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La sinfonia maledetta
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E-book182 pagine2 ore

La sinfonia maledetta

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Info su questo ebook

Adriano Petta, l’autore memorabile di Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secoloEresia puraRoghi fatui e Assiotea, con straordinaria naturalezza di stile, sua indelebile cifra, ci guida, quasi in sordina, nel magico, sublime mondo di Irene Delille, l’ultima indimenticabile eroina del suo nuovo romanzo, La sinfonia maledetta.
Fin dalle prime battute, l’anima del lettore non può non essere sfiorata dalla “musa dalle ali di fiamma” scoprendo, nel crescendo avvincente della trama, il fantastico mondo schiuso dal romanzo. Simbolo di un oltre più vasto che la trascende, Irene è “creatura fragile e forte, negli occhi ha la fiamma della vita”. 
[…] Un direttore d’orchestra donna: un’eccezione, qualcosa di insolito, un’anomalia. Irene è agli antipodi dell’immagine archetipica del Maestro, che vede in personaggi patriarcali e corpulenti un modello esemplare di eccezionale virilità. Dogma infallibile, consolidato da una tradizione secolare, nel mondo delle regole, dirigere un’orchestra è, necessariamente, prerogativa maschile. […]
(dalla postfazione di Gabriella Colletti)
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2019
ISBN9788834156384
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    Anteprima del libro

    La sinfonia maledetta - Adriano Petta

    

    TEMPESTA RACCONTA

    La Sinfonia maledetta

    di Adriano Petta

    © 2014 Adriano Petta

    © 2014 Tempesta Editore

    I edizione cartacea 15 settembre 2014 

    collana: Tempesta Racconta 

    ISBN 9788897309581

    Tempesta Editore

    via Nicola Catena, 11 - 00069 Trevignano Romano RM 

    www.tempestaeditore.it

    info@tempestaeditore.it

    cell. 3479282082

    

    Adriano Petta

    La sinfonia maledetta

    Postfazione di

    Gabriella Colletti

    

    Ad Antonia Louisa Brico la più grande direttrice d’orchestra di tutti i tempi.

    Alla memoria di Luigino Gamberale che riposa in un mondo fatto di note musicali.

    A Massimo Munari baciato dalla musa dalle ali di fiamma.

    Da questo inerte cumulo di detriti devo far sorgere e fiorire un mondo.

    Gustav Mahler

    La pietra levigata dall’acqua se ne stava lì, immobile e maestosa come sempre...

    So con assoluta certezza che la pietra vive... credo che si passi di qui per andare in Cielo.

    Robert Schneider

    La Donna Selvaggia vive di poesia e percussione e canto. Vive di quarti di tono e di note di passaggio...

    È l’attimo che precede l’ispirazione che ci abbaglia...

    vive in un luogo lontano che a forza si apre un varco verso il nostro mondo.

    Clarissa Pinkola Estés

    I

    Dai vetri opachi dell’auditorium penetrano lembi del grigio pomeriggio invernale, che fanno capolino tra le tende di velluto rosso sgualcito, chiarore timido che non riesce a creare ombre. Il chiacchiericcio dei centodieci orchestrali viene smorzato dall’arrivo di Pietro, l’arcigno factotum della sala concerti: sguardo sbarrato, tenta di comunicarci qualcosa, cerca gli occhi neri di Donato «Il nuovo maestro è arrivato».

    Nella voce sepolcrale, una stonatura. Silenzio di tomba. Ci uniamo allo sguardo del nostro primo violino, sbirciando la porticina laterale.

    Una buffa creatura, giacca e pantaloni neri, camicia bianca scollata, ciuffo ribelle sulla fronte, fa il suo ingresso sul palcoscenico. Avanza nervosamente verso il podio, inciampa, è sul punto di finire a gambe all’aria ma riesce ad aggrapparsi a una sedia: a stento soffoco una risata che mi scoppia dentro, mentre l’anatroccolo raggiunge il podio; si mette di fianco al grosso leggìo afferrandosi al bordo con dita nervose.

    Man mano che osserviamo i suoi lineamenti delicati, un sorpreso brusìo comincia a serpeggiare nel palcoscenico. Mentre gli occhi spauriti della stramba creatura cercano quelli del primo violino, Donato, con flemma, si alza dalla sedia, sguardo diffidente, in attesa.

