Pino Scaccia, un inviato con l'anima
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Anteprima del libro
Pino Scaccia, un inviato con l'anima - Anna Raviglione
Copyright
© Copyright Tralerighe libri
© Copyright Andrea Giannasi editore
Lucca, luglio 2021
1° edizione
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).
ISBN 9788832281651
I lettori che desiderano informazioni possono visitare il sito internet:
www.tralerighelibri.com
Dedica
A nonna Angiola
e a nonno Renino
Due note di Pino Scaccia
Questo volume interrompe momentaneamente la collana riservata agli amori maledetti riallacciandosi in realtà al progetto iniziale sui tranelli della storia. Nasce e si sviluppa, interrogandoci su cosa stiamo diventando e dove stiamo andando, in un luogo gonfio d’amore¹. La casa, in un borgo di Prealpi antico, è stato il nido di Angiola e Renino. Dove lui si è rifugiato dopo il sacrificio di una dolorosa guerra in Russia. Lei era la più cara amica di un bellissimo angelo biondo con la passione dei fiori. E quando, dopo il fulmine di un sospiro, il destino aveva deciso di dover abbandonare il suo piccolo batuffolo, era stata Angiola a prendersi cura di quel minuscolo fragilissimo angelo diventando la sua mamma bis, condividendo giardino e abbracci. L’ha amata e coccolata per più di cinquant’anni con dolcezza assoluta. E quando quella bimba è riuscita con candore a conquistare l’anima addolorata di Renino è nato un miracolo. Aveva costruito una storia così bella² da conquistare il cuore di un vecchio reporter che aveva attraversato, pur non combattendo, tante guerre e territori difficili. É nato così un libro e un sogno cambiando la vita di ognuno di noi. Fuor di metafora, questi siamo noi, è la nostra storia fatta di palpiti e di lampi dopo che è nata un’amicizia forte, profonda e la decisione del progetto di scrivere insieme, a quattro mani.
Nel frattempo Angiola è morta e ci siamo ritrovati a due passi dal cielo a mettere in piedi certe riflessioni proprio in questa casa dal panorama così stordente da sbattere la testa al muro. Accompagnati, naturalmente, dallo spirito nobile di chi vi ha abitato per molti anni. Sicuri che ci aiuteranno. Gli dedichiamo questo libro impegnativo e faticoso.
p.sc.
Prefazione
Ho sempre pensato che il mio lavoro fosse un lavoro normale. I primi dubbi sono arrivati quando ho smesso. Soprattutto quando gli amici del Tg1 hanno voluto dedicarmi uno speciale. Assemblando le mie più famose avventure. Sintetizzando al massimo, siamo arrivati a oltre un’ora e soltanto raccogliendo l’uno per cento della mia attività. Messi tutti in fila gli eventi che ho seguito, mi sono quasi spaventato: c’era davvero la storia del Novecento. Non ne ho saltato uno, sia in Italia che all’estero, con un vezzo riconosciuto da tutti i direttori che ho avuto (e sono stati quindici): la voglia di arrivare subito, lo stesso giorno, quando ancora l’emergenza era alta. Forse ha ragione il mio editore Andrea Giannasi, quando dice che basta mettermi un gettone come in un juke box
e io parto con i ricordi, spesso inediti. Anzi, generalmente evito per non fare la figura dello sbruffone, ma è vero che basta citare un nome o un luogo per arrotolare la pellicola.
Ne sa qualcosa la mia eccellente coautrice (Anna Raviglione), stavolta incauta biografa, con la quale combatto il timore per il culto della personalità. Forse perché non voglio che si parli di me ma di quello che ho raccontato.
Le ho soltanto… concesso, accompagnandola, di avventurarsi nel periodo esaltante della mia infanzia e giovinezza, quando sognavo di scrivere e di viaggiare. L’unica autentica prova della mia fortuna perché ho addirittura trovato chi mi ha pagato quando, alla Biagi, avrei sicuramente pagato io.
