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Sophia - Il segreto
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E-book284 pagine4 ore

Sophia - Il segreto

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Info su questo ebook

" Sophia ricorda chi sei! Devi ricordare chi sei veramente!"
Questa è la voce che tormenta i sogni di Sophia ed al suo risveglio, non ricorda nulla.
Di una sola cosa è certa, la voce appartiene ad una donna.
Ma di chi è quella voce? E soprattutto cosa deve ricordare? Chi è Sophia?
Sophia è una semplice e comunissima liceale, nata e cresciuta ad Anzio, una piccola cittadina a pochi chilometri da Roma.
Una cittadina dove tutti conoscono tutti e soprattutto, dove tutti conoscono lei.
Parla poco e tende ad isolarsi pur cercando sempre la compagnia dei suoi compagni.
Li osserva e quasi invidia la loro superficialità, la loro voglia di vivere, i loro pensieri semplici ed innocenti.
Si sente diversa, sola e non conosce il motivo della sua irrequietezza.
Una nerd?
No in realtà, lei custodisce un segreto solo che, non ricorda nulla... forse perché non è lei quella che la voce sta cercando.
Si aggira per i corridoi della scuola come uno spettro silente, fino a che non incontra Cristian, solare, allegro completamente diverso da lei.
Da quel giorno tutto assume colori diversi per la piccola Sophia.
Lui è il capitano della squadra di tennis ed è sempre attorniato da tifosi mentre lei è sospettosa e si domanda spesso il motivo del suo interessamento.
Non hanno nulla in comune eppure in entrambi scatta qualcosa che li renderà inseparabili ma...
lei è Sophia, la custode di un grande segreto e mentre tenta di essere meno razionale e di lasciarsi andare, 
la sua mente sta cercando le risposte, sta mettendo in ordine le componenti del puzzle per dirle che...
.... ma dove la condurrà Cristian?
"..... LEI E' SOPHIA E PRESTO, SCOPRIRETE CHI E'"
 
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2017
ISBN9788826095424
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    Anteprima del libro

    Sophia - Il segreto - Haydée Micetich

    http://write.streetlib.com

    ASPETTATIVE

    Non ho mai pensato di essere quel genere di persona in grado di fare la differenza.

    Di compiere azioni talmente straordinarie da far si che qualcuno potesse ricordarsi di me.

    O... accorgersi della mia assenza.

    Sentivo i miei compagni parlare di aspettative da persone comuni.

    Finire gli studi, trovare un lavoro, una casa, condividere la vita con la persona che si ama, costruire una famiglia, avere dei figli.

    Innamorarsi! Toccarsi!

    Pensieri semplici, comuni, quasi banali, ai quali nel profondo del cuore pensavo anch’io, o forse credevo!

    Ma, dare per scontata l'evidenza è un grande errore!

    Sapevo che per me non sarebbe stato così scontato e qualcosa mi diceva che non lo avrei avuto affatto.

    Temevo la solitudine a tal punto da renderla mia amica. La privazione del tocco era una costante della mia vita tanto da sembrarmi naturale.

    Avevo pensieri puliti ed innocenti, niente di così eclatante come risolvere il problema della corruzione, della malvagità umana.

    La malvagità umana!

    E soprattutto… mai avrei pensato che esistesse un mondo diverso da quello che tutti vedono, dall’apparenza, dalla facciata!

    Sono nata e cresciuta in un tipico paese marino, Anzio a circa 45 km dalla splendida Roma.

    Un piccolo paese, dove tutti conoscono tutti, tutti sanno i fatti di tutti, sono tutti amici e nemici allo stesso tempo, tutti cugini, tutti compari.

    Tutti complici!

    Durante le vacanze estive, io ed i miei compagni di scuola, ci incontravamo al mare dove trascorrevamo la maggior parte delle giornate.

    Con 40° all’ombra era una buona soluzione per trovare un po’ di refrigerio.

    Eravamo dei sedicenni spensierati, nulla poteva nuocerci, eravamo invincibili e l’unica regola era divertirsi, … per loro!

    Ma questa in realtà non ero io. Nel profondo del cuore avevo sempre sentito di essere diversa da loro, di non appartenere a quel mondo spensierato, di non poter condividere fino in fondo le loro idee e pensare solo a studiare e divertirmi.

    Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare cosa ci riservava il futuro e soprattutto, nessuno di loro aveva il sospetto di chi fossi io in realtà, e la cosa peggiore era che, neanche io sapevo chi o cosa fossi veramente e quale fosse il mio compito.

    Pensavo di essere una ragazza comune, cresciuta in un piccolo paese di provincia, con l’hobby per la lettura e l’ossessione per le informazioni, una delle tante persone mediocri che si nasconde dietro al branco per essere invisibile, ma mi sbagliavo.

    Tutto cambierà! Io cambierò ed il mondo forse…

    ..Subirà una nuova era glaciale!

    Il mio nome è Sofia e presto scoprirete chi sono!

    SOPHIA semplicemente Sofia

    Mi chiamo Sophia, ma per tutti sono semplicemente Sofia.

    A mia madre era sembrata una buona idea chiamarmi con un nome particolare, ed anche se... devo ammettere che piace anche a me, in alcuni momenti, mi pesa dover fare continuamente lo spelling, così ... il più delle volte dico di essere Sofia. Sofia e basta.

    Sto frequentando il quarto anno di liceo, ho sedici anni e non si può certo dire che sia tra le persone più popolare della scuola, anzi, devo ammettere che mi è sempre più difficile socializzare.

    Non vincerò di certo il premio di ragazza più divertente e popolare della scuola, ma cerco di fare del mio meglio, di sopravvivere ..., di nascondermi dietro la massa.

    Una Nerd?

    No!

    Non si tratta di questo, non è una questione di autostima o di prestanza fisica.

    La questione è ben più seria.

    Ultimamente non riposo molto bene e ciò si ripercuote anche sulla mia vita sociale.

    Il dottore dice che è lo stress, che è la crescita adolescenziale che ci fa essere così inquieti ma so che c'è altro e lui non vuole capire.

    Purtroppo faccio sogni strani, inquietanti che mi affaticano sia mentalmente che fisicamente e la cosa che proprio non riesco a sopportare è che al mio risveglio, non ricordo nulla.

    I mie incubi si volatilizzano come polvere al sole, nascosti chissà dove nella mia mente e...

    sento crescere il senso di angoscia che mi comprime il torace tanto da non farmi respirare e sento una voce risuonare nella mia mente tormentandomi e chiedendomi con insistenza di ricordare.

    Ricorda! Ricorda chi sei!

    Forse sto impazzendo! O forse no!

    Ma ora l'unica cosa a cui riesco a pensare è ... cosa devo ricordare? ... Cosa? E a chi appartiene quella voce?

    1.L’incontro

    Come tutte le mattina la sveglia suonò alle 06.30.

    Insonnolita, mi giravo e rigiravo nel letto e rimanevo assorta per qualche minuto fissando il soffitto, cercando di ricordare ciò che avevo sognato e soprattutto, di dare un volto alla voce che ormai mi tormentava da tempo.

    La gola era arsa e sentivo la trachea bruciare come se durante la notte, avessi inghiottito della carta vetrata o mi avessero infilato un tubo in gola.

    Br! Stamattina fa veramente freddo, non vedo l’ora che arrivi la primavera, la pioggia ed il freddo proprio non li sopporto. Dai Sofia, alzati e preparati per un’altra giornata di scuola, devi compiere il tuo dovere! Dicevo tra me e me.

    Avevo iniziato a parlare ad alta voce tra me e me, da quando i miei genitori avevano accettato un importante lavoro e non li vedevo quasi mai. Parlare ad alta voce mi faceva sentire meno sola e poi, era l'unico modo che avevo per affrontare le mie inquietudini, senza che qualcuno potesse pensare che avevo qualche neurone fuori posto.

    Non avrei potuto dire a nessuno della … della voce.

    Come tutte la mattine, mi ritrovai da sola a casa. Mamma e papà uscivano molto presto e non li vedevo quasi mai. La mattina si preparavano silenziosamente per non svegliarmi, anche se più volte gli avevo detto che volevo salutarli.

    L'anno scorso avevo sentito che discutevano in sala. Non si erano accorti che ero già a casa e parlavano di quanto fosse importante lavorare in quel settore, ma mio padre era preoccupato, serio. Mia madre invece, era ferma sulla sua posizione e non so perché ad un certo punto disse che dovevano accettare quel lavoro anche per proteggere... me.

