Mostrò ciò che potea...
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Anteprima del libro
Mostrò ciò che potea... - Francesco Capponi
Quasimodo.
ORAZIO SATIRO
(Selezione di satire di Orazio)
Traduzione in esametri italiani di F. Capponi
1.
Cosa fa sì, Mecenate, che della sua sorte nessuno,
frutto di scelta oppure offerta in dono dal fato,
viva contento e invidi ognuno quella degli altri?
O fortunati mercanti
esclama gravato dagli anni
il militare distrutto nel corpo da lunga fatica;
ma nella nave sconvolta dai venti del sud il mercante:
"il militare sta meglio; e che? Nell’assalto di un’ora
rapida viene la morte, o una gloriosa vittoria".
L’agricoltore, l’invidia riscuote dal giureconsulto
quando sul canto del gallo gli bussa chi chiede consiglio;
quello che sotto cauzione è tratto in città dai suoi campi
soli felici proclama coloro che vivon nell’urbe.
Casi del genere in numero tale si posson trovare
che stancherebbero Fabio¹ prolisso; per fartela breve
ecco la mia conclusione. Se un dio – poniamo – dicesse
quel che volete son pronto a fare: tu già militare
sei un commerciante; tu ora giurista, sarai contadino:
voi qui, voialtri là fate lo scambio dei ruoli. Ebbene,
cosa aspettate? Non vogliono più diventare felici.
Di chi la colpa se d’ira gonfiando entrambe le guance
Giove dicesse a costoro sbuffando che d’ora in avanti
facile non sarà tanto ai voti che presti l’orecchio?
Ma non volendo imitare chi solo le cose scherzose
sa raccontare – sebbene chi mai ci proibisce di dire
la verità sorridendo? Talvolta regalano ai bimbi
per invogliarli a imparare, biscotti i maestri benigni –
ma tuttavia messo al bando il gioco parliamo sul serio:
chi si affatica ad arare col vomere duro la terra,
l’oste malfido, il soldato, gli audaci equipaggi che i mari
corrono ovunque, i disagi affrontano con l’intenzione,
dicono, di ritirarsi da vecchi, in tranquillo riposo,
quando avran messo da parte di quanto sfamarsi: seguendo
della formica l’esempio, piccina, che a grande fatica
quello che può con la bocca trascina e lo porta nel mucchio
che consapevole innalza, pensano prudente al futuro.
E non appena l’Acquario rattrista il nuovo anno che inizia,
non si fa più veder fuori e adopera quello che prima
si procurò previdente, te invece né ardente calore
dal guadagnare distoglie né inverno, né fuoco né mare
o ferro, niente ti arresta finché c’è qualcuno più ricco.
A che ti serve un immenso fardello di argento e di oro
furtivamente deporre tremante scavando la terra?
Ché, se lo intacchi, ridotto sarà a un miserabile soldo?
Se non lo tocchi, che cosa di bello avrà il mucchio innalzato?
Se centomila quintali di grano nell’aia hai trebbiato:
non ne entrerà nel tuo ventre di più che nel mio: nello stesso
modo se tu fra gli schiavi recassi su solide spalle
la reticella del pane, di più non avresti di quello
che non portasse alcun peso, dì allora che cosa si ottiene,
fra chi nei limiti vive di madre natura se cento
iugeri o mille coltivi? Ma è bello levar da un gran mucchio
.
Se a me da un piccolo mucchio attingere lasci altrettanto,
i tuoi granai vanteresti lo stesso più delle mie ceste?
È come se ti servisse di liquido non più di un secchio
o di un bicchiere e dicessi "attingerlo voglio da un grande
fiume piuttosto che avere lo stesso a una piccola fonte".
Quelli che dall’abbondanza di più son sedotti del giusto,
capita che sian travolti strappati alla riva dal fiume.
Ma chi del poco ha bisogno che è necessario, di fango
torbida non beve l’acqua né perde la vita fra le onde.
Ma degli umani gran parte, indotta da voglia fallace
niente è abbastanza
sostiene ché vali per quanto possiedi
.
Che gli vuoi fare? lodarlo per essere misero, visto
che lo gradisce: è come quell’ateniese famoso
ricco, spilorcio, che usava i pettegolezzi del volgo
lasciar cadere: "mi fischiano, ma da me stesso mi applaudo
in casa, quando contemplo le belle monete nell’arca".
Tantalo arse le labbra di sete agogna le acque
irraggiungibili – ridi? Di te si racconta con altro
nome la storia: tu dormi su sacchi dovunque pigiati
a bocca aperta e come se fossero solo dipinti.
Che si può fare coi soldi ignori, e usare il denaro?
Pane si compra, verdure, un mezzo boccale di vino,
ciò che l’umana natura si lagna se le viene tolto.
Forse vegliare atterrito, le notti e i giorni temendo
ladri malvagi e incendi, o servi che scappano dopo
averti fatto man bassa, di questo tu godi? Per sempre
io poverissimo voglio restare di tali ricchezze.
Ma se colpito dal freddo hai il corpo che è tutto un dolore
o ti costringe nel letto un’altra disgrazia, qualcuno
hai che stia accanto e porti calmanti, che il medico chiami,
che sollevato ti renda ai pargoli e ai cari parenti?
Non ti vuol sano nemmeno la moglie né il figlio; vicini,
amici, e pure i fanciulli, in odio ti tengono tutti.
Ti meravigli, ponendo davanti a tutto il denaro
se poi nessuno ti mostra l’amore che non ti guadagni?
Se i tuoi congiunti che senza nessuna fatica hai avuto
dalla natura, volessi tenerteli da buoni amici,
temi di fare un lavoro inutile come in arena
chi all’asinello docile al morso insegni a trottare?
Smettila insomma di andare cercando, ché più ne possiedi,
d’essere povero meno dovresti temer, cominciando
a moderar la fatica, avuto quel che volevi
e come Unmidio non fare; la sua storia è breve: ricchezze
da misurare coi moggi, ma tanto spilorcio da avere
abiti sempre peggiori dei servi, e sempre paura
fino al momento supremo, che dalla miseria oppresso
morto sarebbe di fame, ma lui la liberta dal forte
animo di Clitennestra aprì con la scure nel mezzo.
