Sono di Ponsacco
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Sono di Ponsacco - NuovaStampa
sdegna
Il Ponte di Sacco ha 20 anni. Ed è un miracolo.
Zitto zitto ‘Il Ponte di Sacco’ ha compiuto vent'anni. Il primo numero uscì che era l'aprile del 1998. Per lanciarlo e farlo conoscere ai ponsacchini, venne regalato durante una festa di paese. La gente pensò che fosse un dépliant pubblicitario e a fine serata lo buttò via. Gli spazzini ebbero il loro da fare per raccogliere tutti quei giornali. C'è gente che si mangia ancora le mani, perché col tempo ‘Il Ponte di Sacco’ è diventato anche un oggetto da collezione, tanti lettori ogni mese lo mettono da parte e lo conservano. Così, quel primo numero che all'epoca finì nel cestino, oggi è introvabile, ed è diventato a suo modo prezioso.
Zitto zitto ‘Il Ponte di Sacco’ ha compiuto vent'anni. E' un miracolo. Per molti motivi. Prima di tutto perché in zona non esistono paesi come il nostro, ma anche più grandi, che abbiano un giornale tutto per loro. E poi perché dopo vent’anni ‘Il Ponte di Sacco’ continua a godere di buona salute, malgrado l'andazzo del mondo dell'editoria. Per dare l’idea: nei primi anni del Duemila, Corriere e Repubblica vendevano ciascuno quasi novecentomila copie. Ora come ora è manna se insieme arrivano a seicentomila. E ci sono giornali a diffusione nazionale che brindano se toccano quota 50 mila. ‘Il Ponte di Sacco’, in un paese di 16 mila abitanti (neonati compresi), resiste e ogni mese viene venduto e comprato nelle edicole.
Tutto questo è un miracolo anche perché ‘Il Ponte di Sacco’ è fatto solo da volontari. Cioè, per capire: sono vent'anni che Benozzo Gianetti scorrazza avanti e indietro per il paese a raccogliere notizie e storie e che lo fa solo per passione. Sono vent'anni che la Nuovastampa ogni mese pubblica ‘Il Ponte di Sacco’ e che lo fa solo per passione. Sono vent'anni che tutti i collaboratori e gli 'amici del Ponte' scrivono articoli, mandano foto, danno il loro contributo e che lo fanno solo per passione. Perché nessuno ha lo stipendio de ‘Il Ponte di Sacco’. Di più: nessuno ha mai guadagnato un euro con ‘Il Ponte di Sacco’. Nessuno. Se ‘Il Ponte di Sacco’ esiste è grazie a gente di buona volontà. Potremmo metterci qua a fare l'elenco di tutti coloro che hanno contribuito a questo piccolo miracolo, ma non finiremmo mai. Una persona però merita più di tutti la citazione: Fausto Pettinelli. Se ‘Il Ponte di Sacco’ naviga sempre è perché all'inizio lui ha saputo dargli una bella spinta, che va avanti tuttora, con Fausto che preferisce godersi un po' di riposo, lasciando a Giampaolo Grassi il compito di affiancare Benozzo nella direzione.
‘Il Ponte di Sacco’ è un miracolo perché è un giornale fatto per la gran parte da non giornalisti. Oddio, qualcuno ce n'è, certo, però fra chi scrive ci sono soprattutto persone che fanno un altro mestiere.
E poi. Che ‘Il Ponte di Sacco’ esista ancora è un miracolo perché non lo hanno affossato i battibecchi, le diatribe, i parapiglia e perfino gli attacchi che inevitabilmente suscitano gli articoli, i commenti, le lettere, le idee, i punti di vista, le notizie, le storie che vengono pubblicate su un giornale scritto da ponsacchini per i ponsacchini. Anzi, nell'euforia del compleanno, verrebbe quasi da dire che senza quella roba lì ‘Il Ponte di Sacco’ sarebbe il giornale morto di un paese morto. Invece è ancora il giornale vivo di un paese vivo. Però ecco, bubbolate con moderazione, se possibile. E se poi ogni tanto vi scappa pure un complimento, noi prendiamo anche quello.
E ora veniamo a questo libro. Per festeggiare i vent'anni, abbiamo deciso di elevare a potenza lo spirito di appartenenza al nostro paese, concentrandoci sull’affermazione: Sono di Ponsacco
, cercando di declinarla al passato, al presente e al futuro. Perché l’ambizione de ‘Il Ponte di Sacco’ è contribuire a mantenere vivo il senso di comunità, ricordando ciò che è stata, provando a spiegare ciò che è e sperando di costruire meglio quella che sarà. Quindi, abbiamo chiesto a un po’ di persone cosa significhi per loro dire: Sono di Ponsacco
. Ci siamo rivolti a chiunque abbia il sacrosanto diritto di dirlo, che sia ponsacchino da mille generazioni o da un anno, che sia arrivato da vicino o da lontano, che sia un personaggio o che lo conoscano tre gatti. Il vario identikit degli autori ci era ben chiaro ma, in pieno stile ‘Ponte di Sacco’, per metterci a cercare chi dicesse la sua ci siamo mossi in maniera un po’ disordinata, casuale, improvvisata, importunando amici incontrati alla bottega, parenti rivisti dopo anni alla comunione del nipote, persone incrociate in chiesa la domenica, o il martedì al bar o una mattina sul corso ... Qualcuno ce lo siamo dimenticato, qualcuno ci ha detto di no, molti ci hanno detto di sì.
