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Le stelle spente della città
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E-book247 pagine4 ore

Le stelle spente della città

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Info su questo ebook

La tenacia di Sheryl, liceale di quartiere, che nella già difficile quotidianità delle periferie metropolitane si ritrova faccia a faccia con una realtà criminale, fra un oscuro passato, amore, amicizia, pericoli e verità nascoste.
LinguaItaliano
Data di uscita22 ott 2019
ISBN9788831645317
Le stelle spente della città

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    Anteprima del libro

    Le stelle spente della città - Elisa Trabona

    Dedico questo romanzo a tutte le persone

    con la luce interiore di una Stella,

    che la parte debole e insoddisfatta della società ama oscurare per sentirsi meno impotente e mediocre,

    ma che non riuscirà mai a spegnere,

    perché ogni vera Stella brilla di luce propria

    e il resto… è cenere.

    In questo libro sono presenti nomi di persone, località, luoghi e proprietà fittizi.

    Alcune città e aree territoriali, tuttavia, sono esistenti, ma non hanno alcuna correlazione con i contenuti di questo libro, che sono totalmente frutto di invenzione.

    Ogni riferimento a persone, località, luoghi e proprietà esistenti/esistiti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

    Mac, mia madre s’arrabbierà tremendamente e a casa non potrò mai più tornare.

    Sheryl era una bellissima morettina dagli occhioni scuri, i capelli neri ondulati e un fisico forse troppo esile, ma pur sempre seducentissimo. Era iscritta al liceo, ma la scuola non le interessava. Quando si cresce in un ghetto afroamericano tutto interessa meno che la scuola. Poesie? Che poteva farsene di poesie? Le poesie non portano il pane sulla tavola, non pagano i conti, non comprano abiti di valore per un corpo di valore e soprattutto non offrono opportunità. Con Mac, invece, Sheryl ne aveva appena colta una.

    A volte, oltre a vecchie case che sembrano dover crollare da un momento all’altro, graffiti sui muri e spari agli angoli delle strade, nei ghetti s’ode il motore di qualche auto costosa, che qualche farabutto qualunque vanta orgoglioso nell’ambiente dei poveri. L’arroganza di Mac era il ritratto ineguagliabile di quel farabutto. Era nato in un ghetto, ma la fortuna volle che sua sorella riuscisse a sfondare come modella e di conseguenza, a provvedere per l’intera disastrata famiglia, formata unicamente da lei e da Mac. Non era una ragazza famosa, ma le sue sfilate e i numerosi servizi fotografici le permettevano di viaggiare, di evadere dall’angustia della prigione invisibile della sorta di povertà in cui era rinchiusa. Mac si vantava della sorella e vagabondava in cerca di gloria come un re rientrato da un’ingente conquista con il suo popolo. Si era creato una fama e non c’era persona che non lo rispettasse, se non per i propri scopi. Già, perché da quelle parti il rispetto era sulla bocca di tutti, ma nella vita di nessuno. Sembrava quasi che Mac avesse dimenticato il suo passato, che avesse dimenticato da dove venisse. Il fatto era che non voleva ricordarlo. Quali conseguenze poteva portare la sua nuova condizione sociale? Molte. E soprattutto, positive. Donne, rispetto, favori d’ogni tipo e una limitata popolarità. Prima o poi in un quartiere come il suo tutti avrebbero avuto bisogno di una persona come lui. Sheryl era una di loro. Non era innamorata di Mac, ma gli voleva bene. Riconosceva la sua arroganza, i suoi modi da spaccone che la infastidivano, ma non le importava. Lui l’aveva salvata, le stava offrendo la vita vera, al contrario della misera esistenza che la sua condizione sociale le aveva imposto fino a quel momento. Con lui beneficiava di serate di festa all’aperto, di bei vestiti, di qualche gioiello. Era perfino stata da una parrucchiera. Il suo corpo, così perfetto e armonioso, era finalmente valorizzato, non doveva più portare vecchi indumenti prestati o presi ai grandi magazzini nel reparto tutto a cinque dollari, ora poteva anche permettersi cure termali e weekend fuori con Mac.

    Al contrario di lui aveva un’aria tutt’altro che arrogante. Era solo più felice rispetto a poco tempo prima, ma aveva conservato la sua umiltà.

