Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tempi virtuali
Tempi virtuali
Tempi virtuali
E-book340 pagine5 ore

Tempi virtuali

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Ciao! Ti ricordi di me? Siamo stati compagni di scuola…”.
Chi non ha ricevuto, tramite un social network, un messaggio simile? Il protagonista di questo romanzo, Giorgio, non fa certo eccezione: chi gli scrive è Letizia, una vecchia compagna di classe, al liceo. Letizia però non è stata per Giorgio una semplice compagna, è stata la ragazza della quale si era innamorato, di un amore ideale che solo gli adolescenti forse sono capaci di esprimere.
Sono passati quasi quarant’anni da quell’incontro tra i banchi scolastici, ed ecco che arriva il fatidico messaggio, uno come tanti, che la tecnologia moderna permette di trasmettere mettendo in contatto, virtualmente, persone prima distanti. Il più delle volte questi messaggi sono licenziati con un’alzata di spalle o un commento ironico. Non si riflette però sufficientemente sul fatto che dietro ogni contatto c’è una storia specifica e unica, sussiste una persona con le sue gioie, le sue sofferenze, le speranze e le disillusioni.
L’occasione consente a Giorgio di rivivere brani del passato che s’intrecciano con il presente, in un viaggio “virtuale” negli affetti e nei sentimenti che gli permetterà anche di capire molte cose e, infine, di chiudere definitivamente i conti con un "fantasma" del passato.
Raccontato in prima persona in modo diretto e spontaneo, impostato su un registro prevalentemente ironico, il romanzo contiene anche episodi toccanti e, spaziando negli ultimi cinquant’anni, spunti su alcuni costumi sociali degli italiani. Di facile lettura, divertente e sarcastico, coinvolgente e appassionato, questo inconsueto romanzo farà riflettere anche sul tempo presente e sulle nuove opportunità di socializzazione “simulata” offerte dalle nuove tecnologie di comunicazione, in primo luogo internet.
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2015
ISBN9788897956808
Tempi virtuali

Correlato a Tempi virtuali

Ebook correlati

Umorismo e satira per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Tempi virtuali

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tempi virtuali - Sergio Gallitto

    dell’autore

    PARTE PRIMA

    INCONTRO A DISTANZA

    SOCIAL NETWORKS E ALTRO

    Ricordo benissimo come iniziò.

    Precisamente così:

    ____________________________________________________

    18 febbraio 2011 alle ore 19,12

    Letizia Lento

    LdF

    Ciao Giorgio!

    Ti ricordi di me? Siamo stati compagni di scuola quasi quarant’anni fa!

    Letizia

    ____________________________________________________

    Per chi non l’avesse capito ─ e auspico che una buona parte dei lettori che, avventatamente e forse illogicamente, hanno deciso di leggere questa sorta di diario postumo non ne abbiano idea ─ si trattava di un messaggio inviato per e─mail, tramite un noto social network: chiamiamolo il Libro delle Facce. I più pronti, o semplicemente i più smaliziati, avranno capito a cosa mi riferisco e avranno anche intuito perché non posso citare direttamente il nome vero: non mi pagano per la pubblicità.

    Tradotto molto liberamente, per social network s’intende una rete di contatti (sociale appunto), un gruppo di persone che decide dall’oggi al domani di connettersi alla rete web, per mezzo di un personal computer o un suo simile in termini tecnologici capace di connettersi a internet, per diversi fini perlopiù imperscrutabili.

    Cos’è il web? Che cos’è il personal computer?E l’e─mail, e internet? Ah, andiamo bene! Se dovessi mettermi a spiegare ogni termine o ogni cosa, questo diventerebbe un manuale d’uso d’informatica – cos’è l’informatica? ─ e non un racconto come aspira audacemente a essere. S’invitano pertanto i lettori che ignorano la materia, o refrattari, a chiudere e riporre questo libro e a riprenderlo e riaprirlo dopo essersi adeguatamente informati: oppure di regalarlo, con un pizzico di soddisfazione sadica, a una persona nelle loro medesime condizioni. Ricordo a tutti che esiste una definizione inglese, che si scrive digital divide ─ si pronuncia digital divaid – che denota la separazione che esiste fra chi usa il computer e quelli che non lo fanno: una sorta di nuovo analfabetismo, informatico─digitale, che probabilmente nel futuro segnerà la stessa differenza che, appena dopo l’Unità d’Italia, contrassegnò chi era istruito e chi non sapeva leggere, scrivere e, come si diceva, far di conto. Non vi preoccupate però, questo non è un saggio sulle dinamiche sociali, forse con molta benevolenza sulle dinamiche sentimentali, pertanto prometto che, nel prosieguo, cercherò di limitare le mie escursioni fuori dal campo eminentemente letterario.

