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Dominati dai soldi
Dominati dai soldi
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E-book318 pagine4 ore

Dominati dai soldi

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Info su questo ebook

La storia si concentra sulle vicende di due fratelli, figli dello stesso padre ma di due madri diverse. Tra loro c'è un "muro" divisorio costituito da odio, rancore, invidia e rivalità. Quando tutti gli affetti più cari vengono a mancare, il rapporto tra i due s'incrina ulteriormente. Dopo la morte del padre, i due fratelli vengono in possesso di una copiosa eredità. L'avidità di denaro non farà altro che incrementare l'odio già esistente tra i due, i quali arriveranno a compiere gesti deplorevoli l'uno contro l'altro.
 
Alla fine ci sarà un vincitore?
I due fratelli saranno moralmente sconfitti, a causa della loro brama di denaro?
Si può, per soldi, arrivare a tanto?
Queste sono le domande che vengono in mente leggendo questa storia che, nella sua crudezza, evidenzia le debolezze che si celano dentro l’essere umano, andando a toccare i lati fragili che, in fondo, sono in ognuno di noi.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2019
ISBN9788869827273
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    Anteprima del libro

    Dominati dai soldi - Claudio Battaglia

    casuale.

    Capitolo 1

    Alcune persone sembrano essere nate per fare soldi, hanno delle capacità naturali, un’intelligenza forse superiore agli altri, sta di fatto che Rodolfo Giuliani fu in grado di trasformare una piccola eredità, lasciata dal padre, in una miniera di denaro e divenne, nel corso della sua vita, uno degli imprenditori Italiani di maggior successo.

    Rodolfo nacque a Milano nel 1942, da Anna Censi e Mario Giuliani; la madre era una casalinga e il padre un pasticcere.

    Il papà era proprietario di una pasticceria nella periferia di Milano, un locale modesto e non molto conosciuto, se non dagli abitanti del quartiere ma, con la sua piccola attività, aveva sempre mantenuto la famiglia ed era riuscito, con molti sacrifici, a trovare i soldi sufficienti per mandare il suo unico figlio all’università.

    D’altro canto, Rodolfo, sin dalle elementari, aveva collezionato degli ottimi voti in tutte le materie e si intuiva che, se qualcuno lo avesse agevolato nello studio, avrebbe conseguito, anche in ambito universitario, dei risultati eccellenti.

    Il ragazzo non solo era bravo ad apprendere e memorizzare tutto quello che leggeva, ma si dava da fare anche in pasticceria. Aveva la possibilità di concentrarsi solo sugli studi, ma odiava sentirsi un parassita che vive alle spalle della famiglia. Amava, invece, guadagnarsi dei soldi da solo e un po' per questo, e un po’ per riconoscenza nei confronti del padre, si recava in pasticceria e, quando non studiava, lavorava.

    Il padre non gli aveva mai chiesto di andare in negozio, ma era Rodolfo stesso che si offriva volontario, e diceva con ironia: «Papà, non preoccuparti, che non sottraggo il tempo allo studio se vengo a lavorare qui con te, anzi, incremento le mie conoscenze, e non si sa mai, se non riuscissi a realizzarmi, dopo la laurea che prenderò in economia, potrei sempre fare il pasticcere come te; non darti pensiero, insegnami il mestiere che, come dice il proverbio: impara l’arte e  mettila da parte».

    In effetti il lavoro non compromise minimamente il rendimento che Rodolfo aveva all’Università, infatti riuscì a superare ogni esame con il massimo dei voti. Si laureò con 110 e lode, era l’orgoglio della famiglia.

    Terminati gli studi universitari venne chiamato da un’azienda di investimenti e quotazioni in borsa e divenne, quasi subito, uno dei broker più famosi nella borsa di Milano.

    Tutto quello per cui aveva studiato si stava concretizzando e, fino a qui, poteva ritenersi una delle persone più fortunate della terra, ma non tutte le cose belle durano a lungo, e una terribile disgrazia piombò, prepotente e malvagia, sulla vita di questo ragazzo prodigio, così tanto bravo e volenteroso.

    Fu un incidente stradale, mortale, traumatico, orribile, che in un attimo gli portò via entrambi i genitori. Fu una sera, una delle poche sere in cui i coniugi Giuliani si erano concessi una pizza, che un automobilista ubriaco si schiantò, provocando un violento frontale, sull’ autovettura in cui viaggiavano i genitori di Rodolfo, ed entrambi morirono sul colpo.

