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La signora delle torture
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E-book327 pagine4 ore

La signora delle torture

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RACCONTI (208 pagine) - HORROR - Ventisei racconti che vi faranno soffrire a lungo. «I racconti di Alda Teodorani sono simili ad alcuni dei miei incubi più profondi» - Dario Argento

Un pazzo e una nonnina abbandonata. Un ladro che ama i libri più di se stesso. Un mostro che si nutre di barboni alla stazione Termini. Un cuore che batte, in una teca di vetro. Un giovane condannato a morire ma pieno di vita. Un ragazzino dagli occhi innocenti e dall'abbraccio fatale. Ventisei racconti taglienti, ventisei storie di orrore quotidiano, che la scrittura elegante e diretta di Alda Teodorani vi farà arrivare fin sotto la pelle, dove fa più male. Con postille e commenti dell'autrice.    «La scrittura postmoderna e acuta, pungente, di un'autrice che usa il bisturi (è il caso di dire) per portare allo scoperto nervi, e organi, della condizione esistenziale moderna» Vittorio Catani

Alda Teodorani è tra i maggiori autori noir e horror italiani. Dall'esordio all'inizio degli anni Novanta è stata al centro della scena italiana del romanzo di genere: dalla fondazione del Gruppo 13, in cui militava con Lucarelli, Fois, Machiavelli, al movimento della Gioventù Cannibale, alla nascita della corrente Neo-Noir. Dai suoi racconti sono stati tratti film, opere teatrali, fumetti. Tra le opere più note "Giù nel delirio" (Granata Press, 1991), "Belve" (Addictions, 2003), "I sacramenti del male" (Mondadori, 2008), e le due antologie "Sesso con coltello" (Stampa Alternativa 2001) e "La Signora delle torture" (Addictions, 2004) di prossima pubblicazione con Delos Digital. Recentissimi il romanzo"Gramsci in cenere" (Stampa Alternativa) e il primo libro di poesia, "Ti odio poesia" (Edizioni deComporre).
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2016
ISBN9788865307229
La signora delle torture

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    La signora delle torture - Alda Teodorani

    Alda Teodorani

    La signora delle torture

    Racconti

    Prima edizione maggio 2016

    ISBN 9788865307229

    © 2004 Alda Teodorani

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    La signora delle torture

    Fiore

    La nonna

    Samanta

    Un libro raro

    Una notte a termini

    L’altare

    Il cannibale

    Malamore

    Piazza colonna, dodici e trentacinque

    Nico

    Sottoterra

    Nuova edizione

    Deja vu

    Dal diario di alda teodorani, scrittrice

    Il virus

    Samanta 2

    Il cuore del capitano

    Le gambe di leonardo

    Rétro

    Muccassassina

    I parassiti in bianco

    Il corpo del gatto

    L’uomo delle stelle

    Riverside

    Le sei del mattino

    La signora delle torture

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

    Tutti gli ebook Bus Stop

    Il libro

    Ventisei racconti che vi faranno soffrire a lungo. «I racconti di Alda Teodorani sono simili ad alcuni dei miei incubi più profondi» - Dario Argento

    Un pazzo e una nonnina abbandonata. Un ladro che ama i libri più di se stesso. Un mostro che si nutre di barboni alla stazione Termini. Un cuore che batte, in una teca di vetro. Un giovane condannato a morire ma pieno di vita. Un ragazzino dagli occhi innocenti e dall'abbraccio fatale.

    Ventisei racconti taglienti, ventisei storie di orrore quotidiano, che la scrittura elegante e diretta di Alda Teodorani vi farà arrivare fin sotto la pelle, dove fa più male.

    Con postille e commenti dell'autrice. 

    «La scrittura postmoderna e acuta, pungente, di un’autrice che usa il bisturi (è il caso di dire) per portare allo scoperto nervi, e organi, della condizione esistenziale moderna» Vittorio Catani

    L'autore

    Alda Teodorani è tra i maggiori autori noir e horror italiani. Dall'esordio all'inizio degli anni Novanta è stata al centro della scena italiana del romanzo di genere: dalla fondazione del Gruppo 13, in cui militava con Lucarelli, Fois, Machiavelli, al movimento della Gioventù Cannibale, alla nascita della corrente Neo-Noir. Dai suoi racconti sono stati tratti film, opere teatrali, fumetti. Tra le opere più note Giù nel delirio (Granata Press, 1991), Belve (Addictions, 2003), I sacramenti del male (Mondadori, 2008), e le due antologie Sesso con coltello (Stampa Alternativa 2001) e La Signora delle torture (Addictions, 2004) di prossima pubblicazione con Delos Digital. Recentissimi il romanzoGramsci in cenere (Stampa Alternativa) e il primo libro di poesia, Ti odio poesia (Edizioni deComporre).

