Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Una luce all'orizzonte
Una luce all'orizzonte
Una luce all'orizzonte
E-book428 pagine6 ore

Una luce all'orizzonte

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

1953. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il "grande smog" ha invaso Londra. Nel cuore della città nasce il piccolo Joseph Banks. Il padre, capo della polizia, ben presto saprà che il figlio diventerà un ladro, seminando il panico tra le strade della città. Quando il destino del ragazzo sembra ormai segnato, si riaccende la speranza: l’imbarco a bordo del Glorious, comandato dal capitano Samuel Grant. Tra amicizie, amori, inganni e tradimenti, per Joseph è l’ultima possibilità per dare un senso alla sua vita. Quando il mare lo richiamerà, Joseph partirà alla volta degli Stati Uniti per riportare Helen Grant dal padre morente. Tra i due nascerà l’amore. Quando riemergeranno i fantasmi del passato, Joseph dovrà riconquistare il cuore della sua famiglia e riprendere in mano la sua vita
LinguaItaliano
Data di uscita18 feb 2020
ISBN9788835374572
Una luce all'orizzonte

Correlato a Una luce all'orizzonte

Ebook correlati

Young Adult per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Una luce all'orizzonte

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Una luce all'orizzonte - Marco Casella

    RISERVATI

    PERSONAGGI

    Famiglia Banks

    Norman Banks, capo della polizia

    Maggie Thompson, la moglie

    Joseph Banks, il figlio

    Danny Banks, figlio di Joseph

    Julie Banks, figlia di Joseph

    Famiglia Turman

    Alfred Turman, proprietario del negozio di

    alimentari

    Teresa Hunt, la moglie

    Jim Turman, il figlio

    Equipaggio del Glorious

    Samuel Grant, capitano

    Frank Vincent, capitano in seconda

    Anthony Purcell, ufficiale

    Samuel Woods, ufficiale

    Pat O’Nealy, ufficiale

    Jeremy O’Connor, ufficiale

    Victor Maloney, ufficiale

    Al Jensen, marinaio

    Roy Douglas, marinaio

    Andrej, marinaio di colore

    Matthew Cahill, il timoniere

    Fred Robards, il carpentiere

    Arthur Connery, il medico

    Pierre Lasuer, il violinista

    Equipaggio della Frida

    Auguste Belay, capitano

    André Gomes, marinaio

    Arthur LeBlanc, marinaio

    Sam Atkinson, marinaio

    Rick Stephens, marinaio

    Pierre Richet, marinaio

    Uomini di mare

    Eric Lamar, capitano francese dell’Olympia

    Frederick Hansson, capitano svedese della Sestre

    Maurice Gautier, uomo di Lamar

    Felipe Diaz, capitano della fregata Artemisia

    Michael Stevens, medico dell'Olympia

    I ladri

    Tim Bewan

    Ed Solomon

    Julian Martin

    Alan McKingley

    Carlos Estrada

    La Saint Paul’s Church

    Padre Douglas, primo parroco

    Thomas Madison, sacrestano

    Padre Lawrence, secondo parroco

    I cantanti

    Owen

    Michael

    Richie

    Cameron

    Altri personaggi

    Bill Reynolds, migliore amico di Joseph

    Theresa Wright, madre di Bill

    Gwen McNight, compagna di scuola di Joseph

    Ben Warren, compagno di scuola di Joseph

    Brad Schimmel, compagno di scuola di Joseph

    Kevin Marshall, il bidello

    Rob Matthews, il preside

    Helen Grant, figlia del capitano Grant

    Saliù Kamillah, amico di Joseph

    Hannah Kamillah, madre di Saliù

    Jonathan Kingsley, il venditore di pizza

    Burt Rooney, il venditore di panini

    Edward Pitt, imprenditore

    Kate Williams, moglie di Edward Pitt

    Thomas Wagner, medico

    Robert Walker, il giudice

    John Mackenzie, il gioiellerie

    Brian Mackenzie, figlio di John Mackenzie

    Ahmed, il ragazzo arabo

    Farah, la ragazza araba

    Aisha, madre di Farah

    Lea Johnson, fidanzata di Danny

    Camilla Rooney, nipote di Rooney

    PROLOGO

    «Dobbiamo soltanto avere fede» disse Padre Douglas giungendo le mani all’inizio della celebrazione liturgica nella St. Thomas Church di Londra in quella fredda mattina di domenica del 1946. Chiese di osservare un minuto di silenzio in memoria di tutti i caduti in guerra e di pregare per tutte le famiglie che in quel momento vivevano di stenti con il dolore di aver perduto i propri cari. Gli scontri a fuoco della Seconda Guerra Mondiale avevano distrutto le loro famiglie. »Non ho più niente. Dove finiremo? Che futuro avranno i nostri figli?» ci si chiedeva in giro.