    Rodolfo, che all’epoca della tragedia era ancora un ragazzo, cercò con tutte le sue forze mentali di superare quel dolore acuto, ma lo shock era stato troppo intenso; in una volta sola aveva perso il padre e la madre, morti così, senza potersi abituare gradualmente all’idea di perderne uno, senza poter metabolizzare pian piano l’eventualità di una morte causata da una malattia, senza tutto questo. Un crudele destino aveva sconvolto la sua vita e ora, senza più nessun punto di riferimento, si sentiva profondamente solo, in compagnia della sua anima immersa, ogni giorno, in un corrosivo e straziante dolore.

    Come può a volte la vita essere così crudele? Si chiedeva Rodolfo. Com’ è possibile che fino a ieri avevo due fantastici genitori e ora non ci sono più? Sapeva bene che non era un brutto sogno quello che stava vivendo, ma una dura e spietata realtà.

    Il tempo fu il suo unico amico; con il passar dei mesi quel dolore sembrò affievolirsi, non che stesse bene, ma qualche pensiero ottimista gli balenava per la testa e questo era, senz’altro, un buon segno.

    Si sentiva anche in colpa per cose non attribuibili razionalmente a lui; ad esempio gli dispiaceva per i due collaboratori che lavoravano alle dipendenze del padre, che ormai erano, di fatto, due disoccupati. Non era certo colpa sua, ma non era intenzionato a riaprire la pasticceria, sarebbe stato troppo doloroso rientrare in quel locale. Numerosi sarebbero stati i ricordi del papà, e Rodolfo era terrorizzato solo all’idea di rivedere quel luogo. Non voleva entrare in contatto con quegli oggetti tanto usati dal padre, che avevano contribuito a sfamare e mantenere, dignitosamente, sia sé stesso che la sua meravigliosa, e ora scomparsa, famiglia.

    Decise di vendere tutto, era un modo per dimenticare, per superare il lutto, per cercare di guardare solo ed esclusivamente avanti.

    Mise in vendita sia la pasticceria che la casa, dove aveva sempre vissuto con i suoi. Pensò che con il ricavato avrebbe potuto comprarsi un piccolo monolocale, e i soldi rimanenti li avrebbe tenuti da parte. Questo atteggiamento era necessario; non stava a significare cancellare tutto ciò che i genitori avevano costruito nella loro vita, perché il ricordo di loro sarebbe sempre stato vivo, dentro di lui, ma non riusciva a vivere in quella casa. Troppi erano i ricordi che rifiorivano, ed era difficilissimo poterli evitare. Anche una semplice teglia gli ricordava le mani della mamma, e quei cannelloni che la donna preparava solo per lui, perché sapeva che gli piacevano tanto. E con la pasticceria? Peggio! Solo varcare la soglia d’ingresso era impossibile, senza provare un dolore esplosivo all’interno del suo cuore. Ricordava il padre lì, dietro il bancone, con quel suo camice bianco sempre super pulito e quel suo sorriso magnetico e rassicurante, che aveva costantemente stampato sul volto.

    Dopo poco tempo riuscì a vendere entrambi gli immobili e comprò un monolocale. Nel corso della vita non dimenticò mai il primo giorno che mise piede in quel posto nuovo per lui.

    In quell’attimo si sentì rinascere, e immaginò i genitori che dal cielo lo guardavano e facevano il tifo per lui; non erano dispiaciuti per la sua scelta di cambiar vita, ma erano dalla sua parte. Sentì le loro anime vicine a lui più che mai, anche in quel piccolo monolocale, che per se stesso era come un piccolo seme, che si sarebbe trasformato in una fortissima pianta, chiamata rinascita.

    Ovvio, l’istinto che aveva nel petto si era assopito, in quel periodo di elaborazione del lutto, ma non era morto, e quindi Rodolfo riprese la sua attività lavorativa e investì, nel mercato azionario, i soldi rimasti dall’eredità.

    Non è rilevante descrivere nei minimi dettagli come fece, ma sta di fatto che nel giro di un anno fu in grado di triplicare quei soldi e, l’anno successivo, ebbe ancora dei notevoli guadagni.

    Era un genio della finanza, nessuno poteva negarlo; anche i suoi concorrenti lo temevano e lo rispettavano.