    Così, da quel giorno tutte le mattine dovevano recarsi a Roma prendendo un treno superaffollato per arrivare in orario.

    Il loro lavoro era molto stressante, ma nulla è brutto se lo si fa con passione ed i miei genitori amavano ciò che facevano, a tal punto da trascorrere l’intera giornata in laboratorio e dimenticarsi di tutto il resto. Dimenticarsi di me.

    Mi dicevano sempre di fare il mio dovere e che anche una sola persona forte e motivata poteva fare la differenza e che un giorno avrei trovato la mia strada. Sentivo le loro parole rimbombarmi nelle orecchie e ripetermi sempre che dovevo essere forte e con buoni propositi.

    Ma , mamma, papà, quale sarà la mia strada?

    Di certo non si poteva dire che erano dei genitori convenzionali anzi, non ricordo un loro abbraccio o una coccola. Erano sempre entrambi molto formali sia con i vicini che con me. Ma c’era una frase che continuavano a ripetermi, ogni giorno da quando ero nata e che puntualmente echeggiava nel mio sub cosciente non appena aprivo gli occhi, giorno dopo giorno:

    " Dovrai capire da sola! Tu sei la componente di un grande puzzle. Sta a te la scelta e scegliere che tipo di ruolo vorrai ricoprire nel modo".

    Non ho mai compreso fino in fondo cosa volessero intendere realmente e quando provavo a chiedere qualche spiegazione in più, mi liquidavano dicendo che un giorno avrei capito da sola. Ma ora non li vedevo quasi mai, stavo crescendo e le risposte alle mie domande ancora non le avevo trovate!

    E… come predetto, ero sola!

    Mi soffermavo spesso a riflettere sulle loro parole e di una cosa ero certa, loro sicuramente avevano capito quale ruolo ricoprire ed avevano scelto una componente del puzzle ben specifica, che purtroppo si trovava sempre a 40 chilometri da me!

    I miei genitori erano dei medici affermati specializzati in genetica o non so cosa.

    In questo piccolo paese venivano rispettati da tutti ed io mi trovavo bene a crescere qui, dove conoscevo praticamente tutti, o meglio, tutti conoscevano me.

    E, per non rompere la tradizione dei Pherry, anch'io ero una pendolare e tutte le mattine prendevo l’autobus per andare a scuola ad Aprilia.

    Uhm! Oggi mi sentivo più … più chiusa del solito.

    Mi stiracchiai ancora un po’ nel letto, raggomitolandomi sul cuscino come un gatto, assumendo la classica posizione fetale.

    Il sole si intrufolava tra la tenda bianca della mia cameretta e mi avvertiva che era proprio l’ora di alzarsi.

    Non ero stanca e non era neanche pigrizia la mia. Non ero mai stata un tipo statico o poco dinamico ma non avevo voglia di affrontare la solita giornata, di dover far finta che andasse tutto bene e di dover parlare del più o del meno con i miei compagni di scuola.

    Cercai di riordinare i miei pensieri e di cacciare l’idea che forse ero solo un po’ svitata. Feci una doccia lampo, infilai un paio di jeans, una felpa bianca, scarpe da ginnastica e come ogni mattina passai sotto le finestre di casa dei miei nonni, che mi salutavano e mi auguravano una buona giornata. Poi corsi a prendere il pullman per andare a scuola.

    Ecco…! Dissi tra me e me sbuffando: Un altro giorno identico a quello già trascorso ed uguale a quello che verrà! E proprio come ogni mattina, dopo aver percorso la Nettunense in mezzo al traffico, le portiere del pullman si aprirono ed accompagnata da una nuvola di smog ed il rumore assordante della marmitta del vecchio autobus, scesi davanti all’enorme portone del Liceo Scientifico A. Meucci.

    E ...come tutte le mattine, cercavo di confondermi tra la folla, per diventare invisibile.

    Vagavo per i corridoi silenziosa e con passo lento, come uno zombi. Ero un automa, una di quelle classiche presenze in mezzo alla massa che non danno fastidio a nessuno e di cui, solo avvolte se ne avverte la presenza o... l'assenza.

