Attrazione in Costa Azzurra (eLit): eLit
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Claire Baxter
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Attrazione in Costa Azzurra (eLit) - Claire Baxter
successivo.
1
Era così bello sentire la voce di sua figlia. Leonie si sistemò il telefono contro l'orecchio e si chiese cosa le era passato per la mente di iscriversi a quel corso all'altro capo del mondo.
Sì, i suoi figli erano adulti, ma avevano ancora bisogno di lei. E anche lei aveva bisogno di loro. Non si era mai separata dai suoi ragazzi. Non per così tanto tempo. Non per un periodo più lungo di un campo scuola estivo.
«Avresti potuto mandarmi un messaggio, mamma. Non era necessario che mi chiamassi di nuovo.»
«Volevo solo accertarmi che avessi capito come far funzionare la lavatrice. È complicato se non sei abituata a usarla.»
«Sì, mamma. Ci sono le tue istruzioni sul post-it.» Sam esitò un istante. «È davvero per questo che hai chiamato, mamma?»
«Certo!» rispose Leonie pronta. Samantha era sempre stata molto perspicace e sensibile. Persino da piccola riusciva ad avvertire i suoi cambiamenti di umore. «Be', tesoro, a essere sincera fino in fondo, volevo accertarmi che stessi bene» confessò.
«Sto bene, mamma. Non è il caso che ti preoccupi.»
«E tuo fratello?»
«Anche Kyle sta bene. È irritante come sempre, ovvio, ma ce la caveremo sino al tuo ritorno. Si tratta solo di qualche settimana, dopotutto. È tempo tuo, mamma. Te lo meriti. Goditelo.»
Più facile a dirsi che a farsi.
«Non è solo questione di poche settimane, sono quasi tre mesi, tesoro! Un trimestre!»
«E ci sono soltanto quattro settimane in un mese» ribatté Sam ridendo. «Passeranno in un lampo. È quello che mi dicevi quando non volevo tornare a scuola dopo le vacanze, ricordi?»
Leonie se lo ricordava. Eccome. Se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo, a quegli anni. Tenendo a freno le lacrime, salutò la figlia e riappese, quindi si spostò davanti alla portafinestra che dava sul piccolo balcone del suo appartamentino. Non si vedeva granché di Nizza, solo palazzi e stretti vicoli. Il prezzo che pagava per aver deciso di stare nel centro storico anziché scegliere un appartamento moderno in città.
Si era rifiutata di alloggiare nel residence della scuola di lingue appena fuori Nizza e aveva preferito quell'appartamento arredato, pensando che sarebbe stato più comodo per le escursioni. Ora però non era sicura di aver fatto la scelta giusta.
L'abitazione era molto più piccola di quanto appariva in Internet. Si era detta che sarebbe stato semplice da gestire ed era così, ma per lei abituata a una grande casa negli spazi aperti australiani, con tanto terreno intorno, quell'appartamento, con il microscopico angolo cottura e il minuscolo bagno, era uno shock. Come lo era l'abitudine di stendere i panni alle finestre. Lei non era solita mettere in mostra gli indumenti intimi, meno che mai esporli alla vista dei passanti.
C'erano momenti, come quello, in cui l'appartamento le trasmetteva un senso di claustrofobia. E lei non aveva mai provato in vita sua nulla di simile. Grazie al cielo, c'era un balcone.
Come al solito, c'era un'anziana signora seduta nel balcone davanti al suo. Era sempre ben vestita e curata. Leonie si domandò perché non usciva mai. Stava aspettando qualcuno che non sarebbe mai venuto?
Cercò di sorridere mentre la salutava con la mano, ma la donna non reagì. «Bonjour, Madame» provò di nuovo.
Ricevette in risposta un impercettibile cenno del capo. Be', meglio che niente.
Leonie guardò in strada, chiedendosi cosa fare per passare il tempo. Abbandonò l'idea di un giro in città. Non che non ne avesse voglia, semplicemente non se la sentiva di farlo da sola. Ci aveva già provato, ma anche con l'aiuto della cartina continuava a perdersi. Orientarsi non era mai stato il suo forte, ma era anche vero che non si era mai trovata realmente nella condizione di doverlo fare. Nei viaggi che aveva fatto sino a quel momento il suo lavoro era stato accertarsi che tutti avessero da mangiare e da bere, che portassero gli occhiali da sole e si divertissero.
