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Roma di Neanderthal: 40.000 anni fa sul Tevere
Roma di Neanderthal: 40.000 anni fa sul Tevere
Roma di Neanderthal: 40.000 anni fa sul Tevere
E-book443 pagine5 ore

Roma di Neanderthal: 40.000 anni fa sul Tevere

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Info su questo ebook

L’anno? Non è certo. Ma è molto prima di quanto immagini.

Il luogo? Anche questo è impreciso. Diversi fiumi, tra cui quello che, fra decine di migliaia di generazioni sarà battezzato “Tevere” scorrono tra i boschi.

Insomma, è la solita storia dove un ragazzo incontra una ragazza, e una ragazza incontra un ragazzo. Solo che uno di loro è un Neanderthal.
Roma di Neanderthal ha due pretese.

La prima: affascinare con le avventure di due tribù, una di Homo sapiens e l’altra di Neanderthal. La seconda: fare un vero e proprio viaggio nel tempo, comprendendo le abitudini, gli usi e le creature che popolavano quel mondo meraviglioso oggi scomparso.

Scopriremo come si viveva, ma non con gli occhi di un moderno Sapiens, bensì coinvolti nelle lotte quotidiane che i nostri antenati dovevano affrontare giorno per giorno, nella loro breve, difficile e intensa vita. Che aveva, del resto, indubbi vantaggi: la noia non esisteva di certo, e il solo vedere sorgere il sole era fonte di gioia.

Il periodo in cui è ambientata questa storia risale alla fine della precedente glaciazione, circa 40.000 anni fa, un numero da far girare la testa, eppure niente più che un battito di ciglia per la storia del nostro pianeta.

I protagonisti sono in guerra, e ne hanno ben donde: il territorio è conteso non solo da altri umani – per quanto diversi – ma anche da iene, orsi e leoni, tutti capaci di uccidere con una velocità impressionante.

Le poche risorse non sono divisibili. I concetti di fratellanza e convivialità erano messi a dura prova, eppure solo in gruppo era possibile superare un’altra singola giornata.

Oggi sappiamo che siamo noi ad aver trionfato sui Neanderthal. Ma è andata davvero così? Scopriremo che molte cose di cui siamo convinti non sono per niente come sembrano.

***L’AUTORE

Tony Neri odia leggere.

Rimanere bloccati a casa e limitarsi a tenere un libro tra le mani gli è sempre sembrato assurdo. Perché stare fermi e rinunciare a vivere davvero quelle avventure che in tanti sognano soltanto?

La sua passione è comprendere la storia del mondo, dalle origini fino alle affascinanti epoche dei dinosauri e dei mammut, fino ad arrivare all’avvento della specie umana. Ha scelto di studiare i misteri del pianeta, specializzandosi in paleontologia e scavando fossili nei posti più esotici, partecipando all’esplorazione di nuovi siti in Spagna, Africa, Cina e Stati Uniti.

Fino a quando, durante una spedizione, ebbe un incidente. Si ruppe entrambe le ginocchia, e rimase per lungo tempo inchiodato al letto. Qui fu costretto, per la prima volta nella sua vita, a vivere le sue adorate avventure attraverso la penna di altri. Decise che anche lui poteva raccontare le sue storie.

Dal suo punto di vista, con la prospettiva di un adulto e l’esperienza che traspare nei drammi che descrive, anche in quelli apparentemente più fantasiosi. Riprese le opere del suo mito, Piero Angela, che aveva deciso di emulare sul campo. Non avrebbe più potuto partecipare a spedizioni avventurose, ma avrebbe potuto spiegare agli altri cosa si prova a esserci.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2019
ISBN9788835334279
Roma di Neanderthal: 40.000 anni fa sul Tevere

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    Anteprima del libro

    Roma di Neanderthal - Tony Neri

    Neri

    INTRODUZIONE

    L’uomo di Neanderthal evoca nella nostra mente un bruto, il classico cavernicolo, armato di clava e vestito di una pelle strappata a qualche bestia. Il suo aspetto è più bestiale che umano, con lunga barba incolta, capelli lunghi e spettinati, sguardo privo di una qualsiasi forma di intelligenza. Tutto il contrario dei nostri antenati, che, pur primitivi, si distinguevano per l’uso di strumenti e linguaggio. Cominciamo con il demolire il primo errore: non si scrive Neanderthal ma Neandertal, senza acca. Questa rimane solo in Homo neanderthalensis. E se neppure se ne conosce il nome, figuriamoci il resto!