Certamente è un film monstre, tipo un kolossal perché lunga (e privilegiata) è stata la mia vita. Nato nell’immediato dopoguerra, addirittura ancora in regime monarchico, e dunque all’anagrafe con l’età della Repubblica. A livello professionale, come ho già detto in un piccolo manuale per giovani giornalisti, mi è capitato di passare dalla penna biro al tablet attraverso la mitica Lettera 22 e poi naturalmente il computer, evitando a malapena la penna di gabbiano alla quale in qualche maniera mi sono comunque ispirato, perché ho sempre adorato il volo libero. Mi è anche capitato di trasmettere prima con saccocciate pesantissime di gettoni, per fortuna poi sostituite presto dalle schede telefoniche, fino alla magia del Blackberry. Anche in questo caso, evitando per pudore cronologico il piccione viaggiatore.
Avventurandomi nello specifico televisivo (che più mi appartiene), ho l’orgoglio di aver utilizzato tutti i sistemi dell’epoca moderna: dalla pellicola, passando per l’elettronica, fino ad arrivare all’imbattibile digitale. Prima ancora, esordendo nella carta stampata, ho avuto il battesimo del sistema a caldo
, assaporando il romantico ma micidiale odore del piombo, fino alla curiosità d’infilarmi tra i primi nel fantastico universo del web.
Come reporter, infine, ho avuto il privilegio di seguire da testimone diretto gli eventi degli ultimi decenni (sicuramente quattro) in tutto il mondo, specie in quello difficile, Per cui, in buona sostanza, avendo vissuto tutti i cambiamenti, ho l’ardire di credere, senza presunzione, di possedere più d’una infarinatura per poterne parlare dal di dentro.
Non era facile mettere in piedi tutto questo e alla fine abbiamo scelto la forma dei dialoghi. Insomma, una specie di chiacchierata, come quando stiamo sul palco a presentare qualche nostro libro (la seconda stagione della mia vita) e Andrea o qualcuno del pubblico infila un gettone nel juke box. Per fortuna, e ringrazio Iddio, ho ancora buona memoria. Salvo per le date: credo che ci sia qualcosa di freudiano nel cancellarle dalla mente. Finché avrò inchiostro nel calamaio.
p. sc.
Santhià – Roma e ritorno, 16 marzo 2020
Un silenzio mai udito. Percorriamo la statale per Santhià (Vercelli) in un paesaggio vuoto. Nessuna macchina, nessun segno di vita, nessuna familiarità. Una strada fantasma tra i paesini, le distese verdi come conche abbandonate, i nostri volti mascherati di bianco.
È la prima volta che riaccompagnando il mio compagno di penna alla stazione, nessuno di noi due dice una parola. Il nostro incontro a Biella ha avuto lo scopo di gettare le basi di un progetto ambizioso, diverso dagli itinerari passati.
Ogni tanto sbuca una volante della polizia, una sirena in lontananza, echi di inquietudine. Non sappiamo per quanto tempo dovremo starcene rintanati nei rifugi domestici anti-covid
. Sappiamo solo che questo viaggio sarà più solitario del solito. Pino dovrà tornare al suo domicilio ostiense e le restrizioni per la pandemia si fanno sempre più rigide. Ci salutiamo attraverso una mascherina e sappiamo entrambi che quando ci rivedremo il mondo non sarà più lo stesso.
Tre anni prima…
Stazione di Santhià, ore 14.35. Il treno da Milano si ferma, scendono tutti. Ma di Pino Scaccia neppure l'ombra. Un brivido freddo corre lungo la schiena: tra meno di due ore, insieme a lui dovrò presentare il mio primo libro. Cerco di tenere saldi i nervi. Non ci siamo mai incontrati, o meglio: io lo ricordo al Tg1 come un volto familiare (e chi non lo ricorda?), ma è passato qualche anno. Lui certamente non potrebbe riconoscermi: semplicemente non ha mai visto la mia faccia. Solo il giorno prima ci siamo accordati al telefono e a malapena sono riuscita a dargli del tu. Il convoglio riparte. Decido di chiamarlo. La sua voce inconfondibile risponde con pacatezza: Sono qui, all'uscita della stazione
. Uno come lui, del resto, non poteva che essere già oltre.