Adesso, però, il suo ruolo era cambiato. Il problema era che, dopo aver finalmente trovato il posto ideale per lei, sarebbe tornata a casa con la consapevolezza di non avere nessuno con cui condividere le emozioni di quell'esperienza.
Niente marito, niente figli. Erano stati tutta la sua vita per tanto tempo. La disorientava essere così sola.
A parte il fatto che i ragazzi le mancavano da morire, non era certa di aver fatto la cosa giusta iscrivendosi a quel corso di full immersion linguistico. L'idea sulle prime le era parsa stupida. Aveva sempre desiderato migliorare il suo francese scolastico e viaggiare, ma essendosi sposata con Shane subito dopo il diploma e avendo poi cresciuto i figli curando il marito nel corso della lunga malattia, non era riuscita a realizzare il suo sogno.
Ora, a tre anni dalla morte di Shane, con entrambi i figli all'università, era finalmente pronta a scoprire cosa aveva da offrirle il mondo, e poteva anche permetterselo.
Tra la polizza assicurativa di Shane e quello che aveva ricavato dalla vendita della sua azienda, poteva condurre una vita agiata. Non era costretta a lavorare per mantenersi.
Imparare il francese in Francia... be', le era sembrato l'ideale, ma la realtà stava rivelandosi diversa da come se l'era aspettata. Per prima cosa, la lingua era davvero difficile. O forse lei era troppo vecchia per cimentarsi ancora con lo studio.
In ogni caso, aveva serie difficoltà a dare un senso a ciò che la gente le diceva. Gli altri studenti, invece, non sembravano avere problemi in quel senso, perciò si sentiva un pesce fuor d'acqua tra loro.
E questo era il secondo punto. Pensava che si sarebbe fatta degli amici al corso, invece i compagni erano tutti giovanissimi. La trattavano con cordialità, ma quando le chiedevano se voleva uscire a bere qualcosa con loro lo facevano solo per educazione. Lo capiva da come evitavano il suo sguardo mentre aspettavano che rispondesse.
Quindi non accettava mai. Non le andava comunque. Sarebbe stato come socializzare con gli amici dei suoi figli e non si sarebbe sentita a proprio agio.
Aveva trovato molto educati i francesi che aveva conosciuto sinora. I negozianti uscivano da dietro il bancone per salutarla quando entrava in un negozio, ma in generale non facevano molta conversazione. Non con degli stranieri, almeno. Non aprivano bocca a meno che non fossero interpellati e anche in quel caso parlavano con evidente riluttanza.
Tutti tranne l'uomo che gestiva il piccolo caffè che aveva scoperto la settimana prima. Stava vagabondando per le strade del centro storico - più che altro vicoli, non erano abbastanza larghe per essere definite strade - quando si era aperta una porticina di fianco a lei. L'aroma delizioso e il vociare allegro, che si erano riversati all'esterno, le avevano fatto venir voglia di entrare.
Aveva alzato lo sguardo sull'arco che sovrastava l'ingresso ma non aveva visto alcuna insegna, solo una finestra dalle persiane verdi con una lampada luminosa sotto. Il profumo di caffè, però e i rumori di un posticino piccolo e affollato aveva agito su di lei come il richiamo del Pifferaio Magico e li aveva seguiti docilmente. Dentro aveva trovato una deliziosa caffetteria e un'accoglienza che le aveva risollevato il morale quanto l'ottimo caffè.
Jean-Claude, l'uomo che l'aveva servita, era stato cordiale e socievole e le era parso sinceramente interessato a lei. Questo solo sarebbe stato sufficiente a farla tornare lì, ma aveva gradito molto anche la musica jazz diffusa dalle casse piazzate nelle nicchie dei muri candidi, tra dipinti e stampe che, persino al suo occhio inesperto apparivano antiche.
C'erano diverse riviste e quotidiani a disposizione dei clienti e anche lei aveva curiosato tra le pagine, soffermandosi sulle storie che era quasi riuscita a tradurre. Sarebbe stata una buona idea prendere l'abitudine di leggere, si disse.
Nel giro di pochi minuti, Leonie era uscita, diretta alla caffetteria. Avrebbe potuto comprare i giornali, certo, ma così era più gradevole. Le dava la sensazione di essersi inserita.
