Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il mistero della figlia di ra
Il mistero della figlia di ra
Il mistero della figlia di ra
E-book515 pagine7 ore

Il mistero della figlia di ra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Romanzo storico-romantico. Il Lord di Cavendish eredita un ingente patrimonio. L’atto legale, però, contiene una postilla testamentaria che obbliga Alex a finanziare gli scavi archeologici in Egitto, altrimenti l’eredità passa ai cugini Winloock. In Egitto gli archeologi Burton e McGregor cercano la tomba di Neferka; la competizione tra i due è forte. I dissapori fra il Lord e Burton non si fanno attendere: il nobile reputa l’avventura archeologica una perdita di tempo, mentre Burton vuole trovare la sacerdotessa di Ra e accertare la veridicità della profezia. Alan Winloock perde una grossa somma di denaro, intanto in Egitto lo staff archeologico è vittima di misteriosi furti. Il Lord si trova a scambiare della corrispondenza con Jo Burton, presunto figlio dell’archeologo. L’incidente mortale accorso alla sorella di Alan coincide con la misteriosa morte del Capitano di una nave dei Cavendish. Nel frattempo in Inghilterra Alex è preda di strani sogni premonitori. Jo Burton trova il sepolcro, ma, purtroppo all’ingresso della tomba c’è una maledizione. Alan Winloock è furioso: sua sorella è morta ed è stata trovata Neferka. Alex è vittima di un inspiegabile incidente con la carrozza, dove per poco non perde la vita. Il Lord parte per Saqqara e scopre che Jo è in realtà Joanna Burton, una donna bellissima. Tra i due scoppia subito l’attrazione. Durante il soggiorno al Cairo Alex si scopre, con sua somma sorpresa, geloso dell’amicizia che unisce Jo a Robert, altro membro dello staff archeologico. La maledizione della sacra figlia del Nilo sembra aver un fondo di verità, perché la tomba è colma di trabocchetti e manca poco che in uno di questi non perda la vita un operaio. Alla vista della mummia Joanna sviene. Alex e Jo, seguendo i dettami di una forza a loro oscura, fanno l’amore. Questo contatto li sconvolge ancora di più, risvegliando in loro due anime sopite da secoli. Un operaio di nome Omar scopre l’identità della persona che ha sottratto la maschera d’oro della sacerdotessa e così i vertici della spedizione interrogano Mustajab, stretto collaboratore dell’équipe. Alex capisce chi si cela dietro tutti i furti e gli incidenti accorsi allo staff archeologico e …
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2014
ISBN9788869091964
Il mistero della figlia di ra

Leggi altro di Greta Simmons

Correlato a Il mistero della figlia di ra

Ebook correlati

Relazioni per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il mistero della figlia di ra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il mistero della figlia di ra - Greta Simmons

    Il mistero della figlia di Ra

    Greta Simmons

    UUID:a5b1017a-bf24-11e3-8e61-27651bb94b2f

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Il mistero della figlia di Ra

    Indice dei contenuti

    Riflessioni

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    Saqqàra

    5

    6

    A sud di Saqqàra

    7

    8

    9

    Fu una notte di fine Agosto

    10

    Land's End

    11

    12

    Riunione in casa Cavendish

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    Epilogo

    Note

    Ringraziamenti

    Riflessioni

    Cenni storici e precisazioni

    Ciò che ha sempre angosciato il genere umano è la certezza della sua dipartita. In ogni epoca e per ogni popolo della storia la morte è apparsa come il più gran mistero della vita. Numerosi sono stati i tentativi di far luce su quest’enigma. Al mondo esistono certezze inconfutabili, perché basate su riscontri, e altre che, invece, non hanno fondamento razionale.

    Tutte le varie forme di credo nascono dall’irrefrenabile necessità dell’uomo di non sparire dopo la morte; proprio quest’esigenza ha determinato la nascita del mito dell’aldilà e del concetto di anima. L’uomo ha cercato di spiegare l’insolubile mistero della morte creando un mondo alternativo a quello dei sensi. La venerazione di un essere supremo o di variopinte divinità ha permesso di esorcizzare i timori dell’animo umano. Questi esseri sovrannaturali, in cambio di venerazione, garantiscono protezione durante l’esistenza terrena e felicità in una vita postuma alla morte. Tali credenze si sono modificate ed evolute nel corso dei secoli; talvolta l’ipotetica vita nell’oltretomba è divenuta più importante della stessa esistenza mortale.

    CITAZIONE

    Rammenta poi il giorno della sepoltura, il trapasso alla beatitudine; quando la notte ti sarà tutta dedicata, con olii e con bende, opera di Tayt. C’è una processione da fare per te nel giorno che sarai riunito alla terra: la cassa d’oro della tua mummia, con la testa di lapislazzuli, un cielo sopra di te, mentre tu sarai posto a giacere nel carro funebre, e i buoi ti porteranno.

    Sinuhe (Medio Regno)

    Per chiunque abbia un minimo di cognizioni sulla civiltà egizia è facile cogliere in questo brano gli aspetti fondamentali della cultura di questo popolo: l’ottimismo con cui affrontavano la morte, l’importanza delle cerimonie funebre, delle cure prestate al defunto e della costruzione di un rifugio eterno. Ogni egiziano in vita predisponeva il rito della propria sepoltura auspicando che colui che gli sarebbe sopravvissuto eseguisse scrupolosamente le sue volontà. Il trapasso e la vita nell’aldilà, in simbiosi con gli Déi, erano gli eventi più importanti dell’esistenza terrena e quest’ultima doveva esser vissuta in loro funzione. Ma il pessimista e lo scettico esistevano anche allora.

