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La cupola di vetro
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E-book336 pagine5 ore

La cupola di vetro

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Info su questo ebook

In una Torino periferica, fatta di palazzi popolari e avvolta dalla nebbia, due ragazze scoprono se stesse e il mondo che le circonda. Tra una lezione e l'altra, indagano i propri sentimenti e danno un nome alle loro insicurezze, timori e angosce. Con una minuziosa indagine psicologica che ruota su due punti di vista diversi, veniamo a contatto con una sessualità passionale, ma mai volgare, con problemi giovanili, ma non per questo superficiali. E infine incontriamo la brutale verità: la difficoltà e il peso di amare liberamente.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2020
ISBN9788835829409
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    La cupola di vetro - Laura De Santis

    LA CUPOLA DI VETRO 

    di Laura De Santis

    Prima edizione: gennaio 2019

    Tutti i diritti riservati 2019 ©BERTONI EDITORE

    Via Giuseppe di Vittorio - 06132 Chiugiana  (Perugia)                             

              Bertoni Editore 

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com    

    È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata

    Laura De Santis

    LA CUPOLA

    DI VETRO 

    A Noemi

    Capitolo 1

    Nuove opportunità

    Il trillo insistente della sveglia si intromise nel placido dormiveglia in cui Sofia era caduta.

    Aveva quell'abitudine da una vita. Durante l'estate o nel weekend riusciva a dormire benissimo, mentre quando sapeva di doversi alzare ad un'ora precisa il suo corpo reagiva di conseguenza e si svegliava, spesso molto prima dell'orario stabilito.

    La sera precedente aveva fatto il possibile per andare a dormire piuttosto presto, in modo da rendere il risveglio la mattina dopo il meno traumatico possibile. Nonostante i suoi sforzi, doversi alzare dal letto alle sette fu una fatica non da poco.

    L'unico pensiero positivo che sfiorò la sua mente mentre si trascinava al bagno, che era ovviamente già occupato dal suo fratellino Giorgio, fu che grazie al cielo abitava vicino alla scuola e le sarebbero bastati dieci minuti di cammino per arrivarci.

    Bussò contrariata alla porta del bagno gridando a Giorgio di muoversi, dato che non era l'unico a doversi preparare per il primo giorno di scuola. Passò un minuto buono prima che il ragazzino si decidesse ad uscire, già vestito di tutto punto e con i corti capelli bruni ben ordinati. 

    Vederlo con quel sorriso allegro urtò non poco l'umore già pessimo con cui Sofia si era svegliata. Suo fratello quell'anno avrebbe frequentato la terza liceo scientifico, e dalla baldanza con cui usciva di casa tutte le mattine Sofia aveva intuito che doveva essersi ambientato piuttosto bene.

    All'inizio della seconda aveva naturalmente sofferto il distacco dai compagni con cui aveva passato il primo anno di liceo a Genova, città in cui era nato e cresciuto con la sorella e il fratello maggiori, ma poi aveva preso il trasferimento con filosofia e si era messo d'impegno per adattarsi nel migliore dei modi.

    Io non sono stata altrettanto abile..., pensò Sofia, applicando un sottile strato di matita nera sotto l'occhio destro. ...O altrettanto fortunata e passò al sinistro. Si pettinò i capelli neri, anche se a operazione compiuta non erano molto diversi da quando si era alzata dal letto. 

    C'era ben poco da fare: troppo corti, troppo mossi. Legandoli otteneva uno striminzito codino che la persuadeva immediatamente a lasciarli sciolti, e così fece anche quella mattina. Infilò i jeans e una maglietta, si caricò lo zaino in spalla e lasciò la propria stanza diretta in cucina.

    Vi trovò Giorgio seduto a tavola a fare colazione. Sotto la sua tazza rossa era stato lasciato un bigliettino. Sofia lo prese mentre si versava del latte.

    «Il solito buongiorno della mamma», disse Giorgio, portandosi alle labbra una cucchiaiata di cereali. Dal suo tono traspariva il desiderio di poter salutare la madre prima di andare a scuola come tutti i suoi compagni di classe, anche se sapeva che la donna era costretta ad uscire così presto la mattina per via del lavoro. Nemmeno il loro fratello maggiore, Davide, era quasi mai presente la mattina, dato che la sera lavorava fino a tardi e, quindi, a quell’ora dormiva.