    Quante volte, la sera prima di addormentarsi, Rodolfo immaginava i suoi genitori e con rammarico nel cuore pensava: Oh se mamma e papà potessero vedere come sono stato bravo, a far fruttare i soldi che mi hanno lasciato, sarebbero fieri di me. Oh miei cari genitori tanto amati, vedete? I vostri sforzi nel farmi studiare hanno prodotto dei frutti, non sono stati spesi inutilmente. Oh se potessero vedermi, o forse mi vedono, lassù, dal cielo… ma sì che mi vedono…peccato che se ne sono andati e questi pensieri erano una compagnia, un conforto, una personale fonte d’orgoglio.

    Ormai il nome di Rodolfo Giuliani era una garanzia e molte persone, che avevano dei risparmi da investire, si rivolgevano a lui affidandogli il proprio denaro; egli sapeva come farlo fruttare, e i guadagni erano davvero molto probabili, per non dire addirittura sicuri.

    Nel 1977, all’età di 35 anni, Rodolfo conobbe Enrica e tra i due scoppiò un amore immenso, che li portò a sposarsi l’anno seguente.

    Ormai Rodolfo era un milionario e un uomo sposato. Decise, insieme alla moglie, di fare dei figli. Certo, il suo lavoro lo aveva reso ricco, ma sentiva il desiderio di regalarsi una vita diversa, nella quale poter dedicare più tempo alla sua famiglia.

    Si domandava come poter investire tutti quei soldi che aveva sul conto, e si presentò un’opportunità che Rodolfo non si lasciò scappare: in Sicilia, un imprenditore titolare di una piccola fabbrica dolciaria, stava svendendo il suo stabilimento a causa di fallimento. Quale migliore occasione, per Rodolfo, di comprare lui quella fabbrica?

    Immaginava l’orgoglio negli occhi del padre che lo guardava dal cielo, capirai…il figlio che fa lo stesso mestiere del padre, ma più in grande; non semplice gestore di una piccola pasticceria, ma presidente di una grande fabbrica di dolci, che avrebbe potuto esportare i propri prodotti in tutto il mondo.

    Il nome dei Giuliani ancora presente come grandi pasticceri, il figlio che continua la tradizione di famiglia iniziata dal padre. Che occasione unica!

    Fu così che Rodolfo si trasferì in Sicilia, comprò la fabbrica, la ristrutturò e dopo poco si videro i primi guadagni. Era davvero la gallina dalle uova d’oro. Il suo dono, innato, di far soldi, non lo aveva di certo abbandonato.

    Nel gennaio del 1982 Enrica annunciò la bella notizia: «Aspetto un bambino!»

    Ci furono le successive ecografie, era un maschietto, quindi il nome Giuliani sarebbe andato avanti. Che gioia per Rodolfo! Il futuro si prospettava più roseo che mai!

    Ma questa volta non fu il destino a rovinargli la vita, come accadde per i suoi genitori, ma fu egli stesso, con le sue azioni, a compromettere tutto il bello che finora aveva realizzato.

    Enrica, ovviamente, causa il pancione, non era più attraente come un tempo. Rodolfo incominciò a interessarsi sessualmente ad altre donne e, provaci oggi, provaci domani, trovò una disposta a fare l’amore con lui, appagando così i più animali istinti sessuali che la sua Enrica non poteva soddisfare.

    La storia non si limitò ad una singola scappatella, ma tra Rodolfo e Milena, questo era il nome dell’amante, ci furono numerosi incontri per tutto il periodo della gravidanza di Enrica e non solo.

    Le frequentazioni, tra i due, continuarono anche dopo la nascita del bambino, che venne chiamato Mario in ricordo del nonno.

    Era a dir poco disgustosa l’abilità con la quale Rodolfo riusciva a fingere; raccontava di false riunioni, che si prolungavano fino a tardo orario in azienda, e invece andava a prendere la sua amante, la portava in hotel, e non solo praticava con lei dei ripetuti rapporti sessuali ma la riempiva di attenzioni, di parole dolci, la chiamava con nomignoli affettuosi, la coccolava a lungo, anche dopo aver fatto sesso. Poi, come se nulla fosse, faceva ritorno dalla moglie e dal figlio, e si comportava come un padre e marito modello, dedicando alla sua vera famiglia le stesse attenzioni, e delicatezze, che aveva con l’amante.

    Di certo qualcosa di brutto doveva aspettarselo dalla vita, il nostro brillante milionario, e probabilmente se lo meritava. In un freddo gennaio del 83’, alle 9:40 del mattino, squillò il telefono dell’ufficio del Presidente della Giuliani, che rispose con voce profonda: «Si, pronto?»