    Scopriremo che la realtà è molto diversa dalla fantasia.

    Come periodo, ho scelto il 38.000 a.c. Il luogo è una vallata racchiusa tra diverse montagne dove, dopo più di 300 secoli dopo, sorgerà Roma.

    Non è un periodo a caso. In quest’epoca, ci fu un evento di importanza eccezionale: la scomparsa dell’Uomo di Neandertal, che aveva vissuto in Europa durante gli ultimi 200.000 anni, e la presa del potere da parte del cugino africano: l’uomo di Cro-Magnon, conosciuto come Homo sapiens.

    Siamo abituati a considerare la nostra specie come se fosse per davvero, come nei testi sacri, comparsa dal nulla. Ma la scienza ci insegna che così non è. Uno degli obiettivi che ha portato alla scrittura di questo libro è di comprendere come si viveva in quel periodo.

    Che tempo faceva in Europa? Per saperlo dobbiamo riferirci ad alcuni dati. Il primo riguarda le glaciazioni, l’altro i cicli di Milanković e infine lo studio delle correnti.

    A quell’epoca, l’ultima glaciazione, detta Würm, sferzava l’Europa, il Nord America, e l’Asia sino alla steppa. Ci sono state, da quando gli ominini – cui anche noi apparteniamo – abitano la Terra, 4 glaciazioni. Ognuna di esse ha costituito una prova terribile da superare. Ma durante gli interglaciali, col crescere della temperatura, i nostri antenati si diffondevano ovunque, per poi essere spazzati via dall’arrivo della nuova glaciazione.

    In ordine, ricordiamo:

    Gunz, da 680.000 a 620.000 anni fa.

    Mindel, da 425.000 a 240.000 anni fa.

    Riss, da 200.000 a 125.000 anni fa.

    Würm, da 70.000 a 15.000 anni fa. In quest’ultima, è ambientata questa storia.

    Queste glaciazioni ci aiutano per quel che riguarda le montagne, ma non sono valide per i territori vicino al mare, come quello di Roma. Qui ci vengono in aiuto i cicli di Milanković. In base ad essi, ci sono stati 3 cicli. Il primo, lunghissimo, da 413.000 a 100.000 anni fa, e altri due, più brevi, che influenzarono il clima dai 40.000 ai 21.000 anni fa. Oltre a ciò bisogna tenere conto delle correnti marine. Perché l’Inghilterra è molto più calda dell’Alaska, anche se si trova ad una latitudine simile? Perché la prima è toccata dalla corrente del golfo atlantico, che la riscalda, mentre l’Alaska non ha questa fortuna.

    Tutti i fattori messi insieme ci permettono di capire che l’Europa, a quel tempo, attraversava un periodo più simile all’interglaciale (quindi a come viviamo noi) che alla glaciazione vera e propria. Ma non si trattava comunque di un periodo caldo come il nostro. Erano comuni anni molto freddi, o periodi di gelo alternati ad altri di poco più caldi. Un periodo, comunque, che consentì ai meno equipaggiati e preparati Homo sapiens di sopravvivere a quelle latitudini – forse con l’aiuto e gli insegnamenti dei cugini Neadertal.

    Per un tempo lungo, o meglio lunghissimo, non siamo stati come siamo ora. Molti non si curano di questo periodo, si limitano a liquidarlo con il termine preistoria. Questo avviene per un motivo ovvio: la nostra arroganza istintiva, quella che viene detta principio di Aristotele.

    In poche parole: Aristotele, il grande genio ateniese vissuto nel IV secolo a.c., fu il primo uomo di cui abbiamo notizia a cercare di ordinare e classificare la natura. Un’opera immensa e impossibile per una sola persona, ciò non di meno e pur ricorrendo a semplici metodi basati sui sensi, il filosofo riuscì, per certi versi, nell’impresa.