    CITAZIONE

    Colui che vi costruì nel granito, che innalzò una sala in una piramide; colui che vi mise tutta la bellezza d’un lavoro ben fatto; il suo altare sarà vuoto come quello del vagabondo, che muore sulle rive del canale senza lasciare alcun che lo pianga.

    (Poeta egizio)

    Gli enigmi di un tempo sono quelli di oggi; cos’è la morte? La fine o solo il principio? Esiste una nuova vita al di là da essa? Che senso ha l’esistenza mortale se dopo il decesso non v’è più nulla, o se l’altra esistenza, quella ultraterrena, è più importante?

    Nulla è cambiato: i quesiti dei popoli antichi sono sempre attuali.

    Le loro storie umane, le sofferenze e le gioie, gli amori e gli odi, le guerre e le perenni lotte contro il destino, sono identiche alle nostre. Ascoltiamo, perché gli uomini del passato ci parlano! I faraoni sono in mezzo a noi e ci trasmettono la loro conoscenza. Solo soffermandoci di fronte a un tempio, o ai resti inanimati di un fanciullo, fasciato e accudito come se la linfa vitale scorresse ancora nel suo corpo, riusciremo a captare i loro messaggi. Questi popoli ci narrano della loro esistenza mortale attraverso vari strumenti, siano questi sarcofagi d’oro massiccio o semplici stoviglie d’argilla, colossali testimonianze, come le piramidi, o povere vesti usurate. Parlare con questi uomini è indispensabile, ascoltarne i racconti è essenziale, immergersi nel loro tempo e nelle loro esistenze è di vitale importanza per capire il senso della vita e dell’intero creato. Ma la storia è bella perché è fatta anche di domande senza risposte, d’enigmi sorti sulle macerie dei secoli che ci dividono; misteri irrisolti ieri come oggi, quesiti che sembrano non trovare soluzione nel presente come nel passato. Loro, come noi, sono stati testimoni dell'evolversi dei tempi, del susseguirsi monotono della vita, come il giorno segue la notte e la primavera l’inverno. Tutto continua in un moto senza fine, e forse a noi non è dato sapere quale sia il disegno finale e quale senso abbia tutto ciò.

    Cenni storici

    La grande borghesia industriale e finanziaria europea doveva fronteggiare un proletariato sempre più consapevole della propria identità sociale, sempre più numeroso e organizzato. La cosiddetta questione sociale scuoteva tutto il panorama europeo.

    Nell’ultimo trentennio del secolo il Regno Unito, sotto la reggenza della Regina Vittoria, vide l’alternarsi di grandi uomini politici: Gladstone, Salisbury e Joseph Chamberlain. Questi tre gentiluomini inglesi, in modo più o meno diretto, fecero la storia del colonialismo britannico di fine secolo.

    Gladstone concedette ampio riconoscimento legale ai sindacati operai, meglio noti come Trade Unions. Lo sviluppo relativamente pacifico della vita politica e sociale inglese dell’800 fu in parte merito della classe dirigente che provvide tempestivamente a migliorare le condizioni di vita delle classi subalterne. Tale liberalismo poggiava sulle solide basi di un immenso impero coloniale, che forniva le risorse necessarie per soddisfare gran parte delle esigenze del proletariato e dei ceti meno abbienti. Le Trade Unions, proprio per questo motivo, non fecero mai una vera e propria lotta di classe, ma solamente rivendicazioni sindacali.

    I governi successivi di Salisbury e Chamberlain proseguirono la linea liberale e riformatrice di Gladstone, ma l’aggressivo sciopero dei portuali londinesi del 1889 portò alla nascita, nel 1893, del Partito del Lavoro inglese. Questo nuovo strumento di lotta intendeva farsi valere attraverso l’azione parlamentare secondo una prospettiva sempre più riformista.

    Con l’apertura del canale di Suez, nel 1869, l’Egitto divenne una nazione importantissima per la sua posizione strategica con l’Oriente e le Indie. L’Inghilterra desiderò subito avere il totale controllo della nazione e l’occasione propizia gli si offrì quando, tra il 1879 e il 1892, il pascià Mohammed Tewfik, a causa delle cattive condizioni di bilancio, accettò un controllo finanziario anglo-francese.

    Le rivolte arabe del 1882 spinsero la Gran Bretagna a un intervento armato in l’Egitto; la terra dei faraoni venne occupata militarmente e dopo alcuni anni nacque il Protettorato inglese.

    L’antagonismo tra Francia e Inghilterra per il controllo dell’entroterra africano era molto acceso ed entrambe cercarono di estendere i propri domini coloniali.

    La Francia, desiderosa di creare continuità fra le sue colonie atlantiche del Senegal, del Niger e del Sahara occidentale, avanzava verso le zone del Lago Ciad, in direzione del Mar Rosso; l’Inghilterra voleva costruire una fascia compatta di dominions che si estendeva dalla Valle del Nilo fino a Città del Capo.

    Le esplorazioni erano dense di pericoli, non soltanto per le conseguenze politiche che esse potevano scatenare, ma anche all’atto pratico, dal momento che le spedizioni attraversavano aree selvagge, popolate da indigeni e bestie feroci.

    Solo nel 1898 l’Inghilterra s’impadronì della terra dei Faraoni. In quell’anno due contingenti, uno francese diretto a oriente e l’altro inglese che procede verso il Sudan, si incontrarono a Fascioda, un villaggio dell’alta valle del Nilo. La guerra fra le due nazioni parve imminente, poi la saggezza, ma ancor più gli interessi economici e politici, ebbero il sopravvento; entrambi gli stati erano consapevoli che una guerra tra loro avrebbe giovato solamente all’espansione tedesca. La Francia si ritirò dall’entroterra egiziano lasciando campo libero all’Inghilterra e ottenendo in cambio il Marocco.

