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Stagioni
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E-book289 pagine3 ore

Stagioni

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Info su questo ebook

Il testo si affianca al precedente: “Il rastrello e il giglio rosso”, traducendo i

cambiamenti sociali in storie che hanno contribuito a definire l’idea di comunità

inzinese. Il fiume Mella, attraversando in tutta la sua lunghezza la Valle Trompia,

è il tramite tra i luoghi, il paesaggio, le persone e le vicende narrate. I racconti

presentati permettono pluridiscorsive interpretazioni, risultando linearmente

inseriti nel contesto che li ha formati, sempre compresi nel dialogo con la natura e

le comunità della Valle. L’ampio ventaglio delle situazioni coinvolge

emotivamente anche grazie al fatto che sanno intrecciare vicende personali con la

realtà, presentando vari filoni di riflessione, non solo letteraria, nella pluralità di

connessioni con il contemporaneo in continui rimandi e sollecitazioni che toccano

le nostre sensibilità in fatto di ecologia, senso del vivere, consapevolezza della

storia e lucido sguardo sul futuro. Come è stato rilevato, alcune storie sembrano

sostenere una certa filmografia in bianco-nero di autori che delle piccole cose, di

realtà contadine e lontane dalla grande città, sembrano avere il caposaldo.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2019
ISBN9788831630603
Stagioni

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    Anteprima del libro

    Stagioni - Alessio Tanfoglio

    www.youcanprint.it

    Considerazioni e ringraziamenti

    „Stagioni‟ è il titolo di questa nuova raccolta di narrazioni che intendono idealmente continuare il percorso tracciato nel volume „Il rastrello e il giglio rosso‟. L'obiettivo primario è di dare voce a coloro che ancora percepiscono come vivo il sentimento di appartenenza alla comunità inzinese, senza barriere o steccati ideologici, ma sostenendo il valore dell'inclusione e della solidarietà, valori sempre ben presenti nella nostra amata valle. Si tratta di storie, diciamo racconti del possibile, che ci forniscono ipotesi d'interpretazioni della realtà senza però esaurirsi in esse, ma suggerendo utili chiarimenti e riflessioni che ben si adattano alla contemporaneità.

    Le voci narranti sono voci di compaesani e coscritti che hanno attraversato il secolo scorso col piglio di pionieri, e forse di sognatori intraprendenti, cercando un possibile ordine tra le cose della realtà, coscienti che i cambiamenti nascono dall'agire quotidiano. Si tratta a volte di racconti che neppure avevano mai pensato di raccontare perché parte intima e riservata della loro vita, eppure adesso sono qui sulla carta. Ognuno secondo il proprio temperamento, ha raccontato episodi, descritto situazioni e personaggi secondo ciò che ricordava, io sono stato ad ascoltare cercando di porgere un qualche orientamento. Qualcuno ha ricordato fatti gioiosi, spensierati, con entusiasmo, altri invece hanno voluto citare situazioni spiacevoli, giorni o stagioni balorde, di morose „facili‟, di spose tradite e matrimoni saltati, di figli scombinati e scapestrati. Pochi i racconti riguardanti la politica e i partiti, ma qualcuno forse confondendosi con realtà d'altri paesi, ha raccontato di schede elettorali già votate nascoste e scambiate alla conta. Alla fine mi sembra che nel testo ci sia una buona convivenza tra gli uni e gli altri avvenimenti.

    I temi che emergono sono quelli universali che anche nell'introspezione affiorano con forza per affermare ancora la meraviglia del mondo e la speranza di un futuro migliore. Il testo cerca inoltre di mettere in risalto i temi legati alle età, alla cultura, nel contesto di un perenne confronto generazionale dove i „vecchi‟ sanno anche ascoltare i giovani e suggerire nuovi percorsi con saggezza, dove l'adolescenza diventa stimolo e propulsione di forze miglioratrici dello status quo, dove i valori della pace, dei diritti civili, dell'amicizia e dell'amore si sposano all'etica e alla crescita di una consapevole identità sociale.

    Tutto è cambiato dai decenni 1950/70, sia le modalità di incontro che i rapporti interpersonali, oltre all'ambiente e al lavoro. L'arco di queste decine d'anni raccontate in questo testo con voluta leggerezza, va inteso come sguardo d'insieme dei cambiamenti sociali, ambientali, nei quali le dinamiche relazionali si sono evolute, o involute (a seconda dei punti di vista), saldate a esigenze mediatiche, o deteriorate in fragilità che non immaginavamo.