    Padre Douglas si mise in ginocchio di fronte all’altare. L’assemblea fece lo stesso sulle panche in legno di noce. Lui chiese di pregare per tutti i senzatetto che in quel periodo vivevano in una situazione disperata vagando per le strade e stradine della città, costretti a dormire sui marciapiedi in cerca di un posto dove stare. Le autorità del luogo stavano facendo tutto il possibile per mettere le cose a posto.

    «Amen» dissero tutti alla fine. Dopo la benedizione di Padre Douglas, la gente uscì dalla chiesa per rientrare nelle loro case. Tra loro, una donna con un lungo vestito marrone e una pancia grossa come un mappamondo camminava lentamente verso l’uscita. Un uomo a braccetto con la sua signora aprì la porta per farla passare.

    «Grazie, signor Pitt.»

    «Di niente, signora Thompson. Come si sente stamattina?»

    «Il bambino scalcia ogni tanto, ma sto bene, la ringrazio.»

    «Quando nascerà?» chiese la signora.

    «Presto, signora Williams.»

    Quando uscì, la donna venne investita da una raffica di vento freddo. Si sistemò i capelli. Di fronte a lei, dopo la rampa di scale che portava all’uscita della chiesa, si ergevano quegli odiosi grattacieli che erano stati costruiti per risollevare le sorti della città. Gli abitanti del posto non li vedevano di buon occhio. Dicevano che avrebbero preferito lasciare la città, che secondo molti non si sarebbe più ripresa. Si sbagliano! aveva gridato Norman Banks, capo della polizia.

    «Calmati, tesoro» aveva detto la moglie. L’uomo toccò il pancione e lo baciò. «Devi essere contento, avremo un bambino.»

    «Lo so.»

    Banks era stato chiamato dal Great Ormond Street Hospital, uno dei migliori ospedali della città. «Maledizione» disse alzandosi di scatto dalla sedia e facendo cadere i fogli a terra.

    Quando arrivò all’entrata, era senza fiato. Si recò alla reception, dove una donna con gli occhi a mandorla stava parlando al telefono. L’uomo la guardò impaziente. Poi mostrò il distintivo.

    «Mi scusi, signore.»

    «Dov’è mia moglie, la signora Thompson?»

    «Oh, è in sala parto, signore, ma non può entrare, mi dispiace.»

    «Non mi importa. Sto per diventare padre, santo cielo!»

    Due uomini della sicurezza vennero chiamati a fermarlo. «Sono il vostro capo, razza di idioti!» Un medico alto e magro come uno stecchino si avvicinò a loro. «Va tutto bene, signor Banks.» Sulla targhetta del camice il cognome: Stephens. Banks tirò un sospiro di sollievo. Era uno dei migliori medici del reparto maternità. Si conoscevano da ormai quattro anni.

    «Dottore, come sta mia moglie?»

    «Sta bene, signore, è un maschietto, congra-tulazioni.»

    «Cosa? Voglio vedere subito mio figlio!» I due uomini cercarono di fermarlo, ma il medico alzò una mano.

    L’uomo corse per il corridoio, incurante del grido di un’infermiera che gli intimava di non correre. Poi scivolò e cadde a terra. Era stremato. Una donna con un bambino in braccio era distesa sul letto di fronte a lui. «Che ci fai lì? Vieni ad abbracciare tuo figlio.»

    «Vengo subito, tesoro.» Si asciugò la fronte con il fazzoletto. «Oh, mio Dio!» esclamò guardando il viso angelico del piccolo davanti a lui.

    «È bellissimo, non è vero?»

    «È meraviglioso. Dai, dammelo.» L’uomo lo prese a sé e gli baciò la fronte. Poi chiuse gli occhi. «Mio figlio.»

    «Sai, vorrei chiamarlo Joseph» disse lei.

    «Joseph. Suona bene» disse sorridendo. «Ciao, Joseph.» Il bambino sbadigliò. «Sono tuo padre.»

    Norman Banks e la moglie erano imbottigliati nel traffico che bloccava la strada nel centro della città. Da lontano si poteva sentire lo scampanio della St. John. Erano le undici. «Come ti senti, tesoro?»

    «Sono stanca. Voglio solo andare a casa.»

    «Anch’io, se questi imbecilli si muovono!» Banks guardò fuori dal finestrino. Marciapiedi strapieni di gente, una macchina della polizia che era arrivata sul posto, bambini che piangevano. «Ma che razza di città è?» chiese la donna.

    «Mi dispiace che Joseph debba vivere in questo inferno!» esclamò lui.

    «Già.»