    Puntualizzazioni

    La storia di questo libro si snoda far il Cairo, Saqqara, Londra e Land’s End, ripercorrendo quelli che furono gli anni d’oro della ricerca archeologica. Questa scienza, infatti, stregò, nel secolo scorso, molti uomini importanti: dagli esploratori del calibro di Friedrich Norden a Giacomo Bruce, fino Howard Carter, coinvolgendo molti facoltosi aristocratici come sir Gaston Maspero e lord Carnarvon.

    Per ricostruire le varie fasi che permettono l’esplorazione di un sito archeologico, e le procedure scientifiche che ne consentono l’analisi, ho seguito i passi di Howard Carter nella sua biografia.

    Premetto, però, che in questo libro alcuni particolari storici sono stati trasportati in un’epoca antecedente in modo da ottenere un effetto più interessante. Tengo a precisare, inoltre, che non sono stati rispettati i tempi reali di un’opera di scavo archeologico. Infatti per riportare alla luce una necropoli delle dimensioni di quella da me descritta in questo testo occorrerebbero alcuni decenni. Basti pensare che le ricerche per la sola tomba di Tutankhamon si estesero dal 1917 al 1922, senza contare che Carter, negli anni successivi, mentre si occupava di altre tombe, continuava a dedicare particolare attenzioni al faraone fanciullo.


    Prologo

    Londra 1828

    Alfred mise in bocca l’ultimo pezzo di torta e si precipitò con il padre e sir Horace verso lo studio. Sir Horace aveva premesso di mostrargli la sua collezione di oggetti antichi, custoditi gelosamente in una stanzetta adiacente allo studio. Questa sala era stata allestita dagli stessi esperti che solo qualche anno prima avevano trasformato un anonimo edificio di Piccadilly Street in un piccolo museo, l’Egyptian Hall, atto a custodire i tesori portati in Inghilterra dall’esploratore Belzoni.

    Appena entrato Alfred rimase abbagliato: la stanza era ricolma di tante piccole teche di vetro, dove giacevano vasi, pugnali, statue e altri oggetti. Accanto a ognuno di essi vi era un foglio con scritto il nome dell’oggetto e la sua collocazione storica.

    Il bambino, rapito da tutto quel ben di Dio, girellò fra le bacheche sotto lo sguardo divertito di Williams Cavendish, suo padre, e di sir Horace Talbot gran cerimoniere alla corte della giovane Regina Vittoria.

    Il ragazzetto leggeva ad alta voce ogni foglietto contenuto nelle teche: vaso in ceramica di stile Kamares, minoico medio, raccolta di sigilli in pietre dure dell’epoca babilonese, statua mesopotamica in gesso, inizi del III millennio, daga micenea in bronzo del 1550 a.C. ; bracciale d’oro proveniente dalle vicinanze di Cartagine, V secolo a.C.

    _ Ti piacciono, figliolo? _ chiese sir Horace arrivando alla schiena del ragazzo e poggiandogli una mano sulle spalle.

    _ Oh, certo signore, sono fantastici. Questa roba è di gente morta da millenni, di cui non si sa nulla. Non sarebbe bello scoprire chi erano, com’è stata la loro vita, di cosa sono morti_ disse estasiato Alfred.

    _ Come ti diverti male, caro fratellino _osservò un ragazzetto dai capelli scuri e diritti come spaghetti. George poggiato allo stipite dalla porta sembrava non solo disinteressato, ma anche disgustato dall’euforia del fratello nei confronti di oggetti senza valore e, a suo parere, rifiniti anche male.

    Alfred non badò al commento del fratello e continuò a osservare le teche, mentre il padre e il cerimoniere si allontanavano, seguiti a ruota da George, il quale non vedeva l’ora di tornare ad ascoltare i discorsi paterni sul denaro e gli affari.

    Il ragazzo, rimasto solo tra quei cimeli, focalizzò la sua attenzione su un’insignificante scatoletta. Essa era in legno, malamente conservato, e sembrava non avere né coperchio né serrature. Nel foglio accanto all’oggetto erano riportati il disegno del reperto e il meccanismo che consentiva di aprirlo. Sul lato che rappresentava il coperchio erano raffigurati tre simboli: una bocca umana, un cerchio e un braccio umano. Secondo la spiegazione bastava premere il riquadro contenente i tre simboli perché il lato frontale del cubo si aprisse come una ribaltina. Una volta aperta la scatola si poteva estrarre un cassettino contenente un porta ampolle e tre piccole bottigline di vetro, oramai vuote del loro contenuto. Le boccette erano così trasparenti da sembrare quasi inconsistenti e riflettevano la luce come delle pietre preziose, come dei diamanti.

    Il simbolo raffigurato nel coperchio era il geroglifico che in egiziano indicava il Dio sole Ra e la scatola, secondo gli esperti che avevano redatto il foglio, era una custodia porta-ferri appartenuta sicuramente a un medico egiziano.

    Alfred schiacciò il naso contro il vetro della bacheca per vedere meglio quello strano oggetto, ma alle sue spalle si sollevarono dei bisbigli. Erano voci di uomini e di donne; voci basse, quasi impercettibili.

    Il ragazzo impaurito si girò di scatto, ma le voci cessarono di colpo. Alfred si guardò attorno con aria circospetta, poi fuggì via, raggiungendo gli altri in salotto.

    Il ragazzetto, per paura di essere deriso dal fratello maggiore e destare così l’ilarità degli adulti, cercò di non mostrare il suo turbamento. Nella sua mente, però, echeggiavano ancora quelle voci. Nonostante fossero tenui, Alfred era riuscito ugualmente a capire ciò che dicevano. Quei bisbigli, infatti, ripetevano sempre la stessa parola: Änkh Kheper.