    Dello stesso autore

    Alda Teodorani, Ippocampo Alda Teodorani La regina nera ISBN: 9788865306666

    Fiore

    Prima del grande bivio che traccia il confine tra le due province, c’è un gabbiotto di lamiera, alla fine del viale di tigli. È la pensilina d’attesa dei bus che, attraversando il paese perso nella pianura, conducono alle due città capoluogo. Due donne camminano piano. Cosa guardino, così immerse nei loro pensieri, non si capisce: forse il sole che sorge troppo lentamente o forse gli alberi scheletrici, spogliati dall’inverno. Anna osserva la sua amica, persa in sogni impossibili, si chiede dove arriva il confine tra lucidità e sofferenza. Fiore rabbrividisce nel sottile cappotto di lana grigia. Da quando ha saputo di avere un tumore, si veste come capita, la temperatura e la stagione non hanno più importanza e pare ancora più piccola, più scavata, con quegli occhi nerissimi così grandi, lucidi. Neri laghi di dolore.

    Sono arrivate alla fermata. Non c’è quasi nessuno per strada, una bicicletta che passa ogni tanto, o qualche auto che nel silenzio sembra fare un gran rumore, il gas di scarico che diventa una nube enorme di calore, in quel freddo così assoluto.

    Fiore rabbrividisce ancora.

    Strusciando il fondo dei camperos contro la ghiaia indurita dal freddo, Anna ha detto: – Se vuoi, possiamo tornare a casa. – Guarda le costruzioni intorno, villette a due piani distese sul terreno piatto, che sembra quasi morire intorno a loro. Le fissa a lungo, come non aspettasse nemmeno una risposta. Che infatti non arriva. – Passiamo un po’ di tempo vicino al caminetto acceso… chiudiamo fuori l’inverno. Ci mettiamo le camicie che usavamo per andare alla Baia degli Angeli, ricordi, quelle con le palme… facciamo finta che sia estate – dice ancora. E poi, più esitante, abbassando un poco la voce: – Lo sai che questo freddo ti ammazza, vero?

    – Smettila! – e la risposta è arrivata secca, dura come un pugno. Anna si è sentita mancare il respiro, si rende conto della stupidaggine che le è sfuggita

    ma non è colpa mia se non riesco a crederci…

    Fiore l’ha presa per le spalle, la fissa: – Lo sai quanto mi resta, e vuoi rinchiudermi? Mi butterei nel lago, se non fosse ghiacciato, piuttosto che mettermi a letto, aspettando di addormentarmi… lasciami fare… – e ora che Anna vede gli occhi dell’amica affondare nelle lacrime, ha detto: – Ti voglio bene, e non so cosa fare per aiutarti.

    Fiore si è ficcata le mani in tasca, stringe i pugni, fino a conficcarsi le unghie nei palmi, risponde: – Non puoi fare proprio nulla. Puoi solo augurarti che finisca in fretta, senza dolore. Tra poco dovrò ricoverarmi. Mi auguro solo di morire prima.

    Ora è Anna, che sta per piangere. Sente il dolore che si annoda, a stringerle la gola, non sa se riuscirà a soffocarlo. Ma Fiore non la guarda.. Guarda a Ovest, verso la città e verso l’inizio del paese, con la sua improvvisa muraglia di case alte e senz’alberi attorno, che spunta nella pianura, solitaria come un fungo velenoso. Dalla curva che la statale affronta girando attorno al paese, vede arrivare la testa del bus, lucente di sole.

    Sono salite, si siedono in silenzio. Anna sta ancora cercando di soffocare quel dolore, che non se ne vuole andare e all’improvviso capisce è il dolore dell’amica.