    Quando rientrarono in casa, il marito aiutò la moglie a mettersi sul divano. Andò a prendere una coperta, la baciò e andò in cucina a preparare del tè caldo per farla stare meglio. «C’è un freddo boia» disse porgendole la tazza. Si avvicinò alla finestra con la tazza in mano e guardò fuori. Il cielo era grigio come la cenere del carbone che aveva bruciato in precedenza. «Che fine faremo, caro?» chiese la moglie. Lui non rispose. Poi si voltò verso di lei.

    «Questo freddo non fa bene al bambino.»

    «Lo so. Coprilo bene.» Accese il televisore. «Recentemente è stata approvata la legge per l’abolizione delle coabitazioni. La legge permet-terà a molti cittadini di spostarsi nelle città nei dintorni di Londra. Torneremo più tardi per le ultime notizie.»

    «Lo sapevo» disse Banks.

    «Resteremo soli.»

    «No, tesoro. Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene.»

    «E se noi…»

    «Non dirlo neanche. Io sono il capo della polizia di questa città. Non porterò mio figlio chissà dove. È nato a Londra e crescerà e studierà qui.»

    «Guardati intorno» disse la moglie voltandosi. «Questa città è a pezzi, che cosa possiamo offrire a nostro figlio?» Banks sapeva di non poterle dare torto. Il destino di Londra era appeso a un filo. Negli ultimi giorni aveva visto troppa gente soffrire per la perdita dei propri cari e delinquenti che andavano in giro a derubare la povera gente. Le case sembravano dei ghiacciai destinati a non sciogliersi più.

    «Ce la caveremo, tesoro, te lo prometto.»

    Maggie Thompson uscì di casa imbacuccata fino alle ginocchia nel grande cappotto blu. Alzò il cappuccio per ripararsi dalla pioggerellina che cadeva dal cielo tetro. Il piccolo Joseph dormiva come un angioletto. Corrugò la fronte sentendo il frastuono dall’altro lato della strada. Incontrò un ragazzo che camminava con un batuffolo di cotone nel naso e prese la Stoke Newington Road.

    Una folla di gente era radunata intorno a due macchine che erano andate a sbattere contro. Un’altra macchina si era ribaltata e un camion ostruiva il passaggio che portava alla Manse Rd. Due macchine della polizia erano giunte sul posto. «Non c’è niente da vedere» gridò uno degli agenti. La donna si mise le mani sui capelli e guardò il figlioletto che si svegliò. «Hai visto, caro? Che razza di città, eh?»

    «Che bel bambino, signora!»

    «Oh, grazie.» La donna restò ad ammirare gli occhi verde acqua del bambino accanto alla signora e sorrise. «E tu chi sei?»

    «È mio figlio» rispose la donna. «Si chiama Bill.»

    «Quanti anni ha?»

    «Ha fatto un anno il mese scorso.»

    «Vieni, Bill, ti faccio conoscere mio figlio.» Il bambino si avvicinò alla carrozzina. «Lui è Joseph.» Gli accarezzò delicatamente la mano e sorrise.

    «Io sono Theresa Wright, abitiamo in Foulden Rd, adesso dobbiamo andare, mi scusi.»

    «Certo.»

    La donna proseguì e voltò lo sguardo verso la Moschea Aziziye, che a poco a poco stava riprendendo vigore dopo i lavori di ristrutturazione avviati il mese prima. Quando arrivò all’incrocio tra la Brighton Rd. e la Farleigh Rd. incontrò il signor Pitt. Aveva un cane al guinzaglio, il quale si avvicinò alla carrozzina annusandola. «Buono.»

    «Non fa niente, signor Pitt.» L’uomo iniziò a tossire. «Si sente bene?»

    «Sto bene, ma questo tempo non dà tregua.»

    «Non se ne può più con questo freddo!»

    «Dobbiamo fare qualcosa. Sto bruciando più carbone che posso. Non so che altro fare. Dobbiamo pur riscaldarci.»

    «L’importante è che mio figlio stia bene. Sarebbe troppo se si ammalasse.» L’uomo annuì. «Arrivederci, signora.»

    Quando la donna tornò a casa, trovò il marito in salone con un bicchiere in mano e la televisione accesa. «Che ci fai qui?»

    «Non mi sento bene. Ho bruciato un po’ di carbone, così possiamo riscaldarci. Come sta il mio bel bambino?» Lo sollevò e lo portò sul divano cullandolo un po’.

    «Io sono stanca, vado a dormire.»

    «D’accordo.» Quando fu all’inizio della rampa di scale, la donna chiese: «Norman?»

    «Sì, tesoro?»

    «Supereremo tutto questo, vero?»

    «Ma certo. Ti amo.»

    Il 3 maggio del 1951 aveva segnato una data indimenticabile per i cittadini di Londra. Quel giorno, infatti, l’esposizione universale del Festival of Britain aveva fatto risorgere quella speranza che molta gente aveva ormai perso. Centinaia di persone erano andate a visitare la Skylon Tower.