E poi avrebbe avuto qualcosa da fare e lei aveva bisogno di sentirsi occupata. In tutti quegli anni, passati a prendersi cura degli altri, aveva sognato di fare una vacanza da sola, senza nulla da fare. Ora che aveva realizzato il suo sogno, non era certa che le piacesse del tutto. Forse si era abituata all'idea di essere necessaria a qualcuno e lì nessuno aveva bisogno di lei. Era una sensazione strana.
La caffetteria era piena e Jean-Claude non aveva tempo per chiacchierare.
Quando Leonie raggiunse la rastrelliera dei giornali scoprì che era rimasto solo il più difficile. Be', difficile per lei, riconobbe, mentre con la rivista sottobraccio e la tazza di caffè in mano andava a sedersi a un tavolino.
Dopo aver aperto il giornale sul tavolo, bevve un sorso di caffè e perlustrò la sala con un'occhiata, domandandosi se fosse quella la norma e se non fosse stato un caso, la settimana prima, che il locale non fosse affollato. Mentre vagava con lo sguardo da un tavolino all'altro, si accorse di un uomo affascinante che le stava sorridendo. Si guardò alle spalle, ma non c'era nessuno dietro di lei. Accidenti, stava sorridendo proprio a lei!
Ricambiò il sorriso. Aveva già visto quell'uomo. La prima volta che era andata lì, era seduto al bancone, su un alto sgabello. Non aveva potuto fare a meno di notarlo. Be', con quella sua camicia candida e i calzoni scuri spiccava in mezzo al resto degli avventori, tutti in abiti casual. Probabilmente lavorava lì nei dintorni. Ma non era solo l'abbigliamento... c'era qualcosa in lui che lo distingueva. Carisma?
Di qualunque cosa si trattasse, stava ancora guardandola. Forse pensava di averla già vista da qualche parte. Se era così, si sbagliava.
Con un'alzata di spalle, Leonie posò la tazza, inforcò gli occhiali e cercò di concentrarsi sulle parole che aveva davanti.
Ci riuscì quasi, nonostante alzasse lo sguardo di continuo per controllare se l'uomo era ancora lì. Dopo un po', decise che non avrebbe staccato gli occhi dal giornale almeno sino a che non fosse arrivata in fondo a un articolo. Il più breve sarebbe andato bene.
A metà pezzo, tuttavia, venne interrotta da una voce maschile. Quando alzò lo sguardo oltre il bordo della tazza, mise a fuoco l'uomo che le stava davanti. L'uomo che le sorrideva. Lo stesso cui non riusciva a togliere gli occhi di dosso. E da vicino era ancora più bello.
Più vecchio di quanto Leonie avesse pensato sulle prime, aveva abbastanza grigio sulle tempie da avere l'aria... affidabile. Lo stesso valeva per il ventaglio di piccole rughe agli angoli degli occhi marroni. Occhi che trasmettevano un tale calore che Leonie si ritrovò a sorridere anche se non aveva sentito quello che lui aveva detto.
Si mise gli occhiali sulla testa, tra i folti riccioli biondi, quindi gli chiese di ripetere. Guardò la sua bocca mentre parlava, cercando di trasformare i singoli suoni in parole. Ma senza successo.
A un certo punto scrollò il capo e alzò le spalle in un gesto di scusa.
Gli occhi di lui si riempirono di compassione. «Vous etes sourde?» chiese, scandendo le parole.
Sourde, sourde... Leonie cercò nella memoria.
L'uomo si coprì le orecchie con le mani e accompagnò il gesto inarcando un sopracciglio, interrogativo.
Sorda! Ecco cosa significava.
«Oh, cielo, no!» rispose Leonie, scuotendo la testa. «Sono australiana.»
«Mi scusi» ribatté l'uomo, cambiando lingua e sorridendole. «Non ci avevo pensato. Questo locale in genere non attrae turisti.»
«Non mi sorprende. L'ho scoperto per puro caso. Non c'è nessuna insegna fuori.»
«No. È così che ci piace.» Il sorriso si fece più largo. «Mi perdoni. Non intendevo offenderla.»
«Oh, non mi sono offesa. Non sono una turista.»
«Ah, bon. Vive qui?»
«Be', solo per un