    1

    Il papiro di Meret

    (LETTERA DA LORD ALFRED CAVENDISH A THEODORE POTTER)

    Dover House, 10 Marzo 1893

    Caro Potter,

    avvertite i miei dipendenti che non posso accogliere la loro richiesta di aumento salariale. La spedizione archeologica mi sottrae molte risorse e per il momento non posso fare fronte ad altre spese. La mia salute purtroppo non mi consente più di discutere con i compratori e tantomeno con i dipendenti; Vi pregherei di rivolgerVi a mio nipote Alexander.

    Lord Alfred

    Saqqâra – Marzo 1893

    Antico Egitto, basta il nome per evocare uno scenario mitico carico di mistero, gloria e romanticismo. Dune color dell'oro si susseguono come onde d'oceano, dando vita al più gran deserto del mondo, il Sahara. Rocce maestose si ergono come piramidi naturali, vegliando silenziosamente sul sonno eterno degli antichi faraoni e delle loro spose reali. Il verde Nilo inonda questa terra arsa, la feconda con il suo prezioso limo e le garantisce vita e prosperità.

    Come non ricordare le oasi lussureggianti, la famosa piana di Ghiza con le sue meraviglie architettoniche e la città del Cairo con le sue medine e il folclore arabo che l'accompagna?

    Egitto, angolo d'Africa, terra di dinastie leggendarie e di tesori inestimabili, di mummie e di maledizioni, di sovrani fanciulli e di potenti caste sacerdotali, di bellissime donne e di Déi dal corpo d'uomo e la testa d'animale. Tutto questo è l'antica terra dei Faraoni.

    Dagli inizi dell’800 nella Valle dei Re si erano concentrate le attenzioni di famosi e discussi egittologi: dal gigantesco Belzoni scopritore delle tombe di Ay, Ramses I e Seti I a nomi del calibro di Rosellini e Wilkinson fino a Lepsius, capo della spedizione tedesca. Le scoperte furono numerose e di gran rilevanza storica, come per esempio il fantastico ritrovamento nel luglio del 1881 del misterioso sepolcro di Deir el-Bahari. Intanto nella lingua di terra fra Ghiza e Saqqâra molti archeologi provenienti da vari paesi, invece di dedicarsi alle potenti teste coronate dell'Alto e Basso Egitto, si adoperavano per riportare alla luce dalle viscere della terra la misteriosa necropoli sacerdotale di Eliopoli.

    I lavori proseguivano senza sosta. Gruppi d'egittologi americani, tedeschi e britannici si erano divisi un'area di varie miglia setacciandola palmo dopo palmo. Lentamente riaffioravano dalla sabbia centinaia di piccole e grandi mastabe, dove per migliaia d'anni avevano riposato indisturbati gli abitanti dell'antica città sacerdotale dedicata al culto di Ra.

    Norman Burton e il suo gruppo erano alla loro quarta stagione di scavi. Avevano rimosso tonnellate di detriti di superficie senza grandi risultati. A parte gli importanti, ma non entusiasmanti ritrovamenti di numerose tombe di ancelle, di eunuchi e di qualche scriba non si erano mai imbattuti, al contrario dei loro colleghi, nel sepolcro di qualche sacerdote. Il vero miraggio inseguito da tutti gli studiosi di quella piana era la tomba di Neferka.

    In molte, se non in tutte le dimore eterne riportate alla luce, i cenni a questo personaggio sconosciuto erano molteplici: dalle pitture murarie in cui appariva con sembianze divine e si apprestava a compiere i riti magici per facilitare il viaggio dell'anima del defunto nell'oltretomba, fino agli scritti nei quali intercedeva per lui dinanzi agli Déi. Le possibilità di trovare la sua tomba erano però assai scarse, giacché mai era stato rinvenuto un oggetto recante direttamente il suo cartiglio e quindi nessuna prova tangibile pareva confermarne l'esistenza.

    Quel mattino Norman aveva finito di asportare da un sepolcro alcuni oggetti del magro corredo funebre di uno scriba. Ma anche in questo caso, a parte una pittura alle spalle del sarcofago raffigurante Neferka nell'atto di offrire dei doni al Dio Sciacallo, non vi era nulla di concreto.

    Norman salì a passi rapidi il corridoio che riportava in superficie, un androne stretto e angusto dove ogni cosa, dalle pareti al soffitto, era costituita da grandi pietroni levigatissimi.

    La sola fonte di luce che regnava in quel luogo sommerso, era quella che penetrava dall'apertura in superficie. Gli unici suoni che si udivano, erano l'eco dei suoi passi e il suo respiro affannoso. Una volta riemerso, come un fantasma, dall'oscurità della tomba di Nuk, l'aria asciutta del deserto aggredì i suoi polmoni con la violenza di una tempesta.

    Appena fuori fu costretto a serrare le palpebre per consentire alle sue pupille di riadattarsi alla luce intensa degli afosi giorni africani. Il sole era già alto nel cielo, la sabbia cominciava a bruciare come carboni ardenti, mentre afose folate di khamsin carezzavano il volto dello studioso americano. Dinanzi ai suoi occhi si apriva il deserto di Saqqâra, mentre in lontananza, come maestose sentinelle custodi degli antichi secreti di quel popolo, troneggiavano le piramidi di Ghiza. Sul versante destro, invece, s'intravedeva il Cairo con i suoi colori urbani.

    Norman, dopo essersi asciugato la fronte imperlata di sudore con la manica della camicia, si diresse verso la tenda. Qui Jo, Robert Cropper e Danny Link lo attendevano per dare inizio ai lavori di conservazione dei reperti.