    A South Bank, vicino Waterloo Station, un fiume di gente lungo quasi come il Tamigi che scorreva nelle vicinanze si era riversato per assistere al concerto di apertura al Royal Festival Hall, per la gioia di molti uomini i cui figli li strattonavano volendo andare da qualche altra parte. Malcom Sargent e Adrien Boult si erano esibiti lasciando tutti senza fiato.

    Quello fu un momento che si sarebbe ripetuto, disse Sargent alla fine. Che Dio benedica la Gran Bretagna continuò Boult. Poi si elevò il grido della gente che aveva riempito la sala e tutti applaudirono, tra chi gridava e chi piangeva. I segni della guerra erano ancora indelebili nella loro mente. I Giochi Olimpici che si erano tenuti allo stadio di Wembley erano stati solo l’inizio di una ripresa che prima o poi sarebbe arrivata.

    Norman Banks inseguiva il figlio di cinque anni in cucina di casa sua. Il tempo sembrava non fermarsi mai. Il bambino era cresciuto in fretta. Solo in quel momento Banks capì quanto fosse dura essere padre. In un piovoso pomeriggio di quella settimana gli aveva comprato un piccolo maglione di lana per il suo compleanno con cui potersi coprire dal freddo intenso che continuava a imperversare per tutta la città. Attraversò la porta d’ingresso della casa ed entrò in salotto ridendo. Il padre non ne poteva più. La stanchezza prese il sopravvento su di lui. Riuscì a prenderlo in tempo prima che sgattaiolasse fuori da sotto il tavolo sbattendo la testa.

    «Ti ho preso finalmente! Ti sei fatto male?»

    «No, papà.»

    «Datevi una calmata e venite a mangiare» disse la donna. Guardò fuori dalla finestra, osservando il cielo tetro. Quell’anno era stato davvero terribile per gli abitanti di Londra. Quella palla rosso fuoco che tanti speravano di rivedere era solo un lontano ricordo. Banks aveva bruciato un po’ di carbone per riscaldare la casa, ma con quel freddo terribile ci sarebbe voluto un miracolo.

    Maggie Thompson avvolse il bambino nella piccola coperta di lana che aveva preso dall’ar-madio. «C’è molto freddo. Ti ammalerai, e non possiamo permettercelo.»

    «Non la voglio» ribatté lui.

    «Fa’ come ti dice la mamma, Joseph.» Le previsioni del tempo non erano rassicuranti. La gente del posto stava bruciando più carbone del solito per non morire congelata. Non avevano altra scelta. Tuttavia, la città si stava a poco a poco riprendendo, benché molta gente si ritrovasse da sola nelle loro case fredde e vuote senza più nessuno ad essere lì con loro. La sera di una settimana prima in tutte le abitazioni era stato acceso un lume per commemorare le vittime cadute in guerra.

    «Il bambino è sano e sta bene» aveva detto il medico Stephens due giorni prima. Banks girò per i canali della televisione e il bambino restò a guardare gli animali animati che correvano. «Papà!»

    «Va bene.» Quando il cartone animato finì, il bambino si alzò e andò a guardare l’orologio al muro in cucina che segnava le quattro. «Papà, io vado a giocare con Bill.» Il piccolo Bill Reynolds, di un anno più di lui, lo avrebbe aspettato fuori non appena fosse sceso da casa sua in Farleigh Rd.»

    «D’accordo, ma state attenti, e non vi allontanate.»

    La signora Wright aveva da poco finito di spolverare i mobili del salone di casa quando vide arrivare il figlio con il pallone in mano. Pulì delicatamente con la pezza la foto della sua famiglia e l’altra con la famiglia Banks. Lei e la signora Thompson erano diventate grandi amiche. Il sabato sera, rimanevano per un po’ a chiacchierare del più e del meno mentre il signor Reynolds e Banks guardavano la partita di calcio e Joseph e Bill giocavano a nascondino nel salotto. Con lei condivideva la passione per la cucina e il cucito.

    «Vai con Joseph?»

    «Sì, andiamo al parco.»

    «Va bene. Non dare confidenza agli estranei.»

    «Certo.»

    Di solito il West Hackney Recreation Ground brulicava di gente, ma quel giorno era più deserto che mai, a parte qualche coppietta che si sbaciucchiava e un anziano signore che passeggiava con un bastone. I due bambini stavano accarezzando un pastore tedesco al guinzaglio di un certo Jonathan Kingsley. «Come si chiama?» chiese Bill.

    «Non lo so, non è mio.» Joseph sentiva l’odore di cibo addosso al suo maglione. «È cipolla» disse lui.

    «Che schifo! Perché non si lava?»