Questo libro nasce quasi come un gioco. Io e Pino ci siamo conosciuti grazie a un manoscritto, lo stesso che ci fece incontrare lungo quei binari. Il destino poi ha voluto che percorressimo insieme altri binari, lungo tutta la penisola per presentare altri libri: i nostri. Sì, perché da quella serata biellese in cui il pubblico ci accolse come una coppia letteraria, pensando a chissà quanto tempo avessimo impiegato per preparare quell'evento, le nostre penne hanno iniziato a danzare all'unisono, sfidando i settecento chilometri che ci separano e dando alle stampe i primi due volumi della collana Amori maledetti
.
Quanti tranelli della Storia scovati dal mio compagno di scrittura. Dapprima, durante la sua carriera di inviato, poi esplorando le fonti più disparate. Ti andrebbe di aiutarmi a scavare nell'anima dei grandi personaggi del 900?
. Come potevo sottrarmi a questo invito. E così, binario dopo binario, abbiamo intrecciato storie ancora inesplorate e il progetto della collana si è ampliato, dilatando gli orizzonti e le prospettive infinite di nuovi viaggi nel tempo. Ma, dopo aver rintracciato i risvolti più oscuri di alcuni colossi del secolo breve, abbiamo deciso di concederci una sorta di vacanza. Un intervallo tra il secondo e il terzo volume. Per seguire un altro itinerario, forse il più impegnativo per entrambi.
Possiamo ritenere questo taccuino di memorie
come un viaggio caotico e quasi schizofrenico, perché non si può ripercorrere la vita ricchissima di Pino in modo ordinato. Semplicemente perché tutta la sua carriera di inviato è fatta di inseguimenti improvvisi, corse folli in ogni angolo del pianeta sulle tracce dei fatti più importanti, pranzando a Tunisi e cenando a Stoccolma
. Inutile ricordare che il mio co-autore è stato un testimone d’eccezione, sempre sulla notizia. L'uomo giusto nel luogo giusto al momento giusto. Uno dei pochissimi ad aver letteralmente cavalcato il XX secolo, rischiando la pelle solo per poter mostrare il volto vero dei fatti, attraverso la voce dei protagonisti. Seguendo i suoi racconti è possibile guardare gli eventi più significativi della storia contemporanea attraverso gli occhi di un reporter con l'anima
. Questa la definizione che gli fu data da un giornalista americano durante il terremoto di San Francisco. E in quel giorno Pino rammenta che davanti all'alcova di Marilyn Monroe e Joe Di Maggio, a Marina District si trovò faccia a faccia con il grande campione americano. Era lì a portare un mazzo di rose rosse in onore della donna che entrò per sempre nel suo cuore. Però a quel tempo non c'era il digitale e non avevo la macchina fotografica sempre in agguato...
. E già, perché Pino ha l'obiettivo negli occhi e anche mentre ti parla, il suo sguardo scruta ogni dettaglio e scava intorno. Gli pare strano ora dover essere al centro di questo peregrinare nel tempo e così non fa che ripetere come un mantra che non vuole esserne il protagonista: lui è solo un testimone, i protagonisti devono essere i fatti. Come se fosse facile restare oggettivi e attraversare il 900 guardandolo attraverso la memoria del cronista dell'emergenza, lasciando fuori l'uomo. Non credo di essere riuscita in questo scopo e me ne scuso fin d'ora. Del resto, avere l’onore di accostarsi agli eventi che han fatto la Storia degli ultimi quarant’anni con uno dei suoi più autentici osservatori è un compito rischioso ed entusiasmante al contempo. In tutta sincerità, ho cercato di assolverlo con la massima discrezione, in punta di penna. Ma senza poter scindere i fatti dall'anima di chi li ha raccontati. Perché, oltre all'onestà e al rigore di chi è sempre stato fedele alla religione della notizia, sono infiniti i guizzi di autentica poesia che ha saputo regalare. Mi auguro di essere riuscita, almeno in parte, a coglierne l'essenza.