    Le storie parlano di vita, la stessa di tutti. Per noi ragazzi e adolescenti nel decennio 1960 gli avvenimenti e le esperienze che ci trovavamo a vivere sono state riferimento e anche fonte di ispirazione per le scelte che ognuno si è trovato di fronte, ci hanno fatto crescere e ci hanno aiutati nei repentini e incalzanti cambiamenti sociali e ambientali, chiarendoci il senso dell'esistere in consapevolezze e responsabilità, anche nelle situazioni più difficili.

    I racconti attraversano il tempo di vite e passioni che hanno regalato ai protagonisti sia le gioie che i silenzi di dolorosi abbandoni, ma sempre nella consapevolezza che la storia più straordinaria è l'essere vivi. Il risultato è una sorprendente e contagiosa positiva voglia di miglioramento, o almeno di speranza. Nella stesura del testo in più di un'occasione mi sono trovato a rispondere a questa domanda: perché ancora un libro su Inzino? L'unica risposta degna che è sgorgata dal mio animo è che a Inzino ritrovo ciò che sono stato negli anni più felici della mia vita, perché in questo paese ho le mie radici e perché in questo paesaggio di acque pure e verdi prati e monti, avverto ciò che ero prima di nascere.

    I ringraziamenti vanno, in ordine alfabetico, a Pierangelo Ansaldi e alla moglie Mariella, Pepo Bertoglio, Claudio Bettariga, Giancarlo Bonusi, Giuseppina Bonusi, Luciano Casari, Annibale e Iole Fracassi, Ivano Frosi, Mariella Genocchio, Silvano Lechi, Lucia Ongari, Ginetto e Mari Pedersoli Rambaldini, Duilia Pedretti, Cecilia Peli, Giovanni Sosta, Giovanbattista Tanfoglio, Isabella suor Maria Elisabetta Tanfoglio, Giuseppe Tanfoglio, Luciana Torselli, Giovanni Uberti, Marcella Vespini, Margherita Zatti. Ringrazio anche Annalisa Timpini per le sue precisazioni, e tutti coloro che non si sono risparmiati nel fornire con la massima disponibilità, racconti, informazioni e puntigliosi chiarimenti, e che solo per timidezza e spirito umile non hanno voluto che il proprio nome comparisse.

    Voglio anche ricordare i ragazzi e i giovani soprattutto della mia generazione che non sono più tra noi e che sono stati strappati alla vita a volte da fatti tragici, giovani perdite di Inzino che conservano ancora un loro spazio nella memoria. I loro nomi li abbiamo nel cuore.

    Stagioni

    Racconti e personaggi di Inzino VT

    Inzino: primi anni del 1950 e nel 2000

    Prologo

    Quando l'ho visto, ci siamo riconosciuti subito e chiamati per nome come se ci fossimo lasciati il giorno prima, ma erano circa cinquant'anni che non ci vedevamo. Silvano Lechi non era molto cambiato; cercammo di condensare quarant'anni, e ci vediamo, lasciami il tuo numero che ti chiamo, ma io il numero non ce l'ho e allora facciamo come una volta, sabato alle 15 sul sagrato. Sulla parola, l'unica ancora affidabile per noi sessantenni, non come i giovani d'oggi che non hanno il bisogno, e forse neppure conoscono il valore del „dare la parola‟, proprio perché tengono sempre tutto sotto controllo, o almeno loro sono convinti che sia così, e difatti hanno in ogni momento del giorno il cellulare in fibrillazione sotto i pollici che sembrano impazziti dalla gioia, e si muovono con disinvoltura sulla mini tastiera orgogliosi di sentirsi sempre utili.

    Ognuno, fin dall'adolescenza, si era buttato con passione in strade diverse. Oltretutto ambedue avevamo scelto di „fare le scuole alte‟ a Brescia, la città che ci sembrava distante migliaia di chilometri dal paese quando ancora le strade erano strette e polverose.

    Ci salutammo col proposito di ritrovarci.

    Decisi che era il mio giorno fortunato e così mi lasciai portare dalle mie scarpe per le vie del paese senza una meta precisa; camminavo e guardavo con sguardo affettuoso le vie, le fontane, le case, come un turista, e tutto mi sembrava parlare dei miei anni andati, delle corse di bambino nei prati dove adesso sorgevano case unifamiliari, le villette come si diceva, o le bifamiliari e condomini di 4 o 5 piani. Guardavo e pensavo alla mia adolescenza vissuta come un imbarazzo, io affascinato dal mondo che stava cambiando e le prediche della mamma che senza troppa speranza diceva: Va dal barbèr a taiàt i caèi che tè homèet un pigiù, vai dal barbiere a farti tagliare i capelli che sembri un pidocchioso. A ricordarlo oggi quel periodo nel quale mi sembrava di essere sempre sul confine tra una decisione brutale e definitiva o, al contrario, passiva e diplomatica, sembra naif. Fu però di intensità e grande acquisizione di scoperte. A ripensarlo oggi, quel tempo mi rivela che eravamo tutti più poveri, ma forse più felici, e Inzino mi sembrava fosse tutto il mondo. Negli anni della mia adolescenza diventò la soglia per scoprire quello che sembrava essere il mondo vero, che supponevo essere quello della città, ma il ritorno ad Inzino mi chiarisce che ogni paese è un mondo che non ha da invidiare molto ad altre realtà.