    Una di quelle che parla solo se è proprio necessario e che preferisce far parte del gruppo ma senza avere un ruolo principale. Tenevo lo zaino ben saldo sulle spalle e scansai una bretella che involontariamente mi stava tirando una ciocca di capelli, camminando tra i miei compagni di scuola dei quali non conoscevo neanche il nome. Vociferavano, parlavano, ridevano in maniera così innaturale per me, da farmeli invidiare. E… Uffa!

    Dei ragazzi che frequentavano l’ultimo anno, si erano disposti sui due lati del corridoio e chiunque cercasse di passare, doveva essere strattonato di qua e di la, soltanto per il loro piacere personale. Lo so, era solo un gioco ed a quanto pare tutti se ne rallegravano, tranne io.

    Uffa! Sbuffai di nuovo scrollando le spalle, pensando che quella era l'unica strada percorribile. Era arrivato il mio momento e quei ragazzi fisicamente molto più maturi di me, mi guardavano sorridendo pronti a scecherarmi come un frappè. Chiusi gli occhi e passai in mezzo a loro. Sentivo le mani strattonarmi, scuotermi e spingermi da una lato all’altro del corridoio. I loro corpi erano forti, caldi e allegri e fui sorpresa nel notare che mi piaceva e che durò meno di quel che pensavo. Quando tutto era finito, mi girai verso di loro per rallegrarmi ma, non lo feci e mi voltai di nuovo camminando con passo più veloce. Non so cosa fosse successo ma improvvisamente, quei ragazzi erano diventati taciturni e seri e si guardavano le mani scioccati come se gli dolessero. Liberarono il corridoi e si diressero verso la classe senza fiatare, con i volti seri e dubbiosi.

    La prima campanella suonò e… ero quasi entrata in classe quando, due mani mi strattonarono da dietro ed un volto si avvicinò al mio orecchio sussurrandomi:

    Sofia, sei preparata per l’interrogazione di matematica? Mi chiese una mia compagna di scuola terrorizzata dall’arrivo della professoressa.

    Si Laura non ti preoccupare, avevo intenzione di farmi interrogare!. Laura era una delle mie compagne preferite. Era sempre molto dolce e riservata. La sua timidezza era talmente evidente da farla apparire indifesa e delicata ed un po' mi rispecchiavo in lei.

    Oh, brava Sophia, sei veramente un’amica! Esclamò.

    Non devi ringraziarmi avevo già deciso! Dissi mentendo, fissandole le pupille degli occhi.

    Uffa! Sbuffai di nuovo ed entrai in classe con il cuore dentro le orecchie pronto ad esplodere.

    Sofia dobbiamo andare! Disse Nadia sospettando che io l’avessi dimenticato.

    Dove? Le chiesi avvalorando i suoi sospetti.

    Ma dai, grande Nadia! L’avevo proprio dimenticato! Esclamò Laura sorridendo dandosi un colpetto sulla fronte, saltellando di quae di la come una bambina di 8 anni.

    Oggi è la giornata della prevenzione e verrà trattato il tema dell’alcolismo in aula magna! Sarà presente tutto l’istituto ma la cosa davvero positiva è che non ci saranno interrogazioni e possiamo andare via prima. Grazie Nadia, mi hai rallegrato la giornata. E… grazie anche a te, Sofia, sei sempre così … Aggiunse Laura con aria rilassata spingendomi in avanti mentre saltellava allegra lungo il corridoio della scuola.

    Non mi sorprendeva il fatto che non aveva terminato la frase. Non era riuscita a trovare un aggettivo per descrivermi.

    Oh che noia, è una lezione obbligatoria? Dobbiamo andare per forza? Chiesi a Nadia sbuffando e scrollando le spalle, innervosita dal fatto di dover affrontare la vista dell’intero corpo studentesco e di quelle acidone del quinto anno.

    Nadia, era l’esatto mio contrario.

    Solare, brillante, espansiva, era la ragazza più conosciuta ed impegnata della scuola. Le piaceva stare al centro dell’attenzione, essere ammirata e osannata per tutto quello che faceva. Era nata per essere una reginetta ed era brava in tutto ciò che faceva. Il suo carattere espansivo la rendeva una compagna di studi e di giochi perfetta. Era la rappresentante di classe oltre che dell’istituto. Scriveva nel giornale della scuola, partecipava a tutte le riunioni con i professori e con i genitori. Nonostante tutti questi impegni, non dimenticava mai di fare i compiti e alle interrogazioni andava benissimo, tanto che anche i professori erano molto soddisfatti di lei e le dicevano continuamente che sarebbe andata molto in alto nella vita.

