Eredità Scomoda
Di Phil Whitney
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Info su questo ebook
Una storia d'amore: una storia di odio. Le vite di due famiglie si intrecciano attraverso i fatti che segnarono il novecento italiano. Il giovane inglese Paul Caddick arriva a Firenze alla ricerca delle origini della sua famiglia, ma la storia ben presto si avvolge di mistero, e un passato pieno di segreti emerge intrecciando vicende personali con scomode realtà politiche. Traduzione di 'Relative Values' (2015)
Phil Whitney
Although born in Lancashire, I grew up in Derbyshire before graduating in Italian and History of Art at the University of Leeds. Several years in Italy teaching English and writing travel guides were followed by seven years as a Chartered Accountant and then eighteen years teaching English and Media Studies back in England. During those twenty-five years, I spent as much time as possible in Italy, soaking up the culture and getting ideas for stories. In the summer of 2014 I left teaching and my wife agreed to support me while I got my writing career back on track. Since then, I have divided my time between the two countries and never regretted the decision to concentrate on writing.
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Anteprima del libro
Eredità Scomoda - Phil Whitney
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Sebbene io abbia tentato di attenermi il più possibile agli eventi storici, è importante rilevare che le famiglie Campolargo e Caddick sono interamente frutto della mia immaginazione. Ogni riferimento a persone esistenti o esistite è del tutto casuale.
Ringraziamenti
Grazie innanzitutto al mio traduttore Lorenzo Puccinelli Sannini per la sua preziosa collaborazione. Vorrei anche ringraziare mia moglie Lucia per il sostegno ed i consigli dati mentre scrivevo l’originale manoscritto in inglese ed anche per i commenti e suggerimenti per la versione italiana. Grazie ancora ai miei amici italiani Alessio Di Bene e Francesca Zanobini per il loro aiuto durante il processo editoriale.
Parte 1 1934
Capitolo 1
Dopo aver lasciato Tavarnuzze, a circa otto chilometri a sud di Firenze, la via Cassia si inerpica, attraversando un territorio boscoso a tratti e ricco di vigneti ed oliveti, in direzione di San Casciano.
Il caldo intenso dell’estate era ormai solo un ricordo e l’aria della vallata non era più appesantita dalla foschia prodotta dalla calura estiva che per quattro mesi dell’anno rendeva incerti i contorni del paesaggio. I raggi di un sole pomeridiano si riversavano attraverso la valle ed ogni dettaglio delle colline poste ad oriente si mostrava in tutta la sua nitidezza, resa ancora più evidente dalla nuvolaglia scura che appariva all’orizzonte, e a mezza costa una grande e vecchia casolare, circondata da cipressi, riluceva come fosse dorata.
Dato che aveva proseguito a piedi, dopo il passaggio ricevuto fino all’altezza del bivio per l’Impruneta, Max decise che si meritava un riposino ed il panorama che si stendeva alla sua sinistra gli offrì l’opportunità di estrarre dal suo zaino un piccolo album per schizzi su cui iniziò a disegnare. Sapeva di avere poco tempo, sia perché era consapevole di doversi muovere in continuazione, sia perché l’intensità della luce poteva variare in qualsiasi momento. La matita si mosse in fretta sulla superficie della carta e gli aspetti fondamentali del disegno emersero rapidamente. Con un’abile mossa del pollice egli sfumò la linea che delimitava la parte più lontana della fattoria in modo che la medesima sembrasse fusa nell’ombra del crinale collinare. Sotto ai suoi occhi una finestra situata ai piani alti della facciata dell’edificio venne aperta e il vetro scintillò al sole. Max si sforzò di cogliere quest’effetto luminoso disegnando parzialmente il contorno della finestra, lasciando però in bianco quasi tutta la parte destra e l’angolo in alto della stessa. Alcune leggere ombreggiature, ottenute sfruttando le tracce di grafite rimaste attaccate al lato del suo pollice gli servirono per sottolineare l’intensità di quel lampo di vivida luce, iniziando così a creare l’effetto desiderato, anche se lui era consapevole che se si fosse dedicato più tardi a trasformare lo schizzo in qualcosa di più definito, sarebbe riuscito ad ottenere un risultato molto migliore.