    Alì il capo degli operai, che da anni seguiva gli scavi di Burton, aveva già portato le ceste sotto l'ombra clemente del tendone. Danny, dopo aver ripulito i reperti e aver annotato nei documenti d'archivio eventuali misure e iscrizioni, aveva iniziato le fasi di restauro conservativo; stava, infatti, cominciando a lavorare su una statuetta shawabti, dipinta e decorata con sottili lamelle in oro, quando la voce di Norman lo ridestò dal suo meticoloso lavoro.

    _ Una volta trattata con la paraffina Jo fotograferà la statua da ogni angolazione per rifarla in scala nei nostri disegni e infine partirà per il Cairo _ affermò con voce incolore.

    Danny era un giovane di bell'aspetto alto e robusto con ancora ben leggibili, nei suoi tratti, le origini comanche. Possedeva un'ottima istruzione e una laurea in chimica utile ai fini della conservazione dei reperti, oltre a una nutrita esperienza di scavi nella valle tebana. Norman l'aveva dappoco reclutato durante un suo viaggio al Cairo per acquistare i rifornimenti dell'accampamento, sottraendolo al britannico McGregor.

    In fondo al tavolaccio di legno sedevano Robert e Jo, allievi di Norman alla facoltà d'Archeologia di Boston.

    Lo sguardo di Danny si posò sul vecchio scavatore come se lo vedesse per la prima volta in vita sua.

    Il Norman Burton d'oggi non era che l'opaca copia di quel docente universitario, che meno di quattro anni addietro aveva abbandonato volentieri le aule degli atenei per cimentarsi di nuovo nella ricerca archeologica. Norman era lo spettro di colui che aveva intrapreso con entusiasmo l'avventura di Saqqâra; i continui insuccessi e il susseguirsi d'anni sterili avevano annientato del tutto quell'ottimismo. Era visibilmente dimagrito, con il volto pallido, tirato, e l’espressione confusa.

    L'avvicendamento in casa Cavendish aveva avuto il suo peso sull’umore di tutti i membri del gruppo. L'incertezza li consumava. Lavoravano ogni giorno agli scavi intensamente come se fosse l'ultimo, come se da un momento all'altro arrivasse l'annuncio di sospendere le ricerche. Le notizie di altre tombe riemerse dalla sabbia si susseguivano, rincorrendosi per tutta la piana. L'apprensione cresceva, l'ansia li divorava: forse il rifugio sotterraneo di Neferka era stato scoperto e la bell'avventura nel deserto di Saqqâra per alcuni era finita senza gloria. All’improvviso puntualmente la smentita: il sepolcro non era quello tanto agognato. Le ricerche allora ripartivano frenetiche e i loro cuori tornavano ad accendersi di speranza.

    _ Alcune volte non so se dobbiamo dichiararci sconfitti oppure continuare _ affermò Norman poggiando le mani sul tavolo e mirando l'orizzonte, come se attendesse che le piramidi gli fornissero la risposta a quel dilemma.

    _ No, abbiamo solo bisogno di un po' di fortuna. Se la signora, padrona della sorte, si facesse anche solamente accarezzare! _ cercò di sdrammatizzare Danny.

    _ Altro che fortuna... ci vorrebbe una fatina buona con tanto di bacchetta magica _ replicò l'archeologo sforzandosi di nascondere la sua frustrazione. _ Anzi ci vorrà un miracolo, dopo che quel tronfio caprone del Duca Alexander di Cavendish avrà ereditato l’impresa di suo zio.

    _ Accidenti! _ imprecò fra sé. Non avrebbe dovuto abbandonarsi a commenti così crudi di fronte alla sua équipe. Questa volta si era sbilanciato troppo e i volti attoniti dei suoi discepoli furono per lui più che una risposta. Ma oramai era tardi per potersi rimangiare tutto e lui, inoltre, non era sicuro di volerlo fare.

    _ Che cosa vorreste dire? Che Lord Alfred lascia l'incombenza degli scavi a qualcun altro?_ domandò Robert alzando il naso dalle carte geografiche della piana e lanciandogli un'occhiata curiosa.

    _ Non proprio, ma ho ricevuto un cablogramma di Mr. Turner dove m’informa del peggioramento delle condizioni di salute di Lord Alfred Cavendish _ proseguì con aria grave. _ Il suo cuore comincia a fare i capricci e spesso è preda di vertigini e affanni. Non mangia quasi niente e soffre di continui mal di stomaco. Addirittura qualche giorno indietro è stato trovato dai domestici privo di sensi su di una poltrona. Alle domande dei medici è andato in collera, protestando che stava benissimo e che, come tutti i vecchi, ogni tanto si appisolava. _ l’uomo sospirò profondamente. _ Secondo questi uomini di scienza gli è rimasto molto poco da vivere. Noi non abbiamo a che fare con l'eredità di Alfred, ma, essendo lui il nostro unico finanziatore, Mr. Turner ha reputato opportuno avvisarci delle sue precarie condizioni e accennarci anche il nome di colui che sarà il suo successore.

    _ E dalle vostre espressioni di poco fa è facile dedurre che non sia una persona degna di stima. Lo conoscete bene? _ Robert lo fissò aggrottando la fronte.

    Norman avrebbe voluto riparare a questi suoi ultimi commenti, fin troppo espliciti, invece recò ancor più danno.

    _ No, non di persona, ma mi sono informato un po' e pare che, al contrario di suo zio, non nutra molto interesse per questo tipo di ricerca. Gira voce che sia avaro, arrogante e per giunta anti-americano. Badate bene, non voglio dire che non abbia delle qualità, anche se, forse, sono un po' troppo nascoste.

    Ne seguì una breve pausa, poi riprese a parlare. Cercò di misurare le parole per non creare nelle loro teste ancor più pregiudizi di quanti già non vi regnassero. Nonostante ne avesse le intenzioni, non riusciva a parlare bene di quell’uomo: la sua fama non glielo consentiva.