    Il messaggio era stato automaticamente inviato dal Libro delle Facce, che d’ora in avanti chiamerò per semplicità LdF ─ anche perché, diciamo pure la verità, la definizione Libro delle Facce è semplicemente orripilante ─ all’indirizzo di posta elettronica, ovverosia la famigerata e-mail per i più accaniti esterofili, giorgio.pagano@disponibile.it.

    Giorgio Pagano sono io, e l’indirizzo di posta elettronica è il mio.

    A questo punto, devo necessariamente scrivere qualcosa su di me ─ giusto qualche accenno ─ dato che i coraggiosi che sono arrivati a questo punto, qualora sconsideratamente decidessero di proseguire la lettura, dovranno necessariamente avere a che fare con me per un bel po’ di pagine.

    Ho cinquantasette anni, sono felicemente sposato da trentadue, ho un figlio di trentuno e sono un libero professionista. Non ho particolari lamentele da fare nei confronti della mia esistenza, la mia vita trascorre relativamente lieta a parte qualche preoccupazione per mio figlio ─ che non riesce a lasciare il nido familiare, complice in parte l’attuale crisi economica, giustificazione a ogni contingenza negativa ─ e qualche ricorrente problema di salute più che altro riconducibile a una medesima diagnosi: c’ho un’età! Non sono bello, ma qualcuno mi ha definito interessante, sicuramente per non demoralizzarmi più di tanto. A detta di tutti però ─ me compreso ─ ho delle labbra carnose e sensuali: i due termini vanno sempre assieme e io non ne ho mai capito il motivo. Non sono alto, ma mi picco di sostenere che non posso essere definito basso. Da ragazzo ero un paio di centimetri più alto della media: con gli standard odierni sono invece cinque centimetri sotto, considerando un naturale accorciamento, dovuto alla malattia che non è possibile evitare, la vecchiaia, e a un vizio di postura per il lavoro che svolgo, in pratica, quasi interamente davanti al computer. Possiedo un’intelligenza media che mi ostino a ritenere superiore alla citata media, amo l’arte, l’architettura, i libri (leggo molto senza profitto a giudicare da quello che scrivo): mi piace la musica, m’interessano i bei film (a mio giudizio), adoro il buon cibo ─ e il vino amabile – mi conquistano i viaggi, mi attira la fotografia. Politicamente, mi ritengo un progressista di sinistra, con qualche riserva nei riguardi di ambedue le definizioni: di fatto il progresso non sempre coincide con il significato di migliore, e la posizione geo-politica a sinistra è alquanto flessibile. Infine, sono un inguaribile scettico: a volte assumo anche un atteggiamento anticlericale, che è più un modo per evidenziare la mia innata vis polemica che un’avversione vera e propria. Ho letto in compenso la Bibbia (da cima a fondo, e non è da tutti, compreso i cattolici osservanti), soprattutto il Nuovo Testamento che ho riletto più di una volta. La Bibbia è forse il libro più fantastico mai concepito, forse perché scritto a non si sa bene quante mani. Qualcuno sostiene, addirittura, che sia stato vergato, almeno in parte, sotto la dettatura diretta del Padreterno: temo allora che il correttore di bozze non sia stato all’altezza della situazione. Non sono un tipo ciarliero, tutt’altro, parlo poco ma in compenso sono un eccellente ascoltatore: ho prestato parecchio orecchio perfino ai miei cognati, soprattutto a una mia cognata, zitella e ultra sessantina (come scriverebbe Andrea Camilleri), e ciò è tutto dire. Odio soprattutto parlare al telefono e ancora peggio al cellulare: la mia soglia di resistenza non supera il minuto, massimo un minuto e mezzo. Non ho quello che si potrebbe definire un buon carattere: per alcuni sono un polemico rompiscatole, per altri un ironico e trasgressivo interlocutore, per altri ancora un inguaribile romantico che si maschera con un cinismo vecchia maniera. Per molti infine, sono tutto quanto detto prima assieme.

