Diavolicche 2.Serio IL RITORNO dell'ingiustizia
Di Gino Olivani
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Anteprima del libro
Diavolicche 2.Serio IL RITORNO dell'ingiustizia - Gino Olivani
anonima.
PREFAZIONE
Procediamo per gradi, come dissero i termometri. Prima di tutto lasciate che vi spieghi che cosa è una prefazione. Una pre
-fazione è qualcosa che si scrive prima di un libro, o comunque di qualcosa, come in questo caso, che gli possa assomigliare vagamente. Se si scrive dopo, quella è una post-fazione. Se si scrive nel mezzo, quella è una fazione. La fazione è composta di faziosi; se non avete un’idea di che cosa siano, potete guardare un telegiornale oppure una telecronaca di una partita della Roma sulla RAI, evento fortunatamente sempre più raro. Le partite devono essere necessariamente quelle della Roma e sulla RAI (al limite anche dell’Inter su Sky, se se il telecronista è Lele Adani), per il telegiornale invece va bene uno qualsiasi, potete scegliere liberamente, visto che in Italia c’è libertà di scelta.
Di solito un autore non scrive da sé una prefazione, ma se la fa scrivere da qualcun altro, preferibilmente da un amico (se non ne ha neanche uno se lo può sempre procurare), per essere sicuro che scriva solo cose carine anche se il libro fa schifo. Nel mio caso nemmeno questa precauzione mi sembrava sufficiente e in ogni caso avevo già chiesto agli amici dei grossissimi favori e non potevo proprio chiederne un altro: il primo grossissimo favore era quello di acquistare il libro Diavolicche 1-0: Ma ‘nke mondo si vive (e si more)
, poi agli amici intimi e ai parenti avevo chiesto anche l’estremo sacrificio di leggerlo. Dal che si può concludere che pubblicare un libro sia la maniera più efficiente per contare gli amici veri e quelli che ti devono un favore. Per contare i parenti stretti invece basterebbero gli whatsapp con la gif animata di Santa Klaus a Natale o le rimpatriate dal notaio in caso di eredità. Dicevo che la norma è che si chiede ad un amico di scriverti la prefazione e nel caso sia un amico intimo quello ti scriverà non solo la prefazione, ma anche tutto il libro. Questo è quanto succede di solito con i libri firmati dai personaggi famosi, i quali evidentemente hanno molti amici veri.
Una volta spiegato, e bene credo, che cosa sia una prefazione e dove vada scritta veniamo al perché
ho deciso di scrivere una prefazione. Io non so per gli altri, ma almeno per me il primo scopo di una prefazione è quello di allungare un po’ il libro, in modo che arrivi ad essere presentabile o almeno vendibile, anche se i due aggettivi spesso non coincidono affatto. Va detto subito però che allungare un libro può essere anche un’operazione molto pericolosa, soprattutto oggi che i libri lunghi fanno paura a tutti (a parecchi anche quelli corti). Ci devono pertanto essere anche altre ragioni per scrivere la prefazione (e il libro stesso). Una molto comune è quella di cercare di spiegare come mai c’è venuto in mente di scrivere un libro invece che, per esempio, fare un torneo di burraco o costruire un mobiletto per la cucina, che fra l’altro avrebbe fatto molto più contenta la moglie (il mobiletto, non il burraco). Per il primo libro non c’è una spiegazione. Il primo libro di solito, come nel mio caso, non si decide di scriverlo, più o meno come tante volte non si pianifica di andare al gabinetto: ti scappa e basta (il vantaggio di scrivere il libro è che lì è sempre libero). Per il secondo invece le cose stanno diversamente: se si scrive il secondo lì non ci sono scusanti, non c’è perdono, non puoi dire semplicemente Opps… m’è scappato…
come se fosse una puzzetta. Qui il discorso si fa più complicato.
Io essenzialmente ho deciso di scrivere la prefazione al 2° volume della bilogia Diavolicche per dare una risposta alla domanda che molti di voi sicuramente si saranno posti: dopo il terrificante primo libro, c’era proprio bisogno di umiliarsi ulteriormente scrivendo un’altra commedia su Diavolicche?