    L'incontro con Silvano aveva rischiarato di attesa i miei giorni. Ci ritrovammo il sabato come deciso, e c'era un pomeriggio di cielo luminosissimo; le rondini svolazzavano felici sul sagrato e la nostra chiacchierata fu proficua. In seguito ci furono altre occasioni d'incontro, anche con alcuni compaesani che avevano espresso la necessità di raccontare altre particolarità legate alla comunità e ai cambiamenti culturali e sociali intercorsi in questi ultimi cinquant'anni. Se il volume Il rastrello e il giglio rosso, aveva smosso interesse verso la storia di Inzino raccontando di fatti e personaggi mantenendo come riferimento il termine del decennio 1950, ora si trattava di procedere per contribuire a indicare una certa idea di comunità, ben sapendo che le rievocazioni non sanno colmare il vissuto ed essere esaurienti su tutto. Questo secondo volume intende, con la preziosa collaborazione dell'amico Silvano Lechi, allargare il cerchio dei racconti aggiungendo nuove notizie, cronache ed informazioni sotto forma di storia in alcuni passi romanzata. Si tratta in fondo di continuare il viaggio di quel bambino che ora si trova ormai nella parte terminale della sua vita.

    Quello che leggerete è il risultato, a volte romanzato, di quegli incontri, ognuno con le proprie emozioni e priorità, con i propri esclusivi scampoli di memorie, forse per alcuni col peso di sogni di un futuro mancato. Ma questo fa parte del vivere, e i rimpianti, solo gli sciocchi non sanno di averli. I ricordi regalano storia e riflessioni, cioè offrono possibilità di migliorarsi. Ringrazio quindi l'amico Silvano per la sua opera di tramite e preziosa e attiva guida in questo percorso durato più di una stagione.

    Un ultimo chiarimento: il titolo ha in sé una compresenza metaforica che può essere utile al riverbero dei racconti.

    Buona lettura.

    Primavera: marzo, aprile, maggio

    La primavera, che coincide con i mesi di marzo, aprile e maggio, per l'immaginario comune è l'inizio del risveglio della vita; si comincia a sentire il sole scaldare l'aria, le case, le ossa. Dopo il freddo e l'umidità dell'inverno anche noi come la natura e gli animali ai primi tepori di questa stagione, ci sentiamo rivitalizzati.

    Il cielo diventa spesso azzurro terso come ci si era dimenticati a causa del grigiore e del buio delle giornate invernali. I prati e gli orti iniziano a mostrare il loro bel manto verde, di una tonalità che ci convince della nuova stagione. Anche la neve sui monti si ritira, si scioglie, e il Mella, come il torrente Re della Val Rendena, già da febbraio inizia a canticchiare scattante con piglio sicuro portando con sé il colore della neve. A marzo la sua voce è ormai vivace e decisa nello scendere il suo percorso. La sua acqua fresca e limpida si muove saltellante nello scenario verdeggiante di alberi e cespugli per i quali alcuni, per fortuna, dimostrano ancora di aver cura. Il Mella scorre baldanzoso da Collio fino a Marcheno, e la sua discesa appare sicura e vivace. Sembra voglia lasciarsi alle spalle la pigrizia dell'inverno e quella svogliatezza che per mesi lo ha trattenuto, perciò fluisce sicuro, non balbettando come un bambino. Sembra desideroso di scoprire il mondo. In prossimità di Inzino, nella zona conosciuta come bresciana, in faccia all'ex miniera S.D.I., diventa calmo e lento, come rilassato quasi voglia riposarsi nella sua corsa, comunicando quella serenità che conserva lungo tutto il suo percorso nel territorio della comunità di esperti incisori. A guardarlo dal ponte romanico il fiume lo vediamo procedere placido nel paesaggio costeggiato da alte albere che si riflettono nelle sue acque, misurandosi con le nuvole e il loro cielo. Mentre accarezza le sponde e i sassi che lo invitano sul cammino, sembra abbia perso tutta la sua malinconia, desideroso d'incontrare, prima di arrivare in città, i restanti sette affluenti che allegri scendono dalle varie gole della valle. I torreggianti pioppi sembra vogliano proteggere le sue rive.