    Ciò che più è rimasto impresso è quella che si definisce la scala delle complessità. Aristotele sosteneva cioè che non tutte le creature erano uguali. C’erano quelle più semplici, e quelle più complesse. Tra le più complesse, l’Uomo era sicuramente la prima. Uomo non a caso, perché, diceva Aristotele (e non solo lui, specie a quei tempi) gli uomini erano di certo superiori alle donne. Tra gli Uomini, nessuno era come i Greci. Tra i Greci, nessuno era come i filosofi. Tra i filosofi, nessuno era come Aristotele. In questo modo, il grande pensatore dimostrò di avere sì un grande cervello, ma ben poca umiltà.

    Questo principio è istintivo, e, come spesso accade, proprio perciò alquanto errato. Ma, appunto, è una cosa che Aristotele condivideva con tutti o quasi gli altri esseri umani: credersi superiori, quasi rasenti alla perfezione divina. Oggi è facile cadere in quell’errore: grazie alla tecnologia, alla scienza e alla cultura siamo di fatto capaci di fare cose che nessun altra creatura terrestre è in grado di poter anche solo immaginare.

    Ma non è sempre stato così. Il nostro passato animale è presente in noi in ogni frangente. Ed è per conoscerlo meglio che ho scritto questo libro, il cui scopo è appunto quello di tuffarci in un tempo antichissimo, prima dell’epoca del metallo, quando i nostri ritmi si discostavano poco da quello degli altri animali.

    Abbiamo guadagnato tanto in questi millenni, ma anche perso molte cose. O meglio, le abbiamo considerate inutili o cercato (inutilmente) di superare, come un fardello inutile.

    Ma queste cose non sono inutili, e ci fanno compagnia ogni giorno.

    C’è un secondo elemento che ho voluto portare in evidenza: il nostro antichissimo rapporto con l’animale che oggi chiamiamo cane. Non si parlerà del docile animale da salotto cui siamo abituati, ma di qualcosa molto più simile al lupo europeo, ma allo stesso tempo parecchio diverso da quest’ultimo.

    Il viaggio che farete in questo volume si svolgerà nell’inconsueta cornice dell’Italia – in particolare del Lazio – di quei giorni remoti, così lontani da essere sconosciuti quasi a tutti.

    Questo percorso ha richiesto una precisa consultazione di una notevole quantità di fonti e materiali, riguardanti articoli scientifici, testi divulgativi e libri universitari. Non è stato facile ricostruire le abitudini degli uomini del tempo, considerando che non si conosceva ancora la scrittura e le lingue dell’epoca sono dimenticate da centinaia di secoli. Non abbiamo oltretutto modo di essere del tutto sicuri di alcuni usi, mentre di certo ne mancano altri, in attesa che qualche ricercatore strappi dalla terra qualche brandello di quelle vite, sepolte nella memoria ma pronte a rivivere in una punta di freccia o in un disegno su un muro.

    Quindi come possiamo fare? Nell’unico modo che la scienza riconosce: con ricostruzioni verosimili basate su ciò che fino a oggi sappiamo di allora. Per rendere fruibile il tutto ho romanzato un racconto, che ha comunque solide basi paleontologiche e paleoantropologiche.

    Lo stile narrativo aiuta a dare vita agli abitanti di quei tempi, a renderli più simili a noi. In tutto il volume, all’occorrenza, saranno date spiegazioni di quel che accade, in modo da conoscere meglio i nostri progenitori e, così facendo, anche noi stessi. È possibile unire le informazioni scientifiche a uno stile narrato? Associare quindi il piacere di leggere un romanzo a un freddo libro accademico? Spero di esserci riuscito, e di aver dato in questo modo a tutti modo di conoscere un’epoca che non dovrebbe essere dimenticata.

    Bene, è tutto.

    Iniziamo il nostro viaggio nel tempo!

    I PROTAGONISTI

    Da migliaia di generazioni, il freddo pungente stringeva i territori in una morsa glaciale. Le valli erano battute dal vento gelido, e le montagne coperte dalla neve anche nelle estati più calde. Le piante, per lo più abeti e pini, si erano lentamente adattati. Lo stesso fu per gli animali: mammut, cervi enormi, tigri dai denti a sciabola e rinoceronti lanosi. Tra questi ce n’era però uno che si rifiutava di cambiare: invece di mutare con l’ambiente, lo modificava secondo le sue esigenze. Grazie a questa capacità, riuscì ad arrivare in luoghi che non avrebbe dovuto occupare, dalle più calde e assolate savane africane ai rigidi climi europei di quei tempi.

