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Un ereditiera ai miei ordini: Harmony Jolly
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E-book171 pagine2 ore

Un ereditiera ai miei ordini: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!



Lei, Carol Chancellor, esuberante studentessa universitaria, un'ereditiera! Suo nonno, il patriarca della famiglia Chancellor, ha scritto nero su bianco che quasi l'intero patrimonio deve essere suo.

Ma questa non è l'unica novità. La lieta novella a Carol viene annunciata da un giovane e promettente avvocato, nonché bello da mozzare il fiato, Damon Hunter. L'uomo, inoltre, è stato incaricato di vegliare sulla ragazza e di guidarla nelle scelte che dovrà affrontare. Il problema è che il vecchio Chancellor non gli ha mai raccontato che la nipote fosse una giovane attraente, dallo sguardo ipnotico. Il suo compito sarà molto difficile, forse impossibile.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2019
ISBN9788858992555
Un ereditiera ai miei ordini: Harmony Jolly
Autore

Margaret Way

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un ereditiera ai miei ordini - Margaret Way

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Guardian To The Heiress

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2013 Margaret Way Pty Ltd

    Traduzione di Alessandra Carli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-255-5

    Prologo

    Selwyn Chancellor era alla resa dei conti. Disteso sul massiccio letto di mogano, alternava momenti di coscienza a momenti di incoscienza. Assalito dai ricordi, percepiva delle figure che andavano e venivano. Sogni frammentari erano accompagnati da un dolore straziante che la morfina non riusciva a lenire.

    Stava morendo, lo sapeva. Desiderava la morte. Sarebbe venuta come un sollievo... per un uomo che aveva vissuto la propria vita rifiutandosi di accettare il fatto che un giorno sarebbe morto come qualsiasi altro. Perché lui non era una persona qualsiasi. Lui era Selwyn Chancellor, ultramilionario, potente, influente. Aveva vissuto e sarebbe morto da ricco, presidente del Chancellor Group, trust di compagnie commerciali, agenzie immobiliari, industrie manifatturiere, servizi di trasporti e assicurazioni con investimenti in tutto il mondo.

    L’adorato padre, Sir Edwin Chancellor, nominato cavaliere dalla regina per i servizi resi al Paese, lo aveva sempre spinto verso l’eccellenza. Suo padre alla fine dei propri giorni aveva profetizzato il suo brillante futuro: So che posso contare su di te, Selwyn, per proseguire i miei successi. Lascio l’impero Chancellor in mani sicure.

    Edwin Chancellor, severo, inflessibile, pragmatico, era stato orgoglioso di lui. La sua approvazione aveva significato tutto; ma ora, alla fine della sua vita straordinaria, Selwyn era costretto ad ammettere che i momenti di felicità vera erano stati rari. Aveva capito che alcuni avrebbero pianto sinceramente per lui, ma altri, nell’istante in cui il dottore di famiglia, Harry Mc-Dowell, lo avrebbe dichiarato morto si sarebbero fatti avanti come veri e propri avvoltoi.

    Gli avvoltoi erano i suoi familiari. Appellativo non molto edificante, ma giustificato. C’era suo figlio Maurice – avuto dalla cara e riservatissima Elaine – e sua moglie Dallas, donna attraente, ma che era sfiorita presto.

    Almeno Elaine non era mai cambiata. Purtroppo non era tagliata per essere la moglie di un rampante uomo d’affari e a spingerla sull’orlo del baratro era stata la morte prematura del loro amato figlio Adam, il primogenito. Non molto tempo dopo, Elaine si era tolta la vita, anche se dal referto medico risultava un incidente.

    Selwyn sapeva la verità. Sapeva tutto. La tragedia lo aveva soffocato. Da allora aveva tirato avanti, ma senza entusiasmo.

    Era Adam che avrebbe dovuto succedergli; Adam, che aveva tutte le capacità necessarie e la forza di carattere per sostituirlo. Maurice, suo figlio minore, era sempre vissuto all’ombra del fratello, per niente tagliato per gli affari di famiglia, troppo indolente e troppo avido per cavarsela da solo. Lo stesso valeva per il figlio di Maurice, Troy, inetto e donnaiolo... che, tra tutti loro, sarebbe stato il più contento di vederlo morire. Oh, il ragazzo dissimulava bene i suoi sentimenti, si fingeva addirittura addolorato, ma per Selwyn il nipote era un libro aperto. Troy era e sempre sarebbe stato assetato di denaro.

    Come i suoi genitori, d’altronde.

    Selwyn sapeva che ci sarebbero state delle lotte. Il sangue contava meno dell’acqua quando si trattava di soldi. In un momento di lucidità, vide la tozza infermiera vestita di bianco guardare l’orologio. Era ora di un’altra iniezione. La vide appoggiare il vassoio sul comodino, poi prendere una siringa e prepararla per iniettare il potente medicinale nel suo braccio inerte. Stava per conficcare l’ago quando lui gridò con tutta la forza che gli rimaneva in corpo, facendola sussultare.

