Ricominciare
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Anteprima del libro
Ricominciare - Brunella Borsari
Ricominciare
di
Brunella Borsari
Pubblicato da Pubme/Pubgold © – Collana narrativa Un cuore per capello
Prima edizione 2019
Copertina creata da: Angel Graphics
Sito web: http://uncuorepercapello.pubme.me/
Pagina facebook: https://www.facebook.com/Un-cuore-per-capello-218110230877…/
Email: uncuorepercapello@gmail.com
Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti, luoghi o persone è puramente casuale.
È vietata la riproduzione completa o parziale dell’opera ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941)
Sinossi
Adele è un avvocato civilista vicina alla sessantina e in crisi esistenziale.
Non trova più motivazioni nella sua professione, esercitata da trent’anni con passione, e fatica a venire a patti con il tempo che passa.
Ma soprattutto non riesce a riprendersi dalla perdita di Rolando: già compagni di liceo e di università, avevano tacitamente bypassato l’attrazione reciproca e avevano lavorato insieme, ogni giorno, condividendo difficoltà e successi, fino a quando una improvvisa e veloce malattia l’aveva portato via, lasciandola sgomenta.
Adele sta seriamente pensando di mollare tutto e trasferirsi in Kenya, dove da anni trascorre le vacanze raggiungendo la sua migliore amica, Sandra, che vive là stabilmente, impegnata in un progetto umanitario di una scuola orfanotrofio. Tuttavia, ciò che la trattiene dall’andare è l’unico affetto familiare rimastole: non vuole allontanarsi dalla sua amata zia.
Tina ha cinquant’anni e fa la colf presso una famiglia, vicina di casa dell’avvocatessa Adele. Per lei è un lavoro come un altro, che svolge con dignità e dedizione.
Si è sposata molto giovane, ma ormai con il marito sono separati in casa: ha un figlio adolescente e ribelle che le dà molte preoccupazioni, un appartamento confortevole acquistato con grandi sacrifici e il relativo mutuo da pagare.
Quando il marito si innamora di un’altra donna e smette di provvedere alla famiglia, Tina si sente mancare la terra sotto i piedi e decide di rivolgersi all’avvocatessa del piano di sopra.
Adele e Tina si conoscono e si confrontano, e fra l’avvocatessa disincantata, razionale ed esperta, e la colf angosciata, ingenua e un po’ sprovveduta, inizia un rapporto fatto di reciproca stima e solidarietà.
Capitolo 1
Un bel punto di viola. Non troppo scuro, quasi un blu copiativo.
Adele controllò la boccetta di vetro dell’inchiostro, stava finendo. Da quanti anni lo usava per il suo timbro?
L’aveva scelto a suo tempo, quel colore, per distaccarsi dal solito nero, troppo funereo, o dal blu, troppo banale. Qualche avvocato usava anche il rosso, o il verde. Quel viola le era sembrato perfetto, originale ma adeguato.
Così, da sempre, i suoi atti di citazione, memorie, comparse, note spese e quant’altro, avevano il timbro viola in alto a destra:
Studio legale - Avv. Adele Boselli
Dovrò ricomprarlo, pensò, e immediatamente si ricordò che la storica cartoleria Il Palombo
aveva chiuso i battenti da anni, ora al suo posto c’era un negozio di jeans.
Che nostalgia per quel negozio, per l’odore di legno e di carta. Che nostalgia per quella se stessa giovane che dopo aver superato l’esame da procuratore legale si sentiva già Perry Mason e aveva scelto l’inchiostro viola per il suo primo timbro.
Ecco come si fa a invecchiare: ci si rifugia nel passato e nelle nostalgie. Altro che tinta per i capelli, o crema antirughe… mi si sta ossidando il cervello, pensò Adele, con un moto di stizza.
Il suono del telefono la riportò al quotidiano.
Salve, sono Riccardo della Fastphone, posso parlare con il responsabile della telefonia?