    Nonostante ciò, anche se con più difficoltà rispetto ad altri animali, la natura riuscì a sottoporlo alle sue leggi e anch’egli si suddivise in diverse razze, a seconda delle zone. Siamo in quel luogo che, decine di migliaia di anni dopo, sarà chiamata Italia. A quell’epoca, era abitata da due sottospecie diverse della stessa creatura. Ma questa non poteva coesistere con i suoi simili, poiché avevano lo stesso habitat. Competevano per il cibo. Competevano per lo spazio. Competevano per la sopravvivenza: una sola di loro sarebbe risultata vincitrice nella lotta per la vita, e avrebbe conquistato il mondo intero.

    VOLUME 1: PRIMA STIRPE

    LUPI BIANCHI (Homo sapiens)

    Vecchiolupo (morto) ♂padre di Zannedilupo

    Gemmadifiume ♀ moglie di Vecchiolupo, madre di Zannedilupo

    Zannedilupo ♂ capotribù

    Beicapelli ♀ prima moglie di Zannedilupo ♂

    Nevedelmattino ♀ seconda moglie di Zannedilupo ♂

    Serpenera ♂ fratello di Nevedelmattino ♀

    La Sacerdotessa ♀ madre di Solerosso ♂

    Occhidifalco ♂ padre di Albafresca ♀ e Leprebianca ♀

    Fioreblu (morta) ♀ madre di Albafresca ♀ e Leprebianca ♀

    Canebianco ♂ (morto) padre di Astronascente ♂ e Lunanuova ♀

    TRIBÙ DEI NEANDERTAL

    Grandeaquila ♂ capotribù, padre di Braccioforte ♂

    Rugiada ♀ (morta) madre di Braccioforte ♂

    Grandispalle ♂ (morto) padre di Manirobuste ♂

    Trecciarossa ♀ matriarca, madre di Manirobuste ♂ e Piccolaluce ♀

    Biancosorriso ♀ (morta) madre di Dentilucenti ♀

    Straniero ♂ (morto) padre di Dentilucenti ♀

    Piedilunghi ♂ (morto) padre di Piccolaluce ♀

    Dentilucenti ♀ madre di Occhichiari ♀ e Lentiggini ♂

    Manirobuste ♂ padre di Occhichiari ♀ e Lentiggini ♂

    Biancapelle ♀ compagna di Biondopelo ♂

    Biondopelo ♂ cugino di Sguardoazzurro ♂

    e Nasolargo ♂ Sguardoazzurro ♂ fratello di Nasolargo ♂

    CAPITOLO 1 SAPIENS E NEANDERTAL

    SGUARDOAZZURRO – LA CACCIA

    Il primo personaggio che andremo a conoscere in quest’epoca dimenticata – dalle nostre memorie, non certo dal nostro corpo – si chiamerà Sguardoazzurro. È giovane per i nostri standard, appena un ragazzo. Ma per quell’epoca era adulto e pronto a costruirsi una sua famiglia. Sguardoazzurro è un Homo neanderthalensis. Noi siamo Homo sapiens. Appartiene cioè a una specie differente. Non è un essere umano in quanto con tale termine indichiamo di solito gli altri della nostra specie, ma le differenze sono molto meno dei punti in comune. Non si tratta di una stessa specie con diverse razze, come potrebbe essere un asiatico con un caucasico. Ma di specie simili e diverse. Questo perché sia noi che i Neandertal deriviamo dall’Homo heidelbergensis, un ominino molto alto che arrivò per primo in Europa durante il precedente interglaciale, mentre noi deriveremmo dallo stesso antenato ma sviluppato in Africa. Ma che cosa è un ominino? Non si dice ominide? Un tempo sì, con questo termine si intendeva un appartenente alla famiglia umana. Oggi, con le recenti scoperte genetiche, è stato più giusto ribattezzare ominini gli appartenenti al genere Homo (come Homo erectus, Homo neanderthalensis ecc.), gli antenati diretti degli Homo (come gli Australopitecus) e i parenti prossimi come lo scimpanzé. Tra questi animali infatti, la differenza genetica è troppo sottile per dividere in gruppi distinti. Mentre ominidi includono anche le altre scimmie a noi vicine geneticamente, come il gorilla e l’orango.