Infilati il blocco e la matita nuovamente nello zaino, Max si rialzò stiracchiando la schiena e le spalle, pronto a riprender la strada in salita. Due automobili discesero la collina dirigendosi verso Tavarnuzze e Firenze e, mentre il rumore dei motori svaniva in lontananza, egli udì il suono di un grosso mezzo che si inerpicava su per il colle venendo verso di lui. Comprese dal ruggito del motore e dal continuo scalare delle marce che il veicolo stava avanzando velocemente e quindi si scostò dal manto stradale per evitare di incrociare l’auto all’altezza di una delle curve cieche.
A livello di un paio di tornanti posti più in basso della sua posizione, Max si accorse che il veicolo rallentava e udì un rabbioso colpo di clacson. Il clacson suonò ancora tre volte ad intervalli sempre più ravvicinati, finché egli avvertì, grazie allo stridere del cambio ed al fragore del motore, che l’auto stava di nuovo accelerando. In meno di trenta secondi una scintillante Balilla di color rosso scuro lo raggiunse ed egli vide alla guida un uomo massiccio che portava un cappello floscio. Max sperava di velocizzare il proprio viaggio sfruttando l’autostop, ma era del tutto consapevole, dato che aveva già trascorso più di sei mesi nel paese, che il tipo di persona al volante di quel genere di macchina nell’Italia di Mussolini, con grande probabilità non apparteneva alla categoria di coloro che erano soliti offrire passaggi agli sconosciuti e che comunque era preferibile evitarli. Auto e autista odoravano di fascista da un chilometro di distanza e, come il giovane aveva prontamente appreso, l’esibizione della propria autorità e l’intimidazione di chiunque non fosse dei loro
era lo sport preferito. Malgrado sapesse che in generale la valutazione dei fascisti in Inghilterra fosse positiva e che la maggior parte della stampa apprezzasse Mussolini per aver ristabilito l’ordine e la disciplina e per aver frenato il pericolo del bolscevismo, si rendeva conto che per le classi lavoratrici la realtà italiana era assai differente.
Non ci aveva messo molto dopo il suo arrivo in Italia per rendersi conto di quanto stretto fosse il controllo esercitato dai fascisti sul Paese e quanto fosse pericoloso tentare di ostacolarlo. Naturalmente, in apparenza, la percezione generale era piuttosto favorevole; molta gente si recava al lavoro indossando la camicia nera oppure se la metteva quando andava a messa, e nei paesi più grandi i bambini erano tenuti a indossare la montura ogni giorno a scuola e, il sabato mattina prendevano regolarmente parte alle adunate organizzate per la gioventù. Max, tuttavia, aveva visto due ragazzini sottoposti ad un feroce attacco di bullismo per non aver indossato l’uniforme fascista e si era chiesto quanti di coloro che la esibivano lo facessero perché timorosi delle conseguenze. Durante il periodo in cui aveva soggiornato a Torino dove, grazie a un’epidemia influenzale era riuscito a trovare un posto in fabbrica, i suoi compagni di lavoro gli avevano detto che chi non era iscritto al partito non riusciva ad ottenere un’attività stabile. La maggior parte degli operai nutrivano simpatie per l’esiliato leader comunista Palmiro Togliatti, ma erano sempre molto attenti a non far trapelare questo loro sentimento ogniqualvolta si trovavano nelle vicinanze dei proprietari o dei dirigenti della fabbrica. In effetti, fino a quando i suoi compagni non furono del tutto certi che Max non fosse una spia della dirigenza, mantennero un atteggiamento assai cauto nel discutere con lui di argomenti di politica e fu soltanto quando si convinsero che la sua conoscenza della lingua italiana, allora parecchio limitata, non fosse una trappola, che divennero meno diffidenti nei suoi confronti.
Il periodo trascorso in quella fabbrica e gli altri lavoretti occasionali trovati successivamente, avevano di molto migliorato la sua padronanza della lingua per cui, quando il barroccio che poco prima aveva causato i rabbiosi colpi di clacson doppiò la curva alle sue spalle, non ebbe alcun problema nel rispondere all’allegro saluto del conducente.