    Suo padre era stato assassinato, sua madre Paula era troppo debole per mandare avanti la famiglia. Spesso sprofondava in vere e proprie crisi depressive, dove si dava della buona a nulla e si addossava tutte le colpe. Se avessi avuto un’altra situazione mi sarei diplomata, tu non hai colpe, Sheryl, sono io che non ho preparato un giusto terreno per te, non ho la forza di fare niente… e cose del genere. La donna lavorava in un supermercato vicino casa, mentre Sheryl s’arrangiava racimolando qualche banconota con i suoi ritratti. Aveva un modo particolare di disegnare, le forme erano ben definite, ma libere allo stesso tempo. L’armonia delle figure e la loro fermezza rispecchiavano il suo corpo, come anche la sua mente. Le erano chiare le sue passioni, ma mai aveva pensato di svilupparle. Si rassegnava all’idea che Dio ci manda a vivere in un luogo perché quello è il nostro posto ed era convinta che un’evoluzione sociale dalle stalle alle stelle, come quella di molte star, fosse solo una barzelletta. Amava sua madre, ma da un lato provava pena per lei. Non poteva sopportare la sua impotenza, la sua debolezza, la sua autocommiserazione. Era una donna dal cuore incredibilmente generoso, che se solo avesse potuto, avrebbe dato, a chi amava, anche l’Universo. Era prigioniera di sé stessa. Aveva paura di vivere perché la sua vita era stata estremamente difficile. Veniva, infatti, da una situazione terribile. E Sheryl, consapevole del suo cuore spezzato, aveva fatto e stava facendo le veci del padre, fungendo da madre e marito contemporaneamente, ignorando il fatto che lei, in realtà, non era nient’altro che una figlia. Era lei ad accudire la madre, non il contrario. Era lei a starle vicino e a insegnarle la vita, senza alcun risultato. L’unica cosa che Paula riuscisse veramente a fare era il lavoro. La distraeva. E le dava la gratificazione che con quel compenso sua figlia si sarebbe diplomata. Questo la faceva sentire utile. La sua Sheryl era la sua unica ragione di vita. Anche se si odiava per il fatto di non avere abbastanza forza da garantirle la presenza di una buona madre.

    Un giorno Mac si presentò da Sheryl. Sua sorella aveva accumulato abbastanza risparmi da iniziare a pagarsi una bella casa nella West Coast. Aveva visto com’era stato facile per lei e decise di proporre a Mac lo stesso per Sheryl.

    Mac, Sheryl è una ragazza stupenda. Sono riuscita io a diventare modella nonostante la mia figura formosa, vuoi che non ci riesca lei? Ha un corpo favoloso e poi le misure contano ben poco. Se colpisci con un particolare un agente, un fotografo, o magari direttamente uno stilista sei già nella sua squadra. Sheryl è così bella e in gamba che potrebbe avere una carriera da sogno senza troppe difficoltà. E poi è già avvantaggiata, perché potrei benissimo introdurla io nell’ambiente. Ho le mie conoscenze…

    Non lo so, Liza, rispose Mac. Io voglio bene a Sheryl, ma sai che non voglio farla affezionare troppo. Non deve amarmi. Io non sono fatto per la vita di coppia. Mi seccherebbe molto farla entrare così in famiglia per poi scaricarla, magari per un’altra. E poi? Se non sfonda che succede? Come rimarreste tu e lei? Dovreste separarvi per colpa mia? Non avrebbe abbastanza soldi per rimanere nella West Coast, cosa fa, torna indietro per continuare a disegnare? No Liza, io non voglio prendermi questa responsabilità, non voglio darle questa sofferenza. Se vuoi che tenti quella strada parlagliene tu, io non lo voglio fare.

    Ma sei proprio una pappamolle! E poi cosa c’entri tu con la sua carriera? Sei pazzo? Certo che lo farò io, è una grossa opportunità per lei e non gliela farò sgusciare sotto al naso per colpa tua! Sheryl non sarà un talento sprecato!. Neppure Liza amava la millanteria del fratello.

    Mac voleva bene a Sheryl. Ma non la amava. La vedeva come una piuma preziosa e delicata da proteggere, che lo faceva sentire più forte e sicuro di sé, ma in realtà non teneva a lei abbastanza da fare dei sacrifici. Con lei si divertiva, passava il tempo, amava il suo carattere, ma non era un tipo da ragazze intelligenti. Lui era fatto per le classiche gattemorte, aveva ben poca dignità, si conosceva abbastanza, ma la sua presunzione era tale che non si sarebbe mai offerto a una donna. La paura di scottarsi era troppo forte. Non era sua abitudine aprire il suo cuore. E Paula l’aveva capito. Era una donna fragile, ma sapeva che Sheryl meritava molto più di un ragazzino che si vantava dei suoi averi ottenuti per mezzo di altri e che non aveva la minima intenzione di trovarsi un lavoro quando era già comodo a spese della sorella.