Ecco a voi, dunque, Pino Scaccia: linea allo studio - o meglio - a voi lettori.
a.rav.
Il decollo
Primo incontro con Roma
È il pomeriggio di un febbraio che regala scorci di primavera. Arrivo a Termini, la stazione è quasi deserta per colpa dello spauracchio Coronavirus
. Pino mi aspetta all'uscita. Anche il traffico è meno intenso del solito. Piazza Esedra gli rammenta le gare in macchina da ragazzo, piccole follie in una Roma goliardica e giocosa. Giravamo su due ruote intorno alla fontana e una volta presi il piede di una ragazza americana. Entravamo sparati dentro l'androne dell'hotel Mediterraneo che vedi ancora qui all'angolo con via Cavour, rischiando di fare una strage
.
Quella di oggi è una giornata speciale: dopo decenni, il mio compagno di viaggio tornerà al Pigneto, dove tutto ebbe inizio. È emozionante sentirlo parlare mentre sfrecciano le vie, i palazzi, i negozi, mentre guizzano i ricordi. Guida con sicurezza, rapido, come chi conosce a memoria ogni angolo. E parla, saltella da un ricordo all'altro, è un fiume di aneddoti, non riesco a memorizzare tutto. E non ho il taccuino, uso solo il telefono per immortalare qualche angoletto. Lui mi rassicura: Poi ti spiegherò meglio, con calma. Ora non scrivere...
. Ci dirigiamo verso Porta Maggiore e passiamo da Piazza Vittorio: pare il rione di una metropoli asiatica. Attraversiamo via Cairoli: Eccole le mie scuole medie, ci venivo dal palazzone con il 13, poi la gelateria Fassi, il palazzo del ghiaccio, tappa obbligatoria: il miglior gelato, il nostro punto fisso di ritrovo. Ci venivo a piedi dal Pigneto. Più avanti c’era l’Ambra Jovinelli, un grande teatro di avanspettacolo dove, tra gli altri, ricordo Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; al mattino era il luogo di ritrovo dei pugili e lì cominciai a bazzicare l’ambiente del pugilato
. Che strano, siamo nella Chinatown capitolina e Pino ha come un lampo: Pensa, il primo servizio al Tg1 nel 1987 era incentrato sul dominio cinese della zona. Fu il mio primo reportage quando fui trasferito a Roma
. Come se tutto fosse strettamente legato da un filo invisibile.
Arriviamo a Porta Maggiore e la circum-navighiamo. Qui giocavo a biglie sui solchi che lasciavano le bighe
. A sinistra San Lorenzo: Proprio di fronte al Prenestino, dove stavano i miei nonni. Mamma mi raccontava dei bombardamenti durante la guerra, il rifugio nella cantina. Nonno Alessio, detto Umberto, tramviere, guardava da lontano il cimitero del Verano e diceva «Dove finirò, agli alberi pizzuti», cioè i cipressi
. Svanisce il sole dietro una mandria di nuvole grigie e comincia a pioviccicare
. Troviamo parcheggio al lato del palazzone, a fianco di San Leone, la chiesa di mattoncini rossi con i campi di calcio ancora identici a quando Pino giocava da portiere. Da lì, seguendo il perimetro dell'infinito palazzo, arriviamo fino alla casetta di via del Pigneto. Perché è da quella dimora a due piani che vogliamo cominciare il nostro itinerario. La costeggiamo. In questa casa sono nato venerdì 17 maggio alle 17. Era una borgata estremamente popolare
. Col tempo è diventato un quartiere cult, dai tratti multietnici, ove passato e presente si intrecciano. Tanto che oggi, fra botteghe artigiane, movida e murales, è addirittura annoverato tra le nuove aree più trendy di Roma.
Un muretto trapuntato di foglie rampicanti impedisce la vista sul cortile. Al pianoterra a malapena si intravedono le finestre e Pino si avvicina all’entrata: un piccolo cancello in ferro, identico a quando era un infante.