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Max ringraziò con un sorriso ed osservò il conducente. Era di costituzione robusta e i suoi capelli neri, malgrado fossero piuttosto corti, davano l’impressione di essere piuttosto ribelli. Sotto di essi si apriva una faccia larga nella quale un paio di caldi occhi marroni, screziati di giallo, costituivano il punto focale di una serie di rughe originate probabilmente dal continuo socchiudere gli occhi per evitare il bagliore del sole lavorando all’aperto, ma che, se fossero state sul volto di un inglese, avrebbero fatto pensare che egli passasse buona parte del suo tempo sorridendo.
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<<No, sono inglese>> rispose Max e continuò. <
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Max non ne era sicuro, ma gli parve di cogliere una punta di amarezza nelle parole di Giorgio e si affrettò a rassicurarlo; <
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Poco dopo, Giorgio arrestò il barroccio davanti ad una piccola taverna situata all’incrocio fra la via Cassia e una strada più stretta che portava verso il centro del villaggio. Saltando giù, condusse la cavalla verso un abbeveratoio e allentò i finimenti per permettere al grato animale di immergere il muso nell’acqua che scorreva limpida attraverso un tubo sporgente dal muro alle loro spalle. Solo quando la sete del quadrupede apparve soddisfatta egli iniziò a pensare alle proprie necessità. Max li stava osservando con la coda dell’occhio, intento com’era ad ammirare gli oliveti che, scendendo lungo il crinale della collina, andavano a congiungersi alla folta boscaglia posta al di là della strada, ed avvertì un curioso senso di conforto di fronte all’affetto che l’uomo mostrava nei confronti della sua bestia. Quando, alla fine, il giovane italiano spostò avanti cavalla e barroccio sistemandoli in una zona d’ombra e assicurò le redini ad un grosso anello di ferro infisso nel muro, Max disse: << È fortunata che tu l’accudisca così bene, ho visto trattare peggio molti esseri umani, specialmente in alcune fabbriche.>>
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Porse uno dei bicchieri a Max ed alzando il proprio disse, <
Max sorrise, sollevò il bicchiere e bevve, con maggior moderazione, un sorso del suo. Malgrado non avesse mai assaggiato il vino in Inghilterra e non si fosse sentito del tutto conquistato a seguito delle prime degustazioni fatte attraversando la Francia, era uno che imparava presto e, negli ultimi mesi, aveva iniziato ad apprezzare i delicati sapori dei differenti vitigni ed era ormai in grado di distinguere un vino buono da uno mediocre. L’essenza fruttata e lievemente acidula del liquido contenuto nel bicchiere gli riportò alla mente il sapore delle ciliege mature colte nelle rare giornate di sole in Inghilterra, tanto che emise un brontolio di approvazione. <
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Giorgio si strinse nelle spalle e si rivolse di nuovo verso Max dato che a Franco veniva distribuita un’altra mano di carte dagli altri tre anziani e taciturni giocatori che sembravano aver esaurito ogni argomento di conversazione già da parecchi anni. <
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Max guardò Giorgio i cui occhi fissavano l’orizzonte, ma che dava l’impressione di pensare ad altro. Appariva chiaro dalle sue parole che quella attività era in mano ai fascisti – ma del resto in quel momento in Italia quasi tutte le imprese lo erano. Si chiese cosa ci fosse che non gli veniva detto e decise che doveva saperne di più prima di impegnarsi. <se non mi importa per chi lavoro?>>
Giorgio attese un attimo prima di rispondere, poi scosse il capo e rivolse il palmo delle mani verso l’alto in un gesto di rassegnazione. <
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La maniera in cui pronunciò la parola ordine
rivelò una profonda amarezza che apparve chiaramente in contrasto con la sua solita natura aperta e ridente e Giorgio attese alcuni secondi prima di dare a Max un colpetto affettuoso sulla spalla. <
Capitolo 2
Venti minuti dopo, Max stava scaricando delle casse vuote dal retro di un carretto, impilandole con cura contro la parete posteriore di un granaio piccolo ma ben tenuto, situato a fianco di una casetta che si trovava al limitare del villaggio di Bargino. Il villaggio sorgeva quattro miglia più avanti lungo la via Cassia, dove la valle si allargava e la strada era abbastanza pianeggiante dopo la discesa da San Casciano e prima di iniziare di nuovo a salire verso Tavarnelle. Dopo aver impilato le ultime casse, si diresse verso Giorgio che stava vigorosamente strigliando i fianchi della cavalla mentre questa continuava a mangiare con soddisfazione del foraggio da un sacco sospeso al muso. Si appoggiò contro il muro guardando Giorgio che lavorava, e di nuovo non poté fare a meno di ammirare con quanto impegno il giovane italiano si prendeva cura dell’animale.