"Che mi consigli allora? Ch’io viva seguendo l’esempio
di Nevio o di Nomentano?"² vuoi mettere insieme contrari
su fronti avversi in battaglia: quand’io di non essere avaro
ti raccomando, non dico che devi far lo scioperato:
c’è fra Tanai e di Vitellio il suocero in mezzo qualcosa:
c’è una misura in tutte le cose, precisi confini
prima o dopo dei quali il giusto non può stabilirsi.
Là donde mossi ritorno, che, come l’avaro, nessuno
sia soddisfatto e elogi piuttosto chi segue diverse
strade, se ha il seno più grosso la capra di un altro, si strugge
né si confronta alla massa di quelli più poveri, molto
più numerosa, e si sforza di vincere questo o quell’altro.
Sempre così gli è davanti in corsa qualcuno più ricco,
come i cavalli col carro irrompono fuor dei cancelli,
li sprona contro l’auriga chi gli sta più avanti; di quello
non tiene conto, rimasto fra gli ultimi, già superato.
Quindi qualcuno che dica di aver vissuto felice
e terminato il tempo, di scena si ritiri come
il commensale già sazio, di rado possiamo trovarlo.
Basta così, per non farti pensare che ho saccheggiato
ad un Crispino³ cisposo gli scrigni, non dirò più nulla.
2.
Di cortigiane l’unione, di farmaci gli spacciatori,
i mendicanti, i buffoni, le attrici e la corte intera
del cantatore Tigellio⁴ la morte l’ha scossa, e depressa.
Perché era un benefattore. Invece c’è chi paventando
d’essere preso per prodigo, nega all’amico in bisogno
quanto potrebbe salvarlo dal freddo e da fame spietata.
Se poi ad un altro domandi perché mai dei suoi, nonno e padre,
l’eredità doviziosa consumi con gola vorace,
specialità di ogni tipo comprando con soldi prestati,
non vuole essere preso per un pusillanime o tirchio,
risponderà. E avrà gli elogi dagli uni, rimbrotti dagli altri.
Di fannullone la fama, e prodigo, teme Fulfidio;
ricco di terre e pieno di soldi, che presta ad usura:
sul capitale interessi mensili del cinque per cento
e quanto più è rovinato qualcuno, più forte lo preme;
giovani che hanno appena vestito la toga virile
ai duri padri soggetti. Udendomi chi sommo Giove,
non sbotterebbe "ma spende per sé in proporzione di quanto
ha guadagnato?" Chi, quello? a stento potrai immaginare
quanto egli a sé sia ostile; quel padre che mostra Terenzio⁵
nella commedia, che avendo cacciato di casa suo figlio
da miserabile visse, non più di lui si tormentava.
Se mi domandano adesso che cosa significa?
. Questo:
sfuggendo un vizio gli sciocchi, incorrono in quello contrario.
Tunica giù penzolante Maltino indossa, ma certi
su fino all’inguine osceno la fanno salire; elegante,
Rufilio di pasticchine odora, Gargonio di capro;
niente nel mezzo. Toccare vorrebbero alcuni soltanto
quelle a cui copre i tacchi la balza in fondo alla veste,
altri invece nessuna che non stia in un lercio casino.
Un personaggio ben noto vedendo uscir dal bordello
divinamente Catone che per la virtù sia lodato
disse; perché quando gonfia la tetra lussuria le vene,
che qui discendano è giusto i giovani, e che le consorti
lascino stare degli altri. Elogi per questo per questo non voglio
dice Cupienno cui piacciono solo vestite di bianco.⁶
Vale la pena di udire, voi che di cavarsela bene
non augurate agli adulteri, come essi trovino ovunque
peripezie ed il piacere guastato sia da sofferenze
e come giunga di rado fra mille pericoli gravi.
Uno dal tetto gettarsi dovette, ed un altro accoppato
fu da frustate; fuggendo costui di crudeli banditi
divenne preda, quell’altro salvò colla borsa la vita,
e scompisciato da mozzi di stalla fu questo; e a quello
che gli tagliassero accadde testicoli e coda salace
con una lama. Per tutti, eccetto Galba, fu giusto.
Quanto più rassicurante la merce di seconda classe,
parlo di quelle liberte per cui, nientemeno, Sallustio
perde la testa, di quelli che cadono nell’adulterio;
se generoso e gentile perciò dimostrarsi volesse,
con moderata larghezza secondo i buoni consigli
della ragione, darebbe ciò che è sufficiente, né danno
a lui verrebbe né obbrobrio. Ma questo soltanto gli piace
ama ed elogia: io – dice – non tocco nessuna matrona,
come a suo tempo quel Marseo, di Origine amante (l’attrice)
che alla sua ganza degli avi la casa ed il fondo regala,
niente da fare, dicendo, avrei con le mogli degli altri.
Sì, con le attrici va bene, con le prostitute; ma un male
grave più che al patrimonio al tuo buon nome puoi averne,
o alla persona ti basta il danno evitare, non quello
che da altre parti proviene? La reputazione comunque
è male perdere come lo sperpero del patrimonio.
Che cosa cambia se colla matrona o l’ancella tu pecchi
in toga? Villio con Fausta la figlia di Silla, da tanto
nome attirato, meschino, pagò la sua colpa più cara
del necessario, di pugni coperto, cacciato da spade
minacciose, e là dentro intanto restò Longareno.
Se del suo pene per conto parlando fra tante disgrazie
l’animo gli avesse detto "Che vuoi? Da te forse ne esigo
una che sia generata da un celebre console e dalla
stola coperta, se preso dal fuoco son io della voglia?"
che cosa avrebbe risposto? È figlia però di un gran padre
.
Ma quant’è meglio, in contrasto con ciò, quello che la natura
ricca com’è di risorse, ci esorta a fare, se solo
tu voglia spenderle bene, e non mescolare le cose
da ricercare, o fuggire. O non ti importa se soffri
per colpa tua o degli eventi? Se non vuoi pentirtene allora
smettila di corteggiare matrone da cui più fatiche
e guai ricavi di quanto raccogliere possa dei frutti.
Né chi di candide pietre, o verdi, è adorna (Cerinto,
prenditi questa) le cosce più morbide ha, o gambe più dritte
ché molto spesso migliori le ha invece chi porta la toga.
Aggiungi che la sua merce trasporta lei priva d’inganni
e quel che ha in vendita espone apertamente, ed il bello
lo mostra pubblicamente, e quello ch’è brutto non cela.