    Che era destinata ad essere una leader.

    Si preoccupava assiduamente dei problemi della scuola e di coordinare tutti noi. Conosceva praticamente tutti e era molto cordiale. Era davvero una vera forza della natura anche se ai miei occhi alcune volte eccedeva e rischiava di valicare il confine. Proprio come oggi.

    Dai piantala di lagnarti ed andiamo. Ti servirà di vedere un po’ di gente visto che non conosci praticamente nessuno! Mi disse Nadia con aria da superiore.

    L’anno prossimo ti diplomerai e ... vabbè è inutile discutere con te! Aggiunse.

    Nadia era sempre molto schietta e severa con me ma in cuor mio, riuscivo a percepire che, anche se aveva un modo strano di dimostrarmelo, mi voleva bene. In fin dei conti se non ti importa nulla di una persona, non perdi tempo a migliorare la sua immagine sociale! Probabilmente lei non mi temeva o meglio, non temeva che potessi oscurare la sua immagine e magari pensava che se fosse in qualche modo riuscita a trasformarmi, chissà, forse la sua popolarità sarebbe potuta aumentare. O… forse lo faceva solo perché in fin dei conti era una persona buona e le dispiaceva di vedermi sempre isolata e taciturna. Ma io non ero isolata, ero nel gruppo, nella folla e cercavo di mimetizzarmi tra di loro.

    Nadia camminava davanti a me con passo fiero e veloce. Era entusiasta di andare alla conferenza e come sempre, doveva essere la prima ad entrare ma... Uh, l’entrata era bloccata da una lunga fila di studenti e seccata, mi diede un’occhiataccia che palesava tutto il suo disappunto per averle fatto fare tardi. Ci accodammo lungo lo stretto corridoio in fila indiana, verso l’aula magna. Nadia si faceva largo tra la folla abusando della sua notorietà e con prepotenza, riuscì ad entrare prima degli altri ragazzi.

    L’aula magna era già piena di studenti, interessati non tanto al del seminario ma al fatto che avrebbero evitato qualche ora di lezione e soprattutto di essere interrogati. Poi, qualche giorno fa, era passata una circolare dove il preside aveva disposto che alla fine del seminario, gli studenti maggiorenni e quelli minorenni muniti di autorizzazione, potevano andare a casa prima. E, ero certa che dopo quella circolare, l’immagine del preside era sicuramente cambiata agli occhi degli studenti.

    Dai coraggio sediamoci qui. Mi disse con aria autoritaria ed aggiunse scrollando le spalle ed alzando gli occhi al cielo: Siamo state le ultime ad entrare, ci stanno guardando tutti! Te ne rendi conto?

    Veramente a me sembra che siamo in perfetto orario. Guarda, il relatore non è ancora venuto quindi che senso avrebbe avuto, stare qui sedute per terra più del necessario? Poi, hai dimenticato la fila fuori? Devono ancora entrare molti studenti! Replicai.

    Oh, Sofia, sei incorreggibile! Proprio non capisci! Ho organizzato io l’evento e mi sembra ovvio che devo controllare che sia tutto perfetto! Poi… Uff! Venire prima del relatore ci avrebbe consentito di socializzare, di approfittare del tempo a disposizione e di parlare con qualcuno delle altre classi! Sai Sofia, in genere si fa così. Era seria e snervata. Per non parlare del fatto avendo organizzato io la giornata … sai com’è… anzi no, non lo sai!

    Ma di cosa vuoi parlare e poi… tu conosci praticamente tutta la scuola? Non pensi di aver socializzato abbastanza con tutti? Replicai di nuovo mentre lei diventava paonazza dalla rabbia.

    Uh! Ma possibile che non ti importa di cosa pensano i tuoi compagni di te? Sei sempre in disparte! Sola ed immersa nelle tue letture e nei tuoi pensieri strampalati. Sei la classica secchiona! Ma sai, si sono volute anche loro. Ora le secchione hanno bisogno di fare amicizia e di avere una vita sociale!