Quando Giorgio terminò la sua opera di pulizia sulla cavalla ormai sazia, le tolse dal muso la sacca appendendola ad un chiodo infisso accanto alla porta del granaio e la condusse attraverso un cancello in un recinto posto a lato dell’annesso agricolo dove un altro cavallo, che a Max sembrò più pesante e più vecchio, stava già pascolando. La giumenta nitrì in direzione del cavallo più anziano e poi si diresse al trotto verso un largo abbeveratoio di pietra situato all’altra estremità del recinto. Solo allora Giorgio si allontanò dal cancello che aveva chiuso con cura e si rivolse a Max.
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La porta della casa, chiaramente fatta a mano, era di legno di castagno stagionato e si adattava perfettamente alla cornice di pietra grezza dell’entrata. Era divisa in due parti, quella inferiore chiusa e quella superiore aperta che permetteva di vedere un corridoio lavato con cura che portava verso l’altra parte dell’abitazione.
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Apparve un bambinetto che corse verso Giorgio chiamando <
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<<È un nome inglese>> rispose Giorgio alla domanda inespressa, <
Max scoppiò a ridere. <
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Max si ritrovò in una cucina abbastanza grande che chiaramente la famiglia utilizzava anche come soggiorno. Un angolo della stanza era stato isolato con delle asticelle di legno avvolte accuratamente con dei pezzi di stoffa e Laura sistemò il lattante all’interno di questa specie di recinto poggiandolo su di un tappetino sopra il quale si trovavano alcuni semplici e rustici giocattoli. Il bambino più grande si mise a sedere all’esterno del recinto del fratellino e cominciò ad impilare dei mattoncini di legno, tenuto però, come Max si accorse subito, sotto stretto controllo dalla madre.
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Giorgio ridacchiò accucciandosi a fianco del bambino. <
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Il giovane inglese capì che gli veniva offerta sia una via di uscita nel caso non volesse giocare col bimbo, oppure, qualora ne avesse voglia, una possibilità di insegnargli qualcosa tramite il gioco; fu lieto di scegliere la seconda opzione. <
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<<È davvero una strega>> disse Giorgio, <<è capace di fare ogni sorta di magia in quel calderone laggiù. Nessuna altra donna è brava a cucinare come Laura.>>
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Max si rilassò sentendosi a suo agio. Era da tanto che non si trovava al centro di una vera famiglia, composta da persone sincere e cosi cordiali. Si sentì riportato all’epoca della sua fanciullezza, prima che i suoi genitori venissero uccisi da un’epidemia influenzale nel giro di un mese quando lui aveva quattordici anni. Ricordò i bei tempi in cui sembrava che niente di male gli potesse accadere e, malgrado conoscesse il significato della parola povertà, la sua famiglia non si era mai trovata in condizioni di vera difficoltà e lui aveva potuto continuare a frequentare la scuola, invece di essere costretto a cercare lavori manuali o a fare la fila ogni mattina fuori dalla fabbrica, in attesa di sapere se per quel giorno avessero bisogno di un aiuto, ciò che invece era stato il destino della maggior parte degli altri ragazzi con i quali aveva giocato da bambino.
Suo padre, che aveva superato la Grande Guerra relativamente illeso, avendo avuto la fortuna di fratturarsi ambedue le gambe in un incidente all’inizio del suo addestramento come pilota, si era sempre sforzato di studiare, convinto che, alla fine, cervello ed istruzione avrebbero avuto più valore del denaro. Il lavoro di scrivania che gli era stato dato a seguito dell’incidente lo aveva aiutato a sviluppare quelle conoscenze amministrative che gli garantirono di trovare sempre un impiego malgrado il peggioramento della situazione economica degli anni venti. Era stato felice come una Pasqua quando Max superò l’esame che lo portò dalla scuola elementare alla grammar school
. Nello stesso anno, il 1923, la sorella maggiore di Max, Ethel, si sposò con Stan Sykes, il quale aveva un impiego alquanto noioso ma molto sicuro nella filiale locale della banca London, City and Midland.