    Bene, credo che possa bastare, il resto temo che lo scoprirete a vostre spese: mi sono tolto comunque quello che si definisce un peso dallo stomaco. In vero, abbozzare un autoritratto letterario non rientra tra le massime aspirazioni di uno scrittore, narcisisti ed egocentrici esclusi.

    In verità, ho la netta impressione che più di un ritratto letterario, io abbia stilato un profilo per LdF. Che cos’è un profilo? Un profilo su LdF è… uhm, una volta me l’hanno spiegato, e forse l’avrò anche letto consultando qualche Faq (Frequently Asked Questions) in merito su internet, non ricordo bene. Comunque, è come quando si scrive un autoritratto letterario, o quasi, di se stesso. Non credo di essere andato molto lontano perché di ‘letterario’ su LdF, c’è veramente tanto: i profili artefatti, per esempio, superano notevolmente quelli sinceri. È in qualche modo inevitabile, assomiglia tanto a quando devi presentare un curriculum: poni in evidenza solo il meglio di te, magari esagerando su alcune competenze, esperienze e capacità. Ad esempio, quando si deve riferire la conoscenza di una lingua straniera, di solito inglese. In genere pensi a tre possibilità di definizione: scolastica, buona o approfondita. Tu scarti subito la terza scelta, approfondita; potrebbe essere imbarazzante in caso di colloquio. Poi, consideri l’opzione scolastica. Scolastica? Uhm… ti sembra troppo poco, suona come se tu non fossi mai stato all’estero ─ ed effettivamente, non ci sei andato davvero ─ per migliorare l’idioma. È vero che a scuola eri proprio una schiappa, in inglese: però addirittura scolastica, suvvia! Rimane una sola possibilità, e tu la utilizzi: conoscenza buona. Ricorda anche tanto il tuo primo appuntamento con una nuova ragazza: ti lavi più del necessario, tanto da fare preoccupare seriamente la mamma, indossi i tuoi vestiti più fighi (per te, naturalmente), consumi pettine e spazzola a furia di tentare di addomesticare, inutilmente, la capigliatura ribelle e infine ti scarichi addosso tanto di quel profumo che rischi di essere inseguito, appena uscito da casa, da uno sciame d’api impazzite. In parole povere, cerchi di apparire meglio di quello che non sei: fingendo e mentendo spudoratamente, o semplicemente omettendo e deviando, preferendo in ogni caso l’apparire all’essere. Non preoccuparti più di tanto: è umano.