" Nonsiamointeressatigrazie ". Adele riagganciò. Una volta non c’erano tutte queste telefonate, una volta non rispondeva lei direttamente, una volta c’era la segretaria che filtrava, una volta non pensava alla vecchiaia, alla malattia e alla morte.
Oggi non mi sopporto, decise.
Si avvicinò alla finestra. Pieno centro, vedeva la piazza, i colli, e se si fosse affacciata, anche la torre degli Asinelli, in fondo alla strada. Era sempre un’emozione vedere il cuore della città.
Era stanca, e non solo perché era ormai fine giornata, ora di chiudere bottega.
Si chiedeva se non fosse arrivato davvero il momento di chiudere bottega sul serio.
Sentiva addosso la stanchezza di quei trent’anni di professione, non aveva più l’entusiasmo e l’energia degli inizi. In certi momenti, sembrava rimanere solo il disincanto, la fatica, la disillusione.
Quante volte aveva pensato di smettere? Meglio: quante volte aveva seriamente pensato di smettere con il lavoro, come stava facendo ora? Mai. In realtà era legata al suo lavoro in modo profondo, lei non faceva l’avvocato, era un avvocato.
Inoltre, non aveva bisogno di lavorare per vivere. O meglio: le sue risorse economiche non erano legate ai guadagni della professione, peraltro sempre più magri, ma a un discreto patrimonio immobiliare di famiglia, ereditato dai suoi genitori, parte soltanto suo, parte in comproprietà con sua zia.
La quale zia Mafalda (come Mafalda di Savoia figlia del re d’Italia, e non come il personaggio del fumetto, quello era venuto dopo, la zia ci teneva a precisare) era di suo benestante assai, proprietaria di appartamenti, negozi, capannoni, tutti gestiti da Adele, l’unica di cui la zia si fidasse, l’unica futura erede.
Quante volte la zia le aveva detto di chiudere lo studio e di dedicarsi solo alla gestione degli immobili, già abbastanza impegnativa da essere un vero lavoro a se stante! Lei non ne aveva mai voluto sapere e aveva continuato a fare entrambe le cose, a volte con fatica, ma c’era sempre riuscita.
Ma adesso qualcosa stava davvero cambiando dentro di lei. E non solo dentro!
La sua immagine riflessa sui vetri la fece sorridere: non avrebbe saputo dire quando era iniziata la trasformazione, quando aveva cominciato a perdere smalto. A un certo punto si era resa conto di essere diventata invisibile, lei che aveva sempre avuto molti uomini intorno, e aveva realizzato il disastro: non era più uno splendore di ragazza, era una bella signora
, una donna affascinante
. Insomma, era vecchia.
Indecisa se commiserarsi un altro po’ oppure andare a casa, si mise a riordinare il suo tavolo stratificato di pratiche, fogli, post-it, penne, puntatrici, levapunti, codici, fazzoletti di carta e pacchetti di caramelle (tutte senza zucchero, perché oltre allo smalto, invecchiando aveva pure perso la linea).
A volte fare ordine materiale la aiutava a raccogliere le idee.
Sentì suonare il campanello e, immediatamente, guardò l’agenda: h. 18:30, Scognamiglio. Se n’era dimenticata, di quell’appuntamento! Bene, allora la giornata non era ancora finita. Andò alla porta.
Capitolo 2
Tina aveva il fiatone. Aveva fatto tardi, accidenti!
Eppure era importante, aveva aspettato quel momento con impazienza e timore. Più volte era stata sul punto di disdire, poi aveva detto a se stessa No, avanti!
Finalmente era arrivato il giorno, e lei… se n’era dimenticata. Aveva finito di lavorare, fatto un po’ di spesa, e mentre stava per tornare a casa le era venuto un flash: l’avvocatessa la stava aspettando!
Si era precipitata, non aveva trovato posto per parcheggiare il motorino e l’aveva dovuto lasciare due strade più in là, così aveva corso e alla fine era arrivata al portone trafelata, con il cuore in accelerazione.