    «Basta! Mi lasci stare! Se ne vada.»

    Lei aprì la bocca e la richiuse come un pesce sulla spiaggia, ma non proferì parola. In quel momento, suppose Selwyn con umorismo amaro, di sicuro capiva perché la famiglia era desiderosa di sbarazzarsi del vecchio tiranno. Non poteva non essersene accorta. In quell’ultima settimana in cui le sue condizioni si erano aggravate, la tensione era palpabile. Selwyn aveva pensato che qualcuno della famiglia potesse essere tentato di aiutare la parca della morte con un’overdose di medicinali. O un soffice cuscino tenuto premuto sul volto.

    «Allora, cosa sta aspettando?» rantolò lui.

    «Il dottor McDowell sarà qui più o meno alle due» disse con tono di rimprovero.

    «E questo dovrebbe farmi sentire meglio?»

    Un lampo di ostilità apparve nei suoi occhi. «Avrà bisogno di un’altra iniezione ben prima di allora, signore.»

    «Non sia insolente con me, donna. Se ne vada. Se farà entrare qualcuno della mia famiglia, sarà licenziata all’istante.»

    La fronte dell’infermiera era imperlata di sudore. «C’è qualcosa che posso fare prima di andare?»

    «No. Se ne vada e basta.»

    L’infermiera se ne andò con aria offesa.

    Solo, completamente solo in un mare in tempesta.

    Si era sempre soli di fronte alla morte. Riusciva a sentire il proprio respiro affannato. Forse la morte era la libertà? Era bello pensarlo. Forse avrebbe rincontrato le persone che aveva amato e perso? Forse loro sarebbero venute a prenderlo? Quel pensiero lo fece sorridere. E mentre sorrideva gli fu concessa un’altra visione...

    «Questi sono per te, Poppy.» Una bellissima bambina di cinque anni, con il visino incorniciato da riccioli rossi, gli porgeva un mazzolino di fiori primaverili.

    «Sono bellissimi, tesoro!» esclamò lui, annusandoli. «Grazie mille.»

    «Ti voglio bene, Poppy» gli disse, saltellando allegramente. Carol non stava mai ferma. La piccola Carol, l’unica persona al mondo che gli voleva bene in modo incondizionato.

    «Ti voglio bene anch’io, mia cara» disse lui sinceramente. Era seduto sul patio, sorseggiando caffè prima di andare in città. Era ora di andare. Si alzò... alto e imponente... e prese la sua manina delicata.

    «Cosa farai oggi?» le chiese. Era sabato. Sapeva che sua madre, Roxanne, non si sarebbe disturbata a portarla da nessuna parte. Chiunque sarebbe stata una madre migliore di Roxanne, ma lui aveva assunto una governante eccellente, una piacevole donna di mezza età altamente qualificata, con grande esperienza con i bambini. Lei e Carol andavano d’accordissimo.

    «Tu e papà non potete rimanere con me, Poppy?» lo implorò.

    «Non è possibile, tesoro» disse lui, accarezzandole i soffici ricci. «Tuo padre e io abbiamo degli affari di cui occuparci. Affari importanti.»

    «Non possono aspettare?»

    «Temo di no, tesoro» disse lui. «Magari domani? Potremmo fare un salto a Beaumont. Che ne dici?» Non sarebbe stato facile trovare il tempo, ma per sua nipote ne valeva sempre la pena.

    Lei batté le mani, guardandolo con i suoi occhioni cerulei. «Sarebbe meraviglioso. Tu sei il nonnino migliore del mondo» esclamò, prendendo la sua grossa mano e baciandola...

    Non riuscì a trattenere un singhiozzo. Le lacrime gli bruciavano gli occhi. Poco dopo il suo piccolo tesoro era uscito dalla sua vita. Come Adam, il figlio prediletto. E l’esistenza di tutti loro era cambiata, piena di crucci e risentimento. Ma Selwyn aveva tenuto d’occhio la nipote, anche se da lontano. Per quanto potente, non aveva potuto sottrarla a sua madre, ma aveva fatto in modo che la piccola Carol avesse tutto ciò di cui aveva bisogno. L’infida Roxanne si era risposata con un certo Jeff Emmett appena diciotto mesi dopo la morte di Adam, ma aveva continuato a inviare a lui tutti i conti relativi al mantenimento di Carol. Era avida e infedele, ma era la vedova di Adam e lui aveva pagato tutti i conti senza discutere. Selwyn aveva accumulato album su album della vita e dei successi di Carol negli anni. L’aveva seguita a distanza, dal sedile posteriore della sua Rolls. Aveva chiesto al suo investigatore migliore e più discreto di sorvegliare lei, sua madre e il suo patrigno.