    Quando abitavano a Genova era sempre stato il padre a preparare la colazione, e dato che gli orari dell'ufficio coincidevano pressoché con quelli della scuola era solito accompagnare sempre Sofia e Giorgio. 

    La sua morte, in seguito ad un incidente stradale, era stata il principale motivo, oltre al licenziamento della madre, del loro trasferimento nel capoluogo piemontese. Malgrado quel triste avvenimento risalisse soltanto a due anni prima, Sofia ne aveva ricordi confusi. Nella sua mente le immagini del funerale, le facce tetre dei presenti, e il periodo subito successivo al lutto erano come offuscati e sconnessi.

    A volte si alzava dal letto la mattina e restava delusa non trovando il padre in cucina; sapeva che era un pensiero infantile, ma la sua mente non riusciva a metabolizzare quel fatto e considerava suo padre ancora vivo.

    Da quel momento in poi, comunque, Davide era divenuto una vera e propria figura paterna per Sofia, malgrado avesse soltanto quattro anni più di lei. A Genova aveva cominciato a frequentare l'università, ma quando si erano trasferiti a Torino era stato costretto ad abbandonarla per mancanza di finanziamenti e a cercare lavoro per aiutare la madre con le spese. Faceva il cameriere in una pizzeria ormai da un anno. 

    «Buon primo giorno di scuola». Sofia lesse il biglietto della madre versando i cereali nella tazza con la mano destra. «Sarò a casa entro le sei. P.s.: nel frigo vi ho lasciato qualcosa per il pranzo. Un bacio, mamma».

    Finirono la colazione in silenzio.

    Sofia salutò il fratello, che si diresse verso la fermata dell'autobus. Per strada vi era solo qualche anziana signora e un andirivieni di giovani aiutanti che scaricavano dei pesanti sacchi di farina da un camioncino per trasportarli all'interno di un panificio. Qualche studente sbucava fuori dai portoni per poi prendere ciascuno una differente direzione. Sofia dovette solo continuare dritta, finché non giunse all'incrocio e svoltò a sinistra, ed ecco che il Liceo Classico A. Volta fece la sua comparsa, maestoso tra due piccoli edifici dall'aria antiquata.

    Abitare così vicino alla scuola era fantastico, e quel pensiero riuscì a rallegrarla un minimo.

    Adocchiò i suoi compagni di classe, disposti in cerchio in un angolo del cortile. Parlavano animatamente tra di loro, i ragazzi ridevano e si scambiavano pacche sulle spalle mentre alcune ragazze si abbracciavano quasi non si vedessero da anni.

    Sofia dovette fare uno sforzo e si costrinse ad avvicinarsi. Spostò due compagni di classe per farsi spazio nella cerchia, quindi esordì con un appena pronunciato Ehi, ragazzi!.

    Qualcuno le rispose, un breve Ciao, Maestri, poi una leggera pacca sulla spalla e un Passato buone vacanze, Sofia? da parte di Cristina. La ragazza si accorse ben presto di non aver nulla da dire ai compagni, che continuavano allegramente a scambiarsi aneddoti sulle proprie fantastiche vacanze in Francia, Spagna, i più fortunati persino in America.

    Sofia si allontanò dal gruppo e andò a prendere posto su di una panchina solitaria vicino un vecchio pioppo. Non immaginava che Cristina l'avrebbe seguita, perciò rimase piuttosto stupita quando la vide sedersi al suo fianco.

    «Ehilà... come mai anche tu fuori dal gregge?», domandò Sofia, un sorrisetto sulle labbra. Tutti trovavano i suoi sorrisi la parte più irritante di lei, il che era tutto dire. I suoi compagni non erano stati molto gentili quando si era trasferita a Torino. Aveva frequentato il ginnasio e la prima liceo a Genova, e si era ritrovata a dover affrontare il quarto anno in una scuola nuova, con nuovi professori e soprattutto nuovi compagni. Quest'ultima era stata la parte peggiore.

    Non si poteva dire che Sofia fosse una persona socievole, tutt'altro.