    _ Insomma è uno dei nuovi astri dell’alta finanza europea ed è ricco, spaventosamente ricco. Lord George Cavendish e poi Lord Alfred lo hanno educato alla difficile arte degli affari ed è capace di fiutare un buon investimento anche a miglia di distanza. E' un uomo dotato di fascino, ma privo di grazia; è sgarbato, rude: la sua posizione sociale glielo consente _ continuò. _ Dobbiamo quindi prestare attenzione perché proprio queste sue qualità lo rendono pericoloso. Pare che vada più orgoglioso delle sue capacità di magnate finanziario, che del titolo nobiliare. L'avversione contro il nuovo mondo credo derivi principalmente dalla concorrenza economica fra i due paesi. Inoltre non sarebbe abbastanza inglese se non fosse antiamericano, no? _ tentò infine di scherzare, ma il quadro che aveva dipinto non faceva certo sorridere.

    _ Credete che getterà la spugna? _ incalzò Danny, esitando un attimo per paura di una risposta affermativa.

    _ Non saprei. Lui prende a cuore solo ciò che è economicamente interessante; noi non abbiamo ritrovato sepolcri di persone altolocate con corredi funebri preziosi. Inoltre tutti i reperti rinvenuti appartengono, in primo luogo, all’umanità intera e, in secondo, al governo d’Egitto. Ai suoi occhi quest’impresa non è in grado di fornirgli altro che qualche articolo sul Times.

    _ Pensate che creda di trovare nella tomba di Neferka un tesoro di proporzioni faraoniche?

    _ Forse. A ogni modo Lord Alfred mi ha dato la sua parola. In caso fosse venuto a mancare, gli scavi sarebbero proseguiti.

    _ E ci dovremmo fidare delle sue promesse? Quell'uomo sta morendo e a noi servono garanzie _ intervenne Jo con tono acido.

    _ Cosa vorresti fare? Imbarcarti sulla prima nave battente bandiera inglese, presentarti alla porta di casa Cavendish e chiedere al Lord di firmare un contratto in cui s'impegna a proseguire i lavori forse? Questa è la nostra causa e quella di suo zio, non la sua _ ribatté con convinzione il giovane meticcio.

    _ Insomma, basta. Lord Alfred non è ancora passato a miglior vita e anche il notaio mi ha assicurato che il nostro finanziatore ha lasciato disposizioni precise, affinché gli scavi non cessino _ sbottò Norman esasperato. _ Lord Alfred è un signore, un uomo corretto e stimato.

    _ Qualità che ha trascurato di tramandare al suo discendente _ lo interruppe Jo con espressione sdegnosa.

    _ Comunque la sua parola ha un certo peso per me. _ Norman sapeva bene quanto i suoi giovani discepoli avessero ragione, ma doveva mantener la calma e attendere gli eventi. Solo il tempo avrebbe detto se Alexander Cavendish era contro di loro. _Il vero problema non è Lord Alfred o Lord Alexander Cavendish, ma Neferka. _ continuò l’archeologo _ Esiste veramente o è solo un sogno? Più di una volta ho esaminato i numerosi déi che dominavano il culto egizio, ma il nome di Neferka non compare mai; quindi doveva essere per forza una persona e non una figura mitologica. Ma niente. Non abbiamo trovato nessun riscontro pratico che avvalori questa tesi. E se veramente fosse stata una figura immaginaria, evocata durante i riti funebri per aiutare il defunto?

    _ No padre, non può essere così! _ lo interruppe Jo. _ Le raffigurazioni di Neferka sono pochissime, inoltre nei dipinti il suo volto è stato deturpato e il suo cartiglio rimosso. Questo personaggio ha subito una sorta di persecuzione, è stato bandito dalla società, cosa che un egiziano non si sarebbe mai azzardato a fare contro una divinità.

    _ Non direi. Esaminiamo per un attimo i fatti. Non sappiamo nulla della sua vita; l’unico scritto in nostro possesso è un papiro risalente presumibilmente al periodo in cui era ancora in vita e in questo pezzo di carta Neferka non è certamente ritratta come una persona normale _ scandì ad alta voce alta l’ultima parola pronunciata. _ Non c’è alcuna traccia di una sua esistenza terrena. Ciò fa presupporre solo il peggio e ci porta a un'unica e inequivocabile risposta. Neferka era solo una sorta di divinità minore _ insisté Norman perentorio. _ Il fatto della raffigurazioni rovinate può esser spiegato in mille altri modi. Il culto ufficiale dell’epoca può averla rifiutata e piano piano ha cancellato le sue immagini. Noi abbiamo inseguito un fantasma per ben quattro anni…ve ne rendete conto?

    _ No. Non sono d’accordo. Non sembra un abbandono per gradi, ma un gesto di rabbia: nelle raffigurazioni il suo volto è stato rigato, graffiato e preso a picconate. In capo a pochi anni la sua figura è letteralmente scomparsa _ osservò pensieroso il giovane Cropper.

    _ Padre non dovete abbattervi così. _ incalzò Jo _ Non permettete al tarlo del dubbio di penetrare nella vostra mente. Voi avevate visto al di là delle piramidi, dove gli altri scorgevano solo sabbia e detriti.

    _ Sì, ha ragione Jo. Tutti i maggiori scienziati credevano che la necropoli sacerdotale fosse adiacente alla città-tempio di Anu, quindi sepolta sotto le fondamenta dei palazzi del Cairo. Voi siete stato l'unico a ipotizzare che potesse trovarsi altrove, nella piana che divide le piramidi di Ghiza dalle loro più modeste gemelle di Saqqâra _ convenne Robert. _ Nessuno aveva mai pensato che in questo luogo tranquillo, lontano dal vivo brulichio d'Eliopoli e Menfi, si celasse la città sepolcrale di Ra.