    E io lo sto condividendo con lei. Come quando, da bambine, ci dividevamo il cespuglio di ribes…

    In meno di dieci minuti, il bus le scarica in mezzo al mercato, alla sua miriade di colori. Per un poco hanno scordato l’inverno, il freddo, il tempo, perse nella folla vociante, tra le bancarelle ricolme di jeans da poco, di bigiotteria, di attrezzi agricoli. A Fiore non capita spesso, che il tempo passi così. Il dolore, la malattia, la trascinano sempre più in attimi statici, dove le ore si dilatano e non trascorrono mai.

    Torneranno col treno, era deciso. Il largo viale della stazione soffia loro in faccia un vento gelido, disperdendo sottili falde di nebbia. Tutto il colore se n’è andato. Nella sala d’aspetto Fiore si è improvvisamente piegata in due per il dolore.

    – Ecco l’ospedale… mi manda a dire che mi sta aspettando… – e la sofferenza le deforma il viso tanto da farla sembrare un’altra… – Non ne posso più – mormora ancora – se trovassi la forza, o se mi capitasse, di morire adesso, ricorderei solo gli anni migliori della mia vita. E invece, prima che finisca, vedrò il mio corpo decomporsi lentamente.

    Anna la fissa, tace. Sta cercando ancora di capire – le succede da quando ha saputo – cosa può fare per l’amica, si chiede, in una girandola confusa di pensieri, fino a che punto arriva il bene che le vuole. Fiore ha aggiunto: – Andiamo fuori, non respiro…. – L’altra l’ha presa per il braccio. Sono sulla pensilina. Una voce dagli altoparlanti annuncia il passaggio di un treno rapido. Il mostro di metallo arriva, fischiando. Fiore dice: – Aiutami… ti prego – e volta le spalle ai binari, mentre fa un passo indietro, verso l’orlo del marciapiede.

    Anna ora ha capito.

    E il treno passa come una falce.

    Per quanto ricordo, Fiore è il primo racconto che ho scritto. Ed è stato lui a generare l’idea dei racconti con nomi di donne¹ che hanno accompagnato i miei primi passi nella scrittura per gli altri, dal 1989 in poi. La mia amica Angela mi disse un giorno che c’era un concorso letterario organizzato dalle donne del PCI. Raccontare il tempo era il tema. – Perché non partecipi? – aggiunse. Io avevo già scritto Fiore e decisi di presentarlo. I racconti vincitori sarebbero stati pubblicati in una antologia e così fu anche per il mio, insieme ad altri 14. La mia prima pubblicazione in antologia!² Inizialmente la didascalia (quasi tutti i racconti con nomi di donne per titolo avevano una didascalia iniziale) che accompagnava il racconto era la seguente: – Come un fiore sull’orlo del prato che passando l’aratro ha reciso.

    Questo racconto è stato importante per tanti versi. Innanzitutto la vincita del concorso (cosa mai più cercata in seguito) mi ha dato la conferma che potevo davvero scrivere qualcosa di buono. Poi ha cambiato davvero tanto la mia vita, innescando tutta una serie di avvenimenti che mi avrebbero portata dove sono ora.

    Da questo racconto è stato tratto il cortometraggio omonimo per la regia di Giulio Ciancamerla.


    ¹. Riuniti poi in parte nell’antologia di Alda Teodorani Sesso col coltello , Stampa Alternativa, Viterbo, 2001

    ². AA.VV., Raccontare il tempo , Stampato a cura delle donne del Pci di Bologna nel settembre 1990, grafica Maria Cristina Giovannini. Non avendolo mai potuto fare prima pubblicamente desidero ringraziare la giuria composta da Aureliana Alberici, Elisa Dorso, Silvana Martignoni, Lea Oppenheim, Serena Pulga. Il racconto fu anche stampato, pochi giorni prima dell’uscita di Raccontare il tempo , sull’ Unità dell’Emilia Romagna (vedi nota 4 e commento al racconto successivo La nonna ).

    La nonna

    – Ci vediamo domani – dice Carmela alla vecchia stesa sul letto. Ha appena finito di cambiarle traverse, lenzuola e pannolini. La nonna odora quasi di buono, diversamente da quando lei arriva al mattino: la prima cosa che la colpisce, entrando nell’appartamento, è quella puzza stagnante, prepotente, di piscio, di ammoniaca, di altro ancora che impregna tutto.