    Ad aggiungersi al suo carattere chiuso, le difficoltà nel fare amicizia le doveva alle voci sul fatto che fosse lesbica che subito avevano preso a girare dal suo arrivo. Con il tempo aveva dovuto abituarsi ai pettegolezzi, sempre sussurrati con quell'immancabile punta di biasimo mal celata.

    Nonostante questo elemento distintivo della sua personalità, a Genova aveva degli amici. Continuavano a tenersi in contatto sui social network, per quanto possibile, ma fatto sta che il loro rapporto era andato inevitabilmente deteriorandosi.

    L'unica persona del Volta che aveva avuto un minimo di comprensione per la situazione di Sofia era stata Cristina, e, probabilmente, anche l'unica che non era stata raggiunta dalle chiacchiere sul suo orientamento sessuale. Anche se non lo avrebbe ammesso per niente al mondo, Sofia era riuscita a sopravvivere al quarto anno specialmente grazie a lei. Ora era lì, seduta con lo zaino ai piedi nel cortile del liceo gremito di studenti agitati e contrariati per la fine delle vacanze, in procinto di affrontare l'ultimo anno della sua vita scolastica.

    Si sentiva piuttosto triste. Si voltò in direzione di Cristina e percorse la sua figura con lo sguardo. Era l'esemplare studentessa da classico; proprio quel genere di ragazza che gli studenti delle medie immaginano di incontrare iscrivendosi a quel tipo di liceo.

    Cristina si sistemò gli occhiali con l'indice. Avevano una montatura così imponente da inghiottirle mezza faccia e attraverso le lenti i suoi occhi castani parevano più grandi. Portava i capelli, anch'essi bruni, raccolti in una coda. Quel giorno indossava una camicetta bianca abbottonata sino in cima, una gonna a scacchi e un paio di ballerine nere.

    Poteva sembrare strano che una come Cristina si fosse avvicinata a lei.

    Per Sofia quella ragazza era l'unica amica che aveva in tutta Torino, anche se non si sentiva ancora tanto in intimità con lei da potersi permettere di affidarle le proprie confidenze. Questo, forse, era però un problema suo. Era sempre stata piuttosto reticente a concedere alle persone la propria fiducia.

    La presenza di Cristina era però rassicurante, una vera certezza. 

    Mentre si trascinava per la strada, accingendosi ad affrontare sei tediose ore di lezione e di sguardi altezzosi, Sofia aveva comunque la sicurezza che l'avrebbe trovata seduta al suo solito posto, con gli occhiali esageratamente grandi e i libri già sul banco.

    «Non credo di essere la benvenuta», rispose la sua amica alla domanda che le era stata rivolta poco prima. «E inoltre credo di non avere nulla di eccitante da raccontare. Sono semplicemente stata una settimana dai miei nonni, a Pinerolo».

    Sofia era stata a Pinerolo solo una volta, insieme a suo fratello maggiore Davide. Non era un granché come vacanza, ma si ritrovò ugualmente ad invidiare la compagna.

    «Almeno tu sei andata da qualche parte. Io sono rimasta bloccata qui per tutta l'estate, ad aiutare mia madre con la casa mentre lei era al lavoro», sbuffò amareggiata. Stava pensando che il vero motivo per cui non era andata in vacanza era la mancanza di finanziamenti, per la quale non poteva neppure incolpare sua madre. La donna faceva tutto il possibile per consentire ai due figli minori un futuro, e a Sofia pretendere di farsi pagare qualche giorno in uno dei bei posti che avrebbe voluto visitare sembrava egoistico. Dopotutto suo fratello Davide aveva lavorato tutta l'estate, con solo una settimana di vacanza, e l’aveva trascorsa a Torino senza chiedere nulla.

    La campanella che annunciava l'inizio delle lezioni trillò chiassosamente, costringendo Sofia e Cristina ad alzarsi e raccogliere i propri zaini.

    Attesero che la folla di studenti più giovani entrasse nell'istituto per prima, come un fiume in piena, e si accodarono a testa bassa ai propri compagni di classe.

    Mentre la professoressa di greco e latino si esibiva nel suo abituale discorso di benvenuto – e cominciava ad instillare nelle menti degli studenti l'ansia per l'esame di stato imminente – gli occhi di Sofia caddero sugli annunci fissati al pannello di sughero che era stato appeso proprio sulla parete vicino al banco della sua amica.