    I Neandertal abitavano queste zone da molto tempo prima, ed erano meglio adattati al freddo. Durante l’ultima glaciazione, detta Würm e durata da 110.000 a 12.000 anni fa, i Neandertal dominarono gran parte dell’Europa. Ora però la glaciazione stava finendo, e i Sapiens riuscivano ad occupare le stesse zone dei loro cugini. Seguiamo la sua storia.

    Sguardoazzurro attendeva quell’istante da ore, oramai, e le sue mani iniziavano a intorpidirsi. Guardò alla sua destra e alla sua sinistra, scambiando un’occhiata con Nasolargo e Biondopelo. Il loro capo, Braccioforte, era dietro di loro, in posizione più elevata, per osservare la scena. Era facile distinguerlo. A parte per l’età imponente (aveva quasi 21 anni), portava una collana di denti d’orso, tutte bestie che aveva cacciato lui in persona. Loro, più giovani, non vantavano simili trofei.

    Anche se alcuni ricercatori sostengono che i Neandertal non avessero uno sviluppo culturale tale da elaborare una simbologia come noi – quindi privi di tutto ciò che è arte e immaginazione vera e propria – la maggior parte dei ritrovamenti ci porta a pensare che al contrario, portassero collane e si adornassero con zanne e corna delle prede uccise. In alcuni casi, inoltre, come nei ritrovamenti in Krapina (Croazia), gli animali uccisi non avevano tanto lo scopo di nutrimento quanto di prova di abilità o di coraggio. A Krapina infatti sono state ritrovate collane fatte con artigli di aquila. È molto improbabile che, dovendo andare a caccia di uccelli, si scegliessero le aquile, grosse e pericolose, anziché i ben più innocui piccioni o le ancor più placide galline! Sembra invece molto più probabile che la cattura o l’uccisione di un’aquila possa dimostrare, data appunto la pericolosità della preda, l’abilità notevole del cacciatore. Torniamo a seguire il gruppo di Sguardoazzurro.

    © Davorka Radovčić, Ankica Oros Sršen, Jakov Radovčić, David W. Frayer

    La neve aveva smesso di scendere e in quella stagione non era una cosa normale, e comunque ormai ne cadeva sempre meno. Sguardoazzurro era adulto e pieno di esperienza, con i suoi 18 anni era uno dei cacciatori più abili e saggi del gruppo, e non ricordava una primavera con quei candidi fiocchi. Sì, ogni tanto scendeva una nevicata, ma era sempre più raro che il manto bianco si accumulasse oltre le ginocchia per più di qualche mese all’anno. I racconti degli anziani, con i ghiacci sovrani su 3 stagioni su 4 erano ormai dimenticati. Faceva caldo, sempre di più.

    Le glaciazioni sono immaginate come periodi lunghissimi di gelo eterno, in cui il ghiaccio non abbandonava mai l’Europa, rendendola simile a una distesa analoga all’attuale polo nord. Di certo, le temperature medie erano molto più basse delle attuali, con inverni rigidissimi ed estati più fresche e brevi. Ma questo non è stato sempre. Come avviene anche oggi, sebbene con cicli ben più lunghi – data l’assenza di inquinanti nell’atmosfera – era facile che ci fossero secoli (e millenni) più caldi, alternati ad altri più freddi.

    Ho immaginato questa storia in un periodo un poco meno freddo della temperatura media dell’epoca. Diciamo che se era normale, durante la primavera centro italiana di 40.000 anni fa, avere una temperatura che scendeva anche di 15 gradi sotto lo zero, durante il secolo in cui era nato Sguardoazzurro si avevano più spesso valori intorno ai 10 sotto zero. Molto freddo, certo. Ma per chi era abituato ad esso la differenza era notevole. Anche se si parla di era glaciale, non vuol dire che non esistevano estate e inverno, solo che entrambe le stagioni avevano temperature medie più basse. Ciò non di meno, è presumibile pensare che in estate si arrivasse a toccare, come ora, anche i 30 gradi, per alcuni giorni all’anno. Molti ritengono che furono questi cambiamenti di temperatura ad aver decretato la scomparsa dei Neandertal. Non, come si pensava decenni fa, perché non sapevano adattarsi alle nuove prede, ma per motivi di irraggiamento termico. Ne parleremo di nuovo più avanti.

