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Biglietto di sola andata
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E-book178 pagine2 ore

Biglietto di sola andata

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Info su questo ebook

Sofia è una ragazza di 25 anni, neolaureata e con grandi ambizioni. Dopo i primi colloqui di lavoro, capisce che la città in cui ha sempre vissuto, Bari, comincia a starle stretta. Per questo decide di lasciare tutto, anche il fidanzato storico, e trasferirsi a Londra per frequentare un master in giornalismo, in cui ripone grandi aspettative. Ma il suo entusiasmo sarà presto smorzato da quella che si rivelerà essere una città difficile, ostica e a tratti pericolosa.
Sofia si troverà a fare i conti non solo con una realtà fatta di tentazioni e pericoli, ma sarà costretta a misurarsi con una persona completamente diversa da quella che credeva di essere. 

Silvia Scicchitano è nata a Bari nel 1991. Laureatasi in Filologia Moderna, ha conseguito un master in giornalismo a Londra. Attualmente vive a Milano, dove lavora come Product Manager presso una multinazionale. Da sempre consapevole del potere della parola come efficace mezzo comunicativo, riesce a darne prova tramite una scrittura creativa che conduce il lettore nel viaggio interiore della protagonista. Biglietto di sola andata è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2021
ISBN9788830637269
Biglietto di sola andata

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    Biglietto di sola andata - Silvia Scicchitano

    scicchitano-piatto.jpg

    Silvia Scicchitano

    Biglietto

    di sola andata

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-3214-1

    I edizione febbraio 2021

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Biglietto di sola andata

    Fear not for the future, weep not for the past.

    Non temere per il futuro, non piangere per il passato.

    P.B. Shelley

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    CAPITOLO I

    Finalmente era fatta. Aveva preso quella decisione e non sarebbe tornata indietro: aveva appena comprato un biglietto di sola andata per Londra partendo da Bari, la città in cui aveva vissuto per tutti i suoi 25 anni. Di lì a due settimane, il 23 settembre 2016, Sofia avrebbe iniziato un nuovo capitolo della sua vita. Non era stata una decisione facile da prendere, ma tutto di quanto successo nei mesi precedenti l’aveva portata a quella scelta e a volersi misurare, una volta per tutte, con chi era veramente.

    *

    Il periodo post-lauream non aveva portato grandi novità nella vita di Sofia: la magistrale in Filologia Moderna non stava dando grandi sbocchi, soprattutto dal momento che il Ministero dell’Istruzione aveva bloccato qualsiasi possibilità per i giovani laureati di diventare insegnanti. Lì per lì, Sofia si accontentò nel suo piccolo di fare qualche ripetizione privata di italiano e inglese, ottenendo anche dei risultati soddisfacenti, ma sapeva che non avrebbe potuto limitarsi a quello. Il sogno di insegnare si stava allontanando sempre di più dalla sua mente e dal suo cuore, così, un giorno, provò quasi per gioco a inviare la sua candidatura alla compagnia aerea Ryanair, di cui tanto si parlava male, ma tentar non nuoce – pensò – sono disposta a tutto pur di lavorare. Era stata selezionata per l’Assessment Day, che prevedeva una prova scritta di inglese e un breve colloquio nello stesso giorno, il 30 marzo all’hotel Parco dei Principi. Ci siamo. Questa è la mia prima vera prova nel mondo del lavoro. Speriamo bene!.

    Si era preparata delle risposte a qualche domanda che avrebbero potuto farle, ma il giorno del colloquio perse molto più tempo a indossare il suo primo tailleur e a improvvisare un trucco leggero e professionale, piuttosto che a ripetere quelle risposte. Si guardò allo specchio e una giovanissima ragazza alta, esile e dai capelli corti le sorrideva incerta, con quegli occhi grandi di un verde erba che tradivano la sua preoccupazione. Bando alle ciance pensò, mise delle scomode décolleté, scese le scale di casa e raggiunse il suo ragazzo Pietro che aveva parcheggiato temporaneamente sulle strisce pedonali. Sofia salì in macchina e lo salutò con un bacio, accarezzandogli i capelli neri che gli ricadevano sugli occhiali scuri, e d’un tratto si sentì più tranquilla. Sofia era molto legata a lui: era stato il suo punto di riferimento per cinque anni e da lui aveva imparato tante cose, come l’essere paziente e l’avere una buona dose di sicurezza in se stessi, qualità che la Sofia adolescente non aveva. Lei era totalmente affascinata dalla loro differenza d’età e dal suo avere sempre un’opinione su tutto, ma ciò che a lui mancava era qualcosa che lei aveva già dentro di sé e che aveva solo bisogno di tirar fuori. E, una volta scoperta, questa differenza avrebbe segnato una grande svolta nelle loro vite.