    Dall’altra parte della cornetta c’era Milena, l’amante, che si affrettò a parlare e, con voce tremolante: «Rodolfo, sono io!»

    «Quante volte devo ripeterti che non devi chiamarmi in ufficio, è pericoloso! Ti richiamo dopo. Ho un incontro con il capo del personale tra pochi minuti»

    «Se ti chiamo è perché è urgente, non resisto a dirti che…»

    «Milena, ti prego, che c’è? Vai al dunque!»

    «Sono incinta!»

    Rodolfo rimase con gli occhi sgranati per qualche secondo. Sentì le mani gelate e rigide. Era davvero, per lui, una pessima notizia.

    Milena finse di non sapere l’incubo che Rodolfo stava vivendo; era chiaro che le attenzioni ora le meritava solo lei, e non quella frigida della moglie di Rodolfo, che disprezzava fortemente e continuò, con enfasi, come se niente fosse: «Si, sono sicura! Avevo un ritardo e ho fatto il test di gravidanza, questa mattina appena sveglia, e sì, sono incinta!» e poi, come a voler scavare nella ferita aperta nella mente confusa di Rodolfo: «Diventerai padre per la seconda volta!»

    Rodolfo avrebbe voluto dire: ma è una tragedia questa! Ora cosa dico a mia moglie Enrica? Ma troppa era la sua delicatezza, e non se la sentiva di ferire l’amante, d’altro canto era una donna anche lei e poi, dopo tutte quelle carezze affettuose che le aveva fatto, quei regalini, quei gesti romantici, ora sarebbe risultato sgradevole dire quello che pensava veramente, e la verità sarebbe stata: potresti, per favore, abortire?

    E allora finse, come oramai faceva vergognosamente da tempo e con voce calda si limito ad aggiungere: «Dai che ne parliamo a voce, rimando tutti gli appuntamenti che ho oggi e vengo subito a casa tua»

    «Certo tesoro mio adorato, ti amo! Ti amo alla follia!» ed era l’unica frase che il ricco Rodolfo non avrebbe mai voluto, in quell’attimo, sentirsi dire.

    Capitolo 2

    Ora, per il geniale Rodolfo, la vita si presentava come un bivio e la scelta era difficile; come gestire al meglio certe cose non te lo insegnano all’università, ed egli doveva decidere con chi stare, se con la moglie o con l’amante.

    Scelse l’amante, non che la povera Enrica lo meritasse, ma Rodolfo aveva trovato in Milena quell’energia sessuale che nella moglie non c’era mai stata, e quando il palato si abitua a mangiare cibi raffinati e ben conditi poi è difficile cibarsi, ogni giorno, con una semplice insalata.

    Fu così che Rodolfo confessò ad Enrica che aveva l’amante, che quest’ultima era incinta e che lui voleva il divorzio. Non c’era nient’altro da aggiungere. La realtà sarebbe stata crudele anche se avesse usato trecentomila parole.

    La povera moglie cadde in depressione e Rodolfo cercò di ripulire, la sua sporca coscienza, concedendole, senza mercanteggiare, la casa dove abitavano, l’affidamento del primogenito Mario e un cospicuo assegno di mantenimento mensile. Era davvero il minimo che potesse fare.

    Comprò ovviamente un’altra casa dove andò a vivere con Milena, e concluse il 1983 con la nascita del secondo figlio, che chiamò Federico, con un secondo matrimonio, ovviamente con Milena, e con l’acquisto di un altro modesto stabilimento sempre in Sicilia, che venne ristrutturato e destinato, anch’esso, a fabbrica dolciaria.

    Nel 1988 la povera Enrica si ammalò di un male incurabile e purtroppo morì, nello stesso anno, nonostante le numerose cure alle quali si sottopose. Si ricoverò in cliniche private costosissime, ma questo non le evitò lo spietato incontro con la morte.

    Mario venne affidato al padre e visse insieme a quest’ultimo, al fratello Federico e a Milena, nella casa sopracitata, da poco comprata.

    Federico era, all’epoca, solo un bambino, ma la venuta nella sua vita di quest’altro pargolo, seppur fosse suo fratello da parte di padre, lo turbò profondamente. Era geloso del fatto che ora le attenzioni non erano tutte rivolte a lui, ma dovevano essere divise con quell’intruso, con quell’ultimo arrivato.

    Inoltre, in Rodolfo, quel senso di colpa per l’abbandono, non in senso economico ma senz’altro affettivo nei confronti di Mario, non si era mai rimarginato, e ora che il destino gli aveva riavvicinato il primogenito l’uomo intendeva pulirsi la coscienza, da quel distacco che, il povero bambino innocente, aveva subito.