    Così, i profili che si trovano su LdF sono costruiti, in larga misura, sotto l’influsso della sindrome psicologica del piacere a ogni costo, o quantomeno di farsi notare nella marea di persone di ogni tipo e condizione sociale. A cominciare dalla foto utilizzata, appunto, nel profilo. Agli esordi, le foto inserite su LdF, peraltro non numerose, erano o sembravano quelle direttamente derivate dal documento d’identità, cioè le classiche foto formato tessera, una volta scattate nelle apposite macchine che vomitavano vomitevoli foto, per l’esattezza quattro, in linea e in serie: non è mica una critica, le ho utilizzate anch’io. In seguito, le stesse vomitevoli foto, sono state proposte anche dai fotografi ─ con studio riciclato per adeguarlo alla rivoluzione digitale ─ che promettevano meraviglie in soli quattro minuti (un minuto a foto). Volevo dire, in definitiva, che sul profilo si vedevano foto alquanto formali e volti di persone per bene, senza un briciolo d’originalità o personalità. Adesso è tutto al contrario: è rarissimo vedere nel profilo una foto ‘normale’ (non parliamo del resto), la trasgressione è diventata la regola. Si sa, per farsi notare, al crescere della folla attorno, bisogna gridare sempre più forte. E, in effetti, il numero delle persone che utilizzano LdF è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. Devo dire che io, in questo campo, sono stato un precursore della trasgressività: conservo ad esempio, per dirne una, una carta d’identità nella quale ostento, nella foto, un’aria imperturbabile pur essendo completamente nudo. Certo, è una foto tessera a mezzo busto, ma comunque senza veli. Ricordo ancora la perplessità dell’impiegata alla quale consegnai la doppia copia della foto come da regolamento. Mi guardò per bene dalla testa ai piedi e poi forse si vergognò di affrontarmi direttamente chiedendomene ragione. Non per questo si rassegnò così presto: infatti si allontanò e, credendo di non essere vista, si diresse da un suo collega con il quale cominciò a confabulare a bassa voce evitando di guardare verso di me. Il collega invece non resistette e si voltò per osservarmi, ma io lo precedetti e con aria serafica e pacifica volsi lo sguardo fisso davanti a me in placida attesa. Continuarono a parlottare ancora, mentre io li guardavo di sottecchi: la donna sembrava volere insistere ed era un po’ esagitata, ma il collega maschietto evidentemente non voleva prendersi la briga di mettersi a discutere con me per farle un favore. Poi, per l’insistenza della zelante collega, prese un libretto bisunto e pieno d’orecchie agli angoli delle pagine, lo sfogliò più volte alla ricerca di chiarimenti e quindi, scuotendo la testa, dissuase probabilmente la scrupolosa collega: evidentemente, non è riuscì a trovare qualche norma del regolamento per il rilascio dei documenti che in qualche modo stabilisse come dovessero essere fatte le fotografie. Forse il regolamento si limitava a vietare l’alterazione dei tratti somatici e le caratteristiche del volto. I burocrati, si sa, non hanno molta fantasia: ma devo dare atto che a nessuno sarebbe venuto in mente che qualche matto avrebbe presentato una fotografia apparendo come mamma l’aveva fatto! In definitiva, la solerte e zelante funzionaria, o operatrice, dovette rassegnarsi e, a denti stretti, mi comunicò che era tutto regolare e che avrei potuto ritirare il documento dopo alcuni giorni.

    Stavo parlando, però, di LdF, e si sarà già capito che appartengo all’estesa ciurma d’incauti navigatori in internet,chiamati in gergo internauti, e come aggravante che faccio parte della variegata comunità del cosiddetto popolo di LdF. Come ci sono finito dentro? Non posso di certo sostenere di esserci finito per caso, come Alice nel paese delle meraviglie. Anche perché esiste una procedura precisa d’immissione dati e registrazione che non dà adito a dubbi. La verità è che da un po’ di tempo sentivo parlare, e soprattutto leggevo sempre più spesso, di questi social networks e di come un numero sempre più grande di persone ne fosse attratto. Ed io, ho dimenticato di indicarlo nella mia sommaria auto-descrizione, sono curioso per natura, soprattutto a riguardo delle novità. Inoltre, non gradisco molto trovarmi totalmente impreparato su argomenti di grande interesse e di cui si parla molto: alcuni esclusi, naturalmente (il naturalmente è inteso per me), come i dibattiti su certe trasmissioni televisive o il gossip in genere. Infine, lo confesso, non voglio che si allarghi più di tanto la forbice che inevitabilmente mi separa dalle cosiddette giovani generazioni, ora rappresentate da figli e nipoti. Si rischia di allontanarsi troppo dal mondo reale che, noi persone di una certa età, dovremmo rassegnarci a considerare sempre più di proprietà dei nostri eredi.

    Fu così che un bel giorno digitai, in un motore di ricerca molto noto di internet, la parola ‘LdF’ ed entrai nel sito la cui schermata iniziale prometteva di aiutarti a trovare e rimanere in contatto con le persone della tua vita, previa registrazione gratuita. A registrazione avvenuta, dopo i convenevoli unilaterali di rito tipo: benvenuto nel più noto social network del mondo (come per dire, dateci tempo e ci allargheremo un bel po’, stiamo già studiando la possibilità di allargare la comunità a tutto il sistema solare), senza pensarci sopra, in un batter d’occhio immisi il mio profilo. In fondo, veritiero. In fin dei conti sono uno stimato professionista. Il termine stimato l’ho messo perché è un aggettivo che viene spesso automaticamente accostato, fateci caso, al termine professionista: specie nei necrologi. Già che ci sono, devo confessare che sono attratto in modo preoccupante anche dai luoghi comuni e dai proverbi. Io cerco disperatamente di evitarli, come uno sciatore deve schivare e aggirare i paletti in una gara di slalom, ma a volte mi vengono naturali come sbadigliare guardando la TV.