    Un anno prima, quando aveva scoperto di avere il cancro, aveva chiamato un avvocato. Non l’affermato Marcus Bradfield, socio anziano dello studio Bradfield Douglass, ma il giovane Damon Hunter, intelligente e intraprendente, a cui aveva affidato il compito di redigere il suo nuovo testamento.

    Hunter era così in gamba che Selwyn gli aveva consigliato di lasciare la Bradfield Douglass e aprire uno studio in proprio, anche se era certo che con il tempo il giovane avrebbe ricevuto l’offerta di diventare socio. Se lo meritava.

    Selwyn aveva sempre avuto un talento per individuare coloro che sarebbero arrivati in cima e Hunter era uno di quelli. Così, lo aveva scelto per gestire il patrimonio di Carol e tutelare i suoi interessi fino a che non avesse compiuto ventuno anni l’agosto successivo. Hunter era giovane, ma lo era anche Selwyn quando aveva cominciato la sua ascesa.

    Carol gli era più cara di chiunque altro. Era la figlia di Adam. Adam avrebbe desiderato avere altri figli, ma la vita aveva ingannato tutti... l’amato Adam e, soprattutto, la triste, dolce Elaine. Ora toccava a Selwyn ingannare gli avvoltoi in agguato.

    Negli ultimi istanti Selwyn Chancellor ebbe un’altra visione di sua nipote, l’ultima volta che l’aveva vista. Se lei si fosse girata dall’altra parte della strada affollata, avrebbe scorto la macchina lussuosa, ma era impegnata a chiacchierare con un’amica, una compagna di università con cui usciva spesso. Era così bella, così vitale e soprattutto così felice che Selwyn aveva provato un moto di serenità. Si era sempre rimproverato per come erano andate le cose, ma ora si sentiva più leggero. Aveva affidato a Damon Hunter il compito di curare gli interessi di Carol.

    Doveva essere un’allucinazione... era così malato e confuso... ma gli parve di vedere la sua dolce Elaine in piedi in fondo al letto.

    Allungò la mano. «Sei tu, Elaine?» sussurrò, sforzandosi di tirarsi su.

    Lei non parlò, ma si avvicinò, come se fosse lo spirito che doveva prendersi cura della sua anima.

    La visione si fece più nitida. Era Elaine. Era raggiante, circondata da un alone argentato.

    Lui non aveva paura; era impaziente di raggiungerla.

    Selwyn Chancellor allungò la mano per prendere quella di sua moglie.

    Un addio alle armi.

    1

    Damon Hunter stava riponendo alcuni documenti nella ventiquattrore quando Marcus Bradfield entrò nel suo ufficio. «Novità.»

    Damon si fermò e incontrò lo sguardo del suo capo. «Non dirmelo... Selwyn Chancellor è morto.»

    «Esattamente.» Bradfield sprofondò in una delle poltrone davanti alla scrivania di Damon. Bradford era un uomo ricco, rispettato e ammirato. Suo nonno, Patrick Bradfield, era stato uno dei soci fondatori della Bradfield Douglass. «Mi ha telefonato Maurice.» Bradfield abbozzò un sorriso. «Ha fatto del suo meglio, ma non sembrava afflitto.»

    «Difficile quando sei felice» commentò Damon. Non aveva tempo per Maurice Chancellor. Né per suo figlio Troy. «Perché non ha telefonato a me? Sono io il curatore testamentario.»

    «Maurice ama trattare con le persone al vertice, caro Damon» disse Bradfield con un sogghigno. «Selwyn Chancellor è nostro cliente da tanti anni. Io sono un socio anziano. Tu sei ancora un affiliato» scherzò.

    «Ma sono sicuro che presto riceverò una proposta per diventare socio» ribatté Damon, sapendo che la sua carriera era in netta ascesa. «Ribadisco che avrebbe dovuto telefonare anche a me.»

    «Poveretto, era sotto shock.» Bradfield si lasciò scappare una risatina. «Comunque gli ho assicurato che ti avrei avvertito io.»

    «Ti ha detto se ha contattato Carol Emmett, sua nipote? La famiglia è divisa da anni, ma lei ha il diritto di essere informata.»

    «Non l’ha nominata.» Bradfield fece un cenno noncurante. «Perché avrebbe dovuto? Non la vede da secoli. È diventata una bellissima ragazza. Un po’ ribelle, ho sentito.»

    «Solo giovane» puntualizzò Damon. «Lei deve essere contattata.»

    «Devo arguire che il vecchio si è ricordato di lei?» Bradfield rivolse a Damon uno sguardo indagatore.

    «Sì.» Damon mantenne un’espressione neutra. «Era sua nipote.»

    «Ma se non l’ha mai degnata della sua attenzione!» C’era rimprovero negli occhi azzurri di Bradfield, un uomo dedito alla famiglia con tre figlie in età da marito.

    «Questo lo dici tu.»

    Marcus gli rivolse uno sguardo intenso

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