Dei re costume è quando acquistan cavalli, coperti
di esaminarli ché, come accade sovente, seduca
un degno corpo sorretto da molli gambe chi compra
e ammira le belle chiappe, la testa minuta e il collo
alto. Fan bene: non devi del corpo il meglio con occhi
esaminare di Linceo, e quelle più cieco d’Ipsea
che son peggiori. Che gambe, che belle le braccia
e intanto
è senza culo, nasuta, i fianchi cadenti, piedoni.
Di una matrona nient’altro che il viso riesci a vedere
(se non si tratta di Cazia)⁷ coperta com’è dalla veste.
Se delle parti proibite vai in cerca, da un vallo protette
– quello che ti rende pazzo – si oppongono a te molte cose,
guardie del corpo, lettiga, scroccone e pettinatrici,
fino ai suoi piedi calata la stola, dal mantello avvolta,
il tutto per impedire che a te al naturale si mostri.
Non c’è problema con l’altra: a te quasi è dato vederla
come spogliata, se ha brutte le gambe, o il piede deforme;
puoi misurarle con l’occhio i fianchi, o preferiresti
che ci sia inganno e il prezzo ti venga sottratto, la merce
ancora non esibita? La lepre in mezzo alla neve
il cacciatore insegue, in tavola non vuol toccarla,
recita e aggiunge "A questo l’amore mio è simile; infatti
su quelle esposte sorvola, di quelle che fuggono è a caccia.
Speri che questi versucci cantando tu possa dolori,
passioni e preoccupazioni penose scacciarle dal cuore?
Non giova più ricercare che limiti ponga natura
alle passioni, e quale mancanza sia da sopportare,
di che lagnarsi, togliendo dal solido l’inconsistente?
Forse che quando di sete la bocca hai arsa, una coppa
che non sia d’oro non cerchi, e quando hai fame disdegni
ciò che non sia di pavone o rombo? Se l’inguine hai gonfio,
pronta l’ancella c’è o un servo fanciullo sul quale portare
immediato un attacco, o è meglio scoppiare di voglia?
Non mi va bene: mi piace l’amore facile e pronto.
Quella che dice fra poco
, se più mi dai
, "se il marito
esce" Filodemo⁸ ai Galli va bene, dice, a me una
che non sia cara, o indugi quand’è chiamata, a venire.
Bianca sia, e snella, leggiadra ma non sino al punto che voglia
più alta e chiara sembrare di quel che le ha dato natura.
Quando si sarà distesa al mio lato destro, sul fianco
sinistro, è Ilia, e Egèria;⁹ le do tutti i nomi che vuole.
Né mentre fotto ho paura che torni dai campi lo sposo,
buttata giù sia porta, col cane che abbaia, e ovunque
da grande strepito scossa, la casa risuoni, la donna
pallida salti, la serva me misera
gridi: le gambe
rischia,¹⁰ chi è colta sul fatto la dote, io tutto me stesso.
I piedi scalzi, la tunica sciolta si deve fuggire
se non vuoi perdere i soldi, le chiappe, la reputazione.
Da fessi è farsi beccare: d’accordo con me sarà Fabio.¹¹
3.
Eupoli, e Cratino, ed anche Aristofane e tutti gli altri
poeti che dell’antica commedia son stati gli autori,
se meritava qualcuno il nome di malvagio o ladro
o perché adultero fosse o sicario o per altra pecca
degno di infamia, con molta franchezza ne davano conto.
Da qui Lucilio¹² ha preso le mosse, seguendoli in tutto,
il metro e il ritmo soltanto avendo mutato, faceto,
fiuto sottile, ma rozzo nel mettere insieme dei versi.
Ché questo fu il suo difetto; in un’ora spesso duecento
versi dettava all’istante, su un piede (si dice) restando;
ma perché scorre fangoso, qualcosa da togliere trovi;
loquace, ma riluttante a fare fatica scrivendo,
scrivendo bene s’intende: del molto, me ne infischio. Ecco
che terra terra, Crispino mi sfida "se hai coraggio, prendi
le tavolette, io prendo le mie; luogo e orario sian dati,
e testimoni; vediamo, chi dei due più scrivere possa."
Bene pensaron gli dei a farmi di poche risorse
e pusillanime, un tipo che parla di rado dicendo
poco; ma tu l’aria dentro gli otri di pelle di capra
racchiusa, che si affanna fino a che il fuoco non piega il ferro
imita, se preferisci. È felice Fannio se dona
in giro casse di libri con il suo ritratto. Ma quello
ch’io scrivo nessuno lo legge, né recito in pubblico: temo
che ci sia chi questo stile non ama perché i suoi complessi
di colpa suscita. Prendi tra la folla a caso qualcuno:
è oppresso dall’avarizia o dalla meschina superbia.
Chi per le spose è pazzo d’amore, chi per i fanciulli;
attratto è questo dal fulgido argento; pei bronzi stravede
Albio; chi scambia derrate dal levar del sole ai paesi
tiepidi nel suo tramonto, sfidando le disavventure,
va come polvere alzata dal turbine avendo paura
che possa andare perduto il gruzzolo o non dia profitto.
Han tutti questi timore dei versi e in odio i poeti.
"Ha il fieno ai corni,¹³ tenersi lontano; per una risata
che si guadagna, te e pure l’amico non risparmierebbe
ed una volta che ha messo qualsiasi cosa su carta,
vuol che lo sappiano tutti, chi torna dal forno o dal fonte,
fanciulli e vecchi". Be’ lasciami far qualche precisazione.
Primo, me stesso io tolgo dal conto di quelli che reputo
siano poeti: infatti né mettere insieme dei versi
dirai che sia sufficiente, né chi, come io faccio, scriva
in stile colloquiale, lo prenderai per un poeta.
A chi l’ingegno possieda, la mente del vate e la voce
di cose eccelse risuoni, darai di tal nome l’onore.
