3300 secondi (Audio-eBook)
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Titolo selezionato dalla Commissione Europea - EACEA Education, Audiovisual and Culture Executive Agency per il progetto Lettori oggi, cittadini domani presentato da Camelozampa
Contenuto: Fred Paronuzzi - 3300 secondi (Traduzione: Mirella Piacentini. Cover art: Laurent Moreau)
Da capitolo I a capitolo XXVII
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3300 secondi (Audio-eBook) - Fred Paronuzzi
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Camelozampa
presenta
3300 secondi
Scritto da
Fred Paronuzzi
Titolo originale
Là où je vais
Traduzione di
Mirella Piacentini
Lettura di
Eleonora Calamita
Realizzazione il Narratore audiolibri
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11.10
Alla campanella
Léa
Troppo scema. Mi sento davvero troppo scema.
Non il minimo segno, niente. Mi ignora. Sono trasparente. Quasi quasi avrei preferito il suo disprezzo. Una smorfia di sdegno.
Perfino che mi prendesse in giro. Qualunque cosa ma non questo.
Chi è che ha detto che esistiamo solo attraverso lo sguardo altrui? Ieri notte, dopo aver mandato il messaggio su Facebook, un messaggio di cui avevo pesato ogni sillaba, ci ho messo ore ad addormentarmi. Ore durante le quali mi sono immaginata non so quanti scenari possibili.
Ogni volta con delle varianti minime.
Ma, stranamente, questo non me l’ero immaginato. Il vuoto. Non avevo previsto il deserto. Sarà che forse ci credevo alla nostra storia.
Troppo scema, davvero troppo scema. Quando penso che stamattina, mentre salivo le scale, mi reggevo a malapena sulle gambe tanto mi batteva forte il cuore… da straziarmi il petto.
E per cosa, eh, per cosa?
Nella mia scatola cranica c’è uno tsunami, un gran casino fatto di frustrazione, rabbia, desiderio, smania e dolore.
E allo stesso tempo, è di una banalità assoluta: io l’amo da morire e lei se ne frega.
La prof è in ritardo. È da un pezzo che la aspettiamo, in corridoio.
«Io vado via, mi sono rotto, può andarsene affanculo, quella» annuncia spavalda una voce. Ma nessuno si muove. L’abbiamo incrociata mentre andava verso la sala professori con quella sua andatura strana, a scatti, sbilanciata in avanti, come se fosse sul punto di scattare. Senza mai uno sguardo per nessuno.
E in classe è peggio. O fa battute e rompe, o ringhia. L’abbiamo soprannominata Pit Bull
. In più, sembra una vera pila elettrica, sempre in movimento. Sembra di avere alla lavagna un fantoccio che sbraita scomposto. Fa media con il prof di matematica. Lui è più il genere bradipo. Mal rasato, trasandato e più molle di un marshmallow.
È da un’ora che non metto insieme due parole. Ho la luna storta. Di solito non sono così e allora mi lasciano nel mio brodo. Quando mi hanno chiesto come mai ho questa faccia – da funerale, da tossica, da cadavere
– ho borbottato qualche monosillabo non troppo gentile. Nessuno ha insistito. Si vede che ha le sue cose
ha buttato lì Jérémie, che non è mai a corto di quei bei cliché pesanti. Avrei potuto farlo tacere, quel moccioso brufoloso, ma non ne vale la pena.
Oggi mi sento come una bomba pronta a esplodere. E si vede.
Sono le undici e un quarto quando la prof alla fine arriva, col fiato corto e le braccia cariche. Non c’è più anima viva in corridoio.
«Scusatemi» e inizia la litania: la fotocopiatrice si è rotta, la carta si è inceppata, è finito il toner… un classico.
«Prof» fa Baptiste «non c’era bisogno di stressarsi tanto, fa male alla salute».
«Sei molto gentile a preoccuparti» risponde fredda la prof mentre le cadono le chiavi sul pavimento.
«Si figuri, prof, è un piacere».
Entriamo e nel caos prendiamo posto. È strano. Ci spostiamo da un punto all’altro all’inizio dell’anno, poi ci fermiamo.
Prendiamo le nostre abitudini. Il posto che occupo io di solito è due metri dietro a quello di Julie, leggermente a destra. La vedo di tre quarti da dietro, di profilo quando gira la testa.
Se si tira su i capelli, le vedo il collo, lungo e bianchissimo. Mi viene voglia di posare le labbra su quella nuca, di morderla. Guardo la grana compatta della sua pelle e mi viene voglia di assaggiarla.
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Ilyes
«Ilyes! Ehi, Ilyes, sono qui!»
Eh no. Non lui, non adesso. Non ho nessuna voglia di vederlo, ancora meno di rivolgergli la parola. Ma non c’è modo di ignorare la sua voce che sbraita il mio nome dalle panchine sotto i platani. Allora gli faccio un cenno e poi riattraverso la pista ciclabile. Per terra è pieno di mozziconi e sputi. Mi tende il pugno e io ci batto contro il mio.
«Ilyes, fratello! Dove sei andato a finire? Non ti vediamo più. Cosa