    «Dovresti imparare le buone maniere, ragazzino!» Il bambino si fece serio mentre il signore se ne andava.

    «Avanti, andiamo a giocare» disse Bill lanciando la palla.

    «No, aspetta, adesso gli faccio vedere io!»

    «Che cosa vuoi fare?» Joseph scavalcò la ringhiera e non appena il signore posò per un attimo il libro sulla panchina per togliersi la giacca lui lo prese e corse via senza che se ne accorgesse. Poi lui si voltò. «Dov’è finito?»

    Il bambino si mise a ridere mentre si allontanava. «Guarda che cosa ho!»

    «Sei matto! Gli hai rubato il libro! Pensa quando tuo padre lo saprà!»

    «Tu non glielo dirai, vero?»

    «Io…»

    «Giuramelo.»

    «D’accordo.» Il bambino si guardò intorno. Nessuno lo aveva visto. Tirò un sospiro di sollievo. Un ragazzo seduto su una panchina là vicino cominciò a tossire. Si toccò la pancia e si mise in ginocchio. «Che ti succede?» chiese la ragazza accanto a lui.

    «Non lo so, non mi sento bene.»

    «Ehi, voi due, chiamate subito un’ambulanza, presto!» Bill e Joseph corsero verso la Saint Paul’s Church, dove due ore dopo si sarebbe svolta la funzione religiosa. «Aprite!» esclamò Bill.

    «Che volete?» chiese il sacrestano. Era un certo Thomas Madison, un omone con dei baffi all’insù e dei grossi occhiali neri.

    «Un ragazzo sta male, chiami qualcuno» rispose Joseph. Altre persone per strada cominciarono a tossire. Uno di loro cadde a terra e cominciò a tremare. L’uomo se ne accorse. «Ma che succede?»

    «Si sbrighi.»

    Il Whittington Hospital era in subbuglio. Infermieri che portavano gente che tossiva, due uomini in agonia, una donna con la febbre alta, un’altra con le convulsioni.

    «Io non capisco» disse il primario all’entrata. «Fino a poco tempo fa era tutto tranquillo, adesso…» Alzò lo sguardo. Il cielo si era fatto grigio scuro e da lontano una coltre di nebbia si avvicinava verso l’ospedale. «Ma che diavolo!»

    Nelle ore che seguirono, quasi tutti gli ospedali della zona si gremirono di gente. All’Homerton University Hospital il caos. Joseph e Bill erano rientrati a casa per le sei. Joseph arrivò a casa con la fronte imperlata di sudore.

    «Dove diavolo sei stato?» chiese il padre.

    «Norman, ti prego» disse la moglie. «Joseph, tu stai bene?»

    «Sì, sto bene. Che succede, mamma?»

    «Vorrei saperlo anch’io, tesoro.»

    «Portalo in ospedale, io torno subito.»

    «Ma io sto bene, papà.»

    «Fa’ come ti dico, Joseph.» Uno strano odore aleggiava nell’aria. L’uomo si coprì fino al collo. Una macchina della polizia si trovava alla fine della strada. «Salga su, signore» disse l’agente.

    La macchina sfrecciò per la A10. «Va’ più piano, Ron.»

    «Non vedo niente, signore.» Banks guardò il cielo. La città era completamente avvolta da una coltre densa di nebbia. Nella zona di Dalston la gente era in preda al panico. La macchina si fermò dietro un’altra che non accennava a muoversi. Banks scese rimanendo allibito davanti alla lunghissima fila di macchine che aveva bloccato la strada. «Maledizione!»

    Al Royal London Hospital erano state dichiarate cinquanta vittime, tra lo stupore del personale medico e la disperazione dei familiari. Negli altri ospedali della zona la situazione era ormai critica. Quando Banks rientrò a casa, stanco e arrabbiato, diede un pugno alla porta dell’entrata.

    «Norman.»

    «Cinquecento morti!»

    «Oh, mio Dio!»

    «Dov’è Joseph?» Il bambino attraversò in fretta il salotto e il padre lo abbracciò. «Sta bene» disse la moglie. L’uomo accese il televisore. «Gentili telespettatori, Londra è nel caos. Un’enorme coltre di nebbia fredda, densa e maleodorante si è abbattuta nella città. Non sappiamo ancora come questo possa essere accaduto. Le autorità locali e tutto il personale medico stanno facendo tutto quanto è in loro potere.» Poi il giornalista prese il telefono e continuò. Banks chiuse gli occhi. «Da fonti ufficiali, il bilancio è salito a 3.000 morti. Gli ospedali hanno riportato che altre 20.000 persone sono molto malate. Le autorità e il personale medico raccomandano di tenere i bambini in casa per precauzione.»

    «Joseph, non andrai da nessuna parte, hai capito?»