    Vi erano locandine delle varie attività ricreative organizzate dalla scuola – non molte negli ultimi tempi a causa dei tagli finanziari. Passò in rassegna le squadre di calcio e pallavolo, si soffermò giusto un paio di secondi in più sulle attività corali, ma anche quelle non suscitarono il suo interesse. Quando ecco che l'ultimo, il più piccolo fra i dépliant, catturò saldamente la sua attenzione. Cristina si accorse della sua distrazione e rivolse anch'essa lo sguardo all'avviso.

    Prima edizione del giornalino della scuola. Siamo alla ricerca di volontari, caratteristiche richieste:

    -Passione per la scrittura

    -Buone conoscenze grammaticali

    -Tempo libero il venerdì pomeriggio

    Organizzatori: Stefano e Federico Cattaneo

    La professoressa terminò il discorso, quindi prese il proprio posto alla cattedra e cominciò a parlare degli argomenti che si sarebbero dovuti affrontare quell'anno dopo un breve periodo di ripasso. L'esame era alle porte, ripeté ancora un paio di volte, giusto per saldare bene il concetto.

    Sofia intanto aveva un mezzo sorriso sulle labbra. Non aveva ascoltato una sola parola.

    «Mi ci vedi a scrivere per il giornalino della scuola?», domandò a Cristina, che le rivolse un'occhiata irritata. Detestava perdersi le parole dei professori a causa sua.

    Quando finalmente suonò la campanella che annunciava la fine delle lezioni, Sofia si precipitò fuori della scuola insieme a tutti gli altri studenti. Era appena il primo giorno e tutti parevano già stufi.

    Arrivata a casa scaldò le lasagne che la madre aveva lasciato in frigo per lei e Giorgio, quindi apparecchiò per due persone e si sedette al tavolo.

    Suo fratello arrivò dopo pochi minuti, lanciandosi immediatamente in un entusiastico racconto del suo primo giorno di scuola. I compagni gli erano mancati molto, disse, e ascoltare i racconti delle loro vacanze lo aveva molto divertito. 

    Spesso Sofia si domandava se condividessero davvero lo stesso sangue.

    Attese pazientemente che Giorgio esaurisse gli argomenti, mangiando le lasagne a grosse forchettate. 

    «Voglio iscrivermi al giornalino della scuola», disse alla fine, anche se avendo la bocca piena risultò qualcosa di incomprensibile. Giorgio le chiese di ripetere, e quando lei lo fece annuì pensieroso.

    «Mi sembra una buona idea. Del resto non è a pagamento, e perché non sfruttare un'occasione del genere? Potresti divertirti e inoltre renderebbe la tua vita un po' più interessante».

    Sofia corrugò le sopracciglia, offesa. «Ah, quindi la mia vita sarebbe noiosa!».

    «N-non intendevo dire nulla di simile», si affrettò a correggere il fratello, ma incontrando nuovamente lo sguardo di lei optò per non dire altro e abbassò la testa sul suo piatto quasi vuoto.

    L'indomani una bidella che portava in mano un fascio di fogli fece la sua entrata in classe a metà mattinata. Voleva avvisare che se qualcuno avesse desiderato partecipare alle attività ricreative organizzate dalla scuola si sarebbe dovuto recare in segreteria per compiere l'iscrizione.

    Sofia non credeva che sarebbe passata quella circolare già il secondo giorno di scuola. Solitamente le attività cominciavano la seconda settimana, ma ne rimase felicemente sorpresa.

    Ormai aveva preso una decisione. Riflettendovi, aveva compreso che suo fratello non aveva tutti i torti.

    L'anno scolastico precedente era risultato così pesante anche perché non praticava nessuno sport, né partecipava ad alcuna attività extra scolastica. Nel suo vecchio liceo a Genova aveva fatto parte del coro, e ricordava con piacere i pomeriggi passati in compagnia dei suoi compagni, le loro voci armonizzarsi in una sola.

    Fare parte di una comunità l'aveva fatta sentire importante. Inoltre, si disse, cosa avrebbe potuto alleviare lo stress dell'anno di preparazione all'esame di stato meglio di un'attività così originale?