Ci intrufoliamo fra le viuzze. È sabato. C'è il mercato rionale. Il Pigneto pare davvero un piccolo borgo nascosto nel cuore della prima periferia. Ora i negozi sono per lo più gestiti da medio-orientali. Il mercatino è quasi identico a quello dove mamma Elena e nonna Assunta andavano a scegliere le verdure migliori e i prodotti più convenienti per imbastire i pranzi ghiottissimi. Ci sono gli odori e gli schiamazzi di sempre, forse gli stessi di quel dopoguerra che era tutto un fermento.
A piedi, a fatica, raggiungiamo il palazzone: 5000 abitanti, dieci piani e undici scale: un paese nel quinto municipio. Tapparelle verdi che sbucano su altissime mura di mattoni rossi. Davanti a quel paesone
nel 1944 passarono le truppe di liberazione. L'appartamento di Pino si affacciava sulla via Prenestina. Ci andò a vivere a circa sei anni: non me lo sa dire con esattezza perché: Le date le rimuovo, a distanza di anni, ricordo luoghi e persone…sarà freudiano?
. Di nuovo, il filo invisibile ci conduce a mamma Rai: Ci siamo ritrovati in tre del palazzone a lavorare in via Teulada: Sergio Governatori, operatore del Tg1 e autore di una grande reportage sul Bosforo, che prendeva per i fondelli i colleghi torinesi per la loro pignoleria; poi Vincenzo Cardarelli, tecnico di Telecinema, lui abitava al sesto piano, io appena sopra, avevamo la stessa scala, la M
.
La chiesa di San Leone era il punto di ritrovo con don Luigi Di Liegro, vero prete di frontiera e creatore della Caritas, il catechista del piccolo Scaccia. Del resto, uno come Pino mica poteva avere un catechista qualsiasi... Dal balcone al settimo piano, mamma Elena si affacciava per controllarlo. Quelle finestre erano come un sipario sulla città aperta
e sul set de Il ferroviere
. E proprio per sbirciare le riprese del film di Germi, il piccolo reporter già si attardava tornando dalla scuola elementare. Recitava, insieme a Carlo Giuffrè, una Sylva Koscina avvenente e statuaria: il suo primo amore
segreto. Al di là della strada, in fondo a sinistra, si snoda via Montecuccoli, dove Anna Magnani fu protagonista della storica scena di Rossellini. Il 31 marzo 1968 il Papa venne a visitare la parrocchia. "Dal terrazzo di casa gli scattai molte foto, sembrano fatte da un’astronave, non era colpa mia se stavo al settimo piano³".
Ci incamminiamo sotto un ombrello di fortuna e, oltre la chiesa, ecco via Fanfulla da Lodi con il bar di Pasolini. Più in giù, dopo largo Preneste, si va verso Centocelle. Pino è inarrestabile e mi regala scorci fantastici di una Roma verace. C’è una battuta: «Un tale in bici chiede indicazioni – Vado bene per Centocelle? – Sì, quando ti rubano la bicicletta sei arrivato!». Vedi, qui da ragazzino andai a vedere i resti di un aereo civile caduto e laggiù, due palazzi dopo, abitava Baglioni
.
C’è una fotografia che ritrae Claudio e Pino insieme, una somiglianza strabiliante. Era agli inizi degli anni ’70, credo nel ’73. Io ero stato assunto ad Ancona al Corriere Adriatico. Incrociai Baglioni al bivio di Portonovo e gli diedi un passaggio. Stava andando a Sirolo per partecipare a una trasmissione Rai dal titolo «Speciale tre milioni». Pensa che la regia era di Pompeo De Angelis, che divenne poi il direttore editoriale della Eri, quello che mi pubblicò il primo libro di «Armir». Mi spavento io stesso per tutto quello che affiora intersecandosi come in un gigantesco puzzle
.
SIROLO – Lanciamo l’auto a… ragionevolmente folle velocità su per i tornanti del Conero, perchè è tardi e l’happening di Sirolo sta per iniziare. Proprio davanti all’incrocio per Portonovo, vediamo un ragazzo che agita il pollice implorando l’autostop. Ha i capelli sulle spalle,