esame orale di inglese, una materia che Biglia proprio non masticava, era stata durissima arrivare a quella data con un briciolo di conoscenza in english!

    Ma era lì, si era svegliata e preparata per questa giornata, non si sentiva pronta, era una di quelle materie il cui risultato non sarebbe cambiato anche se avesse rimandato all’infinito.

    Tanto valeva allora affrontare subito questa prova.

    Lei e l’inglese non andavano d’accordo, tutte quelle parole da ricordare, quell’accento duro e poco melodico che proprio non le appartenevano. Lo scritto era andato bene, ma quando si trattava di parlare era un dramma. Arrivò in facoltà con la speranza di passare questo esame anche col minimo e di non rivedere più nè la Prof. nè i suoi libri. Nell’attesa di essere interrogata pian piano il corridoio dell’aula magna si riempì di studenti che come lei avevano aspettato quel giorno, chi col sorriso chi meno. Ognuno con le proprie paure e speranze. Attirò la sua attenzione una ragazza vestita da spiaggia, canotta rosa a bretelle fini. Biglia pensò che mai le avrebbe indossate per dare un esame, ma non le piaceva giudicare, il look era seguito da jeans chiaro e scarpa sbarazzina.

    Capello mosso, arricciato, ma non naturale. Era abbronzatissima! Quanto rumore faceva, anche se non volevi ascoltare le sue conversazioni era impossibile.

    Chiacchiera qui chiacchera là, riuscì a rivolgere la parola anche a Biglia che cercava di stare concentrata e zen pensando a quando la Prof. avrebbe pronunciato il suo cognome all’appello.

    La domanda era sempre la solita: Sei pronto/a? qui le risposte erano varie, nessuno mai diceva: anche per scaramanzia, ma quando vedevi visi con espressioni distese era chiaro che non c’era paura per quell’esame. Quello era l’aspetto di Rose, che, ridanciana, disse a Biglia: Non ti preoccupare per l’esame di inglese è facile, basta parlare!! Allora Biglia sentì il pavimento tremare. Facile a dirsi. Era proprio parlare che le faceva paura! Poi la parola facile proprio non la digeriva, come dire a uno zoppo corri, è facile! Quando per qualcuno un problema è una montagna e gli si dice che è una pianura, ci si sente incompresi. Non era proprio quello l’incoraggiamento di cui aveva bisogno.

    Comunque l’esame andò via con un diciotto, tutto sommato Biglia era sollevata, anche se era il voto più basso di tutta la sua carriera scolastica. Lo accettò perché sapeva che non sarebbe mai potuto andare meglio, a meno che non fosse andata a vivere a Londra per un anno. Forse... E ancora non era sicura, forse si sarebbe persa perché non sarebbe riuscita a chiedere informazioni e non sarebbe mai più riuscita a tornare a casa. Alla ragazza dalla canotta rosa andò meglio, la vide ridere e scherzare in english con la Prof. che era entusiasta di tanto parlare facile inglese.

    Che dire? Biglia era contenta per lei e per sé, ci sono esami così. Pensò che quella ragazza un po’ sicura di sé non l’avrebbe mai più vista, anche perché non frequentava il suo indirizzo di studi e così si concluse il primo incontro tra Rose e Biglia senza sapere che il destino le avrebbe fatte ricontrare un giorno.

    Nel frattempo si erano laureate alla triennale. Biglia aveva deciso di cambiare corso di studi e dallo storico passò all’internazionale.

    Un pomeriggio a lezione incontrò proprio quella ragazza seduta all’ultima fila. Biglia l’aveva trovata subito simpatica stavolta, sicuramente perché il proprio stato d’animo era migliore. Era entusiasta del percorso di studi e andava a lezione piena di buoni propositi per il nuovo anno. Si era chiuso un vecchio percorso, un cerchio negativo della sua vita e un’ondata di novità stava arrivando, lo sentiva nell’aria.

    E quella ragazza peperina sempre abbronzata, anche ad ottobre, ne faceva parte!