. La risposta è: no. Anzi, era altamente sconsigliato. E vi spiego anche il perché.
Ci possono essere vari motivi per i quali un autore decide di scrivere un sequel ad una opera prima. Il caso più comune è che l’opera prima abbia riportato un inatteso successo. Ovviamente nel caso di un’opera prima l’autore alle prime armi si è calato totalmente le braghe davanti all’editore (nessun riferimento sessista), ammesso che ne abbia trovato uno, e ha accettato di pagare anche di tasca propria pur di farsi pubblicare il libro. Se il libro ha poi avuto un inatteso successo i soldi se li è pappati più o meno tutti l’editore, che sicuramente ha fregato l’ineseperto novellino, il quale è andato invece verosimilmente in rosso. Una buona ragione per un autore di scrivere un sequel è quindi quella di cercare di far pari e di cominciare anche a riprendere un po’ di soldi: non sarà una ragione molto elegante ma è del tutto comprensibile. Tuttavia, ci può essere anche la motivazione esattamente opposta. Dopo un insuccesso che l’autore considera immeritato e decretato solo da un pubblico distratto ottuso o prevenuto, il sequel serve a tentare di prendersi la rivincita, un po’ come la partita di ritorno nella Champions League. L’autore intende cercare di bilanciare il primo fiasco con un clamoroso successo e così passare il turno. Ma allora per quale ragione, vi chiederete, e qui passiamo al terzo scenario possibile, dopo un fiasco economico, di critica e probabilmente anche di vino come quello del primo libro, l’autore di Diavolicche 1-0: Ma ‘nke mondo si vive (e si more)
ha masochisticamente deciso di bissare il clamoroso insuccesso del primo libro?² Per quale insano motivo ho deciso di aggiungere fiasco a fiasco, dando inizio al progetto che ha denominato Progetto Cantinetta
³? (Questa è infatti l’unica opera che invece che fare fiasco dopo
essere stata scritta dall’autore sembra essere stata scritta da un autore che si è fatto un fiasco prima
di scrivere l’opera)
La risposta è: boh. Ho pensato: tanto io ho il mio pubblico di nicchia, per fortuna ho dei figli, una moglie, ho perfino un genero disposto all’acquisto, qualche collega e qualche amico che mi deve un favore, un paio di copie o tre le posso comprare io, insomma ho fatto i miei conti e ho detto chi se ne frega
: chi se ne frega se piace o no. Come nel caso del primo libro io mi sono divertito a scriverlo e io mi diverto di quando in quando, anzi spesso, a rileggerlo: anche se sono sicuro di essere l’unico, a me sembra una ragione sufficiente. Questo sono io, questo è il mio humour, questa è la mia indole, queste sono alcune delle mie idee (altre sono dei personaggi stessi, i quali se ne assumeranno le eventuali responsabilità sia in sede civile che incivile), questo è il mio messaggio nella bottiglia – anzi nel fiasco – il testamento che voglio lasciare ai miei posters, così che quando i miei nipotini – bambini, gatti, cani o criceti che siano – chiederanno ai miei figli com’era il nonno, loro gli potranno dare i libri e dire: Leggi (ammesso che sappiano ancora leggere), questo è il suo testamento
. E dopo averlo letto (o almeno le prime pagine) i bambini, con l’innocenza e la purezza tipiche dei bambini di oggi, risponderanno Testa-mento? Questo mi sembra più un testa di ….
Gino Olivani
O, ma quando comincia ‘sto libro?
Un c’è neanche un cacchio di treiler, popcorn o pubblicità pe’ inganna’ l’attesa
G ATTO⁴
IL RITORNO
[Al rifugio. Eva è in poltrona e sta leggendo sul tablet Delitto e Castigo
di Dostoevskij, anche se a teatro non si puo’ vedere, anche perché negli e-books non c’è neanche la copertina]
[Entra Diavolicche]
E: O Diav! Che se’ te? O che se’ ri-bell’e qui?
