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Incompatibilità
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E-book168 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Raffaello Busco a 22 anni si trova costretto a lasciare il suo amato paesino dell’Appennino romagnolo per insegnare a Milano. Maestro elementare, di carattere patologicamente timido, sopravvive in qualche modo alla sfida e ritorna dopo otto anni a Rivogaio. La ritrovata serenità viene per sempre spazzata via dalla pubblicazione di un suo libro, L’ultimo maestro, un diario sulla sua esperienza di docente in cui bonariamente mette in luce i mali della scuola italiana. La piccola comunità insorge e il Provveditorato lo esilia per incompatibilità ambientale in un paesino distante pochi chilometri. Busco, amareggiato e depresso, riuscirà comunque, tra mille difficoltà, a farsi apprezzare dai piccoli alunni grazie anche al sostegno di figure semplici e straordinarie.

Maurizio Boscherini ha iniziato la sua carriera di insegnante di scuola elementare a Milano per poi ritornare al suo paese di origine, Santa Sofia, sull’Appennino Tosco-Romagnolo. Pittore, è stato anche autore di testi teatrali rappresentati dalla sua compagnia Gli sposi promessi. Ha pubblicato L’ultimo maestro (1998), Vi racconto Cuore (2007, Mondadori Junior), e Il ritorno di Gian Burrasca (2017, Libromania-De Agostini).
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2019
ISBN9788835374350
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    Anteprima del libro

    Incompatibilità - Maurizio Boscherini

    Epilogo

    Rivogaio

    Nell’era della tecnologia e delle comodità, chi può immaginare cosa volesse dire nascere nel 1950, in una povera famiglia che abitava sui monti sperduti dell’Appennino romagnolo, quando per raggiungere il più vicino paese si impiegavano tre ore a piedi lungo mulattiere e sentieri?

    Raffaello Busco era nato lì. Quando lui aveva sei mesi, i suoi genitori andarono via dalla famiglia patriarcale in cui erano vissuti, e dalla montagna scesero gradualmente fino alle vicinanze del paese – Rivogaio – cambiando ben tre abitazioni. Era il ’58 quando finirono in quel podere, una casupola fatiscente senza acqua e senza gabinetto. Per i bisogni si andava nella stalla, che d’inverno aveva il vantaggio di essere calda. Col camino che non tirava e faceva un fumo così denso da creare un effetto nebbia, le pareti della cucina erano diventate nere e tali rimasero per inerzia e abitudine.

    Più che una cucina pareva uno stabbio: spesso vi entrava anche qualche gallina lasciando traccia del proprio passaggio.

    Per parafrasare Carlo Levi si potrebbe dire che Cristo si era fermato a Rivogaio, rifiutandosi di proseguire.

    Raffaello imparò a leggere tardi, ma quando acquisì tale capacità si scoprì un vorace lettore, curioso di tutto ciò che fosse carta stampata. Era cresciuto leggendo tutti i libri, fotoromanzi, fumetti che trovava nel baule di una contadina del vicinato, la quale amava le storie d’amore. Il conte di Montecristo fu il primo romanzo che trovò nel prezioso forziere, il suo tesoro.

    Intanto erano arrivati gli anni ’60. Il nostro si recava, in corriera, all’Istituto Magistrale della città, distante una quarantina di chilometri dal paese. Ma l’impresa maggiore era raggiungere il paese. Distava da casa solo un chilometro, ma bisognava prima arrivare allo stradone lungo una mulattiera, fangosa e melmosa dall’autunno alla primavera. Con le piogge abbondanti si trasformava in un pantano in cui si sprofondava. Il povero Raffaello doveva quindi fare il cambio delle scarpe in un casotto presso lo stradone e proseguire a piedi fino alla piazza del paese e salire sulla diretta delle sei. Spesso bagnato fradicio.

    In queste condizioni arrivare al diploma fu un’impresa epica, ma ce la fece.

    Sul finire degli anni ’60 i proletari avevano migliorato le loro condizioni economiche e aspiravano, oltre ad acquistare l’auto e il frigo, a mandare i propri figli all’università. Anche Raffaello, sulla scia di certi compagni un po’ più abbienti di lui (e ci voleva poco a esserlo), fu spinto a iscriversi all’università lontana circa 150 chilometri. Se era stato difficoltoso frequentare le superiori, fu impossibile per lui capire qualcosa dell’università. Un vero labirinto dove non si raccapezzava, tanto che in due anni non riuscì a conoscere alcun professore né altra persona. Si era perso in un mare di vaghezza. Troppo grande era il divario fra il suo ambiente agreste e la metropoli.

    Era come ebete: sentiva che c’era qualcosa che non andava in lui, che era diverso dagli altri. Si lasciava trasportare dalla corrente, passivamente. E il naufragar m’è dolce in questo mare, sospirava col Leopardi.

    Era infelice.