    S’ode una voce dolce, concitata «Sono Irene Delille... il suo... il vostro, nuovo direttore stabile...».

    Al cospetto di questa ragazza impacciata, lo sguardo di Donato diviene guardingo: un’occhiata sospettosa verso la faccia burbera di Pietro... ma, lo scricchiolìo prodotto da tutta l’orchestra che si alza in piedi, lo convincono a fare due passi avanti, a tendere una mano verso la punta delle dita della titubante creatura «Sono Donato Marziali, il primo violino. A nome di tutta l’orchestra, le porgo il benvenuto».

    La ragazza farfuglia un «Grazie!».

    Con una mano ciondolone ci fa cenno di sedere, ma nessuno si muove: il suo sguardo vaga alla deriva. Io sto in prima fila, tra le viole, a pochi passi da lei: stavolta non riesco a trattenere un sorriso quando, con l’altra mano, Irene Delille ripete timidamente il cenno.

    Fisso Donato: la sua faccia angolosa si volge verso di noi, con una rapida occhiata domina la scena, un gesto secco della mano e tutta l’orchestra, ancora incredula, s’accomoda.

    Una ragazza. Dev’essere fresca di studi. Oh Gesù, è spaventata a morte: quant’è carina, ma com’è buffa, non riesce a spiccicare parola.

    E invece, dopo essersi morsa a lungo le labbra, prende a parlare con voce difettosa «In Italia è la mia prima grande esperienza come direttore d’orchestra. Se talvolta... vogliate perdonarmi fin d’ora... - continuando a martoriarsi la bocca, con la mano sinistra tenta inutilmente di gettare indietro la ciocca di capelli ribelli che le balla sulla fronte - il compito che ci attende è difficilissimo... una dozzina... oggi, nel mondo, c’è soltanto una dozzina di grandi orchestre sinfoniche, quasi tutte anglosassoni, la maggioranza americane... pochissime europee... eppure... Roma e questa italietta avranno la prima grande orchestra latina. Un’orchestra con la potenza, l’eleganza, il virtuosismo, la precisione, la compattezza e lo splendore di quelle tedesche, inglesi e americane».

    Getta occhiate carezzevoli da una parte all’altra del corpo orchestrale «Da voi pretenderò il massimo... - briciole di coraggio cominciano ad accenderle gli occhi, la voce - ed è bene che... insomma... probabilmente... prove durissime, massacranti se occorre... ma ce la faremo. Abbiamo due mesi di tempo per il primo concerto e quindi, per questa volta, potremo permetterci il lusso di non studiare la parte a casa. Ho pensato... ho scelto l’opera maledetta di Mahler: la Quinta Sinfonia».

    Oh Gesù, è tutto così assurdo! Eppure questa buffa creatura, il nostro maestro Irene Delille, labbra martoriate da denti di perla e sguardo innocente, continua «Cominceremo le prove domani: ho già provveduto per gli spartiti. Domattina, alle nove in punto, grazie».

    Poi si rivolge a Donato «La prego di salire nel mio camerino. La prego, ho bisogno di parlarle» la voce è accorata.

    Donato la fissa impietrito per lo stupore. La ragazza scende dal podio, si avvia verso l’uscita, nessuno si alza in piedi. Prima di raggiungere la porticina laterale, all’improvviso si piega sul fianco destro, come se le fosse venuto a mancare l’appoggio del piede. È sul punto di cadere, ma riesce a riprendersi, a trascinarsi. Pietro s’affretta a seguirla. Donato, con passo forzatamente flemmatico, si dirige anche lui verso la porticina, scuro in volto.

    Solo quando Pietro, di lì a poco, s’affaccia, facendoci segno con un dito che il maestro è già salito in camerino, si scatena il finimondo: dapprima un confuso chiacchiericcio, poi un frastuono stridente... una baraonda rimbombante di sberleffi, fremente di smorfie. C’è chi imita la voce, chi le cadute, chi il goffo annaspare delle mani... e c’è anche chi è seriamente preoccupato, ma viene deriso dalla maggioranza burlona. Anch’io sto mimando un "Comodi, bambini... comodi!" quando scorgo la figura immobile di Donato nella penombra delle scale, oltre la porta.