    Così, dal nulla, lezione dopo lezione, Biglia si trovò senza neanche sapere come, ad avere il numero di Rose e quasi ogni giorno un suo messaggio. Era così diversa dalle precedenti amiche: non c’era dietrologia nei suoi discorsi e intenzioni. Solo naturalezza. Era perfetto per una ragazza come Biglia, molto diretta e allo stesso tempo sbadata e smemorata. In passato le erano capitate amiche che pensavano che dietro alla sua smemoratezza ci fossero secondi fini o chissà quali intenzioni. Invece lei era così come era. Forse ci voleva un’amica così, abbastanza sicura di sé da non andare a cercare dietro la smemoratezza di un’amica chissà quale maleficio e anche il fatto che aveva tante amicizie non faceva di Biglia l’unica su cui concentrare tutto il mondo. Cosa che le era capitata in passato e che non le aveva mai permesso di respirare. Rose le lasciava i suoi spazi per questo era piacevole andarla a cercare. Si era innescato un gioco di soprannomi. Ogni settimana c’era una ventata di novità. Pian piano si vedevano sempre più spesso anche in uscite di notturna e il cerchio di amiche si ingrandì. Questa nuova cerchia piaceva tanto a Biglia!

    Ma il loro vedersi fu spesso interrotto da periodi di lontananza. Biglia partì in Erasmus in Belgio, poi ripartì per la ricerca tesi, nonostante tutto continuarono a sentirsi via internet e a raccontarsi gli avvenimenti, nel frattempo Biglia conobbe un ragazzo belga e la sua vita stava per cambiare. Con Rose continuarono i progetti, la sua amica aveva la passione del pallone e spesso organizzavano partite di calcetto, ma soprattutto avevano avuto la possibilità di ritagliarsi un programma nella radio universitaria Unicaradio all’Università di Cagliari, dove conducevano il format Colpo di tacco. Andare in radio era bellissimo, divertente e emozionante allo stesso tempo. Rose era molto più informata di Biglia, che conosceva i suoi limiti e si accontentava di fare da spalla, fiera della cultura calcistica della sua amica! Gli anni della specialistica volarono e Biglia, raggiunta la laurea, dovette prendere una decisione, non poteva continuare a viaggiare tra il Belgio e l’Italia. Così come molti giovani italiani senza lavoro, decise di partire e nel suo caso anche di seguire l’amore. Con grande tristezza dovette salutare amici e famiglia, ma allo stesso tempo sapeva che non si trattava di una partenza come ai vecchi tempi, dove si partiva e non ci si rivedeva quasi più. I voli erano molto più economici di un tempo e c’erano mille modi di comunicare per stare vicini alle persone. Il primo anno tuttavia non fu semplice, la sua amica Rose le restò accanto, la venne a trovare più volte in Belgio, per non parlare dei cd che le preparava da ascoltare in macchina, per essere sempre aggiornata sulla musica italiana anche all’estero. Biglia si sentiva viziata! Era bello, avere qualcuno che nonostante le distanze si impegnasse per stare in contatto. Quando era partita un po’ non ci sperava, credeva che prima o poi si sarebbero arrese, invece merito anche del carattere forte di Rose, riuscirono a tenere viva l’amicizia. Si sentivano tutti i giorni con messaggini e con le loro famose

    «mail quotidiane» che Biglia riceveva a lavoro. E fu proprio leggendo una di queste che il mondo crollò in pochi secondi! Avevano appena trascorso un weekend insieme in Belgio, si parlava di prenotare i successivi biglietti e Biglia stava già pensando a dove avrebbe potuto portare la sua amica, ma quella mail cambiò tutto. Sapeva che Rose era andata a fare una visita, ma mai avrebbe immaginato di leggere quelle righe. La sua amica si era ammalata del male del secolo! La mail di Rose era molto sobria. Come nel suo solito, aveva sdrammatizzato, ma Biglia non poteva crederci. Leggeva avanti e indietro quelle righe una, due e più volte. Non riusciva a capacitarsi. Sentì che le lacrime le salivano agli occhi, corse in bagno per non dare nell’occhio con le colleghe. Rispose alla mail cercando di essere a sua volta sobria, avrebbe voluto teletrasportarsi subito vicino a lei per poterle stare accanto, ma erano i suoi primi mesi di lavoro e non era ben visto prendere ferie in quel momento, dovette arrendersi e aspettare. Poi all’inizio i medici non erano certi della gravità della cosa, sapevano che c’era un intervento da fare, ma non avevano parlato di un percorso chiaro. Si andava per gradi. E così fece Rose. Lei col suo meraviglioso carattere affrontò questo male per gradi, come Biglia non avrebbe mai saputo fare.

    La guardava, la ascoltava con ammirazione, fiera che fosse la sua amica. Una persona speciale che ha saputo sorridere alla vita sempre, anche nei momenti bui.

    Ed è così che mi sono ritrovata a leggere le pagine del suo libro.