    «Sì, papà. Come sta Bill?» chiese con le lacrime agli occhi. L’uomo andò al telefono e chiamò casa Reynolds. «Sta bene, Joseph, è sano e salvo.» Il bambino abbracciò la madre.

    Banks uscì dal salone e aprì la porta. «Restate qui, io torno subito.»

    «Papà!» esclamò il piccolo.

    «Ti voglio bene, figliolo.» L’uomo percorse la strada che portava all’A10. Gente che camminava appoggiandosi ai muri, negozi chiusi, locali con vetrine rotte, bambini che piangevano. «Tutti a casa, presto!» Un gruppo di ragazzi urlava contro il proprietario di un edificio. «Andatevene via.»

    «Ma noi vogliamo vedere il concerto!» gridò uno di loro.

    «Non è possibile. Tornate a casa.» Le autorità avevano ordinato di sospendere tutti i concerti, le rappresentazioni teatrali e i film che venivano girati in quel periodo. «Non è giusto!» gridarono tutti in massa.

    «Adesso basta» urlò Banks. Si voltarono verso di lui. «Se non andate subito a casa vi faccio arrestare, chiaro?» Dopo che il gruppo di gente si sparpagliò, Banks si guardò intorno. Si coprì la bocca con la mano e si inginocchiò al centro della strada. «Che Dio ci salvi.»

    Parte prima

    GIORNI PERDUTI

    Nell’oscurità della notte, la Stoke Newington Road era illuminata dal giallo vivo delle candele che gli abitanti di Londra reggevano mentre si recavano verso la St. Thomas Church. Le torce accese liberavano una cappa di fumo che si confondeva con il buio. Padre Douglas aveva organizzato la fiaccolata per rendere omaggio alle vittime della tragedia di quello che era stato chiamato il fumo di Londra dell’anno prima. Le cose non saranno più come prima si diceva in giro. Il fiume di gente percorse tutta la Kingsland Rd.

    Era stato proclamato il lutto cittadino. Negozi e locali chiusi, chiese aperte fino a tarda notte. Dai balconi delle abitazioni, la gente restò ad osservare la folla che era arrivata all’altezza di Ridley Rd. Una vecchietta in lacrime faceva il segno della croce. Quando raggiunse la Sandringham Rd. accadde qualcosa di strano. La polizia aveva arrestato un uomo che aveva tentato di aggredire una donna che abitava nelle vicinanze.

    «Portatelo via» aveva detto Norman Banks. Aveva l’aria stanca ma era sollevato nel sapere che la sua famiglia era sana e salva. Il Clean Air Act che era stato emanato l’anno prima aveva rimesso le cose a posto, ma ci voleva ancora un po’ di tempo prima che tutto tornasse alla normalità.

    Il piccolo Joseph Banks non era più impaziente di aspettarlo a casa tanto quanto quattro anni prima. Ce l’aveva con lui per averlo messo in punizione nella sua stanza, pur sapendo che se lo meritava dopo quello che aveva combinato. Il padre aveva saputo che aveva rubato un libro ad un uomo al parco. Era stato Bill a spifferare tutto. «Avevi giurato, sei uno spione!» gridò lui.

    «Mi dispiace» ribatté Bill.

    «Tu non sei più mio amico» aveva detto sbattendo la porta della sua stanza in Farleigh Rd. Sapeva che lo aveva fatto per vendicarsi dopo che lui gli aveva rubato il pacchetto di caramelle dallo zainetto il primo giorno di scuola. Poi era stato costretto ad andare a casa del signor Kingsley, di cui sentiva ancora l’odore della cipolla che metteva nella pizza.

    «Chiedi scusa» aveva urlato il padre.

    «Non farlo mai più» disse l’uomo.

    Accompagnato dalla madre, la quale volle far visita alla signora Thompson, Bill entrò lentamente nella stanza aprendo la porta.

    «Ciao.»

    «Che diavolo vuoi?» Joseph era sdraiato sul letto, con lo sguardo verso il soffitto. Non sapeva che fare. Qualche minuto prima aveva adocchiato la finestra con il pensiero di aprirla per poi sgattaiolare fuori. Si rese conto però che se lo avesse fatto il padre non gliel’avrebbe fatta passare liscia. «Lasciami in pace.»

    «Mi dispiace, io non volevo.»

    «Be’, l’hai fatto. Per colpa tua, sono costretto a rimanere qui, e chissà quando mio padre mi farà uscire.»

    «Parlerò con tuo padre. È stata colpa mia.»

    «Ah, sparisci.» Il bambino abbassò la testa e gli cadde una lacrima. «Come vuoi. Ti voglio bene, Joseph» disse in lacrime. Richiuse la porta, scese rapidamente le scale ed uscì dalla casa. La madre scosse la testa mentre beveva la tazza di tè. «Questi ragazzini!»