    Infatti non devi tornare, Sheryl. Sei da me ora. Porta qualche vestito. Tua madre potrai sempre vederla quando vuoi.

    Sheryl se n’era andata. Lasciava sua madre sola e la cosa peggiore era che se ne sentiva terribilmente in colpa. Le sembrava di tradirla perché aveva scelto il denaro e la stabilità di Mac alla sua umiltà. Non aveva scelto di abbandonare sua madre, ma non riusciva più a sopportare il suo piangersi addosso. L’aveva lasciata con un biglietto perché se le avesse parlato Paula non l’avrebbe mai lasciata andare. E le piangeva il cuore. Temeva che sua madre avrebbe pensato a una vigliaccata, ma soprattutto che l’avrebbe lasciata sola per sempre. Sheryl specificava nella sua breve lettera che sarebbe tornata a trovarla ogni settimana. Che le voleva bene, che le doveva tutto, ma che si sentiva crollare e che aveva urgente bisogno di cambiare aria. Lì dentro non avrebbe resistito un solo altro giorno. Mise la sua valigia nell’auto costosa di Mac, indossò la maxi collana che lui le aveva regalato e partirono, con Sheryl piangente. Mac viveva a pochi isolati da lei, ma a Sheryl sembravano anni luce che la separavano da sua madre, con la quale aveva vissuto fino a quel momento.

    Al liceo la vita scorreva sempre uguale. Per fortuna Kelisha era sempre con lei. Insieme non c’era niente che non avessero condiviso. Kelisha era la saggezza fatta persona, oltre che la dolcezza in persona. Era la benefattrice, l’angelo custode dell’impulsività di Sheryl, una fata ausiliatrice, colei che appare quando tutto sembra risucchiare la serenità di spirito in un vortice incontrollabile e fuori non ci sono altro che scompiglio e devastazione.

    Quella mattina Sheryl era distratta. Era alla fine dei suoi diciassette anni e piena di pensieri e paure. L’insegnante l’aveva già ripresa tre volte perché continuava a guardarsi intorno con lo sguardo perso nel vuoto, senza la più remota intenzione di seguire quanto veniva detto. Era l’ultima cosa che potesse interessarle. Decise che quel giorno sarebbe uscita prima da scuola.

    Le strade della città sembravano stranamente tranquille. Un massiccio strato di nuvole formava una strana cappa grigiastra che sembrava voler intrappolare la luce e l’energia di un debolissimo sole. Perfino i fumi dai tombini e dai comignoli erano inesistenti. Era come se la città fosse controllata da un’anomala e potente forza invisibile, come se un grosso tronco d’albero stesse deviando o addirittura bloccando il monotono scorrere di un fiume. La gente per strada era poca, i mezzi di trasporto sembravano aver ridotto il loro viavai. Il solito frastuono della metropoli si era trasformato nella pace di un paesino tranquillo. Era come se quel cielo e quel silenzio urlante stessero preannunciando una sorta di catastrofe che nessuno osava immaginare. La città non era la città.

    Sheryl camminava come se si stesse rilassando in un parco del centro. Aveva l’aria calma e ondeggiava la sua figura graziosa con quello zaino in spalla che la faceva assomigliare a una scolaretta ingenua. All’improvviso si udirono degli spari in lontananza e pochi minuti dopo delle sirene. Sheryl non aveva idea di cosa fosse accaduto, ma quei colpi e suoni repentini avevano smorzato bruscamente il fluire di quelle ore tranquille e in un lampo ebbe come un presentimento: qualcosa era successo al Blindway Palace.