    Ebbi anche il buon senso d’inserire una mia fotografia che, per quanto detto poche pagine fa, è, rispetto al mio modus operandi, trasgressiva in qualche modo: infatti, non è trasgressiva. È una semplice fotografia, acquisita con una macchina fotografica digitale in rigoroso b/n (tradotto per i profani non di internet ma di fotografia, la cui nascita si fa risalire al 1839 con l’invenzione del dagherrotipo, significa in bianco e nero, tonalità di grigi intermedi compresi), un primissimo piano del mio volto alquanto accattivante (ogni tanto sento la necessità di sostenere e alimentare la mia autostima con auto-iniezioni di compiacenza) con lo sguardo diretto all’osservatore e un vago accenno di sottile ironia (o almeno, così lo interpreto io: e si tratta d’interpretazione autentica dato che sono ben io il soggetto ritratto). Non è una fotografia recentissima, ma neanche tale da far pensare a un giovanotto di primo pelo: risale a non più di cinque anni fa ed è ancora visionabile tra le (poche) foto del mio profilo. Quella principale del profilo attuale aggiornato è diversa, a suo modo originale a chi sa leggerla correttamente: ma questa è un’altra storia.

    Non avevo bene idea di cosa fosse la rete sociale (traduzione approssimativa di social network) nella quale mi stavo ficcando, e devo dire che nell’accezione italiana la parola 'rete' non deponeva bene a favore. La rete fa pensare notoriamente a una trappola, o perlomeno a un groviglio di cose reali o astratte (quali situazioni) dalle quali è difficile, se non impossibile, districarsi e uscirne. Cadere nella rete (di qualcuno) è una locuzione usata correntemente e devo dire a proposito, con il senno di poi, che non può esistere al mondo migliore traduzione del termine social network che rete sociale. Comunque vada, arriverà prima o poi la sensazione sgradevole di essere invischiati in qualcosa che rassomiglia a una ragnatela: devi solo sperare che il ragno non arrivi a suggerti e svuotarti prima che tu riesca a liberarti. Certamente l’uscita di sicurezza esiste: basta cancellare la tua iscrizione e hai la vita salva. In questo caso tuttavia, ne risentirebbe la tua dignità e il tuo amor proprio, se non proprio il tuo orgoglio.

    Come ho già detto, avevo acquisito alcune nozioni di base, teoriche, sul funzionamento della rete sociale e a cosa servisse leggendo alcuni articoli di vari giornali, oltre che da alcune indicazioni avute al volo da amici e conoscenti. Una cosa ricorrente era la possibilità di rintracciare sulla rete vecchi compagni di scuola di cui si erano perduti i contatti da un bel po’ di tempo, se non addirittura dall’epoca degli studi trascorsi assieme. Ora, dico subito che non mi convincono né mi attirano le rimpatriate d’antiche scolaresche. Confesso che mi fanno un po’ tristezza, e la mia impressione è confermata anche da alcune pellicole che sono state girate a riguardo: basta pensare per tutti, al film di Carlo Verdone Compagni di scuola. Di contro, non posso negare che rivedere, o anche solo risentire, alcuni vecchi compagni e amici, non mi sarebbe dispiaciuto, dato che conservo molti bei ricordi a riguardo.

    Il compianto Enzo Biagi, grande giornalista che ho amato e stimato quasi come un secondo padre, poco tempo prima di lasciare questa valle di lacrime soleva dire che quanto più il futuro diventa esiguo, tanto più per forza di cose ci si rivolge al passato. Ora, che il mio futuro sia sicuramente più breve del mio passato non è una mia impressione ma una semplice constatazione di fatto: e lo dico con le mani alzate, non in segno di resa ma per significare che non tocco né ferro né parti intime. Pertanto, pensavo di poter utilizzare LdF anche come una macchina del tempo, del mio personale tempo, e che sarebbe stato possibile ─ almeno virtualmente ─ ricontattare le persone che come meteore o asteroidi impazziti, tra le infinite possibilità di traiettoria spazio-temporale, hanno impattato con la mia vita o l’hanno solamente sfiorata. Le prime, quelle che hanno incrociato la mia esistenza, e ovviamente anch’io la loro, hanno lasciato anche profonde tracce nel mio animo. Ferite ben rimarginate e quasi invisibili, come i crateri ancora discernibili sulla crosta terrestre ma ben mimetizzati dalla natura e dal tempo e difficili da riconoscere e dotati, per questo motivo, di una loro singolare e inquietante bellezza. Le seconde, pur non avendo provocato lacerazioni da impatto, hanno comunque lasciato una traccia indelebile del loro passaggio. Ambedue sono disseminate e ben nascoste negli anfratti più profondi del cervello preposto alla gestione delle emozioni e dei sentimenti.