    Quelli della sua età avevano già la ragazza, quando lui non sapeva ancora cosa fosse un bacio. Ma era innamorato, questo sì, della piccola Giulia, una ragazzina del vicinato la quale scherzava con lui prendendolo in giro, stuzzicandolo. Ma era troppo giovane per sperare di avviare un rapporto amoroso. Era un alternarsi di speranza e amarezza: quando gli sorrideva in quel modo così amabile si sentiva al settimo cielo. Ma come accennava a qualcosa di più, lei si chiudeva a riccio. Il nostro Raffaello si era convinto che Giulia era la futura donna della sua vita. Se lo sentiva nel sangue. Forse perché a venti anni si ha bisogno di certezze a cui aggrapparsi. O lei o niente. Ma la povera Giulia non poteva ancora corrispondere alle sue aspettative: troppo giovane e soprattutto non sapeva ancora cosa fosse l’amore. Tutto si limitava alla simpatia verso questo rustico amico che non aveva ancora la ragazza nonostante l’età.

    Raffaello navigava dunque nell’incertezza su tutti i fronti: studio, lavoro, amore. In quel momento era soprattutto l’amore che gli stava a cuore. Un amore vero, grande, profondo in cui immergersi per lavarsi di dosso quell’infelicità perenne.

    Fu così che si rivolse a una nota cartomante della zona. Forse ispirato da una canzone che aveva vinto il Festival di Sanremo. Lì si parlava di una zingara che legge la mano: Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che destino avrò, dimmi se mi ama….

    Così Raffaello: voleva sapere se Giulia lo amava o lo avrebbe mai amato. La cartomante non lo rassicurò, anzi.

    «Con questa ragazza», disse, «non c’è niente da fare». Raffaello però non ci voleva credere e tornò più volte dalla signora che gli dava sempre lo stesso responso:

    «Mettiti il cuore in pace, a questa piacciono i ragazzi spigliati e mattacchioni. Tu sei troppo serio per lei. Lascia perdere».

    Lascia perdere. Una frase inaccettabile quando si è puntato tutto su quello. E così tornava a consultare la cartomante sperando che nel frattempo fosse cambiato qualcosa. Ma le carte erano implacabili.

    Raffaello in cuor suo sperava che quella specie di maga non ci prendesse, almeno non sempre. La prova l’ebbe (o pensò di averla) qualche mese dopo, quando si decise a non chiedere più il rinvio del militare per motivi scolastici (erano due anni che rinviava senza dare alcun esame). Aspettava quindi la cartolina di chiamata alla sua destinazione. In attesa tornò a farsi leggere le carte.

    «Sì, dovrai partire presto», disse la maga.

    «Ma quando? Si può sapere questo?».

    La maga fece certi giri di carte, gli fece alzare tre mazzetti e sceglierne uno. Poi iniziò a stenderle, una per una. Lui col fiato sospeso.

    «Sì, mio caro: partirai l’otto di febbraio».

    Era la prova del nove: se fosse partito proprio quel giorno significava che la maga era infallibile. E quindi anche il responso negativo sull’amore sarebbe risultato veritiero.

    Aspettava dunque con ansia l’arrivo della cartolina, che arrivò a fine gennaio. Le mani gli tremavano mentre apriva la lettera. C’era la data: 1 febbraio. Fece un salto per la gioia. I suoi genitori non capivano perché, visto che doveva partire per il militare. Non poteva certo dire loro che la maga non ci aveva preso, che aveva sbagliato.

    La destinazione era Trapani, il posto più lontano dal suo paese, ma non gli importava niente. Sarebbe andato anche in capo al mondo pur di avere quella speranza!

    Gennaio volgeva al termine, Raffaello si preparava a partire.

    Il suo babbo, persona estremamente timida e schiva con problemi di cuore, soffriva per l’imminente separazione da quel suo unico figlio a cui aveva legato ogni senso della vita. Si era attaccato a lui in modo viscerale, quasi morboso (così pensava Raffaello con una certa insofferenza). Era il periodo dell’influenza, ma Busco era giovane e se ne rideva anche se si sentiva un po’ caldo. Probabilmente aveva la febbre, ma in casa non c’era termometro per misurarla.

    Il giorno dopo doveva partire. E sarebbe partito, senza dare importanza alla cosa se il medico, venuto a visitare il padre, non avesse avuto la bella idea di misurargli la febbre: 38°.

    Fu perentorio: non poteva mettersi in viaggio in quelle condizioni e gli fece un certificato per ritardare la partenza di una settimana. Anziché il primo sarebbe partito, così, l’otto. Raffaello cercò di opporsi al medico dicendo che stava bene e la febbre sarebbe passata presto, ma invano. Non ci fu niente da fare. La cartomante aveva visto giusto, purtroppo. E così risultava valido quanto aveva detto riguardo a Giulia.

    Partì per Trapani il giorno otto. Con la morte nel cuore.