    Bill non sapeva più che fare. Joseph era l’amichetto con il quale gli piaceva giocare più che con gli altri ragazzi. Il gruppetto di bambini della classe della Olive School Hackney stava confabulando su come fare a convincere Joseph a far pace con Bill. «Cosa?!» esclamò.

    «È l’unica soluzione» disse Brad Schimmel, il più grosso di tutti. Chiese a Bill di arrampicarsi alla ringhiera del suo balcone per far credere a Joseph di essere in pericolo. «E se cado e finisco in ospedale?»

    «Non succederà» rispose. «Basta che ti tieni forte.»

    «È una follia» disse. «D’accordo, facciamolo.»

    Sotto un cielo che era tornato ad essere sereno dopo un po’ di tempo, Joseph Banks camminava lungo la Palatine Rd. dove Schimmel gli aveva chiesto di aiutarlo per il compito di matematica. Lui aveva detto che non era molto bravo e che sarebbe stato meglio chiedere a Tom Hillard, il secchione della classe. Lungo la strada il silenzio, a parte due bambini in bicicletta. Poi un urlo: «Aiuto!» Joseph alzò lo sguardo. Un bambino gridava come un matto aggrappato alla ringhiera. «Bill!»

    «Joseph, aiutami, ti prego!»

    «Sto arrivando.» Joseph salì in fretta le scale. Quando arrivò al quinto piano, trovò la porta chiusa. «Accidenti!» Con tutta la forza che aveva, riuscì a sfondarla dopo cinque tentativi. Cadde a terra con la spalla dolorante. «Joseph, sto cadendo.»

    «Vengo.» Joseph afferrò il braccio dell’amico prima che potesse cadere.

    Caddero insieme all’entrata della sala da pranzo. «Tutto bene?»

    «Sì, grazie, amico.» Una donna entrò in casa con le buste della spesa in mano e notò i due bambini a terra uno accanto all’altro. «Che diavolo ci fate voi qui?»

    «Oh, oh!» esclamò Bill.

    «Noi…» disse Joseph.

    «Sparite, prima che chiami la polizia.»

    «Mio padre è la polizia, signora» disse Joseph.

    «Be’, peggio per te, signorino, ti farò dare una bella lezione.»

    «Un’altra!»

    «Via di qui!»

    I due bambini iniziarono a correre scendendo in strada. Joseph era allo stremo delle forze. Poi scoppiarono a ridere. «Tu stai bene?» chiese Joseph.

    «Sì. Grazie, mi hai salvato la vita.»

    «Già.»

    «Allora mi perdoni?» Il bambino ci pensò un attimo. «Certo.» Bill lo abbracciò. Joseph notò il livido al braccio dell’amico. «Ti fa male?»

    «Un po’.»

    «Vieni, andiamo a casa mia.»

    La madre di Joseph appoggiò la pezza imbevuta di acqua calda sul braccio del bambino, il quale emise un grido di dolore. «Sta’ attento la prossima volta.» Norman Banks entrò in casa sbattendo la porta. Joseph notò che non aveva passato una buona giornata. Evidentemente, la riunione dei genitori non era andata come aveva sperato. Del resto, se lo era immaginato. Sapeva di andare male a scuola e di doversi impegnare di più, ma era troppo occupato a pensare ad altro. «Che ti hanno detto le maestre?» chiese la moglie.

    «Oh, mi hanno fatto i complimenti per i brutti voti, soprattutto quella di matematica.»

    «Cosa? Avrei dovuto aiutare Brad Schimmel oggi!» Bill sapeva che non era vero, ma non poteva parlare, altrimenti sarebbe stata la fine.

    «Stai scherzando?! Sei una frana.» È più bravo in inglese. Perché non ci ho pensato prima? Che idiota che sono! pensò Bill. «Ti avverto che se stasera non studi, non vai da nessuna parte.» Si accorse del livido al braccio di Bill. «Cosa ti è successo?»

    «Suo figlio mi ha salvato la vita, signore.»

    «Come hai detto, scusa?» Bill raccontò tutto. Alla fine, Banks e la moglie erano come delle statue di sale. Banks scosse la testa e guardò il figlio che non sapeva che dire. «Il mio bambino!» esclamò la madre sorridendo. «Norman, hai sentito?»

    «Ho sentito. D’accordo. Per questa sera puoi uscire, ma se combini casini te la dovrai vedere con me, chiaro?»

    «Sì, signore.»

    «Bene.»