Era per il ritardo che le batteva così forte? Per la corsa, o per la paura?
Si sentiva così stanca. La mattina faceva le pulizie da una famiglia di medici, in una casa grande ma semivuota, mobili di design e piante verdi: loro non c’erano mai e lei poteva lavorare con tranquillità, sola e indisturbata.
Al pomeriggio andava in un’altra casa, persone distinte un po’ avanti negli anni, la signora era gentile ma estremamente pignola, le stava dietro e non la perdeva d’occhio mentre lei si muoveva cauta spolverando ninnoli e statuette in mezzo agli arredi pomposi.
Il sabato invece era dal professore all’ultimo piano del suo palazzo, un appartamento piccolo, lui viveva da solo e spesso era fuori città. Le lasciava i soldi sul mobile all’ingresso: la pagava anche più del dovuto.
Fare la colf era un lavoro come un altro. Meglio di altri, e comunque lei era brava e fidata, si sentiva apprezzata e stimata.
Certo, si sentiva stanca, ma non solo per il lavoro.
Da anni, con suo marito Paride erano separati in casa.
All’inizio ci aveva sofferto, poi si era messa il cuore in pace, ormai non era più una ragazzina. L’importante era crescere loro figlio: ribelle, svogliato, scontroso. Certo, Paride metteva sempre meno soldi in casa, e quando si era azzardata a chiedergli qualcosa, le aveva detto che stava aspettando dei pagamenti, aveva fatto grossi lavori, ma con la crisi le ditte non pagavano più puntualmente.
Poi, aveva iniziato a stare sempre di più fuori. Rientrava a ora di cena, si faceva la doccia, si cambiava e se ne usciva, lasciando la scia di profumo. E tutte le bollette da pagare.
Quando era arrivata la telefonata del vicedirettore della banca, le era venuto un colpo: per il secondo mese consecutivo non era stata pagata la rata del mutuo.
La sua casa! Anni di sacrifici, di salti mortali per arrivare a fine mese, ma con la certezza di avere una casa sua, quel bell’appartamento un po’ in periferia ma in un palazzo signorile, col giardino davanti. La sua casa, accogliente, curata: non aveva nulla da invidiare a quelle in cui andava a lavorare, per lei era perfetta.
Aveva affrontato Paride, che aveva confessato: si era innamorato di un’altra donna.
Chi se ne frega!
gli aveva urlato il mutuo lo devi pagare, tuo figlio lo devi mantenere, io mi spacco la schiena, e ti stiro anche le camicie, tu devi fare la tua parte!
Lui aveva garantito che i soldi sarebbero arrivati a breve.
Lei non gli aveva creduto.
Dopo una notte in bianco, aveva chiesto alla dottoressa della mattina un anticipo sulla liquidazione, e aveva accettato la richiesta della signora del pomeriggio di fare due ore in più tre volte la settimana.
Paride era sempre più assente, usava la loro casa come un albergo con servizio di lavanderia, e non dava più neanche un soldo.
Suo figlio era stato sorpreso in autobus senza biglietto, aveva litigato con il controllore, tentando di scappare aveva forzato una porta automatica, così l’avevano denunciato, e insieme alla comunicazione del Tribunale per i Minorenni era arrivata la richiesta danni della società dei trasporti pubblici: 850 € da pagare.
Tina aveva chiamato la madre, giù a Salerno, perché con qualcuno doveva sfogarsi.
Assuntì, dammi retta, ti devi separare.
Non poteva crederci: la sua religiosissima madre, devota al marito quasi più che a Padre Pio, diceva a lei di separarsi?
Quell’idea le era penetrata come un tarlo… La notte, quando non dormiva per la troppa stanchezza, col pensiero alla rata del mutuo in scadenza, di giorno, quando le ore di lavoro sembravano non finire mai.
Una mattina, come sempre, andando a casa della famiglia di medici, aveva incontrato l’avvocatessa che abitava al