    Sì, lei ha sempre detto che avrebbe voluto scriverne uno un giorno, ma che avrebbe voluto avere qualcosa di importante da comunicare. Senza sapere che quello di questa malattia è stato il percorso che l’ha portata qui, che ci ha portato a queste righe. Scrivo ci perché ha deciso di condividere con me anche questo aspetto, ed io da Biglia sono diventata Teacher. Per ora questo è il mio nuovo soprannome, perché mi ha concesso di leggere le pagine appena le scriveva per poterle dare un parere, un consiglio, come un’insegnate, nominata Teacher in modo scherzoso, visti i miei precedenti in inglese. Ho cercato di non essere di parte e di fare delle critiche costruttive, sperando che questo libro possa raccontare di come Rose ha affrontato questo percorso e dare coraggio a chi come lei ha dovuto o deve affrontare il cancro.

    Biglia

    La vita è tutto il resto

    I fatti miei

    Ne parlano in tanti, tantissimi, è una parola che leggo spesso pure nei cartelloni e nelle pubblicità in rete. È anche un segno zodiacale, non ci avevo mai pensato! Per me era quasi innominabile sino a qualche tempo fa, ora è diventata più familiare, di un suono quasi musicale al punto che dirla non mi impressiona più. Inizialmente parlavo di piccolo problema di salute, poi di tumore maligno, poi di carcinoma e ora lo nomino tranquillamente: cancro.

    È più semplice chiamarlo con il suo nome reale quando parlo con chi ha avuto il mio stesso problema. Ho invece una leggera difficoltà con chi non lo ha mai conosciuto, perché mi sono resa conto che è una parola che spaventa: allora lo nomino con delicatezza, la stessa che usavo con me stessa.

    Ne ho sempre parlato pochissimo, non perché sia qualcosa da nascondere o di innominabile, ma semplicemente perché credo che sia giusto dargli l’importanza che merita. La considero un’esperienza, un percorso che la vita mi ha chiesto di affrontare, uno scomodo coinquilino con cui imparare a convivere, che giorno dopo giorno si è fatto sempre più insignificante fino a diventarmi indifferente. Il cancro non è mai stato la mia vita ma una realtà di essa, una delle sue tante sfaccettature.

    Quando ho iniziato questo cammino non l’ho sbandierato a destra e sinistra, prima di tutto perché non mi piace piangermi addosso, lo reputavo un fatto personale che può toccare la sensibilità degli altri e non necessariamente andava pubblicizzato. Soprattutto pensavo di avere ben altro di più interessante da condividere. Poi, se capitava l’argomento, non mi tiravo indietro e raccontavo la mia esperienza. Perché, di fatto, di questo si tratta, un sacrificio che ho dovuto affrontare, nulla di più. Non mi sono mai considerata malata, anzi tremendamente viva e fiduciosa. Non ho avuto nemmeno il tempo di pensare alla malattia, la mia mente era sempre rivolta ad altro.

    Allora perché parlare del mio cancro in questa sede? Perché mi diverte, perché ho riso di cuore quando ho raccontato alcuni aneddoti alle mie amiche e penso sia giusto condividerli con chi leggerà questo libro. Ritengo possano essere utili per chi come me si è trovata in questa situazione e magari non ha avuto la mia stessa fiducia, o per chi, non ha mai conosciuto questa realtà e sia curioso di vederla con un’ottica diversa. Sono sicura di non aver vissuto solo io determinati fatti che secondo me sono degni di essere ricordati, di quelli che mettono del sano buon umore e che si raccontano al bar davanti a un caffè. Penso che ognuno di noi abbia qualcosa di simile da raccontare e di cui gioire, il problema sta nel fatto che ci concentriamo troppo sull’ansia che ci dà un momento anziché cercare le distrazioni che esso ci regala, al punto che nemmeno le notiamo. E se vivessimo quelle stesse situazioni in un contesto più rilassato avrebbero sicuramente un peso diverso. Credo che se qualcosa fa sorridere e fa stare bene, ha questo potere a prescindere, indipendentemente dal contesto in cui capita, anzi, forse è ancora più paradossale, bizzarro e ironico che possa capitare in determinati momenti critici.

    Anche se siamo noi i protagonisti dobbiamo lucidamente allontanarci da quell’ambientazione difficile e concentrarci solo sull’episodio da ricordare. Io ne ho tanti, davvero tantissimi, li ho gelosamente cercati, minuziosamente collezionati, raccolti e custoditi. Scriverli significa anche poterli rendere indelebili, avere la certezza che non verranno mai dimenticati e che potrò riguardarli ogni volta che vorrò. Ho lasciato che diventassero la mia benzina, la mia guida in quei mesi di terapia, o meglio, direi la mia droga, perché di essi non sono più riuscita a fare a meno, li ho cercati, aspettati uno ad uno, contati e vissuti senza esserne mai sazia.