    Questo senso di rimorso, in Rodolfo, lo spingeva spesso a giocare più con Mario che con Federico e, nonostante la piccola età dei bimbi, la gelosia, tra loro, era viva, ossessiva, reale.

    Tutto era bello, lussuoso e confortevole, in quella dimora, ma in realtà le anime di coloro che l’abitavano erano buie, aspre, imbevute di quotidiane cattiverie.

    Volenti o dolenti i due fratelli, comunque, furono costretti a convivere e accettarsi, ma più crescevano e più tra loro c’era astio, fastidio; non legarono mai veramente, pur portandosi, di fatto, solo un anno di differenza l’un l’altro.

    Ovviamente la mamma naturale di Federico era Milena ed era evidente che la donna, pur sforzandosi di non darlo troppo a vedere, era protettiva e viziava il proprio figlio, mentre l’altro, Mario, lo aveva sempre visto come un infiltrato, come un ostacolo alla vita ideale che lei si era, pian piano, costruita.

    Povero bambino, pensava Milena, non che sia colpa sua, ma da quando è venuto a vivere con noi anche con Rodolfo, non so, pare che la fiamma si sia spenta.

    Non era colpa di Mario, lo sapeva bene anche lei. I rapporti tra uomo e donna, quando sono all’inizio, vivono di sesso, passione e perversioni reciproche ma con il passar del tempo, la routine, l’abitudine, la pigrizia, finiscono per determinare un certo piattume sotto le lenzuola, e questo sarebbe capitato anche a lei e a Rodolfo, ma Milena attribuiva, forse per cattiveria o per non voler vedere in faccia la realtà, questa crisi nei rapporti sessuali alla venuta in casa di Mario.

    Andava tutto bene finché non è arrivato lui, pensava Milena, e questo malsano e cattivo pensiero lo tenne sempre per se, portandoselo persino nella tomba.

    Passarono gli anni e i due bambini divennero dei ragazzi.

    Erano completamente diversi: Mario era un ragazzino studioso, attento, volenteroso d’imparare tutto e molto educato. Aveva preso molto dal padre e non voleva mai stare con le mani in mano; amava guadagnarsi addirittura la paghetta, che Rodolfo elargiva, in egual misura, a entrambi i figli e Mario cercava di meritarsela, svolgendo dei piccoli lavoretti in casa o prendendo dei buoni voti a scuola.

    Federico era l’esatto contrario. Era viziato dalla madre e al ragazzino gli si doveva perdonare tutto: i brutti voti a scuola, le risposte maleducate date agli insegnanti e ai genitori, gli atteggiamenti spavaldi e inoltre, con aria di pretesa, riusciva a soddisfare ogni suo capriccio e accontentarlo era l’unico modo per tenerlo buono.

    Per Federico tutto gli era dovuto e non era intenzionato a sacrificarsi per nessuno; mai dalla sua bocca usciva un vorrei ma sempre un voglio, non accettava i consigli, e considerava inutili  i pareri, o i desideri, degli altri.

    Rodolfo fece tanti sforzi per educarlo, ma non servirono a nulla. Milena si schierava sempre in difesa del figlio Federico e il padre, pur di non litigare ogni giorno con la moglie, finì per arrendersi e si concentrò solo sull’educazione del primogenito Mario.

    Puntò tutto su di lui, lo vedeva più simile a sé stesso, e poi il ragazzino gli dava soddisfazione, era un tipo sveglio, e questo non faceva che incrementare, sempre più, l’invidia nei suoi confronti, sia da parte di Milena che da parte di Federico; quest’ultimo si rendeva conto che il fratello era più capace, furbo e intelligente di lui, e viveva questa differenza nascondendo, dentro di sé, un profondo malessere.

    Non si trattava solo dello studio, ma anche nello sport: ad esempio Federico impiegò un intero corso di nuoto per imparare a tenersi a galla, Mario, al contrario, vinse la gara annuale di stile libero nella stessa piscina che entrambi frequentavano.

    Anche nelle altre attività, che i genitori imponevano ai ragazzi di fare, ad esempio la musica o la pesca, Mario primeggiava e Federico era sempre o incapace, o inferiore a lui.

    In realtà Rodolfo voleva più bene a Mario, non perché questo fosse più ingegnoso ma perché era, semplicemente, più educato, più rispettoso e invece Federico era un ribelle, uno spavaldo, un idiota, e a ogni sbaglio non si assumeva mai la responsabilità in prima persona ma andava, di corsa, dal suo avvocato difensore chiamato mammina.