    La neve era necessaria agli animali, e anche alla sua tribù, per sopravvivere. Quando faceva molto freddo era pericoloso uscire dalla caverna, questo sì, ed era piacevole stare vicino al fuoco a riscaldarsi. D’estate, invece, quando il ghiaccio era quasi del tutto sciolto e non nevicava per quasi due mesi, era molto peggio. C’erano giorni in cui persino la pelliccia d’orso era pesantissima, le scarpe erano troppo calde e quasi si boccheggiava. Era il periodo in cui anziché abbattere gloriosi animali si pattugliavano le spiagge per cercare pesci. Roba da smidollati!

    Uno dei miti più duri a morire sui Neandertal è quello dei cacciatori perenni. È vero, la loro dieta conteneva molta più carne rispetto alla nostra, ma per un primate, anche se ben adattato, una dieta esclusivamente carnivora sarebbe impensabile! Il corpo del Neandertal riusciva a gestire la carne molto meglio del nostro, ma non viveva solo di quello, quanto meno alle latitudini italiane. Dobbiamo ricordare che i Neandertal non abitavano solo le zone più a nord dell’Europa, e che le glaciazioni, come già detto, non ricoprivano di ghiacci ogni angolo del mondo.

    È invece dimostrato che i Neandertal pescassero, specie nei periodi meno freddi e quando abitavano zone costiere. Integravano inoltre la dieta con minestre di carne ma anche di cereali e verdure.

    Sguardoazzurro detestava quel periodo dell’anno, oramai alle porte. Il comando di Braccioforte lo richiamò all’ordine. Un solo schiocco della lingua, ed erano scattati all’azione: Nasolargo, suo fratello copriva il lato destro, Biondopelo il sinistro, mentre lui aveva il compito più difficile ma anche più glorioso: lanciare il giavellotto e abbattere il cervo gigante! Quell’animale enorme era alto quasi 3 metri, e aveva un palco di corna anche più ampio. Una sola testata poteva uccidere un orso. Non potevano permettersi di ferirlo, perché si sarebbe arrabbiato e li avrebbe uccisi tutti. No, dovevano ammazzarlo con un colpo ben mirato!

    Il giovane cacciatore attese l’attimo migliore, quando il solenne animale gli passò vicino. Quando si preparò al lancio, però, il cervo mosse le orecchie verso l’alto: li aveva sentiti. Non c’era più tempo da perdere, ancora un attimo e sarebbe fuggito via. Scagliò l’arma con tutta la bravura e la precisione, frutto di anni di caccia, centrandolo in pieno. La bestia gigantesca si abbatté a terra di fronte a loro, il tonfo attutito dalla neve l’unico suono di quella battuta di caccia. Era un vero asso con quell’arma, quanto Nasolargo lo era con la scure. Non riuscì a mantenere la calma, ed emerse dal suo nascondiglio imbiancando tutti i compagni e urlando di gioia a braccia alzate. Azzurro! Al tuo posto! lo richiamò Braccioforte, tentando di mantenere la voce bassa.

    Fu inutile, anzi, in pochi secondi Biondopelo e Nasolargo si unirono al compagno, gridando e complimentandosi con lui.

    Sei un fenomeno! disse Biondopelo, spingendolo a faccia in giù sul suolo candido. Era il più giovane del gruppo, e quindi il più irruento. Era il primo anno che partecipava alla caccia da adulto. Aveva appena compiuto 15 anni.

    In quell’epoca non si sapeva ancora contare, quindi gli anni sono stati indicati per dare un’età che noi possiamo comprendere e calcolare. Il calcolo vero e proprio è stato introdotto con la rivoluzione agricola, intorno ai 12.000 anni fa, più di 20.000 anni dopo questi fatti!

    Questo perché, una volta che gli esseri umani hanno iniziato ad avere cose preziose come animali, terreni, possedimenti, era necessario sapere quanti fossero per misurare il proprio potere.

    Nel Paleolitico, quando cioè questi fatti sono ambientati, non c’era ancora nulla del genere.

    È però vero che molti animali – noi compresi – hanno anche una conoscenza istintiva del numero, che dipende da una serie di fattori. Questi numeri sono quelli che precedono il molti.

    Per esempio, un cane riesce a distinguere fino a tre oggetti. Dai 4 in poi, sono molti.