    Nella sua scuola precedente non vi era nessun giornalino scolastico, e dall'annuncio era chiaro che fino a quell'anno non era mai esistito neppure al Volta.

    Era un dépliant piccolo e neutrale, probabilmente ben pochi ne sarebbero stati così colpiti da perdere dieci secondi del proprio preziosissimo tempo per leggerlo.

    Forse questo pensiero avrebbe dovuto scoraggiarla, ma a Sofia piacevano le sfide. Chiunque fossero quei due, che avendo lo stesso cognome dovevano essere fratelli, li avrebbe aiutati a mettere in pratica la loro idea.

    Le buone conoscenze grammaticali le aveva, e altresì il tempo libero il venerdì pomeriggio. Ciò di cui dubitava era la passione per la scrittura, ma ci avrebbe pensato a tempo debito.

    Non appena terminò l'ora di matematica, si precipitò fuori dalla classe diretta in segreteria.

    Trovò la signorina Rinelli intenta a pigiare sulla tastiera del cellulare con la mano sinistra, mentre con la destra faceva scorrere la rotellina del mouse guardando qualcosa sullo schermo del computer.

    «Oh scusami cara, non ti avevo vista», esordì la segretaria della scuola quando finalmente alzò gli occhi dai due schermi. «Come posso aiutarti?»

    «Sono qui per iscrivermi al giornalino della scuola», spiegò Sofia.

    La signorina Rinelli non ebbe neppure il tempo di rovistare tra i cassetti della propria ingombra scrivania alla ricerca dei moduli d'iscrizione, che la porta venne spalancata e una ragazza entrò agitata nella stanza.

    «Signorina Rinelli, vorrei iscrivermi al giornalino della scuola! Non ho molto tempo, il prof di filosofia arriva sempre puntualissimo... spero vivamente che i posti non siano già tutti occupati!», annunciò la ragazza tutto d'un fiato. Sofia intanto aveva voltato le spalle alla segretaria per dedicare alla nuova arrivata la propria attenzione. Ad una prima occhiata constatò che doveva avere all'incirca la sua età.

    Portava i capelli castani raccolti in una rigida crocchia, da cui sfuggiva comunque qualche ciocca, e i grandi occhi verdi splendevano dietro le lenti degli occhiali. Questi ultimi avevano una montatura più piccola rispetto a quelli di Cristina, molto più fine e graziosa.

    Sofia era sempre stata dell'idea che gli occhiali rendessero le ragazze meno attraenti. Dovette ricredersi all'istante.

    «Oh, ciao Maria!», salutò la signorina Rinelli, mentre Sofia rimaneva piuttosto stupita da tutta quella confidenza. «Non preoccuparti per i posti, al momento siete soltanto in due a voler prendere parte al progetto, oltre agli organizzatori, s'intende».

    Mentre la segretaria parlava, lei ne aveva approfittato per esaminare l'abbigliamento della ragazza di nome Maria. Era piuttosto rigido, ma non come quello di Cristina.

    La sua compagna di banco portava camicette e gonne a scacchi come se avesse bisogno di quegli abiti per costruirsi una propria identità, quasi fossero stati un'armatura che servisse a proteggerla, ma al contempo le intralciasse i movimenti.

    Mentre quella ragazza era spontanea come una modella che sfilava in costume da bagno.

    I primi due bottoni della camicia azzurro pastello erano slacciati, lasciando notare il luccichio di un ciondolo dorato; l'orlo dell'indumento sfuggiva dai pantaloni beige dandole un'aria ribelle. 

    «Ah, sì? Posso sapere chi è l'altra persona?», domandò la ragazza, sorridendo.

    «È lei», rispose la segretaria facendo un cenno col capo in direzione di Sofia. Quest'ultima impiegò diversi secondi per rendersi conto di dover dire qualcosa.

    «Sono Maria Lagorio», si presentò lei, voltandosi finalmente a guardarla. Era come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza – cosa molto probabile, considerato l'ingresso trafelato che aveva fatto.

    «Io mi chiamo Sofia...», si decise a rispondere, dopo un attimo di esitazione. Maria la fissava perplessa, come se davanti a sé avesse un qualche bizzarro frutto esotico di cui non sospettava neppure l'esistenza.