Dopo un difficile inizio alla nuova scuola, durate il quale Max si rese conto che gli altri ragazzi, che per la maggior parte venivano da famiglie agiate e spesso avevano avuto anche il beneficio di lezioni private, erano molto più avanti di lui e lo guardavano dall’alto in basso, cominciò a interessarsi allo studio. Ben presto si rese conto di avere del talento per la scrittura e per la storia e scoprì che era in grado di fare progressi nelle materie classiche molto più velocemente della maggior parte dei suoi compagni. Malgrado il suo disagio iniziale e la sua sensazione di inferiorità nei confronti degli altri ragazzi, che sembravano credersi meglio di lui, capì che poteva essere uguale, al loro stesso livello e che la ricchezza non costituiva un parametro valido per misurare il valore di una persona; questa consapevolezza lo aveva portato ad iscriversi al Partito Comunista Inglese quando ancora frequentava la scuola. Il suo unico rammarico relativo all’educazione ricevuta alla scuola superiore era il poco tempo dedicato alle arti ed alle attività artistiche, materie nelle quali si era sempre distinto, tuttavia egli trascorse molto del suo tempo libero facendo schizzi e cercando di copiare gli autentici
quadri che gli capitava di poter osservare, nel tentativo di comprendere in che modo gli artisti avessero realizzato le loro composizioni e creato spesso effetti delicati attraverso l’uso del colore. Il disegno e la pittura, la frequentazione di incontri politici, la lettura insaziabile e le partite di pallone giocate in strada con i suoi vecchi amici della scuola elementare, avevano occupato quasi tutte le sue ore libere.
La morte dei suoi genitori lo aveva lasciato come intontito e malgrado avesse la fortuna che Ethel e Stan, con i quali era andato a vivere, gli permettessero di continuare a frequentare la scuola, l’apatia che provava fece sì che nel successivo anno scolastico egli facesse pochi progressi e fu solo per merito di Ethel che gli ricordò quale grossa delusione avrebbe causato ai loro genitori se avesse rinunciato allo studio, che Max decise di tornare a scuola nel settembre successivo con rinnovato impegno. Malgrado tutti i sacrifici che Ethel e Stan stavano facendo per permettergli di completare il corso di studi, non ebbe la possibilità di continuare la propria educazione dopo il compimento dei diciotto anni, ed anche se fosse stato possibile, egli sospettava che Ethel e Stan avessero rimandato l’idea di avere figli per mantenere lui e che sua sorella, nonostante l’affetto che provava per lui, si sarebbe sentita sollevata se lo avesse visto iniziare a farsi la sua strada nella vita.
Nonostante essi insistessero perché rimanesse a stare con loro, Max riuscì a procurarsi un posto di assistente impiegato in un opificio alla periferia di Manchester e trovò alloggio da un ferroviere e la sua famiglia nel distretto di Ancoats, dove pagava un modesto affitto settimanale per poter condividere una stanza con i loro tre figli. Come molte altre famiglie che vivevano ad Ancoats a quel tempo, Rudi e Maria erano di origine italiana e, data la sua propensità per le lingue, Max dopo poco tempo fu in grado di partecipare alle loro conversazioni, sebbene facesse presto a perdere il filo quando più persone parlavano. Mentre Max se la intendeva con i figli e spesso si faceva una birra con il più grande che aveva quasi la sua età, ciò che preferiva era ascoltare Rudi parlare dell’Italia, particolarmente quando gli descriveva le decorazioni che si trovavano nelle chiese di Napoli la sua città natale. Il padre di Rudi aveva lavorato come imbianchino e decoratore e qualche volta era stato incaricato di eseguire dei piccoli restauri su alcuni dipinti presenti nelle chiese meno importanti di Napoli. Questa attività non gli aveva fatto guadagnare molto, ma con regolarità aveva ricevuto l’assicurazione di stare accumulando crediti a vantaggio della sua anima immortale. Il giovane Rudi aveva spesso accompagnato il padre mentre questi si dedicava ai lavori di restauro ascoltando con soggezione reverenziale le storie dei quadri, come gli stessi erano stati dipinti ed in che modo si dovesse procedere per restaurarli. Malgrado Rudi possedesse l’abilità sufficiente per continuare il lavoro di suo padre, aveva deciso che il suo stomaco necessitava di attenzioni più urgenti rispetto a quelle della sua anima immortale e quindi si era trasferito in Inghilterra dove aveva trovato lavoro nelle ferrovie e aveva conosciuto e sposato Maria, i cui genitori avevano lasciato l’Italia quindici anni prima. Max aveva divorato tutti i racconti di Rudi ed aveva deciso in cuor suo che un giorno
sarebbe andato in Italia.