    Inzino si trova a mezza Valle Trompia, contornato da montagne che sembrano proteggerlo e fare da nido; oltre che dal fiume Mella è attraversato dal torrente Re che scende dal monte Guglielmo. Se da bambino il paese mi sembrava il mondo intero, ora so che ero piccolo io per cui tutto mi appariva grande, eppure Inzino ha avuto, a partire dal decennio 1950, grande sviluppo urbano ed oggi sembra aver raggiunto la sua massima espansione.

    Il paesaggio, dalla città ad Inzino, nel suo nocciolo d'origine é rimasto quasi tutto invariato; la strada é ancora la stessa, solo un poco più sicura con carreggiata più larga, ma sostanzialmente ha mantenuto la stesse caratteristiche. Uno dei dati più evidenti del cambiamento dagli anni sessanta ad oggi, si potrebbe dire sia la continuità dei paesi che erano ben distinti da fratture nel paesaggio, con cartelli stradali e abitazioni che si aggrumavano e improvvisamente si volatilizzavano, e un flusso di auto e camion continui a quasi tutte le ore del giorno. Quarant'anni fa la proincial per quasi tutto il suo percorso era abbastanza stretta e sgusciava tra prati che segnavano i confini dei vari paesi della valle; alcuni tratti erano marchiati da lapidi e santelle, non come oggi che di edicole votive ormai resiste solo quella di Zanano mentre per le croci e lapidi si perde il conto.

    Tutti almeno una volta ci siamo fermati, in primavera, in una postura di accoglienza dei raggi benevoli del sole scoprendoci figli delle stesse piccole necessità della natura. Gli animali e la vegetazione in questa stagione sembrano ridestarsi lasciando sbocciare gemme e fiori, a partire dalla luminosa e gialla forsizia, la prima a fiorire, che a me ricorda il carattere tempestivo e sbrigativo di suor Ersilia in quello che era conosciuto come l'Asilo Infantile di Inzino, dove lei rimase fino al 1965; a noi bambini voleva bene, ma sembrava improvvisare sempre tutto. Anche durante le varie occasioni liturgiche, che alcuni di noi aspettavano come occasione per rivestire un ruolo utile durante la funzione religiosa, lei assumeva il compito di coordinatrice dell'evento nonostante il suo carattere sanguigno e sbrigativo, mentre sarebbe stato utile possedere un minimo di spirito organizzativo, quello per cui don Nicola era magnificamente favorito. Ricordo che si metteva a dire „fate così‟ e „fate cosà‟, ma senza una precisa logica, come se quel che comandava le fosse dato da una voce superiore, divina. Noi ci accorgevamo dei suoi dubbi per via di contrordini affrettati in quanto poi si dispiaceva delle sue contraddizioni; forse pensava che noi bambini non fossimo in grado di capire. Però era dolcissima nel suo incoraggiarci a seguire i suoi imperativi. Gesticolava come se stesse dirigendo un'orchestra, ma sempre secondo quello che probabilmente era una sua ispirazione, un suo genuino gusto di una qualche estetica colta al volo lì, proprio in quel momento. Tutti le volevamo bene anche se non lo stesso che avevamo per suor Imelda, che io vedevo come una bellezza luminosa dell'esercito di Gesù. Lei sì che sapeva infonderci calma e serenità, sempre col suo bel sorriso ampio e sincero e con i suoi modi garbati; le carezze e gli abbracci che regalava quando i bambini piangevano, esprimevano compiutamente l'amore della sua vocazione.

    Ma c'erano altri personaggi che sapevano come riempire la fantasia e gli occhi di noi che in quel decennio eravamo bambini.

    Ho sempre abitato in valle di Inzino esordisce Margherita Zatti, "e ricordo che alla fucina dello Speranza in certi giorni del mese arrivava la Cilì con del baccalà secco che veniva messo sotto il maglio per essere battuto, appiattito e messo „a bagno‟, naturalmente dopo essere stato opportunamente coperto da panni puliti. Quel baccalà veniva poi venduto a tranci nella sua bottega. Verso il 1952/53 ricordo che all'asilo c'era una signora, una collaboratrice conosciuta come hstriulina (nel nome il significato). Quando i bambini che si pisciavano addosso, non c'erano ancora i pannolini, li spogliava e metteva sulla loro testa le mutandine bagnate. Però va detto, non come scusante, che ancora in quegli anni la prepotenza di alcuni adulti era tollerata come normalità, vista come metodologia educativa. C'era però, verso il 1953 una suora, suor Amabile originaria di Bovegno, che era buona e simpatica e ci voleva bene. In quegli anni avevo i capelli ricci e lunghi, e suor Amabile scioglieva le trecce che la mamma ogni mattina realizzava, e mi lasciava correre felice di sentire la sensazione di essere libera.