    – Ci vediamo domani – le ha detto, ma ormai è stanca di quel lavoro provvisorio e mal pagato che la impegna dodici ore al giorno.

    Ha lasciato il frigorifero pieno, così per un po’ non dovrà uscire a fare la spesa: il freddo a Bologna sembra più freddo che in qualsiasi altra città, con quel vento che si forma, o si incattivisce, sotto i portici.

    Quando esce dal portone del vecchio palazzo è subito immersa nel traffico prepotente e rumoroso di via Santo Stefano. Si dirige a piccoli passi verso la fermata dell’autobus. Pensa, solo per un secondo, che tra poco anche lei sarà troppo anziana per poter arrivare tutti i giorni alle sette e mezza a casa della donna, quell’inferma che ormai ha solo lei, perché i figli, anche se son tanti, si sentono a posto con la coscienza se pagano un’assistente e non la vanno mai a trovare. – Tanto non capisce niente – dicono alzando le spalle. Rallenta in mezzo alla strada, incrociando un ragazzo vestito in modo strano, con una cresta multicolore sulla testa, abiti di pelle nera borchiata, pieno di tatuaggi e piercing, un lobo dell’orecchio dilatato all’inverosimile da un anellone. Si è girata a guardarlo, e sarà l’ultimo gesto della sua vita. L’auto ha frenato, ma non è abbastanza: nel centro di Bologna si fa a gara a chi corre più forte, e non è sufficiente, quella frenata, a risparmiare la vita di Carmela. Che ormai è solo un mucchietto d’ossa e pelle steso sull’asfalto. Tutti i pensieri di lei svaniti nel nulla. Un appuntamento mancato, quello con l’assistente sociale che doveva valutare un eventuale aiuto a domicilio per una vecchia sola e malata. L’assistente sociale non si preoccuperà di rintracciare Carmela, ha già troppo da fare con tossicodipendenti, immigrati, zingari e una marea di anziani, per poter pensare agli appuntamenti mancati e forse ne sarà pure contenta.

    Il ragazzo si è girato piano. Aveva visto la donna uscire dal portone e fissarlo da dietro le lenti grosse un dito. L’aveva oltrepassata mormorando una maledizione, seccato. Bologna città di merda, provinciale e bigotta, rifugio di preti e stronzi, aveva pensato. Appena tornato da Londra, ubriaco della febbre metropolitana, Bologna sonnolenta gli faceva un pessimo effetto. Meglio andarsene presto, appena avesse preso un po’ si soldi con quelle pasticchette rimediate a Londra in cambio di qualche favore qua e là, di un po’ di spaccio di crack.

    Ora, sul marciapiede, guarda arrivare l’ambulanza e gli infermieri scendere velocemente, affannandosi intorno al corpo della donna.

    Niente da fare, quella è già morta… La giusta punizione per chi non si fa i cazzi suoi

    e ha notato il mazzo di chiavi per terra, vicino ai suoi piedi, volate via dalla mano della donna nel momento dell’impatto con l’auto. A lei non servono più si dice, e le ha raccolte facendo finta di nulla, se le infila in tasca.

    In casa è buio. Il ragazzo ha acceso la luce. Ora vaga per la casa che gli sembra completamente deserta. È arrivato alla camera della vecchia, accende la luce e la vede, macchia grigia sul lettino bianco, arriccia un po’ il naso, la guarda e anche lei lo fissa con gli occhi spalancati e non dice niente.

    Chissà se parla pensa lui, e ancora Chissà se ha già imparato a parlare… il ragazzo non ci sta tanto con la testa, si è fatto parecchi acidi e il cervello gli è andato in pappa, così i suoi pensieri sono molto semplici, un misto di aggressività e stupidità.

    Esce dalla stanza avendo cura di spegnere la luce e congratulandosi con se stesso per quanto è bravo ed educato in casa altrui, trova la cucina e apre il frigorifero, ne tira fuori un pezzo di carne precotta, se la mangia di gusto così, addentandola accanto allo sportello ancora aperto, poi con le dita unte prende il cartone del latte e se lo versa in gola, mentre il liquido sprizzando fuori gli bagna il collo e il giubbotto.