    Io non sono una secchiona e se secchiona significa avere buoni voti, allora lo sei anche tu. Poi, io,ho una vita sociale, ma cosa dici?

    Sofia, guardati! E’ vero, sei disponibile ma … ma non basta per farti considerare un’amica! Stai sempre in un angolo con qualche libro in mano o con il tuo computer portatile a scrivere chissà cosa. E … si, non stai mai sola del tutto, sei sempre con qualcuno ma non interagisci. Diciamo la verità, sei come una bambola di pezza appoggiata ad una sedia!

    Nadia perchè sei sempre così perfida! Bofonchiai.

    No, Sophia non accetto questa cosa. Perfide sono le persone che ti parlano alle spalle, che non ti dicono la verità e ti sfruttano di tanto in tanto. Io sono solo sincera. E se te lo dico, non è di certo perchè sono cattiva ma è perchè in qualche modo voglio aiutarti, voglio salvarti da te stessa! Disse paonazza con la voce roca dalla rabbia."

    Dimentichi una cosa molto importante! Ero più seria di lei.

    Cosa?

    Dimentichi che io non te l'ho chiesto. Chi ti ha detto che ho bisogno di essere salvata? E poi, salvata da cosa? Da me stessa? Sono molto serena e contenta di come sono e tu non dovresti valicare il confine tra l'amicizia e l'invadenza. Replicai gonfia di lacrime e di rabbia.

    Ed io voglio dirtelo lo stesso. Gli amici fanno questo, dicono anche le cose spiacevoli! Nadia fece un respiro profondo. Vedevo le vene del collo diventare gonfie e, macchie violacee si fecero largo tra la sua pelle bianca come il latte. Il volto era macchiato, paonazzo e la pressione la faceva ribollire dalla rabbia. Cercava di contenere la collera che provava nei miei confronti mentre i miei occhi, osservavano il suo volto e si ostinavano a decifrare il motivo di tanta repulsione. Deglutì ed iniziò a vomitare parole su parole: Sembri una statua di porcellana! Hai il volto talmente inespressivo, assorto, con la mente persa chissà dove, che è difficile capire cosa ti passa per la mente. Non condividi nulla con noi, ti tieni tutto dentro! Dai, coraggio, guardati intorno, sono tutti felicissimi di perdere qualche ora di lezione e di scambiare due chiacchiere con i compagni degli altri corsi, tranne te. Sei talmente noiosa, priva di entusiasmo, proprio non ti capisco. Ma quanti anni hai? Si girò in direzione della folla come se preferiva non guardarmi piuttosto che sopportare la mia vista. Aveva lo sguardo accecato dalla rabbia ed il volto rosso e gonfio. Il cuore le batteva forte nel petto e gli occhi erano lucidi quasi stesse per piangere. Ero sconvolta nel vederla in quello stato ed era evidente che mi detestava e che la mia stessa essenza le desse una repulsione incontrollabile.

    Ecco! La campanella suonò di nuovo ed in quella circostanza, mi ricordava il ring di un incontro di boxe. Le luci si abbassarono ed il vociferare rimbombante degli scolari, divenne un soffio sottofondo ai miei pensieri.

    Le sue parole entravano nel mio cervello e mi tagliavano le orecchie come lame affilate e soffocavano il mio cuore, stringendolo in una morsa serrata. Era triste doverlo ammettere ma era tutto vero.

    Lei aveva ragione. Però non riuscivo a capire per quale motivo mi stava sempre addosso. In fin dei conti io ero così e non potevo modificare la mia esistenza solo perché a lei, davo fastidio. Riflettevo e mi ostinavo a cercare una soluzione. A come convivere con lei senza compromettere me stessa e pensai che, dopo le sue rivelazioni, l’unica cosa da fare era ignorarla. Non ero disposta a plasmarmi per compiacere ne a lei, ne a nessun altro.

    Poi, fui sopraffatta da una sensazione insolita. Quel vociferare mi irritava e non volevo che lei avesse l’ultima parola perché… perché lei doveva avere sempre l’ultima parola. Così, contrariamente a come mi comportavo in genere, invece di lasciar correre, accecata da una rabbia che neanche io sapevo di riuscire a provare, replicai:

    " Vorrei sapere cosa te ne importa. Se fossimo tutti come te, tu non saresti nessuno. Dovresti essere contenta che non

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