    Quanti ricordi racchiudeva quel posto. Tempo addietro era stato una sorta di piccolo motel dei poveri. Nessuno seppe mai la vera storia del suo proprietario. Un uomo egocentrico, pare, ma non molto astuto. La voce generale era che negli ultimi anni della sua attività fosse impazzito e si fosse impiccato proprio nella hall del motel lasciando un biglietto in cui scriveva: Qui ho costruito, qui ho dato. Qui mi avete tradito, qui pagherete col fato. Più che un messaggio assomigliava alla predizione di una punizione nei confronti dei malavitosi della città. Il motel, infatti, si trovava in una delle sue zone più pericolose e una volta aperto diventò ancora meno sicuro. Dopo quella tragedia nessuno ebbe più il coraggio di entrare nel motel, né di farlo demolire. La diffusa superstizione della gente del quartiere era il timore che il signor Kinley avesse pronunciato una specie di maledizione poco prima della sua morte e che questa avrebbe ucciso o segnato il destino di chiunque avesse mai o di nuovo messo piede nella struttura. Il biglietto legato al suo cappio era la prova di questo incantesimo e per anni l’edificio fu lasciato esattamente com’era. Nei primi anni novanta alcune bande della zona avevano cominciato a considerarlo uno dei loro angoli da gestire, finché, alla fine del decennio, la sua reputazione divenne ancora più famigerata. Il Blindway Palace diventò un edificio abbandonato in un’area abbandonata. Ora era il più famoso ritrovo di tossicodipendenti e giovani criminali della città. I suoi muri scrostati cadevano a pezzi e il soffitto di alcune stanze sembrava dover crollare da un momento all’altro. Nei locali c’erano piastrelle rotte, calcinacci ovunque e materassi logori sparsi qua e là, insieme a qualche vecchia sedia. La posizione dell’edificio era piuttosto appartata, come se fosse stato fatto erigere allo scopo di nascondere le vergogne e le pene che avrebbe fatto patire ai suoi giovani, futuri frequentatori. Il nome dell’ex motel in realtà era City Inn, solo in seguito alla squallida funzione che assunse più tardi fu infine ribattezzato Blindway Palace, Palazzo della Via Cieca, come sarebbe stato il destino di chiunque, o quasi, fosse entrato nel giro della sua maledizione. In realtà aveva ben poco di un palazzo.

    Laggiù, quando ancora non era che un vecchio motel abbandonato, Sheryl aveva dato il suo cuore al suo primo ragazzo. Quello di cui si era innamorata prima di Mac e l’unico, pensava lei, a cui aveva e avrebbe dato il suo cuore, poiché nessun successore sarebbe mai stato alla sua altezza. Sheryl non lo credeva soltanto, ma era fermamente convinta che nessun’altra persona al mondo sarebbe mai stata capace di rubarle il cuore come aveva fatto Darry. Proprio come nessuno sarebbe mai stato capace di spezzarglielo come lui. Chi era Darry? Sheryl non lo sapeva più. Lo amava e allo stesso tempo quasi lo odiava per ciò che era diventato. Darry era uno dei pochi ragazzi del quartiere che aveva ancora entrambi i genitori, ed entrambi con un impiego stabile. Assistette alla morte del fratello maggiore in una sparatoria quando era solo un bambino e in quel momento si giurò che non avrebbe mai toccato un’arma. Neanche un coltellino svizzero. Aveva conosciuto Sheryl durante quelli che per lui erano gli ultimi anni di liceo, quando Sheryl era da poco quattordicenne ed aveva appena iniziato la scuola secondaria. Il loro era stato l’amore più puro e semplice che si possa mai incontrare. Sheryl non si sarebbe mai immaginata che potesse essere così facile innamorarsi. Dalle altre ragazze non sentiva parlare che di prepotenza, inganni e tradimenti. Di quanto fosse grande la mancanza di rispetto che i presunti cavalieri avevano nei confronti delle giovani donne che dicevano di amare e che invece non facevano che usare. Per divertimento, per vanto, per accrescere la propria popolarità. Non è un vero duro chi non usa armi e non si porta a letto belle ragazze. Era una specie di motto implicito, uno spicchio di quell’enorme sfera delle famose regole non scritte di ogni codice che conta. Quello più rispettato fra tutti, che si applica fedelmente, che ovviamente, non aveva nulla a che vedere con la legge nazionale. Il codice della malavita di strada.

    Darry le aveva regalato una bellissima rosa rossa di cui Sheryl conservava ancora i petali secchi in un libro di corteccia. Era il pensiero d’entrata nella serata del loro primo appuntamento. Per Sheryl non era mai stato un appuntamento. Era questo che amava della loro storia. Era talmente naturale incontrarsi con Darry e amarlo che non c’era la minima tensione fra di loro, se non quella del batticuore incontrollabile per la gioia e la paura di vedersi.