    Nel corso dell’adolescenza questa differenza divenne più dolorosa per Federico, perché il fratello era pieno di ragazze, mentre lui non riusciva a trovarne neanche una.

    Una volta che, all’età di 18 anni, Federico riuscì, dopo vari tentativi, ad appartarsi per la prima volta con una ragazza in camera sua, ebbe una mancata erezione, che è una cosa comprensibile per un giovane uomo inesperto ed emozionato, ma egli visse quest’evento come estremamente traumatico, perché pensava: mio fratello maggiore è pieno di donne e io non sono riuscito a farmene neanche una.

    Ovviamente, con il passar degli anni, Federico superò il suo blocco e riuscì ad avere un’attività sessuale normale, ma dato che la ragazza, della prima volta, era un’amica in comune con il fratello, la dama rese pubblica la défaillance e tutte quelle frasi dette dal fratello maggiore, allo scopo di schernirlo brutalmente, ancora rimbombavano, prepotenti, nella sua testa, e il suo mortificato cuore non riuscì mai, del tutto, a perdonarle.

    La prima preoccupazione di Rodolfo e Milena fu sempre quella di voler lavare i panni sporchi in casa e mai, negli eventi mondani tra famiglie ricche, avrebbero voluto far trapelare quest’odio che divideva i due ragazzi. Limitarsi alle apparenze e al buon giudizio degli altri, senza scavare a fondo negli animi dei due fratelli, fu il loro più grande e imperdonabile errore.

    I giovani dovevano essere aiutati, perché quella cattiveria, quella invidia, quella eterna competizione costruì, mattone dopo mattone, il muro divisorio tra i due ragazzi, e più passavano gli anni e più, questo maledetto muro, diventava alto e invalicabile.

    Invece di avvicinare i fratelli, Rodolfo commise l’ultima grande malvagità della sua vita. Quando il figlio Mario si laureò lo assunse in una delle sue aziende e, dopo un piccolo periodo di gavetta, gli assegnò il ruolo di direttore.

    In Federico l’invidia occupò, prepotente, ogni cellula cerebrale e aspettò, paziente, un giorno che il padre era di buon’umore per dirgli: «Papà, Mario ora dirige uno stabilimento, io non sono laureato come lui ma potrei occuparmi dell’altro, non trovi?»

    Rodolfo scoppiò in una risata grassa, risuonante, odiosa e cattiva per il semplice fatto che era sincera, troppo vera per non ferire Federico, e senza alcuna pietà gli rispose: «Tu che ti occupi di un’azienda? Ma fammi il piacere, non dire idiozie! Tu non sei in grado! Sta a vedere che ho fatto tanti sacrifici per realizzarmi con due fabbriche e ora la lascio fallire una in giro di due giorni, affidandola a te. Levatelo dalla testa, non succederà mai!»

    In seguito, Rodolfo, espresse la volontà di voler intestare tutti e due gli stabilimenti al primogenito, sostenendo che la sua scelta era sensata e che se, disgraziatamente, fosse morto all’improv-viso, il secondo figlio, incosciente com’era, avrebbe mandato in rovina tutto quello che la famiglia Giuliani aveva costruito.

    In realtà qualche conoscente gli suggerì di non farlo. Milena si ribellò furiosamente e Rodolfo si convinse a lasciar il mondo come stava, pur essendo sicuro che Federico non era in grado di gestire un’azienda, una minuscola attività e neppure sé stesso; insomma lo considerava un perdente, un fallito, un figlio mal riuscito.

    Ovviamente Federico accusò il colpo e di certo il padre non aiutò la sua autostima; ormai i rapporti in famiglia erano sempre più tesi.

    Per non litigare continuamente il secondogenito propose di andare a vivere da solo, trasferendosi nella casa dove un tempo viveva Enrica. In realtà, Federico, avrebbe voluto sentirsi rispondere dal padre: Ma no! È una pessima idea. Rimani qui con noi.

    Invece Rodolfo infierì ancor di più nell’orgoglio del ragazzo dicendo: «Oh, finalmente! Bella idea! Non preoccuparti, preferisco darti un assegno di mantenimento pur di non vederti ogni giorno in questa casa. Non fai altro che drogarti e giocare con i videogiochi, senza preoccuparti di imparare a fare nulla di buono nella vita. Vai, vai nella

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