D: Ciao Evina [le dà un bacio sulla fronte]. O, un gliel’avevo promesso ai’ giudice: voi mettetemi dentro e io in tre giorni risòrto.⁵ E io sono uno di parola, se diho quarkosa e ci tengo a mantenella.
E: L’è vero, l’è importante essere onesti.
D: No, no, a me mi piace esse di parola. Anke quande ammazzai qui’ politiho⁶, m’avea quasi convinito, qui’ serpente, ma poi mi rihordai che avevo dato la parola a coso, come si chiamaa, Achille Rammazza e allora dovetti mantene’ la parola. O, ma anche lui, i’ vice-sindaho, e fu di parola eh, m’aveva promesso un posticino vicino a qui e me lo trovò a Sollicciano⁷. No, no, pe’ quello fu di parola anche lui. Pe’ fortuna oggigiorno ce n’è tanta, gente di parola.
E: T’ ha proprio ragione: l’è pieno, di parolai…
D: Icchè tu stavi facendo di bello, Evina?
E: No, m’ero messa un po’ a legge questo libro, si chiama Delitto e Castigo
di Dotvo, Dozzo… boh…
D: Fedor Dostoevskij.
E: Accidenti Diav! Che hai fatto un corso accelerato di serali in carcere!?
D: No, l’è che questo genere di libri mi interessa.
E: Ah, no, credeo, perchè m’hanno detto che i corsi serali li possan fa’ di questi miraholi: in pohissimo tempo tu recuperi l’ignoranza di una vita… Come fanno unno so, si vede che la sera dopo i’ lavoro si studierà meglio… boh…
D: Ma dimmi un po’ di processo di Kevinne⁸, come l’è andaha?
E: E ‘nsomma, così e così. Gl’hanno dato due anni con la hondizionale.
D: Via, un c’è male, credeo peggio. O, bada, l’omicidio di un gatto oggi l’è una delle hose peggio che tu possa fare, eh. Soprattutto se i padroni son ricchi come la Marchesa Bagnai in Conti Nenti.
E: Poero micio, m’ha raccontaho Kevin che quando lo mise sotto quella poera bestia la morì senza fa’ neanche pìo.
D: E ci hredo, l’era un gatto miha un purcino! Comunque via, du’ anni, un c’è male, credeo peggio.
E: Sì, ma l’era omicidio preterintenzionale…
D: O icchè c’entra i’ prete ora… questa l’è una delle poche hose che ugni dà la colpa nessuno…
E: No, Diav, e vor dire che unn’aveva fatto apposta…
D: E allora dillo in italiano, io credeo che preterintenzionale…
E: A proposito di italiano, io e sono un po’ preoccupata anche perché i due anni gliel’hanno dahi con la hondizionale.
D: E allora? Unnè meglio?
E: No, l’è che tullo sai, lui co’ hondizionali unnè che se la hava tanto bene; l’è solo in 5° superiore, gl’ha finiho da poho di padroneggiare l’indihativo, poerino, la corre quella di Italiano, son di già ai’ Foscolo…
D: Ora la un corre più vai, n’i’ primo libro l’ho ammazzaha⁹…
E: Allora diciamo che la correa. Che va bene correa
?
D: Mah, io credeo che correa
volesse dire complice
, ne’ rebusse sulla Settimana Enigmistica c’è sempre, ma se tu lo dici te va bene di sihuro.
E: Insomma, poerino, son preoccupata pe’ questo hondizionale, via che hondizionali in italiano, tu lo devi ammette anche te che tu lo parli bene, e son parecchio difficili. Io ho finiho di imparalli ora in fiorentino, ma se dovrei falli in italiano unno so miha se mi riuscisse...
D: Un ti devi preoccupa’ Eva: se tu’ parli i’ fiorentino tu’ sei a posto, poi infine l’italiano l’è basato su i’ fiorentino volgare…
E: Aaaah, ecco perché l’è pieno di parolacce… Sì, ma senti io e sono un po’ preoccupata, un vorrei che i’ mi’ poero bambino ippiù ippiù gli sbaglia un condizionale e, oltre che con 4 in italiano, si ritrova anche con 2 in anni di galera. E sai, ci stanno poho attenti a’ hondizionali i