    La prova scritta di inglese era fin troppo basilare e, superato quello step, la prova orale si svolse abbastanza semplicemente con una breve conversazione per confermare le sue abilità linguistiche. La settimana dopo ricevette una e-mail da Cabin Crew: era stata presa. Certo, avrebbe dovuto sborsare la bellezza di €2500 per fare il corso di formazione per diventare assistente di volo, ma era stata presa. Al suo primo colloquio.

    L’euforia passò molto presto: i suoi genitori erano fermamente contrari all’idea che la loro figlia potesse essere spedita in chissà quale base europea, conducendo una vita sacrificata e solitaria. Per non parlare del rischio degli attentati: c’era stato da poco l’attacco terroristico coordinato a Bruxelles del 22 marzo e c’era tensione un po’ in tutta Europa. Ma ciò che preoccupò Sofia, fu la reazione di Pietro: lui non avrebbe mai approvato una decisione simile perché era «un lavoro da 1300 euro al mese per tre anni, senza un rinnovo assicurato e senza possibilità di crescita, non è il massimo a cui poter ambire» disse. Ma Sofia aveva le sue motivazioni, il vuoto che sentiva dopo essersi laureata era difficile da colmare e lei non era proprio il tipo da starsene con le mani in mano. Aveva troppa energia dentro di sé per lasciarla inespressa, ma il sì, mi mancheresti molto del suo ragazzo, la fece desistere una volta per tutte.

    Finalmente arrivò giugno. Sofia non era riuscita a strappare neanche uno straccio di colloquio dopo quello con Ryanair, ma alla fine del mese sarebbe partita per un’esperienza di trenta giorni a Bath, nella contea di Somerset in Inghilterra, lavorando come Activity Leader presso l’Università. Aveva avuto l’imbeccata dal suo stimato professore di inglese del liceo, che fu capogruppo di una vacanza studio a cui Sofia aveva partecipato durante il suo terzo anno al Liceo Scientifico Scacchi di Bari: quelle due settimane a Dublino le erano rimaste nel cuore. Il professore le aveva consigliato un’associazione inglese, il TEI¹, che ogni anno organizzava vacanze studio per ragazzi e ragazze dagli 11 ai 18 anni di qualsiasi nazionalità. Il TEI si occupava anche di reclutare gli Activity Manager e gli Activity Leader che avrebbero dovuto occuparsi di tutte le attività e le escursioni che gli studenti avrebbero fatto durante la permanenza al college. Sofia si era messa in gioco come sempre e non vedeva l’ora di fare quell’esperienza: amava i paesi anglofoni e soprattutto amava Londra.

    Salutò Pietro: era la prima volta che sarebbero stati lontani per così tanto tempo e Sofia aveva paura che le cose tra loro sarebbero potute cambiare. Avete affrontato tante prove finora. Riuscirete a superare anche questa pensò.

    I primi giorni a Bath furono tutt’altro che semplici: il suo livello di inglese, che sulla carta le era sembrato adatto ad affrontare quella sfida, non era sufficiente a capire i suoi colleghi e i loro disparati accenti. Molti di loro provenivano da cittadine inglesi la cui pronuncia era decisamente marcata e di certo non facevano alcuno sforzo per farsi capire più facilmente. La cosa più difficile di tutte era cercare di comprenderli quando parlavano contemporaneamente: era talmente faticoso che spesso non le era chiaro neanche l’argomento della conversazione e, anziché buttarsi nella mischia rischiando di fare una brutta figura, Sofia preferiva rimanere in silenzio, isolandosi. Nonostante qualche incomprensione (era normale dopotutto: lingua e cultura erano profondamente diverse dalle sue), stava iniziando ad apprezzare sempre di più il modo in cui tutto, in quella nazione, funzionasse perfettamente: l’organizzazione, i trasporti, le infinite possibilità di lavoro date agli studenti, persino a quelli più giovani. Tutto era preciso, accessibile e... semplice. A coronare il suo entusiasmo, aiutava tanto il lavoro: organizzare giochi e altre attività di gruppo le riusciva stranamente facile e questo lo doveva al suo lato creativo e giocoso. Riuscire a intrattenere gli studenti, a non farli annoiare e contribuire a costruire un bel ricordo per loro era quanto più di speciale quell’esperienza potesse darle: il sentirsi utile e l’essere ripagata per questo. Raramente si era sentita così. Finalmente riusciva a provare delle emozioni coinvolgenti e positive dopo mesi terribilmente piatti e noiosi, in cui la disperazione per l’assenza di un lavoro nella sua città stava iniziando a pesarle sempre di più.