    La Olive School Hackney era una delle migliori scuole di Londra. Norman Banks fermò la macchina all’incrocio con la Cazenove Rd. Se non fosse stato per lui quel giorno Joseph avrebbe sicuramente marinato la scuola e non sarebbe stata la prima volta. Una settimana prima era rimasto per un attimo all’entrata della scuola aspettando che il padre se ne andasse saltando l’interrogazione di storia, che non aveva studiato. Poi, aveva svoltato l’angolo e aveva raggiunto Bill per andare a spassarsela un po’.

    Quel giorno, però, non fu facile, perché il padre lo accompagnò fino all’entrata. «Va tutto bene?»

    «Sì, certo.» Anche quel giorno non aveva ripassato la lezione di inglese, il cui insegnante, un certo Collins, non gli stava simpatico. E fu proprio lui che incontrò lungo il corridoio prima di entrare in aula.

    «Ehi, Banks, hai studiato?»

    «No, signore.»

    «Allora ascoltami perché questa è l’ultima volta che te lo dico. Ho parlato con tuo padre, gli ho detto che vai male nella mia materia e devi studiare, è chiaro?»

    «Sì, signore.» Aspettò che entrasse in aula e non appena posò la borsa e la aprì per poi voltarsi verso la lavagna, tirò fuori la penna stilografica dal taschino interno e se ne andò. Così impara, pensò sorridendo.

    Alla fine della lezione, dopo che Tom Hillard aveva fatto l’ennesima interrogazione da dieci a lode, Joseph e Bill uscirono dall’aula. Joseph venne assalito da una fame mostruosa, ma non aveva niente con sé. I due superarono i bagni. Il signor Marshall, il bidello della scuola, era intento a leggere il giornale del giorno. Guardò Joseph corrugando la fronte. Diceva che non gli andava a genio e che secondo lui aveva la puzza sotto il naso. Badi a come parla, si ricordi con chi sta parlando gli aveva risposto lui. Il figlio Jeremy passò da quelle parti. I due si scontrarono. «Ehi, attento a dove cammini, aiutami a riprendere le cose dallo zainetto.»

    «Certo.» Non appena notò il sandwich a terra, Joseph lo prese nascondendolo nella tasca dei pantaloni. Bill se ne accorse. «Ladro» disse lui quando arrivarono nei pressi di un’altra aula. Joseph si fermò rimanendo come una mummia incapace di muoversi.

    «Ehi, che ti prende?» chiese Bill. Una ragazzina con dei bei capelli color oro e degli occhi castani stava leggendo un libro. Joseph la guardò in tutta la sua bellezza. «Chi è quella lì?»

    «Si chiama Gwen McNight. Lasciala perdere. Non sei il suo tipo.» Un ragazzino li chiamò a gran voce dal fondo del corridoio. Due ragazzi poco più grandi di lui lo circondarono. «Ma che succede?»

    «Che diavolo vuoi?» chiese Schimmel al ragazzo. Si chiamava Ed Solomon. Era temuto da tutti nella scuola. Una volta aveva picchiato un bambino più piccolo di lui che lo aveva mandato a quel paese. Non mi fa paura aveva detto Bill. «Non mi piace quel tono, Schimmel.»

    «Ehi, Solomon!» esclamò Bill avvicinandosi a lui.

    «Bill, lascia perdere» disse Joseph.

    «Fatti gli affari tuoi, Reynolds.»

    «Lascialo in pace.»

    «Altrimenti?»

    «Meglio che tu non lo sappia.» Il ragazzo si mise a ridere e diede un pugno a Schimmel all’altezza del naso. Bill si scaraventò su di lui e iniziò a colpirlo ripetutamente al viso con tutta la forza che aveva. «Che diavolo state combinando?» disse Marshall che si fece largo tra la folla di ragazzini che stavano assistendo alla scena. «Basta così.» Vide il viso di Solomon pieno di sangue e strattonò Bill per la maglietta. «Sei impazzito!»

    «Ha cominciato lui» gridò.

    «Finirai nei guai per questo, Reynolds.»

    Bill e Solomon erano seduti uno accanto all’altro nell’ufficio del direttore. Sopra la scrivania in mogano la targhetta d’oro con su scritto «Matthews.» L’uomo si accese un sigaro, si alzò dalla sedia di pino intagliata, aprì la finestra e tornò a sedersi. Guardò i due ragazzi e disse: «Tre giorni di sospensione per Solomon, una settimana per Reynolds. È tutto.»

    «Ma signore» disse Bill. «Ha cominciato lui. Non doveva mettere le mani addosso a Schimmel.» In precedenza, Matthews aveva parlato con i genitori di entrambi. Vostro figlio ha bisogno di un po’ di disciplina aveva detto al padre di Bill. Ciononostante, fece una ramanzina anche alla madre di Solomon, la quale si limitò ad abbassare il capo. «Ho detto una settimana. Non discutere con me, Reynolds. Fuori di qui prima che perda la pazienza.»

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1