    _ Esatto. Gli scavi vi hanno dato ragione. Avete forse dimenticato che anche a quei tempi l'impresa pareva disperata? Solo la vostra tenacia vi ha aiutato _ confermò Jo, mettendo nel suo discorso tutta l'enfasi di cui era capace.

    _ Non potete arrendervi a un passo dal traguardo. Non ve lo permetteremo _ incalzò Danny dall'altro lato.

    Da ogni parte giungevano a Norman frasi d'incitamento, che lo spronavano a continuare. Vedere la speranza nei loro volti, percepire la forza delle loro giovani anime e la fiducia che riponevano in lui, gli dette coraggio.

    No, non doveva cedere. Aveva combattuto un'intera vita per raggiungere il suo scopo. Aveva lottato con i genitori che lo volevano medico, con la moglie che aveva insistito perché facesse l'insegnante e infine con il rettore, che, a suo tempo, gli aveva suggerito di lasciare queste imprese ai giovani.

    Adesso non poteva mollare così.

    _ Oh, Jo tu sei l'unica cosa bella della mia vita. Hai ragione. Avete ragione, finché ogni cumulo di terra non sarà rimosso e ogni angolo non sarà esplorato, vale la pena tentare, insistere, perseverare...e al diavolo questi inglesi e tutta la loro boria _ sbottò.

    _ Grazie amici miei, grazie. Senza di voi sarei perduto. Voi tutti siete la voce della mia coscienza _ cercò di scherzare per nascondere l'imbarazzo, ma gli occhi ancor lucidi per la commozione lo tradivano. _ Ci resta ancora tutta l'area a sud-est verso Dahshur e il piccolo spicchio di terra nei pressi dell'oasi _ disse alzandosi.

    Sotto gli occhi vigili dei suoi ragazzi afferrò la carta geografica e prese a studiarla attentamente. L’intero gruppo provò un profondo piacere nel vederlo di nuovo all'opera.

    _ Chissà forse Neferka è proprio sotto i detriti degli scavi di McGregor. Accidenti a quell’irlandese e il suo capo scriba Meret _ imprecò. _ Per riportare alla luce quel sepolcro ha gettato tutta la sabbia nella nostra zona. Ci vorrà un mese per rimuoverla. Questi inglesi stanno veramente cominciando a infastidirmi, me li trovo sempre tra i piedi.

    L’uomo a quella frase si abbandonò a una grassa risata, che finì per contagiare anche i suoi aiutanti.

    L'avventura non era ancora finita.

    (LETTERA DA BURTON AD ALEX)

    Saqqâra, Abu Sir, 03 Luglio1893

    Ill.mo Alexander Cavendish Duca di Cavendish,

    apprendo con sincero e profondo rammarico della prematura scomparsa di Vostro zio Lord Alfred Cavendish. Il mondo finanziario, ma ancor più quello culturale, ha perso un grande uomo capace di forti passioni. Son dunque venuto a Voi per porgerVi, in nome di tutto il gruppo di lavoro, le nostre più sentite condoglianze.

    Norman Burton 

    Professore di Archeologia e Storia Antica alla Boston University

    (LETTERA DA THEODEORE POTTER AD ALEXANDER CAVENDISH)

    Regent Street, 11 Luglio 1893

    Gentilissimo Duca Alexander Cavendish,

    mi vedo costretto a esporVi una richiesta già nota a Vostro zio poco prima della sua morte. Il Vostro personale marittimo avanza queste richieste: aumento salariale, riduzione delle ore lavorative e, per alcuni dipendenti, la destinazione a svolgere mansioni sulla terra ferma. Theodore Potter

    Londra

    _ Vi ho convocato tutti quanti per illustrarvi le volontà testamentarie di vostro zio Lord Alfred Cavendish, fratello del già defunto Lord George Cavendish _ iniziò il notaio con voce grave inforcando gli occhiali.

    Ancora una volta, come qualche anno addietro, Alex con Evelyn e la zia Agatha si ritrovavano faccia a faccia con quello strano e buffo nanerottolo di Thomas Turner, uno dei notai più famosi di Londra.

    L'attempato ometto aveva il viso tondo e paonazzo, con un vistoso doppio mento e due baffoni grigi da austriaco; era basso, grassottello e completamente calvo; proprio quest'ultimo dettaglio gli era valso il soprannome di palla di cannone.

    Sprofondato nella sua poltrona, dietro un immenso scrittoio settecentesco, trafficò qualche istante in cerca del testamento. Da una custodia di pelle estrasse il foglio in questione. Poi con la coda degli occhi vagabondò per tutto lo studio. Quel giorno dinanzi a quella strana fauna nobiliare il suo umore non era certo dei migliori.

    I suoi occhietti, pungenti come spilli, ispezionarono da capo a piedi ogni erede intervenuto per la lettura testamentaria. Vicino alla finestra, con un'espressione del tutto indifferente, sedeva il nuovo duca Cavendish.

    Il giovane era accompagnato dal fedele segretario, uomo mite e timorato di dio, dalla dolce sorella e da quella visionaria di sua zia. Su di un divanetto, dal lato opposto della stanza, si erano sistemati i gemelli Winloock, cugini dei Cavendish, mentre leggermente più arretrato c’era l’amministratore del defunto sir.

    Ancora una volta Thomas pensò che di tutta quella stirpe, fra rami diretti e cadetti, il miglior membro era proprio lady Evelyn, una donna di gran cuore, dai modi discreti e benevola con tutti. Evelyn non era neppure lontanamente paragonabile all'altero e borioso fratello, o a quell'invasata della zia.

    Thomas, con la sua vecchia pipa schiaffata in bocca, dette una rapida occhiata ai cugini.