    Perciò mi dispiace per chi sperava di leggere una storia strappa lacrime o per chi si aspettava una pazzesca, romanticissima love story tra paziente e dottore. Anche volendo avere molta fantasia, sarebbe stato parecchio difficile scriverla, dato che molti dei medici che mi hanno seguito avrebbero potuto essere mio padre! Spiacenti, non soffro ancora del complesso di Edipo. In effetti, il chirurgo plastico è abbastanza giovane, ma ancora non mi interessano le donne! Anche se nella vita non si sa mai. I fatti raccontati in questo libro sono realmente accaduti e li ho vissuti io stessa in prima persona, voglio che possiate familiarizzare con questo concetto affinché possiate credere a ogni singolo aspetto che citerò.

    Vi parlerò del cancro a modo mio, di quei miei più grandi difetti, l’incoscienza e l’ingenuità che mi sono tornati utilissimi e di tanta, tantissima vita. Questo sarà un piccolo diario di bordo. Per una volta metterò da parte tutta la mia riservatezza e lascerò che vi facciate serenamente i fatti miei.

    Sarò contenta di fare felici i più pettegoli e pure i più discreti.

    Rose

    PS:

    Come scrivere un libro? Non ne avevo la più pallida idea! Le uniche volte in cui ho stilato oltre cento pagine era per le due tesi di laurea, poi mi sono fermata a quattro cartelle. Un punto di non ritorno. Comunque credo che prima di tutto serva una storia da inventare, poi immagino si crei una scaletta in cui sono elencati tutti i passaggi e gli argomenti che si vogliono toccare. Dopo di ché non rimane che la parte bella: scrivere.

    Ricordo che per le due tesi organizzai il lavoro in quel modo. Stavolta ho iniziato dal metter nero su bianco. Per fortuna non avevo bisogno di inventare una storia, mi bastava semplicemente raccontare i fatti miei. Non preparai nemmeno una scaletta, l’avevo in testa, sono sempre stata molto disordinata, poco organizzata e mi fido parecchio della mia memoria. Poi mi piace l’idea che sia tutto un continuo divenire, che una storia si scriva da sé e che spesso esista l’elasticità che ti consente di uscire da quello statico canovaccio. Non fu subito semplice familiarizzare con il racconto perché parlavo di me stessa.

    Una foto da urlo!

    Aveva deciso. Quello era il look giusto. Si guardava allo specchio ridendo sonoramente, una parrucca arancione evidenziatore, un po’ come la maglia della nazionale di calcio olandese. Una tonalità bella accesa, quanto basta per essere notata; due trecce, una per lato con le punte rivolte verso l’alto. Faceva molto Pippi Calzelunghe. In mano lo smartphone per scattare una foto da condividere al più presto con le amiche.

    Click! Poi un altro click.

    «Noooooohhh! Qui ho il doppio mento! Mamma mia! E pure le guance cicciotte!», esclamò Rose con una smorfia di sconforto!

    Sì, avrebbe avuto bisogno di una dieta, ci stava lavorando.

    «Ma in estate sarò una silhouette!» Già, peccato che segua la dieta un giorno alla settimana e l’attività fisica due volte in sette giorni...

    Se va bene!

    «E questi dentoni in risalto?» Adesso anche i dentoni.

    Va bene, non si potevano fare miracoli. La faccia era quella. Ma se c’era una cosa che la vita le aveva insegnato era essere ostinata. Ricominciò con gli scatti con il perentorio proposito di fermarsi solo una volta raggiunto il risultato desiderato. Click, click, click.

    Aveva comprato quella parrucca qualche giorno prima mentre faceva la spesa al centro commerciale. La trovò per caso in uno scaffale, sola soletta, la fissava e le diceva comprami. Rose le tese la mano, la tenne un po’ con sé, tastò la consistenza, sorrise poi pensò: Questa mi manca. Cercò uno specchio. La provò, si piaceva, la tenne addosso qualche minuto fino a che ritrovò suo marito, Bobo, all’ortofrutta indaffarato a scegliere le arance. «Così qualcuno fua la spesa e mentrue qualcun altruo fua finta di faurla, veruo?», le disse con quel loro modo di parlare per gioco come fossero stranieri.

    «Ti piace, la compruo?» disse accennando una risata sottovoce mentre girava convulsamente la testa a destra e a sinistra.

    «Dai levala che ci stanno guardando tutti!» rispose Bobo accennando una risata sottovoce mentre controllava ossessivamente che nessuno li notasse. Rose tolse la parrucca dalla testa, sorridendo; la tenne ancora un po’ in mano come se ci volesse parlare, l’avrebbe chiamata Orange, e le sarebbe sicuramente tornata utile per le sue stravaganze.