    La signorina Rinelli interruppe la loro silenziosa interazione squittendo che aveva miracolosamente ripescato i moduli d'iscrizione dalla bolgia del cassetto.

    Una dopo l'altra, le due ragazze firmarono nell'apposito spazio in silenzio, e ugualmente in silenzio lasciarono la segreteria dopo aver riconsegnato i fogli alla signorina Rinelli. 

    Capitolo 2

    Periodo difficile

    La prima settimana di scuola fu estremamente pesante. Non era stato dato agli studenti di terza neppure il tempo di abituarsi alla fine dell'estate che i professori già avevano cominciato il programma e fissato i primi compiti in classe.

    Nonostante questa spiacevole prospettiva, Maria non si sentiva affatto sconfortata. 

    Un lieve sorriso le increspò le labbra mentre si allacciava il vestito della domenica. Si pettinò i lunghi capelli castani, lasciandoli ricadere liberamente sulla schiena.

    Qualcuno bussò alla porta interrompendo i suoi preparativi. «Sbrigati, Mari! La messa comincia alle undici!», esclamò la voce di Maddalena dal corridoio. 

    Le rispose che sarebbe arrivata subito. Applicò giusto un lieve strato di ombretto sulle palpebre, inforcò gli occhiali e uscì dalla stanza.

    Trovò i suoi genitori che l'aspettavano in sala da pranzo insieme alla sorella.

    Con in sottofondo il borbottio del signor Lagorio su quanto fosse lenta la figlia maggiore a prepararsi, la famiglia uscì di casa diretta a messa. La chiesa era giusto dietro l'angolo; bastava percorrere una ventina di metri e svoltare a sinistra, ed ecco che svettava tra gli edifici circostanti con le sue quattro colonne in stile corinzio e la cupola. Ai lati del portone d'ingresso vi erano quattro spaziose nicchie in cui erano collocate le statue dei quattro evangelisti, due a destra e due a sinistra. Sull'architrave era incisa una scritta in latino, la prima frase che Maria aveva imparato a tradurre, molto prima di iscriversi al liceo classico.

    In quella chiesa aveva fatto la prima comunione e la cresima, ed entro poco tempo sarebbe stato il turno di sua sorella di ricevere anche quel secondo sacramento. 

    Ricordava perfettamente i numerosi pomeriggi passati con il gruppo del catechismo studiando a memoria preghiere o giocando a pallavolo nel cortile dell'oratorio.

    Sorrise tristemente. Le mancavano quei tempi di spensieratezza, in cui ogni giorno era diverso dal precedente e si alzava dal letto piena di speranza e voglia d'imparare cose nuove.

    Ora invece trovava la sua vita così monotona... certo, era senza dubbio una ragazza fortunata.

    Aveva una casa grande e arredata con mobili lussuosi, appena compiuti i diciotto anni i suoi genitori le avevano permesso di prendere la patente e le avevano regalato una macchina tutta sua. 

    La sua famiglia l'amava, aveva degli ottimi compagni di scuola e amici; non le mancava niente.

    O almeno questo era ciò che le aveva detto Suor Teresa quando lei aveva raccolto il coraggio sufficiente a confessarle le proprie perplessità. Si era ripetuta più volte quelle parole, nella speranza di trovare in esse una rassicurazione, ma nonostante tutto non erano mai riuscite a darle davvero conforto.

    Abbandonò quei pensieri e prese posto nel banco tra i suoi genitori, mentre Maddalena raggiungeva le sue amiche nelle prime file. Lì sedeva sempre anche Suor Teresa, che insegnava loro catechismo.

    Maria voleva molto bene a quell'anziana signora.

    Era stata come una seconda madre per lei: l'aveva vista crescere, ed era una donna severa ma giusta. Sapeva essere inflessibile quando si trattava di mettere in castigo qualche monello, ma era altresì buona e comprensiva nel consolare i bambini del catechismo quando si sentivano tristi per qualche motivo.

    Lei che non si era mai sposata né aveva avuto figli, considerava quei piccoli come suoi nipotini e non ve n'era uno solo per cui non nutrisse sincero affetto.