Perciò qualcuno se fosse o no poesia la commedia
si è domandato, in quanto né ispirazione possiede
né forza nelle parole o nei temi, né dalla prosa
a parte il metro, sarebbe diversa, "Il padre furioso
s’incazza perché sedotto il figlio sbandato da una
puttana, sua mantenuta, rifiuta la sposa con ricca
dote e ubriaco con grande disdoro va a zonzo con lumi
accesi prima di notte". Pomponio sentire qualcosa
di più leggero dovrebbe se il padre vivesse? Ebbene
non basta scrivere versi con delle parole comuni,
che se la metrica togli, chiunque vi esprime lo stesso
sdegno del padre di quella commedia, e quanto io adesso
ed una volta Lucilio ha scritto se gli togli il ritmo
fissato, con le cadenze e quelle parole che prima
vengon nell’ordine sposti, mettendo le ultime avanti,
come se dal verso sciogli "poiché la discordia sinistra
di guerra fece cadere gli stipiti e porte di ferro"¹⁴
non troverai del poeta spezzato nemmeno le membra.
Basta così; a un’altra volta decider se sia o no poesia.
Adesso questo soltanto mi chiedo, se a te con ragione
sia tale letteratura sospetta. Girando van Sulcio
e Caprio,¹⁵ decisi a tutto e rauchi, coi loro libelli,
grande spavento entrambi per i malfattori; chi onesto
vive, le mani pulite, d’entrambi però se ne frega.
Ma anche se fossi tu come Celio e Birro, briganti,
io non sarei come Caprio né Sulcio: perché tu mi temi?
Né i miei libercoli avranno le botteghe o i banchi, e neanche
mani sudate del volgo o dell’Ermogene Tigellio,¹⁶
ed a nessuno li leggo, se non agli amici, costretto,
non dove capita e avanti a chiunque. Nel mezzo del foro
van recitando gli scritti in molti, e anche nei bagni:
in luogo chiuso risuona più dolce la voce. Piacere
fa ai vanitosi che non si domandano se senza senso
lo fanno o in non appropriati momenti. Ci sguazzi
si dice
nel molestare e apposta lo fai, da carogna
. Da dove
viene quel che tu mi scagli addosso? Da uno di quelli
fra i quali vivo? Chi parla male dell’amico assente
non lo difende se un altro lo incolpa, e chi le risate
del volgo senza ritegno ricerca e fama di arguto,
chi riesce a fingere cose non viste e quelle segrete
non sa tacere, è malvagio e di lui diffida, Romano.
In un triclinio, sovente, cenare vederne puoi quattro,
uno dei quali a sfottere tutti ci gode, eccetto
l’ospite che versa l’acqua ed anche lui, dopo che è sbronzo,
quando riposti pensieri rivela il dio Bacco verace;
questi a te che ai malvagi sei ostile, socievole sembra,
civile e aperto: io invece se mi prendo gioco del fesso
Rufillo che di pastiglie odora, Gorgonio di capro,
ti sembro pieno di bile, mordace? Se a te davanti
si fa menzione dei furti di cui si sarebbe macchiato
Petillio Capitolino,¹⁷ com’è tuo costume, difendi
lui così: "Capitolino è mio compagno ed amico
fin da bambino e mi ha fatto piaceri, moltissimi, e sono
contento che a Roma possa restarsene senza problemi;
ma tuttavia son sorpreso di come se la sia cavata
in quel processo"; è questo un nero di seppia, è questa
ruggine pura; un vizio che lungi terrò dai miei scritti,
e dal mio animo prima ancora, prometto, se qualche
cosa promettere posso di certo, ma senza riguardo
dirò qualcosa per caso scherzando, ma con indulgenza
giudicherai: ché avvezzo io sono dall’ottimo padre
a rilevar con esempi i difetti, per evitarli.
Nell’esortarmi a vivere in modo parco, frugale,
contento di quel che darmi avrebbe lui stesso potuto:
"Non vedo come il figliuolo di Albio se la passi male
e viva misero Baio? La prova è per chi volesse
dar fondo al suo patrimonio. Per dissuadermi da un turpe
amore d’una puttana: Non fare come Scetanio
.
Perché fuggissi le adultere, potendo andare con una
di quelle: Colto sul fatto Trebonio si è disonorato
diceva. "Qualche sapiente darà a te la giusta ragione
per evitare qualcosa o cercarne un’altra; a me basta
di conservare gli antichi costumi degli avi, e la vita.
Finché sei sotto tutela, proteggere ed il tuo buon nome
salvaguardare; ma quando l’età ti avrà consolidato
animo e membra, nuotare potrai senza sughero. Coi
suoi insegnamenti, fanciullo, così mi educava: dicendo
a me di fare qualcosa "l’esempio che a questo ti esorta
ecco" mostrando qualcuno dei giudici selezionati
o per proibire "che questo inutile sia e disonesto
ancora dubiti, quando cattiva reputazione
han questo, e quello?". Spaventa gli infermi ingordi, la strizza
vicino ad un funerale, spingendoli a fare la dieta,
così chi è ancora immaturo, l’obbrobrio degli altri l’induce
ad astenersi dai vizi. Io che sono esente da quelli
che recan danni di varia natura, ho vizi mediocri
e perdonabili. Forse in larga misura saranno
spazzati via dalla tarda età, da un amico leale,
dalla mia propria saggezza; infatti, presente a me stesso
così facendo, migliore sarà la mia vita e ai cari
amici sarò gradito; si comporta male quel tizio:
incauto farò lo stesso un giorno? Fra me io rifletto
su queste cose, le labbra serrate; e se ho tempo per farlo,
le butto giù per iscritto; è questo un vizio di quelli
mediocri; e se non volessi scusarlo, un gran battaglione
accorrerebbe per darmi aiuto, di tanti poeti
– siamo in gran numero infatti – e come fanno i Giudei
ad arruolarti in questo esercito ti forzeremo.
4.
"A parte quel che hai già detto, questo anche ti chiedo, Tiresia,
rispondi, come io possa riavere le ricchezze perdute,
con quali metodi, ed arti. Che ridi?.
A te, furbacchione,
non basta più di tornare ad Itaca, e i patri Penati
di rivedere?.
Fallace tu che mai non fosti, previsto
hai che io povero e nudo a casa ritorni: non resta
là magazzino né gregge che sia risparmiato dai Proci:
ed il valore non conta, né la nobiltà senza soldi".
"Fuor dai preamboli, dato che la povertà ti fa orrore,
impara come potresti diventar ricco. Se un tordo
ti viene dato o un altro presente, che corra là dove
brilli il gran patrimonio di un vecchio; i frutti più dolci
ed ogni dono che porta a te il coltivato podere
prima del Lare li gusti chi è più venerabile, il ricco.