    Dopo una settimana il padre morì di dispiacere: si era spezzato il legame con la vita, in seguito alla separazione dal figlio tanto amato. Raffaello si sentiva in colpa, quasi fosse stato lui il colpevole. Ottenne il congedo dopo poco per motivi famigliari: la madre era rimasta da sola e senza mezzi.

    Tanto per guadagnare qualche soldo si adattò a fare il manovale per il Comune. Mentre lavorava lungo la salita che portava alla scuola elementare del suo paese, avvenne l’incontro fatale della sua vita: quello col maestro Romolino che gli aveva insegnato a leggere e a scrivere in seconda elementare. Un maestro eccezionale che aveva fatto della manualità e creatività la sua marca distintiva, assai rara in quegli anni ’50. Fu Romolino a invogliarlo a provare col concorso magistrale che era stato appena indetto. Lo invitò a casa sua e gli diede da leggere un libro, Le nuove tecniche didattiche di Bruno Ciari, che Busco lesse d’un fiato e conservò da allora come sua guida.

    Si preparò col massimo impegno: anelava a una rivalsa morale e sociale. Lo doveva fare per suo padre che lo stava assistendo, così gli pareva, dall’aldilà. Presentò la domanda di concorso alla provincia di Milano soprattutto per un motivo: là c’erano più posti disponibili.

    Solo per questo? No. Il motivo profondo era un altro: allontanarsi il più possibile da Giulia che amava all’inverosimile senza esserne corrisposto, almeno apparentemente. E poi la cartomante era stata perentoria: lascia perdere. Meglio allontanarsi, allora, sperando di dimenticarla.

    Mentre si stava preparando al concorso continuava a lavorare, prima come manovale e poi come assistente in un convitto del suo paese. Giulia, ragazza educata al valore del lavoro, fu colpita da quel cambiamento positivo di Raffaello e iniziò a guardarlo con un po’ di tenerezza. Fatto sta che si realizzò il miracolo, quando ormai Raffaello non ci sperava più, anche se aveva sempre perseverato con caparbietà nel manifestare all’adorata il suo sentimento.

    Giulia ora lo amava. La cartomante non ci aveva preso. Questo dimostrava che l’uomo può anche opporsi al destino con la sua forza di volontà. L’uomo può creare il suo destino.

    Gli andò bene: vinse con un voto elevato. Il primo ottobre iniziò a fare il maestro a Milano, in via Palmieri. Senza aver mai fatto in vita sua un giorno di supplenza e quindi senza alcuna esperienza pratica. Con una classe quarta di ben 36 alunni. Otto anni durò l’apprendistato milanese, anni duri e sofferti, segnati spesso da dubbi e paure. I primi furono i più duri. Quante volte si chiedeva:

    Ma sono adatto a fare questa professione?.

    C’è un detto: ciò che non ci uccide ci rafforza, e così successe anche a lui che era riuscito a sopravvivere. E non solo, visto che con la sua serietà professionale si era guadagnato la stima della direttrice e dei colleghi. In quella scuola era diventato qualcuno. Ma anelava a ritornare alle sue montagne. Ogni anno presentava domanda di trasferimento. E proprio quando non ci sperava più…

    In un bel giorno di primavera….

    Così potrebbe iniziare il romanzo del suo ritorno. Quel giorno di inizio giugno seppe, al telefono a gettoni, che aveva ottenuto il trasferimento per la sua provincia. Di più: per il suo paese!

    Uscì dalla cabina telefonica volando e gli rimasero le ali per tutta la giornata.

    L’unico dispiacere era lasciare i suoi piccoli alunni a fine prima.

    Eccolo a casa, dunque. Aveva messo su famiglia, intanto, sposando la dolce fanciulla dei suoi sogni. Quel primo anno fu una riscoperta gioiosa delle stagioni. La sua sede distava otto chilometri dal paese: al mattino percorreva con la sua 500 quel tragitto e ammirava il sole che sorgeva dalle amate montagne. Dopo tanto grigiore, cemento e palazzoni era come tornare nell’Eden!

    E poi la pittura! Se il tempo lo consentiva, tutti i santi pomeriggi si recava ora qua ora là col suo cavalletto e dipingeva come un forsennato. Contemporaneamente procedeva come d’incanto il suo lavoro di maestro. Gli era stata assegnata una pluriclasse di campagna: un’esperienza nuova, ma facile per uno che aveva avuto anche 36 alunni! Aveva un tale desiderio di contatto con la natura che approfittava di ogni giornata di sole per portare i sette scolaretti all’aperto: passeggiate esplorative, pittura dal vero, giochi.

    L’aula era uno stanzone con una stufa a cherosene al centro: Raffaello e i suoi pochi alunni vi si disponevano attorno per riscaldarsi. Rispetto alla situazione efficiente e moderna di Milano era retrocesso al Medioevo, ma si sentiva più a suo agio qui. Aria di casa!

    L’anno seguente era nella scuola del suo paese, a contatto con i maestri della vecchia generazione. Una buona stella brillava ora

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