    Per gli esseri umani, questo numero istintivo è il 6: oltre il 6, si parla di molti. Non potevano quindi sapere quanto fossero 15 anni, e si contava in base alle stagioni, presumibilmente.

    «Bel colpo! Neppure Braccioforte potrebbe far meglio, vero?!» si voltò Nasolargo, fratello minore di Sguardoazzurro, sorridendo verso il loro amico e capo cacciatore. Questi non stava rispondendo al sorriso, anzi s’era nascosto anche più di prima, acquattandosi quasi al livello del terreno. In un attimo, l’umore dei tre cambiò. Il loro capo era severo, come si addice a un comandante esperto, ma anche allegro, quando era il caso. Se non era ancora uscito dai cespugli, voleva dire che non c’era niente da festeggiare.

    Quando avevano affrontato il grosso orso, due giorni prima, s’era unito a loro, anche se in modo pacato. Sguardoazzurro ripensò a quello scontro. Quel possente animale, alto quanto due di uomini, s’era risvegliato dal sonno invernale, ed era uscito dalla sua tana per trovare qualcosa da mangiare. In genere gli orsi delle caverne non aggredivano gli uomini, preferendo mangiare più che altro piante e piccole creature. Forse il sonno doveva averlo affamato, infatti s’era diretto verso la loro caverna, a due passi dalla sua. Braccioforte aveva provato la prima strategia: minacciarlo e spaventarlo con il fuoco. L’enorme bestia non si era neanche curata delle loro grida, e aveva risposto mettendosi su due zampe e ruggendo con forza. A quel punto, era stato dato l’ordine, e l’avevano accerchiato e ucciso.

    Oramai quei ragazzi formavano un gruppo affiatato e ben coordinato, tanto che erano riusciti a vincere in meno di due ore. Gli artigli dell’orso erano grossi quanto le loro asce, eppure non li avevano mai colpiti in pieno. Il bilancio finale era stato di diverse armi perdute, la pelliccia di Nasolargo squarciata (per fortuna il ragazzo aveva riportato solo piccoli graffi) e un gigantesco orso abbattuto, che neppure in 4 erano riusciti a riportare a casa, anche se distante nemmeno 100 passi.

    C’era voluto tutto il giorno per portarlo via ed era stato necessario farlo a pezzi per riuscirci. Braccioforte aveva sorriso per un attimo, e si era congratulato con loro. Niente di eccezionale, ma almeno s’era dimostrato felice. Ora invece era cupo come una giornata invernale, e serio come quand’erano ancora in pieno inverno, e le iene avevano ferito suo padre.

    Apriamo una parentesi zoologica. Gli animali cacciati da Sguardoazzurro e i suoi compagni sembrano essere davvero enormi. Ancora di più per i Neandertal, la cui altezza media oscillava intorno ai 150-160 cm.

    © Pavel Riva, Wikipedia

    Il cervo gigante (Megaloceros giganteus) era un animale simile al cervo che conosciamo noi, ma notevolmente più grosso: al garrese era alto due metri, e fino alla testa arrivava quasi a 3. Le corna raggiungevano i 3 m. e mezzo di larghezza nei maschi più grossi, il che lo rendeva una bestia poderosa e pericolosissima. Ma benché dotato di grosse corna possenti, poco poteva fare contro un branco di umani armato di lance. Una caratteristica che lo differenzia dai suoi discendenti era la gobba, simile a quella del dromedario. Non è certa la sua funzione. È quasi certo che furono gli esseri umani a sterminarlo, più che la fine della glaciazione, ma ciò sarebbe accaduto diversi millenni dopo i fatti narrati qui. In quel periodo era ancora abbastanza facile incontrarne qualche esemplare. Dai disegni rupestri sappiamo che i grossi cervi erano una preda abituale degli uomini dell’epoca.

    Uno degli animali

    più cacciato in Europa è l’uro o auroch (Bos primigenius),

    © Jaap Rouwenhorst, Wikipedia

    forma selvatica simile al toro (Bos taurus) domestico. È sopravvissuto all’epoca di cui parliamo in questo libro, fino ad essere stato estinto all’epoca dell’impero romano.

    Mammuth (Mammuthus primigenius) e rinoceronti lanosi (Coelodonta antiquitatis) erano in quest’epoca già abbastanza rari e migrati più nell’Europa del nord.