Che sia lui pure spergiuro, non nobile e si sia macchiato
del sangue di suo fratello, sia transfuga, a quello comunque
non rifiutare di stargli, se vuole, al fianco sinistro".
"La destra cedere a un Dama¹⁸ fetente? Così non facevo
a Troia, sempre lottando coi più valorosi.
Ebbene
povero resti". Da forte all’animo di tollerare
ordino; ne ho sopportate di peggio. Tu subito dimmi
dove ricchezze e soldi a mucchi raccogliere, o vate".
"Già te l’ho detto, e ripeto: ovunque arraffa, da furbo
i testamenti dei vecchi, e se qualcheduno più astuto,
un morso dato nell’esca, all’insidiatore sfuggisse,
non deporrai la speranza o mollerai l’arte, deluso. Al
grande o piccola al foro si giudichi di una vertenza,
uno dei due molto ricco non ha figli ed è disonesto
e chi è nel giusto trascina audace in causa; di quello
sii difensore; chi ha fama migliore e buone ragioni
snobbalo, se ha figli in casa ed una consorte feconda.
Quinto
o Publio
poniamo – chiamarli per nome le orecchie
dolce solletica – "amico tuo sono per il tuo valore.
che è bivalente la legge so bene, e star in giudizio;
gli occhi mi faccio cavare piuttosto che farti rubare
pur una noce schiacciata; sarà mia premura costante
che non ti faccia fregare". Consiglialo di andare a casa
e di curar la salute; e fagli da procuratore,
perseverante resisti: la rossa Canicola rompa
le statue senza parola, o Furio,¹⁹ il gran ventre teso
con neve bianca ricopra, sputando, le Alpi d’inverno.
Non vedi
il gomito a quello che gli è vicino toccando,
dirà qualcuno "legato com’è ai suoi amici, paziente,
tenace?". E verranno più tonni nuotando nella tonnara.
Se poi c’è qualcuno che alleva un figlio d’incerta salute
fra le ricchezze splendenti, per non comprometterti troppo
con un omaggio esclusivo ai celibi, discretamente
striscia ossequioso sperando di farti iscrivere come
secondo erede, prendendo il posto del giovane in caso
fosse rapito nell’Orco: di rado quel gioco fallisce.
A chi ti dà il testamento per fartelo leggere, bada
di rifiutare scostando da te il documento, ma in modo
tale però da sbirciare che cosa disponga nel primo
foglio nel secondo rigo; se solo o con molti eredi
sei, scorra l’occhio veloce. Perché spesso fa da notaio
un magistrato che frega il corvo vorace: Nasica,
d’eredità il cacciatore, deriso sarà da Corano".
Sei pazzo forse? O apposta mi sfotti con indovinelli?
.
"Qualsiasi cosa io dico, Laerziade, può capitare
o no: ché a me il grande Apollo il dono profetico ha dato".
Ma che vuol significare la favola dimmi, ti prego
.
"Il giorno che un giovanotto, terrore dei parti, dall’alta
stirpe d’Enea discendente, per terra sarà e per i mari
grande, al forte Corano in sposa la figlia stangona
andrà di quel tal Nasica che i debiti non vuol saldare.
Cosa fa il genero allora: al suocero dà il testamento,
vuole che legga; Nasica rifiuta a lungo ma infine
lo prende e tacito legge scoprendo che nulla è stato
altro che gli occhi per piangere, a lui e alla famiglia lasciato.
A questo inoltre ti esorto: se in mano è un vecchio balordo
di qualche femmina astuta o d’un suo liberto, con loro
diventar socio; lodarli per essere lodato da assente.
Ciò ti può pure giovare, ma da preferire è l’assedio
del tipo stesso. Dei versi scadenti lo stupido scrive:
lodalo. È a caccia di donne: di tuo, senza che te lo chieda,
condiscendente al potere, Penelope portagli. "Credi
che persuaderla io possa, lei tanto virtuosa ed onesta,
che manco i Proci dal retto cammino poteron deviare?".
"Perché son giovani, poco propensi a fare regali,
e meno desiderosi del sesso che della cucina.
Così Penelope resta fedele a te; ma se accetta
per una volta regali da un vecchio, con te compiacente,
mai più li lascerà, come un cane il cuoio bisunto.
Racconto un fatto che seppi già vecchio. A Tebe, salace,
una vecchietta dispose nel suo testamento che il corpo
ben unto d’olio portasse con le spalle nude l’erede
per scivolare almeno da lui dopo morta: ché credo
troppo da viva l’aveva pressata. Vai dunque prudente
e non mollare la presa ma senza insistere troppo.
Irrita un tipo bisbetico e ombroso chi è chiacchierone:
oltre no
e sì
non andare; e, quale il comico Davo
a capo chino stai, come quello che ha grande timore.
Avanti vai con gli ossequi; esortalo, se s’alza il vento
che copra il capo prezioso, prudente; e toglilo dalla
folla giocando di spalle; se chiacchiera tendi l’orecchio.
sfacciatamente gli piace di farsi lodare: provvedi
fino a che lui non ti dica alzando le mani al cielo
basta così
: gonfia l’otre che cresce con gonfie parole.
Quando ti avrà sollevato da un lungo, solerte servizio
e, certo d’essere desto d’un quarto sia erede Ulisse
avrai sentito. "Ebbene il caro amico mio Dama
non avrò più? Dov’è un altro così bravo ed affezionato?"
va ripetendo, e il pianto se non ti vien fuori, almeno
nascondi prudentemente la gioia nel volto. La tomba,
se al tuo giudizio lasciata, innalzala senza risparmio:
un funerale ben fatto sarà dai vicini lodato.
Se dei coeredi la tosse maligna ha uno più vecchio,
digli che dalla tua parte se un fondo volesse comprare.
O un casolare, ben lieto a lui venderesti a due soldi.
Ma mi trascina tirando Proserpina: addio, statti bene.
5.
Da un pezzo ascolto e dirti volendo qualcosa da schiavo,
ho un po’ paura. Sei Davo?
. "Sì, Davo, il servo fedele
al suo padrone e onesto quant’è sufficiente a farti
ritener giusto che viva". Di quella licenza profitta
che fu fissata dagli avi²⁰ per ogni dicembre: su, parla".