L'opportunità arrivò prima di quanto Max pensasse. I suoi capi vennero a sapere che aveva partecipato a una riunione durante la quale i dipendenti della azienda avevano tentato di costituire un sindacato, e che addirittura aveva preso la parola incitando i lavoratori a ribellarsi alla direzione. Gli venne detto chiaramente che non solo veniva licenziato, ma che nessun altro datore di lavoro nel Lancashire sarebbe stato disposto ad assumerlo. A quel punto Max pensò che quel giorno
poteva equivalere a subito
. Disse addio, non senza qualche lacrima, a Rudi ed alla sua famiglia, vendette la maggior parte delle sue cose, inviò una lettera ad Ethel e Stan dicendogli di non preoccuparsi per lui e si diresse verso la costa meridionale, soprattutto nascondendosi di notte sui treni merci. Lì giunto non gli fu difficile trovare un pescatore che, per metà dei soldi che possedeva, lo traghettò al di là della Manica.
Per quasi tutta la cena Max parlò poco, salvo complimentarsi per la cucina, felice di godersi e farsi sommergere dalla conversazione affettuosa della famiglia. Quando ebbero finito di mangiare volle assolutamente lavare i piatti mentre Laura e Giorgio sistemavano i bimbi per la notte.
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<Casa del Popolo a Rifredi, appena fuori il centro di Firenze. Ci fu qualche discorso politico, ma soprattutto si mangiò, si cantò e si ballò perché la gente si sforzava di dimenticare le difficoltà quotidiane. Tutto ad un tratto le finestre vennero rotte a sassate, le porte furono spalancate a forza e forse un centinaio di uomini incappucciati e armati di randelli si precipitarono all’interno scagliandosi contro tutti quelli che riuscivano ad afferrare. Alcuni degli aggrediti cercarono di difendersi, ma erano stati colti di sorpresa e per di più disarmati e quindi la maggior parte di coloro che tentarono di reagire finirono per terra – fu un massacro ! La maggior parte della gente si precipitò verso le porte sul retro ma le trovò bloccate dall’esterno, poi, mentre dei tizzoni ardenti si schiantavano sul pavimento penetrando attraverso ciò che era rimasto delle finestre, i criminali fascisti si ritirarono. La polizia arrivò dopo mezz’ora che l’ultimo malvivente se ne era andato.>>
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Max rimase scioccato dal racconto; sapeva che i fascisti si servivano della violenza per schiacciare ogni opposizione, ma non si era reso conto di quanto questa violenza indiscriminata fosse diffusa. Dopo un momento di pesante silenzio, non sapendo cosa dire tentò di allentare la tensione dicendo: <
Giorgio lo guardò per un momento poi, lasciando la mano di Laura si alzò e dirigendosi verso la finestra ancora aperta, fece cenno a Max di seguirlo. Gli indicò un’abitazione imponente che si ergeva a circa un chilometro di distanza sul fianco della collina e che era circondata da altri fabbricati. <
Dopo un po’, con grande sorpresa di Max, Giorgio rise brevemente. <
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Giorgio si strinse nelle spalle, <
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<contessa è una donna malaticcia e trascorre la maggior parte del suo tempo ai bagni termali di Montecatini alla ricerca di una cura miracolosa. Alcuni anni addietro si ammalò seriamente e le due figlie più giovani cominciarono a frequentare una scuola lontano da casa e a trascorrere le vacanze sulle Alpi, ospiti di parenti lontani.>>
A questo punto intervenne Laura, <
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