    Mi faccio largo a fatica tra burla e canzonature, lo raggiungo. Se ne sta appoggiato alla parete screpolata, abbrancato al ferro della ringhiera che corre su per le scale: rughe gonfie sull’ampia fronte, occhi infossati pieni di sangue.

    Rido di cuore. Solo quando riesco a calmarmi, gli domando che voleva Arturo Toscanini da lui.

    Affonda rabbiosamente la mano libera nei lunghi capelli grigi, lisci e pettinati all’indietro, torna a schiacciare l’obbediente ciuffettino nel mezzo della fronte, con dita rattrappite torna a scavare solchi sul capo. Mi fulmina con un’occhiataccia «Ridete pure, branco d’imbecilli. Io, comunque, a rapporto da quella non ci vado: ho cinquantacinque anni e una dignità professionale da difendere» voce cavernosa, dura.

    Gli metto una mano sulla spalla, provo a scuoterlo «Ma fai sul serio? Il grande Donato, il mio terribile macho... che non se la sente di affrontare quella mocciosa cacasotto?».

    Mi abbranca la mano, me la toglie dalla spalla, me la stritola «Allora tu vieni con me, cara la mia Teresa: voglio un testimone. Non ci vedo chiaro in questa faccenda» e mi libera la mano, avviandosi su per le scale. Lo seguo incuriosita, massaggiandomi le dita.

    La porta del camerino è socchiusa. Donato entra senza bussare, io indugio, è lui a spalancare la porta per farmi passare: la ragazza è seduta al pianoforte, sta scrivendo sopra una partitura, è senza giacca. Volge il capo verso di noi, le s’incendiano le gote, mi fissa sorpresa.

    Donato chiude la porta «È Teresa Albani, prima viola dell’orchestra e compagna della mia vita».

    Senza alzarsi dallo sgabello, lei mi porge la mano: una stretta rapida, dita brucianti si ritirano dalla mia e ci accennano le sedie. Gli occhi azzurri sono vigili, respira a fatica dal naso delicato. S’intuisce magra sotto la camicetta bianca, più grande di almeno due taglie.

    Donato la fissa spietato «Signorina Delille... signorina, vero?».

    La ragazza lo guarda timorosa, poi annuisce.

    «Signorina Delille, scusi la mia indiscrezione: ma quanti anni ha?» nella voce grave non c’è ombra di cortesia.

    La mocciosa mi lancia uno sguardo supplice «Trentadue... so suonare quasi tutti gli strumenti... mi sono diplomata in direzione e composizione tre anni fa, nel conservatorio in via dei Greci. In Italia ho diretto soltanto piccole orchestre di provincia. Probabilmente sapevate che questo posto avrebbe dovuto occuparlo il nipote del vecchio direttore artistico scomparso tre mesi fa, ma il nuovo ha pensato di organizzare un concorso con tre grandi direttori d’orchestra nella commissione esaminatrice: sono stata scelta io...» e nasconde lo sguardo nelle bellissime mani che si rifugiano tra le ginocchia.

    Donato non le dà tregua «E quando ci sarebbe stata questa prova?».

    «Ieri l’altro, a Milano - respira profondamente, come a volersi dare coraggio - signor Marziali, credo di poter capire la sua sorpresa, quella di voi tutti... ma non un disappunto così visibile, violento, oserei dire».

    Un gesto nervoso delle mani fa risalire la parte sinistra dei pantaloni, lasciando scoperto un calzettino grigio con una grossolana rammendatura che si perde in una scarpetta nera chiazzata di bianco e di pioggia. Si sforza visibilmente per resistere allo sguardo altezzoso di Donato, mordendosi le labbra pallide «Quante volte, signor Marziali, sono venuta ad ascoltarvi, e quante volte ho predisposto il mio animo a lasciarsi trasportare dalla vostra musica: mai una sola volta che ciò sia accaduto. Esecuzioni lineari, letture stantìe, atmosfera grigia. Nessuna diversità di colori fra una sinfonia di Mozart, Beethoven o Brahms, assolutamente nessuna differenza fra una direzione e l’altra: due ore di comodo mestiere, e via».