"Parte degli uomini gode dei vizi, e insiste coerente
nella sua scelta; gran parte oscilla seguendo il bene
ora, poi al male soggetta. Per i suoi tre anelli fu Prisco
spesso notato, poi invece la mano sinistra sua spoglia.
contraddicendosi visse, cambiando vestito ogni ora,
dai gran palazzi di botto celandosi in luoghi da dove
pure un liberto avrebbe avuto vergogna ad uscire;
ora da adultero a Roma, ed ora da dotto ad Atene
voleva vivere, nato da tanti ostili Vertunni.²¹
e Volanerio, buffone, da quando la gotta le dita
gli bloccò vendicatrice, qualcuno che per lui prendesse
i dadi per poi gettarli nel bossolo assunse, pagando
un regolare stipendio: di quanto nei vizi consueti
più si persiste, più è lieve l’infelicità e si sta meglio
di chi si affanna tirando e poi mollando la fune".
"Ora mi dici, furfante, a chi si dirigono queste
tue fetenzie?.
Di te parlo.
E a che proposito, infame?".
"Lodi la sorte e i costumi di quelli di un tempo, ma qualche
dio se volesse portarti indietro, ti rifiuteresti,
o perché non sei persuaso che quel che proclami sia il meglio
o perché non risoluto difendi il giusto e ti infogni
inutilmente cercando di togliere il piede dal fango.
A Roma vuoi la campagna; nei campi la città ti manca,
volubilmente la esalti. Nessuno per caso t’invita
a cena, il cavolo elogi mangiato a casa tranquillo
e come se incatenato uscissi, ti dici ben lieto
di non dover far stravizi da nessuna parte. Ti chiama
tardi da lui Mecenate, si accendono le prime luci,
a mensa: "L’olio nessuno ci porta veloce? Nessuno
mi sente?". Con gran fracasso protesti ed esci di fretta.
Mulvio con i buffoni, mandandoti dove non dico,
lasciano il campo. È vero, lo ammetto
lui dice "che dalla
gola mi faccio guidare, sniffando l’odore del cibo,
debole, inerte, e aggiungi quello che vuoi, crapulone.
Tu che hai gli stessi difetti, e forse peggiori, vuoi pure
rimproverare me, come se tu fossi meglio, e avvolgi
i vizi con eleganti parole?". Che fai, se più sciocco
di me – comprato per mezzo migliaio di dracme – ti scopro?
smetti di farmi paura con quella faccia; le mani, e lo sdegno
frena: dirò quel che insegna a me di Crispino²² il portiere.
Conquista sei della moglie di un altro, e di una trojetta
Davo: qual è della croce fra i nostri peccati il più degno?
Se un forte istinto mi spinge, la prima che trovo nel nudo
chiarore di una lanterna, colpisco con turgida coda
e lei il cavallo supino agita lascivamente,
se ne va ed io diffamato non resto né m’importa che uno
più di me ricco o bello d’aspetto con lei se ne venga.
Deposte avendo le insegne, di cavaliere l’anello
e di Romano la veste, da giudice diventi un Dama
turpe, la ben profumata tua testa nel manto nascosta,
forse non sei quel che fingi? Sei fatto entrare tremante
di strizza fin dentro l’ossa, che colla lussuria fa a pugni.
Che cambia se dalle verghe per esser spellato o ucciso
da spada vai gladiatore, o chiuso nell’infame cassa
dove ti ha messo la serva che è complice nell’adulterio,
stretto, toccar coi ginocchi la testa? E non appartiene
su entrambi un giusto potere al coniuge dell’infedele?
Più giusto sul seduttore? Inoltre costei non è tipo
da cambiar abito pure, nel fottere, la posizione
per starti sopra, paurosa e senza fiducia nel ganzo.
Ben consapevole dunque vai verso le forche, lasciando
all’incazzato padrone gli averi, la vita, l’onore.
Se scampi: credo che dalla paura frenato, da saggio
stia al largo; o cerchi di nuovo la strizza, rischiando
la vita, o d’essere schiavo per sempre. C’è mai una bestia
che, in fuga dalle catene infrante, vi torni, perverso?
Non sono adultero
dici. Neanch’io, per Ercole, ladro,
se per timore mi astengo dal fottere i vasi d’argento.
Ma togli il rischio: rimosse le remore, vince l’istinto
sfrenato. Sei il mio padrone? Tu che così spesso ti inchini
a ordini d’uomini o cose? Che se ti toccasse più volte
la verga liberatrice, la tua fottuta paura
mai sparirebbe; ancora c’è questo, di non minor peso;
che se vicario è il servo, è vostra la definizione,
d’un altro servo, oppure con – servo, per te cosa sono?
Tu che mi domini, servi gli altri, tapino, e come
un burattino ti lasci guidare con fili dall’alto.
Chi è dunque libero? Il saggio che sa comandare se stesso.
Che né miseria né morte spaventano né le catene,
che ai desideri smodati resiste, disprezza gli onori
solido, in sé ben racchiuso, tornito ed arrotondato,
ché niente sul levigato potrà dall’esterno posarsi,
su cui la sorte non riesce mai ad infierire. Tra queste
cose qualcuna che propria sia a te, puoi mostrare? Ti chiede
cinque talenti la ganza ti tratta da cane, e cacciato
fuori ti inonda con acqua gelata, ti chiama di nuovo:
strappa da quel giogo infame il collo, son libero
. Niente.
uno spietato padrone ti opprime lo spirito e senza
tregua ti sprona sfinito, spingendoti recalcitrante.
O quando ti manda in estasi, da fesso, un quadro di Pausia,
meno di me non sei in fallo, se anch’io di Fulvio o Rutuba
o Pacideiano²³ ammiro le ginocchia tese, le gesta
guerresche con terra rossa dipinte o col carboncino,
come se vere battaglie muovessero gli uomini, i colpi
schivando e dando colle armi? È quel fannullone di Davo;
tu invece di antiquariato per critico passi, sottile
e accorto. Un nulla io sono, se della focaccia fumante
son ghiotto; ma a pingui cene resiste la tua virtù insigne
e l’ardimento? Perché per me è più dannosa la gola?
Perché le prendo sul gobbo. Ma più impunemente di quelle
pietanze che non puoi avere con poco denaro, ti abboffi?