    Maria era sempre stata tra i suoi favoriti, e anche ora che non frequentava più da tempo il catechismo, Suor Teresa le riservava sempre i suoi abbracci, che malgrado il passare degli anni erano rimasti energici come un tempo.

    Il parroco diede inizio alla funzione e i fedeli si alzarono in piedi. Mentre i suoi genitori ascoltavano coinvolti la solita introduzione, le parole scivolarono addosso a Maria come acqua. Avrebbe voluto ascoltare, magari nella speranza di trarre sollievo dai passi che don Luigi leggeva con tanto trasporto, ma quella domenica era come in un altro mondo.

    La scuola era cominciata lunedì, e martedì era andata in segreteria per iscriversi al giornalino della scuola. I suoi genitori avevano approvato con entusiasmo la sua iniziativa, cercando di convincere anche Maddalena a fare lo stesso. Sua sorella si era naturalmente rifiutata, secondo le aspettative di tutti.

    Maria aveva da sempre la passione per la scrittura e l'idea di potersi cimentare finalmente in qualcosa di più importante dei raccontini che buttava giù nel tempo libero la entusiasmava moltissimo. 

    Don Luigi stava cantilenando un salmo, mentre l'intera chiesa lo accompagnava in un coro di voci differenti.

    Per Maria cantare quei versi era ormai diventato tanto naturale da non richiederle un minimo di concentrazione: conosceva perfettamente ogni testo a memoria.

    In tal modo poté meditare in tranquillità sulle sue aspettative per quanto riguardava il giornalino della scuola. Era ansiosa di cominciare, di dimostrare a tutti il suo talento.

    A un certo punto i fedeli terminarono di recitare il Padre Nostro, e Maria si accorse di non aver neppure mosso le labbra.

    Non avendo compiti da svolgere, si sedette in cucina a guardare sua madre che preparava il pranzo. Maddalena era in camera sua, molto probabilmente al telefono con qualche amica delle medie.

    «Per tua sorella non dev'essere facile... era molto legata ai vecchi compagni» disse ad un tratto sua madre, senza distogliere lo sguardo dalla padella in cui sfrigolavano pezzetti di cipolla.

    «Mari, tesoro, tu più di tutti puoi aiutarla ad ambientarsi nella nuova scuola. Non voglio che si senta esclusa e passi i pomeriggi chiusa in casa a studiare e basta. Sarei contenta se anche lei si iscrivesse a qualche attività, come hai deciso di fare tu».

    Maria sbuffò. «Non è stata una sua scelta quella di iscriversi al classico. Inoltre se non ascolta voi è inutile che io tenti di convincerla».

    Sua madre aggrottò le sopracciglia con aria indignata. «E dai, sai benissimo che il liceo classico è quello che dà il livello di preparazione più alto! Io e tuo padre vogliamo solo il vostro bene, per questo abbiamo iscritto Maddi nella tua stessa scuola. Poi non voglio che tu dica queste cose: è pur sempre tua sorella e sono sicura che ti ascolterà». Stava per aggiungere qualcos'altro, ma dal salotto provenne la voce tonante del marito: «Giovanna! È pronto? Sto morendo di fame!».

    Lei rispose che entro cinque minuti il pranzo sarebbe stato servito, e nel frattempo chiese alla figlia di apparecchiare.

    Mentre disponeva le forchette sui tovaglioli, Maria la sentì borbottare un'imprecazione contro il marito. A volte si domandava per quale motivo i suoi genitori parlassero così poco. 

    Suo padre lavorava in ufficio la maggior parte del tempo, e, nei rari momenti in cui era a casa, si limitava a sedere con la famiglia a tavola e a mangiare in silenzio, oppure si ritirava in salotto a guardare la televisione, sempre che non avesse del lavoro da sbrigare nel proprio studio.

    Studio il cui ingresso era severamente vietato quando si verificava quest'ultima circostanza. 

    Sua madre era leggermente più loquace, ma solo riguardo a ciò che le interessava. A conti fatti, anche con lei era impossibile avere un vero e proprio dialogo.

    Quando le figlie tornavano da scuola chiedeva loro com'era andata la mattinata, a volte Maria l'aiutava in cucina, e quando Maddalena aveva difficoltà con i compiti, alle medie, era sempre stata disponibile ad aiutarla.

    Se però Maria aveva un vero

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