    © Thomas Quine, Wikipedia

    © cava di Chauvet, Francia, Wikipedia

    Perché cacciavano bestioni simili anziché accontentarsi di piccole lepri, che non costituivano pericoli? Perché i Neandertal erano creature molto dispendiose, che consumavano, a paragone con noi, il doppio delle calorie! Servivano quindi grossi animali per soddisfare il loro – a confronto nostro – enorme appetito.

    Torniamo alle avventure di Sguardoazzurro e compagni.

    Nasolargo afferrò la pesante scure, arma con cui poteva eliminare anche un orso da solo. Biondopelo era indeciso sul da farsi. Era giovane, non era esperto come gli altri, ciononostante si sarebbe fatto scannare prima di fuggire di fronte al pericolo. Prese entrambe le armi che portava con sé preparandosi a ogni eventualità. Sguardoazzurro si rialzò, spazzolandosi la pelliccia dalla neve, e afferrò il giavellotto a due mani, strappandolo dal corpo del cervo. Uno schizzo di sangue scuro lo investì, però non ebbe tempo di ripulirsi.

    Il primo ringhio arrivò da destra, e il secondo di fronte. Lupi! Non c’era altra creatura che poteva minacciare così tanto un gruppo di cacciatori. I bisonti erano più forti, però molto più indolenti all’azione; gli orsi erano pericolosi, ma non agivano in gruppo. I leoni non cacciavano le creature che formavano branchi in grado di difendersi. I cervi, poi, non avrebbero mai attaccato senza motivo. I lupi erano un’altra faccenda. Non esisteva praticamente territorio dove non prosperassero, né zona al sicuro dai loro agguati. E soprattutto, aggredivano in perfetta coordinazione, facendo impazzire la preda. I loro ululati incutevano timore, e quando l’animale era spaventato, d’istinto fuggiva via. A quel punto, lo isolavano, lo circondavano e lo uccidevano. Eppure c’era qualcosa di strano, stavolta questi lupi non ululavano.

    I lupi sono, da che esistiamo, i nostri migliori nemici. Il loro territorio di caccia è simile al nostro, così come le prede. In più, come gli esseri umani, sono classificati come superpredatori, ovvero animali contro i quali non ci sono difese! Ovvio, un leone può uccidere un umano. Ma non una tribù. Mentre i lupi possono farlo.

    In effetti, prima della nostra conquista del pianeta, i lupi erano i più diffusi predatori, soprattutto nelle zone meno abitate dai nostri antenati, come le tundre e le foreste ghiacciate del nord. Questo era dovuto a differenti fattori, ma quasi di certo la loro enorme adattabilità era il principale.

    I lupi non cacciano un solo tipo di preda. Inoltre, sanno organizzare l’intero branco e coordinare attacchi molto precisi, tramite segnali olfattivi, vocalizzazioni (ululati) e segnali del corpo (movimenti delle orecchie e della coda) inviati dal capobranco ai cacciatori. Come se non bastasse, sono molto abili a cambiare strategia a seconda di cosa stanno cacciando. Così, se inseguono un cervo adotteranno uno stile di caccia diverso rispetto a un cinghiale o a un coniglio. La forza del branco era a quei tempi insuperabile.

    Ovviamente la glaciazione fu un periodo piuttosto felice per i lupi!

    Va anche detto che di lupi ne esistono molte specie, ed è quasi sicuro che ne esistessero molte di più prima che noi li sterminassimo.

    Braccioforte sgranò gli occhi, e richiamò gli altri uscendo dal suo nascondiglio.

    «Ritiratevi, presto! Fuggiamo via!» senza dire altro, si girò per scappare.

    I due fratelli fecero come gli era stato detto, mentre Biondopelo rimase immobile con le armi in pugno.

    «Non mi farò spaventare da un paio di lupi! Che vengano, li farò a pezzi!»

    «Andiamo Biondopelo! Da solo non puoi farcela, non fare lo stupido!» lo chiamò Sguardoazzurro.

    «Allora restate anche voi!»

    «Non si mette in dubbio il capo!» aggiunse Nasolargo.

    «Non fuggirò per due lupi!»

    L’istante dopo, le belve vennero allo scoperto. Erano strani, non ne avevano mai visto di quel tipo. Completamente bianchi e sembravano più piccoli, per fortuna, di quanto si fossero aspettati.

    Il

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