Amaro fiele diventa la tua scorpacciata infinita
e i piedi marci quel corpo vizioso non voglion portare
più oltre. Se fa peccato quel servo che a sera con uva
scambia la striglia rubata: chi per soddisfare la gola
si priva dei suoi poderi, non è forse simile al servo?
Aggiungi che non sai stare nemmeno un’ora da solo
e per trascorrere il tempo sfuggi a te stesso vagando
o con il vino cercando o il sonno di cacciar gli affanni
invano: il tetro drappello in fuga da presso ti insegue".
Mi date un sasso?
. Per farne che cosa?
. Oppure le frecce?
.
È uscito pazzo quest’uomo o vuol farlo credere
. "O smammi
subito o all’agro Sabino col numero nove ti trovi".
6.
"Ti divertisti a cena dal ricco Nasidieno?
a me che per invitarti ti andavo cercando, hanno detto
che stavi da mezzogiorno con lui a bere.
Sì, niente
in vita mia mi è piaciuto di più.
Se non ti scoccia, dimmi
quali portate per prime placaron, famelico, il ventre".
"Prima di tutto, coniglio lucano: coll’Austro leggero
preso, a quanto diceva il padron di casa; ed intorno
piccole rape piccanti, lattuga, radicchi che il moscio
stomaco svegliano, acciughe e raperonzoli e feccia
di Coo, e portati via questi da un servo succinto, nettata
da un tovagliolo purpureo la tavola d’acero, un altro
qualsiasi cosa raccolse che inutile in terra giacesse
e infastidisse chi stava cenando; si fa avanti al modo
di attica vergine sacra a Cerere il fosco Idaspe²⁴
portando Cecubo e Alcone di Chio, senza acqua di mare.²⁵
L’ospite qui ‘Mecenate, se Albano o Falerno ti piace
più di quei vini che sono serviti, li abbiam, l’uno e l’altro’".
"Che miserande ricchezze! Ma chi insieme a te nella cena,
Fundanio, fu della bella brigata, mi preme sapere".
Io a capotavola e accanto Visco Turino e più oltre
Vario, se ben mi ricordo; e con Balatrone (Servilio)
Vibidio, che Mecenate aveva appresso portato.
E c’era poi Nomentano al di là dell’ospite, e Porcio
di qua, che al riso muoveva coll’inghiottire le torte;
addetto a ciò Nomentano, che se si lasciava qualcosa
per caso, di farvi segno col dito; perché tutti gli altri,
noi dico, ci abboffavamo di uccelli e molluschi, e di pesci,
che un gusto molto diverso avevan da quello già noto
come appariva evidente ben presto a me quando offerti
mi furon pezzi di rombo e passero mai assaporati.
Le mele dolci, si apprese in seguito, vengon più rosse
raccolte a luna calante. Da lui stesso meglio puoi udire
come ciò avvenga. Vibidio allora fa a Balatrone:
‘invendicati morremo, se non sbronzi da far casino’,
e chiede coppe più grandi. Allora cambiò del padrone
per il pallore la faccia, ché più d’ogni cosa paventa
chi beve troppo, sapendo che parla senza ritegno,
e che insensibile il fine palato i vini più forti
rendono. Di Allife dentro boccali riversano intere
anfore e tutti a seguirli, i due Balatrone e Vibidio:
soltanto gli ospiti in fondo al letto rispettano i fiaschi.
una murena guazzante fra squille poi viene servita
distesa su una padella. al che dice l’ospite ‘incinta
è stata presa, ché dopo il parto la carne peggiora.
il sugo è un misto di: olio d’olive di prima spremuta,
Venafro ce l’ha in dispensa; salsa di pesci d’Iberia;
del vino vecchio cinque anni, al di qua del mare prodotto,
nella cottura – al cibo già cotto si addice più di ogni
altro il vino di Chio –; poi del pepe bianco, d’aceto
un po’ di quello che rese acidulo il vino Metimmeo.
Rucole verdi, io per primo mostrai e le enule amare
si posson cuocere dentro; Curtillo i ricci di mare
senza lavarli: l’essenza è meglio che la salamoia’
In quel momento precipita una pesante cortina
ch’era sospesa sul piatto, tra nubi di polvere nera,
quanta dall’agro campano non può sollevare Aquilone.
panico per un momento ma poi, visto che più non c’era
alcun percolo, in piedi ci alziamo. E Rufo chinando
il capo, lacrima come se un figlio avesse perduto.
Come sarebbe finita, se saggio così Nomentano
tirato su non l’avesse: ‘fortuna, qual nume crudele
è più di te con noi? Come dei fatti degli uomini sempre
ti prendi gioco!’. A stento reprimere Vario poteva
il riso col tovagliolo. E quel Balatrone che scherza
su tutto ‘è questa la sorte’ diceva ‘dei vivi,
mai che la fama coroni non impari, le tue fatiche.
vedi, perché lautamente sia accolto io, tu ti torturi,
preso da mille pensieri, che il pane non venga bruciato,
che il sugo non sia portato scondito, perché tutti quanti
gli schiavi servano bene vestiti e ben pettinati.
Poi si dà il caso che vengano giù le cortine come ora
è capitato; o che un piatto sia rotto da un servo che cade.
Ma di chi invita, al pari di un capo guerriero, l’ingegno
dai casi avversi è svelato, celato da quelli propizi’.
Rispose a lui Nasidieno: ‘a te diano i numi qualunque
cosa tu voglia: ché un buono tu sei, e un commensale gentile’.
E chiede i sandali. Allora dovevi vederli nei letti
svelarsi i loro segreti ronzanti sussurri all’orecchio".
"Di più non avrei gradito nessuno spettacolo. Dimmi
però di cosa ridesti in seguito.
Vibidio intanto
ai servi chiede se rotti non sian pure i fiaschi, ché a bere
a lui che chiama non vengono dati bicchieri e mentre
alle battute sue ridono ed eco gli fa Balatrone;
o Nasidieno ritorna con un’altra faccia per l’arte
di rimediare alla sorte; poi un seguito viene di servi
su un gran tagliere portando le membra ben dissezionate
d’una gru di molto sale cosparsa, e non priva di farro,
di grassi fichi nutrito il fegato d’un’oca bianca,
spalle di lepre staccate, che sono molto più saporite
così che se con i lombi si mangiano. Poi il petto arrosto,
vedemmo merli portare e senza le cosce colombe,
vere leccornie, se l’ospite non raccontava la loro
natura e la provenienza; noi per vendetta fuggimmo,
senza gustare più niente del tutto, era come se avesse
soffiato sopra Canidia,²⁶ peggiore che d’Africa i serpi.