    Quella sera Sheryl indossava un vestito grigio che lasciava intravedere le bellissime forme del suo corpo armonioso, aveva i capelli raccolti ed era felice come non mai. Darry l’aveva amata dal primo momento in cui l’aveva vista e non stava più nella pelle dal volerglielo confessare e dimostrare. Si erano visti dopo cena e lui l’aveva portata in uno dei curati e luminosi parchi dei pochi quartieri rispettabili della città. L’atmosfera ricordava un po’ quella delle città europee più romantiche, i lampioncini accesi accanto a ogni panchina, i muretti intorno alle aiuole di fiori e il profumo della primavera che si preparava ad arrivare. Era un luogo pieno di viuzze fiabesche appartate e nonostante la sera fosse molto affollato, a Sheryl sembrava che esistessero solo loro due. Non si era accorta del viavai che avevano intorno e nemmeno le interessava. Si sentiva una regina nel giardino del suo castello e desiderava che quella serata non finisse mai. Camminarono per ore e parlarono altrettanto. I loro sogni, le loro aspettative, le loro speranze, i bei ricordi del passato. A tarda sera Darry l’aveva riaccompagnata sotto casa dopo innumerevoli minuti trascorsi in auto a guardare le stelle e a parlare. Sheryl sapeva che quel bellissimo preludio sarebbe stato il ricordo più bello della sua vita.

    L’ansia del Sarà il vestito giusto?, Come posso comportarmi perché capisca chi sono veramente?, Sarò capace di essere una fidanzata? non era mai esistita per lei. Fra Darry e Sheryl c’era una chimica così perfetta che neanche un incantesimo avrebbe potuto cambiare la situazione. Il suo atteggiarsi con Darry era così naturale da sembrare surreale, come se una dolcissima forza la stesse spingendo verso di lui e la proteggesse da qualsiasi timore o pericolo. Il primo momento in cui Darry era comparso davanti ai suoi occhi Sheryl si era fidata di lui. Ma la loro storia era durata solo due anni. E solo poco prima che finisse, Darry aveva fatto la sua scelta. Ribellione dura. Fedeltà alla sfera delle leggi non scritte. Al codice della vita di strada. Vita da gangster.

    Ambulanze accorrevano da ogni parte. Le solite inimicizie tra bande avevano colpito ancora. Un ragazzo di sedici anni era rimasto ucciso. Stando ai racconti dei passanti un’auto si era avvicinata a Darry e alla sua banda. Era iniziato uno scontro a fuoco e un ragazzo che passava di là per tornare da scuola era stato accidentalmente colpito da uno dei proiettili provenienti dall’auto. Si raccontava che la madre, presa dalla disperazione una volta informata dalla polizia dell’accaduto, avesse tentato il suicidio cercando di gettarsi dal quarto piano del suo palazzo. Per fortuna, uno degli agenti era riuscito a fermarla in tempo. Sheryl non poteva credere a quell’ingiustizia. Pensava che se le guerriglie si scatenavano fra bande, allora che le vittime fossero i loro componenti, non ragazzi innocenti. Raramente le vittime erano estranee alle dispute fra giovani criminali di quartiere, fra angoli e isolati. Certo non la stupiva che i ragazzi criminali su quell’auto ce l’avessero con Darry e i suoi. Quando venne lasciato da Sheryl, due anni prima, non decise di fare il gangster a causa del suo cuore spezzato, ma per la sua rabbia repressa da anni. Rabbia che aveva celato dentro di sé troppo a lungo e che era esplosa all’improvviso. Per questo Sheryl optò per lasciarlo. Darry vedeva attorno a lui giovani dal grilletto facile, convinti di poter risolvere tutto con le armi e con la forza. A vent’anni, arrivato al bivio, scelse la sua strada da imboccare. Decise che era ora di riprendersi ciò che gli era stato sottratto. Chi aveva ucciso suo fratello aveva devastato la sua vita e quella dei suoi genitori senza chiedere il permesso a nessuno e senza farsi scrupoli. Perché, quindi, lui avrebbe dovuto continuare a reprimere il suo dolore? Perché nessuno avrebbe dovuto pagare per quell’infamia? Aveva bisogno di sfogare la sua ira e decise di cominciare a farlo. Se gli altri si prendono il diritto di uccidere e distruggere per divertimento pensava non vedo perché io non debba prendermi quello di scacciare il mio dolore. Sheryl troneggiava ancora nel cuore di Darry, ora detto BadDarry, ma, paradossalmente, era come se lui avesse dimenticato che cosa fosse l’amore. Sheryl era una principessa in un lontano ricordo sfocato al centro del suo cuore distrutto. Una vecchia fotografia sbiadita di anni prima, che aveva messo nel cassetto di un mobile che non apriva mai e lasciato lì dentro. Era pervaso dalla rabbia e non poteva più continuare a trattenerla. Finché la vita, che gli aveva voltato le spalle, non avesse saldato

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