    UNA VECCHIA METEORA

    Ciao, Giorgio! Ti ricordi di me? Siamo stati compagni di scuola.

    Letizia.

    Eccola, la meteora che, variabile casuale fra milioni e milioni di possibilità, un tempo lontano ha sfiorato il mio soffio vitale molto da vicino.

    Dopo avere percorso una lunga orbita ellittica, viaggiando lontano nel mio spazio siderale vitale, la meteora, dopo trentotto anni circa, è riapparsa e rientrata molto vicino alla mia orbita esistenziale. È passata meno vicino, rispetto alla traiettoria seguita trentotto anni fa, con minor forza dirompente e consistenza, perduta, man mano, nel lungo peregrinare lungo il suo cammino vitale.

    Oltretutto io, una meteora l’ho veduta davvero dal vivo, in diretta, come con linguaggio televisivo si direbbe ora: ed è il caso di dire il bello (e il brutto) della diretta. Non mi riferisco alle semplici meteore dello sciame delle Perseidi, altrimenti definite stelle cadenti o lacrime di san Lorenzo, che a contatto con l’atmosfera e a causa dell’attrito letteralmente si disintegrano esibendo una scia argentata. Quelle si possono ammirare e osservare (con un po’ di fortuna a dire il vero, e nei luoghi giusti lontani dall’inquinamento luminoso delle città) tra luglio e agosto e il fenomeno raggiunge la massima evidenza e spettacolarità nella notte di San Lorenzo, precisamente il dieci d’agosto.

    Io parlo di un vero e proprio meteoroide, vale a dire di un piccolo asteroide, e non chiedetemi nient’altro. Se volete altre notizie o dettagli, sfogliate quella polverosa serie di volumi apparentemente uguali, chiamata enciclopedia, che avete in bella mostra nella vostra striminzita libreria e che avevate comprato, trent’anni fa, alla fine, esausti, convinti da un piazzista che era riuscito quasi a farvi piangere ma soprattutto perché vi piaceva il colore della copertina che tanto si abbina alle tende!: quest’ultima frase è di vostra moglie. In alternativa fate una rapida ricerca in internet.

    È successo molto tempo fa, io avrò avuto undici o dodici anni e partecipavo al campeggio estivo, con il mio reparto, che era stato programmato in una fantastica valle dell’entroterra siracusano attraversata da un piccolo fiume. Era già completamente buio, dovevano essere le dieci e mezzo o le undici, il cielo era limpido, vivido di stelle, e una bella luna rischiarava parzialmente i rilievi vicini. Eravamo schierati, in piedi, attorno al fuoco di bivacco, come quasi ogni sera, e la cerimonia era al termine perché stavamo cantando il canto dell’addio. A un tratto, con la coda dell’occhio mi accorsi che in cielo stava succedendo qualcosa di strano. Alzai lo sguardo e vidi una sfera luminosa avanzare, come se la luna stesse rotolando verso la terra a una velocità notevolissima: in quel momento rimasi atterrito e come paralizzato, perché ero consapevole che da lì a pochi minuti sarei morto. Per questo, saremmo morti tutti, ma la cosa non mi era certo di consolazione. A questo punto, se mi fossi trovato in un film americano, del genere catastrofico o di fantascienza, avrei dovuto esclamare: Oh my God! (sottotitolato in italiano Dio mio!). Trovandomi tuttavia nel mondo reale, in Italia, anzi in Sicilia, meglio nell’estremo lembo meridionale della Sicilia, esclamai: «Minchia!» (sottotitolato in italiano «Cazzo!»), prendendomi la mia buona dose di spavento.