    Comprava spesso oggetti particolari: occhialoni da sole con le lenti a forma di cuore, mascherine, parrucche colorate... E poi li sfoggiava durante feste a tema con gli amici e per realizzare alcune interviste televisive. Le sue interviste! Quelle in cui, secondo lei, si poteva lasciare il segno con una normalissima notizia d’attualità. Una volta, travestita da ladro con indosso un passamontagna, in mano pistola ad acqua e microfono, aveva fermato i bagnanti che prendevano il sole nella spiaggia del Poetto, a Cagliari, per sapere se secondo loro fosse un furto prelevare delle conchiglie e della sabbia. Un’altra volta si aggirò per le strade del centro cagliaritano con la testa che spuntava sopra una macchina in plastica, uno di quei giochi con cui i bambini sgambettano e imparano a camminare e affrontò l’argomento del caro benzina. Anche Orange avrebbe presto dato il suo contributo mediatico. Era già diventata una di casa, buona e paziente sulla testa di Rose, attendeva lo scatto ideale, che, dopo infiniti tentativi, arrivò. Solo allora Rose si ricordò di guardare l’orologio, era passata un’ora. Bobo l’aspettava in cucina con la cena pronta, sant’uomo!

    «Topo, è pronto!»

    Questa volta lo fece attendere meno del solito: i richiami furono due, in genere erano almeno cinque. Ma lui aveva imparato un piccolo trucco: avvisava sua moglie ancor prima che la cena fosse pronta, così al quinto richiamo era appena sfornata. Infatti stavolta era ancora sul fuoco. Lei si avvicinò, sorrise, e con quella vocina da bambina che usava con lui per gioco disse: «Lo sapeuvo!»

    Ma non era sempre così, Topo non faceva sempre aspettare Bobo a tavola. Qualche volta cucinava pure lei, le rare volte in cui capitava che smontasse da lavoro prima di lui, soprattutto per pranzo. E non si tirava mica indietro, si rimboccava subito le maniche, pronta e volenterosa. Tagliava un ingrediente sul tavolo, frenetica, mentre nella padella soffriggeva la cipolla. Poi buttava la pasta nell’acqua calda della pentola, prendeva un coltello pulito e un altro tagliere e sminuzzava la lattuga sul lavandino.

    «Caspita le carote!» Ecco un altro coltello ancora e stavolta il taglio avveniva sul piatto. Fortuna che la cucina era piccola e poteva restare tutto a vista, altrimenti avrebbe senz’altro lasciato qualche ingrediente per strada. Ci vuole solo un po’ di organizzazione, pensava, chissà se ne ho mai avuta!

    Tra i piatti aveva pure i suoi fiori all’occhiello: la pizza da scaldare, la zuppa già pronta da metter in pentola, le patatine da friggere. Però quelle non dovevano essere surgelate, le piacevano fresche e le pelava lei stessa. Così come quelle al forno. Che bontà! Le avrebbe mangiate in tutti i pasti. Pure i calamari fritti e le verdure in pastella, tra le sue pietanze preferite. Chissà perché tutto ciò che va immerso nell’olio bollente mi riesce sempre bene, così come sporcare!

    Quando cucinava lei troneggiavano schizzi d’olio nelle pareti, chiazze di sugo e disordine ovunque. Bobo faceva di tutto per smontare da lavoro per primo e preparare lui il pranzo, perché temeva di trovare al posto della cucina un quadro dei macchiaioli. Gli competeva anche la colazione, sì, lei si svegliava più tardi. E quando entrava in cucina trovava il tavolo apparecchiato con un piattino di mandorle o frutta, il pane nel forno pronto per essere tostato, il caffè e l’immancabile spremuta di arance fresca preparata dal primo mattino.

    «Topo una spremuta a colazione ti fa iniziare bene la giornata», asseriva convinto. Lei adorava questa premura, la faceva sentire coccolata, ma per non dargli soddisfazione spesso lo prendeva in giro mentre sistemava meticolosamente in due recipienti trasparenti al fianco dei fornelli, gli agrumi uno ad uno, facendo attenzione a collocare in alto quelli più maturi: «Signore e signori, eccolo qui, l’uomo delle arance!»

    Lui ribatteva serio: «Da quando vivi con me non ti sei più ammalata. Mai un’influenza. Ammettilo, sono le arance. Come faresti senza di me?»

    «Mah, sinceramente... - Rose faceva una piccola pausa avvicinando la

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1