    Il Barone Alan era famoso per la sua passione per le scommesse, con cui aveva dilapidato il proprio patrimonio e adesso dava fondo a quello del cognato. Mentre Brigitte, la sorella gemella, era una donna triviale, dagli atteggiamenti stucchevolmente falsi e ambigui. La sua reputazione rendeva la più incallita prostituta un'ingenua educanda appena uscita di collegio.

    Thomas, con una smorfia, ricacciò le proprie opinioni negli angoli più remoti della sua mente e si calò nel ruolo a lui più congeniale, quello di notaio.

    Da un mazzetto di documenti estrasse una lettera giallastra ancora sigillata. Si asciugò la fronte con un fazzoletto di lino e incominciò con qualche frase introduttiva.

    _ Come voi tutti sapete, l'Ammiraglio Alfred Cavendish non aveva né moglie, né prole diretta e quindi i suoi averi passano agli eventuali eredi nominati in questo testamento.

    Alex, con il volto verso la finestra, fissava, senza realmente vederlo, il paesaggio. Al di là del vetro appariva imponente la facciata della Royal Academy, incorniciata da una corolla di grigio cielo autunnale.

    La lettura cadenzata dei preamboli testamentari giungeva nitida e chiara a tutti i presenti, ma il giovane Cavendish sembrava non udirla affatto. La voce garrula di Thomas pareva alle sue orecchie come una sorte di monotona litania, una cantilena già udita durante il precedente testamento paterno. Alex era assorto nei suoi pensieri.

    Sapeva di essere il diretto discendente maschio di Cavendish, figlio del sedicesimo lord di Cavendish. Considerava gli eredi convocati dal notaio, a parte sua sorella, solo un branco di svitati. Era ovvio che il patrimonio di suo zio andasse interamente a lui.

    Tutti i suoi sensi erano protesi a udire la voce della sua mente e i malinconici racconti che essa portava con sé. Le immagini si susseguivano nel suo cervello, scandite dal regolare ticchettio dell'orologio a pendola dello studio. Come in un sogno vide la luce soffusa dei candelieri agli angoli del pesante letto a baldacchino e le ombre inquietanti di parenti e amici che, come avvoltoi, si aggiravano attorno al capezzale di zio Alfred.

    La sua vita era scivolata via come un rivolo d'acqua fresca sulle mani. La morte quella mattina era arrivata silenziosa e discreta, come una cara e vecchia amica alle prime ore dell'alba di una soleggiata giornata. Tuttavia la mente di Alex era ancora turbata dall’immagine del vecchio steso su di un letto e immerso in un sonno dal quale non si sarebbe più destato. Di quel distinto signore inglese, oramai fattosi di marmo, restava solo il ricordo affettuoso.

    Rivide su zio adagiato sul letto con indosso l’alta uniforme da Ammiraglio della Gloriosa Marina Britannica. Gli riapparve il suo volto ben delineato, tangibile come fosse stato di fronte ai suoi occhi, con la barba brizzolata e i lineamenti severi.

    La divisa gli stava larga. Negli ultimi mesi dei forti mal di stomaco gli avevano impedito di nutrirsi in modo adeguato.

    Alex rammentò le loro conversazioni fino a tarda notte e le opinioni discordanti che li dividevano.

    Riudì i discorsi di quel simpatico vecchio tutto dedito alla ricerca di culture dimenticate e di mitici tesori sepolti, mentre lui, uomo pragmatico e calcolatore, vedeva non nel collezionismo d'arte, ma nello sfruttamento delle colonie l'unica fonte di sviluppo.

    Il nuovo Lord aveva voluto molto bene a suo zio più che al suo stesso padre, al quale aveva sempre rimproverato il matrimonio con quella scellerata di Jacqueline. Bella e odiosa Jacqueline pensò. Neppure adesso che era morta riusciva a chiamarla mamma e lei comunque, non glielo avrebbe mai permesso, perché ciò la faceva sentire vecchia.

    Al ricordo di quella donna una smorfia di sdegno gli fece contrarre il volto. Provava ancora molto rancore nei suoi confronti e subito preferì tornare con la mente al vecchio e caro zio Alfred l'Africano, com’era stato amorevolmente soprannominato in casa. Di lui ricordava la sua passione per le belle donne, l'amore per il buon whisky scozzese e il disgusto, poco inglese, per il tè che lui stesso importava dall’India. Alex sorrise a quei lontani ricordi. Di Alfred aveva invidiato il temperamento sanguigno, che, a sessantacinque anni suonati, gli faceva ribollire il sangue nelle vene, come se n’avesse avuti solo venti.

    In suo zio l'entusiasmo e la collera prendevano fuoco e divampavano come un incendio in un campo inaridito dal sole e dalla siccità. Era in grado di alterarsi, gridare e liberarsi di tutte le frustrazioni, ma altrettanto velocemente sapeva placarsi e tornare mansueto come un agnellino.

    Di fronte a lui e al suo ricordo Alex si sentiva inadeguato. Era incapace di provare trasporto per qualsiasi cosa, fosse un ideale o un sogno. Non sapeva esprimere i sentimenti e teneva tutto dentro di sé, ricacciando ogni frustrazione nelle parti più remote del suo cuore.

    Sono figlio di mio padre ripeté a se stesso.

    Alex era incapace di arrabbiarsi, di fare effusioni o complimenti e questo lo faceva sentire a disagio, mentre a volte considerava quest’aspetto del suo carattere una sorta di vantaggio.

    Tuttora, a più di trent’anni, non riusciva a gridare tutto il suo rancore per un padre sempre troppo impegnato con i suoi interessi, quel padre padrone che aveva gestito la vita di tutti i membri di quella casata, dai vecchi genitori alle sorelle, con i loro matrimoni più o meno disgraziati. George aveva influito anche sull'esistenza del fratello vissuto

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1