    Quasi immediatamente poi, spostando leggermente lo sguardo a destra, mi accorsi che la luna vera si trovava al posto dov’era prima, splendida e indifferente. Rimasi per una frazione di secondo perplesso, ma la sensazione di pericolo imminente non era di certo passata. Nessuno dei miei compagni sembrava reagire: c’era chi non si era accorto del fatto e continuava a cantare, mentre gli altri dovevano essere troppo sgomenti per fiatare. Restava insoluto il mistero dell’altra sfera. La guardai ancora, quasi affascinato, e mi accorsi che, man mano che il diametro andava allargandosi a vista d’occhio, la luminosità diminuiva di pari passo: fino a quando tutto si dissolse e il fenomeno cessò lasciando il cielo terso come lo era prima.

    Nessuno, neanche i nostri Capi Scout, riuscì a spiegare cosa fosse realmente successo. Restammo pertanto con il nostro bravo interrogativo, anche perché ci trovavamo lontano dalla ‘civiltà’, senza radio o giornali di sorta, ed essendosi trattato di un episodio locale. Sicuramente, io non pensai, e non l’ho pensato mai neanche dopo, che potesse trattarsi di un’astronave aliena esplosa in volo per una qualche misteriosa ragione. In vero, in Italia, non era ancora sufficientemente attecchita la mania degli avvistamenti di UFO ─ acronimo dall’inglese Unidentified Flying Object che tradotto letteralmente significa oggetto volante non identificato, meglio conosciuti come dischi volanti ─ che si era diffusa negli Stati Uniti nell’immediato dopoguerra e negli anni cinquanta e sessanta. Una vera ossessione, nei riguardi di un’ipotetica invasione di extraterrestri provenienti dal profondo spazio siderale, aveva contagiato gli americani dopo il famoso caso di Roswel (Nuovo Messico), nel 1947, quando si diede grande risalto a un presunto incidente di astronavi schiantatesi al suolo, dentro le quali si disse fossero stati addirittura recuperati i corpi degli esseri alieni che le occupavano e le conducevano. Naturalmente, in seguito avrei potuto millantare un incontro ravvicinato di qualche tipo, con tanto di testimoni in parte attendibili, ma la cosa suonava forzata persino a me che non sono mai stato ‘alieno’ dal fare qualche scherzo, anche di quelli definiti pesanti.

    Alcuni anni dopo lessi, su un giornale nazionale a grande tiratura, e lo dico per rilevarne l’affidabilità, che in Sicilia, in una notte dell’estate di quell’anno specifico, un piccolo asteroide si era disintegrato nell’atmosfera creando uno spettacolo pirotecnico unico e diverso rispetto i punti di osservazione: questo risolveva definitivamente il mistero per buona pace della teoria dell’astronave aliena e degli ufologi di turno.

    In ogni caso, mi sono chiesto: quest’esperienza vissuta era un segno che avrei dovuto interpretare già allora come premonitore? Mi sono risposto: no! Non credo che determinati eventi possano incidere sulla vita delle persone, questo attiene alla sfera della superstizione della quale non vogliamo liberarci perché ancora parzialmente condizionati da ataviche e profonde paure. Io prendo eventualmente e semplicemente atto che possano verificarsi coincidenze particolari, che annovero tra i fenomeni statistici, cioè probabilità di accadimento. Per il resto è la nostra mente che collega, secondo una propria logica basata su convincimenti quasi razionali, un avvenimento a un altro trovandovi una conferma o leggendovi un avvertimento se non addirittura una previsione futura. Se con queste affermazioni mi sono alienato la simpatia di una numerosa schiera di persone che giornalmente consulta le stelle e gli astri, per trarne auspici, favorevoli o meno, con il fine di regolarsi in meno rispetto a come affrontare la quotidianità, a queste persone rispondo che io leggo anche i libri degli scrittori che credono in ciò e che scrivono di questo, pertanto siamo pari e dunque leggetemi tranquillamente.

    Viceversa, mi sono chiesto, con il senno di poi: l’esperienza recente, alla quale mi riferisco, potrebbe essere considerata come la conferma della meteora come segno premonitore che io non sono riuscito a ben interpretare? Continuo a rispondere di no. Quel piccolo asteroide, mi ha provocato una profonda emozione ma nello stesso tempo ha finito di vagare nello spazio, esaurendo la

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1