L’unica indicazione che abbiamo dato agli autori dei testi è stata quella di attenersi al titolo, Sono di Ponsacco
, di non andare fuori tema. La vastità dell’argomento ha dato modo di raccogliere immagini, atmosfere, suggestioni anche molto diverse fra loro. Tutti sono stati liberissimi di scrivere quello che hanno voluto e quanto hanno voluto. Perché l’obiettivo è stato dar vita a un’opera corale, frutto di sensibilità, visioni, mentalità, aperture, stili, capacità e perfino responsabilità diverse.
Insomma, il risultato di questo po’ po’ di lavoro lo avete sotto gli occhi.
Buona lettura e... buon compleanno a noi.
Il Ponte di Sacco
Orgogliosamente campanilisti
saluto del sindaco - Francesca Brogi
Ponsacco è la mia città e i ponsacchini sono la mia gente. La mia famiglia paterna è di Ponsacco da sempre, antica come l'olmo che campeggiava di fronte al casolare della casa dei miei nonni: i Brogi di via Puntale. Gigi, il fratello del mio nonno paterno, ripeteva spesso questa frase: «Quest'olmo lo hanno piantato i nostri vecchi più di trecento anni fa». Questi e molti altri sono i racconti che ho ascoltato in famiglia, il ricordo vivo di una Ponsacco ormai passata. La Ponsacco dei mezzadri, del lavoro nei campi, del pane cotto in forno una volta alla settimana quando andava bene, delle grandi famiglie contadine che si riunivano per i raccolti, come la vendemmia, e le immancabili mangiate all'ombra dell'olmo. Una Ponsacco umile ma piena di dignità e saggezza, forte come la tempra di coloro che sono abituati a lavorare i campi. E allora mi tornano in mente le parole di mio zio Giovanni, quando mi diceva: «Bimba, ricordatelo, la terra è bassa». Poi è arrivato il boom economico, gli anni Sessanta, la grande ‘trasformazione’ con il passaggio dal lavoro nelle campagne a quello nelle fabbriche e in molti andarono a lavorare alla Piaggio a Pontedera. Come il mio caro nonno Rodolfo. Mio nonno fece la guerra in Russia, rimase prigioniero, ma riuscì a tornare in Italia, nella sua Ponsacco, dalla sua famiglia. Ancora oggi possiamo contare su un quasi centenario testimone vivente di quella storia così dolorosa per il nostro paese, Pietro Alcamisi, a cui l'amministrazione comunale ha voluto consegnare un attestato di riconoscimento.
Ma torniamo al boom economico, quando a Ponsacco crescono le botteghe artigiane e i mobilifici. I ponsacchini si fanno conoscere in tutta Italia e anche all'estero per il loro artigianato di qualità. La sagra del truciolo entra nella memoria collettiva, mentre un segno di riconoscimento infallibile di molti diventano le mani con meno di dieci dita, perché a fare i falegnami sono una delle prime cose che perdi. Anche questo l'ho imparato da subito in famiglia a guardare quelle di mio zio Giovanni. Poi la crisi degli anni ottanta e la trasformazione: nascono mostre di mobili da tutte le parti. Certamente la globalizzazione e l'innovazione dei processi produttivi rischiano di portarci via molto di quel mondo, a partire dalla bellezza di quelle mani che lavorano il legno di cui conoscono ogni segreto, levigatura e sfumatura di colore. Tutto ciò fa parte di una cultura collettiva che non può andare persa e che continua a vivere nella sapienza di molti maestri artigiani, oggi imprenditori affermati. I ponsacchini del resto mostrano un attaccamento unico verso le proprie radici. Se fosse possibile parlare del carattere di un popolo, direi che questo è un nostro tratto distintivo o che per lo meno accomuna i più. In questi anni ne ho conosciuti molti che hanno raggiunto posizioni di successo, e in tutti ho visto brillare la medesima luce quando raccontavano della loro amata cittadina. I ponsacchini son così: brontoloni, criticoni ma tutti quanti sono profondamente innamorati del proprio paese. Diciamoci la verità, sono campanilisti i ponsacchini, ma lo sono nel senso più bello del termine, per l'amore profondo che li lega alla loro storia.
Forse è anche per questo che a Ponsacco, nonostante l'avvento della modernità e un cambiamento radicale nello stile di vita di ciascuno di noi, le tradizioni sono dure a morire. Basti pensare alla fiera cittadina e al giorno del fierone. Non importa se ti sei trasferito altrove, anche a chilometri e chilometri di distanza, non importa se ormai sei cresciuto e diventato adulto per i giochi, il giorno della fiera è atteso da tutti, lo si festeggia con grandi pranzi in famiglia, vestiti a lucido e pronti a fare il proprio giro in centro. E così, se altrove le fiere paesane sono ormai in crisi, a Ponsacco si continua a registrare una grandissima partecipazione, che dà vita ad una