    Una smorfia beffarda increspa la faccia di Donato «Peccato non aver avuto la fortuna della sua bacchetta magica» voce sgarbata, occhi torvi.

    «Ma io non la uso... né volevo offendervi, mi creda. E non sono certa di riuscire a combinare qualcosa di buono» occhi supplici, voce dolce.

    M’intrometto «Signorina Delille, in sala è stata troppo sintetica: perché non ci chiarisce il suo programma? La prego...».

    Volto lievemente allungato, l’accenno d’una fossetta in mezzo al mento, naso piccolo appena un po’ all’insù fremente per l’impazienza, bocca angelica tremolante, occhi che s’illuminano «Una grandissima orchestra latina, che trabocchi di colore e di calore, che sappia interpretare magistralmente le opere sinfoniche create dal genio tedesco - e stringe i pugni come a volerci infondere la sua folle visione - voglio strappare, dal ventre degli strumenti e dal vostro cuore, un calore romantico mai udito finora, una delicatissima carica di emozione, un tormento continuo, un anelito...» ma non ce la fa a proseguire: scuote la testa, le scappa un sorriso. Timidamente infila una mano nei pantaloni, ne estrae un foglietto spiegazzato, ce lo insegna «Da come mi fissate, si vede proprio che non funziona. Mi ero preparata una sorta di manifesto: me l’ero scritto per non dimenticarlo».

    Donato, con fare sornione, cerca di afferrarlo... ma la ragazza ritrae la mano di scatto, accartoccia il foglietto e lo getta alle sue spalle. Poi poggia le mani sulle ginocchia «Quello che volevo dirvi, quello che vi chiedo, quello che chiederò a tutta l’orchestra, ogni santo giorno, è di suonare bene. Di mettermi in condizione di imprimere all’orchestra un suono particolare - giunge le mani, occhi imploranti - mettermi in condizione vuol dire, soprattutto, essere disponibili con la vostra mente, col vostro animo, a recepire, capire e tradurre quelle che sono le mie idee sull’interpretazione della musica in generale... e della Quinta di Mahler, in particolare».

    Donato la rimira a lungo, poi volge il capo verso di me stringendo le labbra, sbarrando gli occhi: respira a fondo e da una smorfia fa scaturire un sorriso smisuratamente rassicurante, mentre il suo vocione declama un «Auguri, Maestro...» intriso di beffa e ironia, che forse la giovane non può percepire. E infatti, rincuorata, incredula, lei si affretta a ringraziare, a domandargli «Allora posso contare sul mio primo violino?».

    E lui, affettato e sornione «Ma certo. E, tanto per cominciare, saremmo lieti se lei dimenticasse i nostri cognomi».

    «E voi il mio... - e quasi scoppia a piangere per la gioia - Donato, Teresa, ne approfitto subito. Sono stata sfrattata, e sto cercando... ma è veramente difficile: occorre tempo, fortuna, denaro, tutte cose di cui dispongo in misura veramente limitata - e abbassa gli occhi velati di vergogna - la pensione dove alloggio è decorosa, ma non c’è pianoforte, non posso studiare, provare: per caso sapete di qualche appartamentino, una mansarda, magari da queste parti, dove io possa sistemarmi?» e con le mani si stropiccia nervosamente le ginocchia: il gambale sinistro dei pantaloni scorre un po’ in alto.

    «Irene, lei è motorizzata?».

    «Diciamo di sì: possiedo una seicento sgangherata. Perché?».

    «Noi abitiamo a circa un’ora da qui, sul mare. E c’è anche una bella scogliera. E a poche centinaia di metri dalla nostra villa c’è una torre saracena ristrutturata, d’un nostro cugino che adesso sta girando il mondo per conto della Microsoft. E abbiamo le chiavi».

    «Oh Dio, sul mare...».

    «E con un buon pianoforte. E nessuno nel raggio di mezzo chilometro».

    Sguardo gelido di Donato. Irene abbassa gli occhi sognanti... che tornano a scrutare i miei «Grazie, Teresa, forse non è il caso».

    «Ma solo fino a che lei non avrà trovato una sistemazione definitiva. E se non accetta, ci offendiamo» il tono deciso della mia voce arresta il

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