    Rutta e si guarda attorno, fa un altro sopralluogo. La casa non è male e per lui, che sta sempre in strada, va benissimo. Il frigo è pieno, ancora meglio. Lo sfiora per un attimo il pensiero che potrebbe arrivare qualcuno prima o poi. Ma se dovesse succedere, troverà una soluzione lì per lì. Oltretutto ci ha anche guadagnato una nonnina, che lui di suo non ha. Si butta sul letto per farsi una dormita, felice. L’appartamento è caldo, la casa è accogliente, l’ideale per passare qualche giorno al coperto e lasciarsi un po’ andare alle abitudini: dormire, mangiare.

    La notte esce, di solito va in qualche pub o nei giardini della Montagnola per piazzare un po’ di roba e guadagnarsi il viaggio di ritorno a Londra. Esce e rientra dalla casa della vecchia ma non ha mai incontrato nessun vicino, i suoi orari sono diversi da quelli degli altri inquilini del palazzo, tutti vecchi come la sua nonnina o quasi.

    La nonnina… che essere delizioso, non parla mai, non piange, non lo disturba, non chiede niente… ogni tanto lui va a trovarla e si spinge fin quasi al suo letto. Ma non si avvicina più di tanto, perché, anche se è così buona, lei puzza. Dio, se puzza. Ma anche i gabinetti della stazione, e le piccole sale d’aspetto sui binari puzzano. Più della vecchia, almeno così gli pare di ricordare.

    E quindi fa il bravo bambino nell’appartamento della nonna… vabbe’, i piatti non li lava, lasciando che si ammucchino nel lavandino, ma tiene sempre sgombra la tavola. Apre il frigo, sceglie, mangia. Va nella camera della sua nonnetta. La guarda, borbottando qualche parola, in un tentativo di affettuosa conversazione, e anche lei lo fissa come sempre, con quei grandi occhi tristi che, a volte, sembrano pieni di lacrime. Il cibo nel frigorifero, si consuma lentamente e lentamente si consuma anche quel salire e scendere le scale e uscire di notte. Finché il frigo, una mattina, è proprio vuoto. C’è rimasta solo una scatola di dadi da brodo. E anche la nonnina non c’è più. L’ha trovata morta stanotte, quando è rientrato dai giardini. Lo ha impressionato un po’ quella faccia di cera, quel naso sottile sottile.

    Dovrò cercare un altro posto pensa ora. I soldi per Londra ancora non ce l’ha.

    Butta le chiavi per terra, in un angolo, e se ne va. Ma senza sbattere la porta.

    Quando sono andata da Carlo Lucarelli la prima volta avevo già in mente che in Emilia Romagna, con tutti gli scrittori che c’erano, poteva nascere un bel gruppo di autori che si proponessero anche tutti insieme, in antologie, agli editori. L’idea non era poi così originale e in effetti stare insieme poteva anche essere un buon antidoto alla noia imperante da quelle parti (specialmente a Massa Lombarda, il paese dove sono nata e dove abitavo all’epoca) più che un semplice espediente letterario. E infatti, una volta che – con l’aiuto di Carlo e dell’amico Loriano Macchiavelli – sono stati coinvolti una decina di scrittori – per qualche tempo ci siamo divertiti a parlare e a congetturare, dando poi vita a quello che sarebbe stato chiamato Gruppo 13. Io mi ci divertivo più che altro perché potevo finalmente parlare della scrittura e delle sue tecniche senza paura di far crollare gli altri dalla noia, come succedeva ai miei amici di Massa Lombarda (Parla sempre solo di libri e di scrittura dicevano di me). Uno dei risultati più immediati della nascita del Gruppo 13 fu la pubblicazione di una serie di racconti illustrati su L’Unità dell’Emilia Romagna, che ospitò sia Fiore che La nonna.³ Per quanto mi riguarda, non seguirono altre pubblicazioni con il Gruppo 13, poiché gli avvenimenti precipitarono e di lì a pochi mesi sarei partita dall’Emilia Romagna.


    ³. Pubblicato il 12-8-1990 per la serie Tra il nero e il giallo, su L’Unità Emilia-Romagna. Con un disegno di Claudio Lanzoni. Il racconto Fiore è stato pubblicato il 21-8-1990, sempre per la stessa serie.