7.
A zonzo per la via Sacra, andavo come è mio costume,
in non so quali sciocchezze immerso, e rimuginando:
mi si fa avanti qualcuno di cui solo il nome mi è noto,
la mano strettami: Come ti vanno le cose, mio caro?
.
Bene, finora
gli dico e spero che tu sia felice
.
Poiché mi segue: Vuoi nulla?
gli piazzo, ma quello: "Sai bene
che un letterato mi dice
io sono.
Più ancora" rispondo
per questo ti tengo in conto
. Volendo scappare, tapino,
ora cammino più svelto, ed ora mi fermo di colpo
per sussurrare qualcosa al giovane schiavo, sudando
giù fino ai piedi. "Bolano, o te fortunato d’avere
facile l’incazzatura" dicevo fra me mentre quello
cianciava a vuoto, lodando le vie, la città, poi notando
che non fiatavo "Vorresti squagliartela – disse – lo vedo
già da gran tempo; ma invano: ti tengo ben stretto;
ti seguirò fino a dove andrai.
Ma a te non conviene
il lungo giro: ché voglio far visita a un tale lontano,
che non conosci; sta accanto agli orti di Cesare, oltre
Tevere.
Ma non ho niente da fare, son svelto: ti seguo".
Le orecchie abbasso nel modo dell’asino che si rassegna
quando sul gobbo gli arriva un peso gravoso. Comincia:
"Se ben conosco me stesso, tu più non terrai in conto Visco
per l’amicizia o Vario; chi più di me infatti i versi
scrivere sa, più veloce? Chi muover più dolcemente
le membra e quando io canto Ermogene pure m’invidia".
D’interrogarlo il momento è questo: "Ma tu non hai madre,
o dei parenti qualcuno che a te provveda?.
Nessuno
più, sono tutti sepolti.
Felici!.
Io solo rimango"
termina l’opera. "Incombe su me un triste fato: fanciullo
per me lo trasse dall’urna la vecchia veggente sabina:
‘Né da funesti veleni sarà lui rapito, o da ostile
spada né dalla pleurite o tosse o lenta podagra:
lo annienterà un chiacchierone un giorno, perciò dai loquaci
resti lontano se è saggio, da quando sarà adolescente’.
Giunti già al tempio di Vesta, la quarta parte del giorno
era passata, ed il caso voleva che fosse citato
in tribunale; e se assente avrebbe perduto la lite.
Se mi vuoi bene
mi dice a assistermi resta
. "Ch’io muoia
se a stare in causa son buono o so di diritto civile,
e vo di fretta nel posto che sai.
Sono in dubbio, che fare,
lasciare te o la mia causa.
Me, è naturale.
Non posso"
mi dice e avanza: ed è duro contendere col vincitore
per me; lo seguo. In quali rapporti sei con Mecenate?
di qui riprende "di poca brigata è, uomo di senno.
nessuno la sua fortuna sa meglio usare. Tu avresti
un grande sostenitore, che resta al secondo posto,
se presentarmi volessi: ch’io possa crepare se largo
non ti faresti fra tutti.
Ma lì non viviamo nel modo
che credi. Non c’è fra tutte le case nessuna più pura
né a questi mali più estranea: per niente m’importa, ti dico,
che sia qualcuno più ricco di me o più sapiente; ciascuno
ha il proprio posto.
Son cose a stento credibili.
Eppure
è così.
Rendi più grande in me il desiderio di stare
vicino a lui.
Devi solo volerlo: con il tuo valore
lo espugnerai: conquistarlo si può ed è per questo che i primi
accostamenti li rende difficili.
Ma non mi faccio
io scoraggiare: gli schiavi corrompere posso con doni;
oggi mi buttano fuori, non mollo ma cerco l’istante
in cui beccarlo per strada, lo seguo. Mai niente la vita
ha dato agli uomini senza gran sforzo". Sta ancora parlando,
ecco venir Fosco Aristio, mio grande amico, che l’altro
sicuramente. Sostiamo. Da dove provieni?
e dove vai?
ci scambiamo domande, risposte. Comincio
a strattonarlo, stringendo le braccia inerti, ammiccando
cogli occhi storti, per farmi portare via. Fa lo gnorri
quel bello spirito e ride; nel fegato brucia la bile.
"Di non so che tu volevi parlare con me, mi dicevi,
privatamente.
Ricordo benissimo, ma in un momento
più adatto intendo parlare; è il sabato di fine mese:
offender vuoi i circoncisi Giudei?.
Non mi frega" gli dico
la religione
. "Io invece un po’ sono superstizioso,
uno fra tanti, parliamo in seguito. Scusa." Che giorno
nero mi è capitato! Va via quel fetente, lasciando
me sotto i ferri. Ma vuole il caso che quello si imbatta
nell’avversario che Dove vai tu mascalzone?
gli grida
a voce altissima e posso chiamarti a testimoniare?
.
Io gli presento l’orecchio.²⁷ Lo porta in causa; schiamazzi,
di gente accorrere ovunque. Apollo mi aveva salvato.
FEDRA di Jean Racine
traduzione di F. Capponi
ATTO I
SCENA I
IPPOLITO – La decisione è presa. Io parto, o Teramene
lasciando la dimora della cara Trezene.
Da un dubbio tormentoso io mi sento assalire,
e di restare inerte comincio ad arrossire.
Più di sei mesi ormai dal padre separato
non conosco la sorte di un volto così amato.
Persino i luoghi ignoro che possono celarlo.
TERAMENE – E in quale, mio Signore, andrete voi a cercarlo?
Già per seguire il vostro timor non infondato
i mari che Corinto separa, ho attraversato.
Di Teseo ho domandato a genti che alla fonte
vedono nell’Averno perdersi l’Acheronte.
L’Elide ho visitato, e poi doppiando il Tenaro
al mare son passato che vide cadere Icaro.
Con quale nuova speme e in che lieto paesaggio
credete di scoprire tracce del suo passaggio?
Chi del re vostro padre è infine a conoscenza
se voglia che il mistero resti sulla