    all'asilo c'erano i tavolini con un foro che serviva per inserire una ciotola di metallo, tutta ammaccata, nella quale la cuoca versava la minestrina, che noi chiamavamo pappariso, il nostro pranzo. Ogni bambino e bambina aveva il suo cestino color paglia, e i grembiuli di colore rosa per le bambine e azzurro per i bambini. Il cestino conteneva ciò che la mamma inseriva, per esempio frutta o pane e marmellata per la merenda. Il pomeriggio riposavamo le nostre testoline sugli avambracci appoggiati sopra i tavolini. Ricordo che verso la metà del decennio 1960, per quell'oretta di riposo si iniziò ad utilizzare le sdraio.

    Nel periodo estivo all'asilo era organizzata la colonia; doveva essere nel 1953/54, e la mamma mi dava da portare alle suore, una volta alla settimana, una borsa piena di verdure che cucinavano per tutti; ero con mia cugina Amalia Zatti e scendevamo il viottolo (dal Santuario non c'era la strada asfaltata), con quella borsa stracolma di verdure. Ricordo anche che ai funerali le suore organizzavano la partecipazione dei bambini e bambine dell'asilo dopo averci messo in fila due a due, vestiti con mantellina blu e basco. Si trattava di presenziare al passaggio del feretro sul sagrato della chiesa (era usanza che la famiglia del defunto richiedente quel servizio, lasciasse alle suore „la bustina’ contenente un'offerta come ringraziamento per la loro condivisione del dolore e della funzione religiosa). A volte capitava di partecipare con la veste bianca della comunione, come si può vedere in alcune rarissime fotografie dell'epoca. Questa abitudine restò in voga fino verso la seconda metà del 1950."

    La signora Margherita Zatti, referente attiva del Gruppo Missionario di Inzino, prosegue il suo racconto: Vorrei anche sottolineare che, tra le numerose suore inzinesi, andrebbe citata mia zia Suor Maria Crescentina, all'anagrafe Lucia Zatti, suora missionaria dell'ordine di Sant'Anna di Torino. Nata a Inzino il 26 gennaio del 1905; entrò in noviziato il 22 ottobre del 1928 e prese i voti il 10 agosto del 1931. Si imbarcò per le missioni dell'India il 25 novembre del 1935, e svolse la sua missione come infermiera nella casa provinciale del suo ordine religioso. Servì gli umili e i bisognosi negli ospedali sia a Bansilalpet che a Secunderabat, e poi a Nandigama e a Mithapur. Morì il 24 maggio 1972, compianta da tutti coloro che l'avevano conosciuta, e seppure ad Inzino non lasciò che il ricordo profondo nella famiglia, è un esempio di altruismo che in questa società sta diventando sempre più raro. Anch‟essa di Inzino, si aggiunge alle numerose sorelle che tanto bene hanno portato nel mondo. Per quanto riguarda gli aiuti per le missioni, noi familiari di suor Crescentina spedivamo abiti, alcuni erano vestine per la prima comunione o per le nozze, oppure mandavamo scatoloni di stoffe o veli, materiale ed oggetti che poi le suore utilizzavano secondo esigenze della comunità. Il Gruppo missionario di Inzino ha sempre avuto la chiarezza di raccogliere fondi e mandarli a persone fisiche conosciute e fidate, in modalità diretta, non tramite associazioni più o meno conosciute, per cui coloro che li ricevevano, avevano la possibilità di decidere autonomamente come impiegarli.

    Per quanto riguarda il periodo in cui frequentava le scuole elementari, Margherita Zatti rammenta che: "La signora Tina Beretta aveva regalato a tutti i bambini di prima elementare il „Dizionario di Italiano Palazzi‟, che ancora conservo come ricordo. A 11 anni, finite le elementari tutti chi più chi meno, facevano piccoli lavori in casa o nell'attività di parenti e conoscenti, in attesa del compimento dei fatidici 14, età che dava l'accesso al lavoro in officina o altro. C'era a nche qualcuno, pochi, che procedeva negli studi. Per accedere alle scuole medie bisognava superare alla fine della quinta elementare, un esame abbastanza severo; coloro che non continuavano gli studi,

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