    Samanta

    Da quando Samanta se n’è andata, penso spesso a quando mi diceva: – Non esiste mondo dove non ci siano morte e sofferenza. Le disgrazie non avvenute sono compensate da avvenimenti altrettanto dolorosi. La felicità non avrebbe unità di misura se così non fosse.

    Samanta sapeva.

    L’ho imparato troppo tardi.

    Samanta viveva nella continua convinzione che qualcosa in futuro sarebbe cambiato. Al tempo stesso aveva la statica rassegnazione di chi viene sommerso da evidenze malevole che si raggruppano a voler dimostrare che si è senza speranza. La vita le faceva un piccolo, malvagio, scherzo. Si comportava con lei come un amante capriccioso.

    Era una delle mie migliori allieve. La sua mente insaziabile, la sua cocciutaggine e una profonda bellezza interiore, accoppiata a quella bellezza esteriore, mi lasciavano capire quanto fosse fatta per avere successo. Aveva quindici anni, quando la vita cominciò a metterla a dura prova. Tutto quello che le succedeva era al di fuori della sua comprensione, e anche sua madre, che le era così vicina, non riusciva a capire cosa stava capitando alla figlia.

    C’era per Samanta una serie di realtà comparate in cui vita e morte esistevano simultaneamente. Doveva soffrire in una realtà, gioire nell’altra, rinascere nel sollievo di una disgrazia mai capitata, e poi tornare a piangere. I meccanismi di entrata e uscita le erano del tutto ignoti, perciò non poteva mai procurare sollievo ai dolori provocati dal caso, o dalla stupidità della gente. Era sballottata qua e là, varcando in continuazione porte diverse, vivendo volta per volta le mille combinazioni di una stessa situazione, le combinazioni possibili date dal fatto che la vita può, a volte, essere totalmente cambiata da un minimo dettaglio.

    Fu in quel periodo della sua vita che Samanta parve rendersi conto che felicità e dolori debbono necessariamente convivere. E proprio allora fu investita dall’uragano che avrebbe cambiato tutta la sua vita. Fu allora che fece la sua scelta. Io lo so. Anche se lei non ha avuto la possibilità di dirmelo.

    Credo che fosse quando il suo amore venne travolto da un treno, che decise. Ci lasciò. Abbandonò noi, che non possiamo, o non vogliamo, traversare quelle porte.

    Di Samanta ho dei bei ricordi. La penso spesso, coi suoi lunghi capelli biondi, mentre mordeva la matita, le sopracciglia corrugate, guardandomi ogni tanto in silenzio, assorta sul compito.

    Ricordo come si arrabbiava e metteva il broncio, appena cercavo di imporle qualcosa.

    E mi chiedo com’è adesso. Adesso che ormai io sono solo una vecchia insegnante in pensione. Se ha dei figli. Se ha continuato a vivere con quel ragazzo che è andata a raggiungere, in una dimensione diversa, dove lui non è mai morto. Se là, dove lui si è salvato dalla morte per una questione di secondi, lui abbia mai sospettato di essere morto in un altro mondo, il nostro. Se sa quant’è stato importante quell’automobilista che gli aveva chiesto un’informazione, mentre erano fermi al passaggio a livello e il treno sferragliava davanti a loro.

    Mi chiedo se Samanta si è stancata di quel ragazzo. Se si è sposata con un altro. Se ha mai desiderato tornare, se ha cercato, senza riuscirci, di riaprire quella porta che una volta l’aveva lasciata passare.

    Mi chiedo se è felice, se ha imparato a convivere con quell’amante capriccioso che è la vita.

    A volte sogno che torna a trovarmi, lo sguardo pensoso, la fronte un po’ aggrottata sotto i capelli biondi.

    Questo è uno dei miei primi racconti e risale al 1990. L’ho scritto per un’amica che aveva appena avuto un lutto gravissimo, ed è originato dalla speranza che le cose, ogni tanto, possano cambiare, che i destini smettano di accanirsi sugli innocenti. In quanto a lei, la mia amica Samanta, vorrei saperla felice ma non ho più avuto sue notizie.

    A volte succede che anche le persone più amate scompaiano dalla tua vita senza che tu sappia nemmeno il perché.

    Samanta non è mai stato pubblicato per la semplice ragione che non ha mai convinto nessuno. Troppo debole, troppo corto, poco caratterizzato, poco di genere, di un qualsiasi genere.

    Più avanti troverete

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