    All’improvviso, come una doccia fredda o come una di quelle epifanie tanto utilizzate da Joyce e dalla Woolf nei loro capolavori, una domanda le balenò nella mente: E se fosse la città, o addirittura la nazione, ad essere sbagliata?. In fondo, tante volte nell’arco dei cinque anni precedenti, Sofia aveva pensato che Bari le stesse un po’ stretta: bellissima città portuale affacciata sul mar Adriatico, col passare del tempo le era sembrata sempre più piccola, tanto che era diventato difficile anche solo conoscere persone interessanti e dalle ampie vedute.

    Il rientro dall’Inghilterra fu quasi un trauma per lei: il clima torrido di agosto le faceva mancare il respiro, così come la gabbia in cui aveva capito di trovarsi da un tempo imprecisato. Era arrivato il momento di fare qualcosa, non poteva più mentire a se stessa.

    «Ho capito che voglio andare a vivere in Inghilterra – comunicò a Pietro quando si rividero dopo quel mese di lontananza –. Voglio fare quest’esperienza, ne sento proprio il bisogno. Qui mi manca l’aria, mi sento davvero inutile. Il vuoto che provo da quando mi sono laureata sembra impossibile da colmare restando qui. Mi sembra di impazzire. Devo farlo, devo almeno tentare» disse con il tipico trasporto che la caratterizzava quando teneva davvero a qualcosa. «Vorresti venire con me?».

    Sofia sapeva, in cuor suo, quale sarebbe stata la risposta a quella domanda. Pietro era molto legato alla sua famiglia e alla sua città e non era per nulla il tipo di persona da lasciarsi tutto alle spalle e buttarsi nell’ignoto, soprattutto nel modo da lei proposto. A ben vedere, però, neanche lui aveva un lavoro fisso che lo tratteneva a Bari e lei faceva leva su questa motivazione, nutrendo un barlume di speranza generato probabilmente dall’affetto che provava per lui. Tuttavia nonostante le valide argomentazioni fornite da lei, lui fu irremovibile.

    «Tu però vai pure se senti davvero di volerci andare. Sei libera di prendere la decisione che ritieni più giusta» le disse.

    Erano le parole più utilizzate dal ragazzo e neanche quella volta Sofia si sentì minimamente confortata da esse, né tantomeno compresa. Possibile che la persona con cui era cresciuta negli ultimi cinque anni non era riuscita a comprenderla e soprattutto non era disposta a mettersi in gioco per lei una volta per tutte?

    Passarono i giorni e Sofia si sentì molto sola. Una volta lanciata quella bomba, non riusciva a pensare ad altro. Era inquieta e i giorni trascorrevano a fatica, sembravano non passare mai. Ormai aveva maturato la convinzione che le servisse un cambiamento, una svolta definitiva. Iniziò a pensare che quell’idea fosse stata lì da sempre e che l’avesse sepolta dentro di sé solo per cercare di concludere il suo percorso di studi il più velocemente possibile e non compromettere i delicati anni universitari. Ma, si sa, quando si va avanti come un treno a tutta velocità si rischia di non riuscire a vedere l’insieme, il cosiddetto quadro generale. Capì di aver vissuto in una bolla, o addirittura in una gabbia, per tanti anni. Sul momento, non riuscì a comprendere se vi ci fosse rinchiusa lei stessa o fossero state le circostanze e le persone attorno a lei

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