L'estate di Anne
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Anteprima del libro
L'estate di Anne - Rosanna Boaga
info@youcanprint.it
1
«Miss Anderson?» chiese una voce dietro di lei. Si voltò e si vide davanti un ragazzo con una divisa rossa che reggeva le sue valigie. Le prese, lo ringraziò e mentre quello si allontanava si guardò in giro. La piccola stazione di provincia era grigia e un po’ sporca, con un giornale vecchio di qualche giorno abbandonato sulla panchina lì vicino, di cui si vedeva appena la data: 28 maggio 1963. Una locandina sgualcita si stava staccando dal pannello degli avvisi e ondeggiò per il vento. Non c’era nessuno sul marciapiede.
Il fischio del treno si fece sentire e i vagoni ricominciarono a muoversi.
Indietro ormai non si torna...
pensò la ragazza, sentendosi percorrere il corpo da un tremito. Uscì dalla stazione passando per una minuscola sala d’aspetto, con le poltrone di pelle consunta. C’era solo una vecchia, avvolta in due o tre vecchi foulards scoloriti, nonostante il caldo estivo. Ruminava qualcosa in bocca e ogni tanto borbottava in modo incomprensibile. Quando le passò davanti le inviò un’occhiata di simpatia, ma lei tirò dritto e uscì all’aperto. La luce quasi l’accecò. Impacciata, si passò le due valigie in una mano e con l’altra cercò di ripararsi gli occhi. Vide ancora che non c’era nessuno nei dintorni e pensò che nel primo pomeriggio di un giorno di giugno, con quel caldo che saliva dall’asfalto, tutti se ne stavano di sicuro in spiaggia o al fresco da qualche parte. Camminò un po’ sul marciapiede e raggiunse i posteggi vuoti dei taxi. Vide un apparecchio telefonico appeso al muro, lì a fianco, ma appena prese in mano la cornetta si accorse che era fuori uso.
«Di bene in meglio!» mormorò e poi non potendo fare altro, si sedette su una delle valigie ad aspettare gli eventi. Avrebbe riposato qualche minuto, prima di pensare a qualcosa.
Il profumo del mare arrivò portato dal vento, pieno di promesse e di aspettative. Si sentiva stanca per il viaggio. C’erano volute parecchie ore di treno per arrivare da New York, e molte, molte di più via nave dall’Inghilterra. Anne fece un sospiro, mentre si guardava intorno.
La stazione si trovava lungo una strada non centrale, un po’ all’interno rispetto alla costa. La cittadina di Daisyville dove si trovava era un piccolo centro nella Florida occidentale, un puntino minuscolo sulle mappe lungo il bordo della penisola. Un vecchio paesotto di pescatori ridipinto di fresco e con velleità da luogo di villeggiatura, a giudicare dalle due agenzie immobiliari di fronte alla stazione con grossi cartelli per gli affitti estivi.
Notò un’auto dall’altra parte della strada. Era una spider blu metallizzato, con i sedili di pelle chiari e capote bianca ripiegata dietro i due posti. Un gioiellino che suo padre avrebbe adorato.
Un giovane uscì dall’agenzia turistica di fronte e montò proprio in quell’auto. La ragazza si alzò e corse barcollando coi bagagli verso di lui.
«Mi scusi!»
L'uomo si girò e la squadrò dall’alto in basso con aria esperta. Lei abbozzò un sorriso.
«Sa dirmi dove potrei trovare un telefono?»
«Anne! - esclamò il giovane e scese felice dall’auto - Perché sei Anne Anderson, non è vero?»
La ragazza restò un momento interdetta, poi annuì e lo guardò di sottecchi.
«...Sì, ma… come...?»
In due salti le fu a fianco ridendo.
«Meno male! Sai che brutta figura avrei fatto se non eri tu? Avanti, salta in macchina che ti porto a casa!»
Le prese di mano le valigie e le scaraventò nel portabagagli, mentre Anne si riscosse finalmente dal suo torpore.
«Ma come si permette? Chi è lei? Come fa a conoscermi?»
«Mi chiamo John Parkerman e abito vicino ai Van Dyke. Ti do un passaggio, sempre se sei d’accordo.»
Le lasciò la mano che le aveva stretto e la scrutò per cogliere eventuali ribellioni. Ma Anne strinse le labbra e salì in macchina senza una parola. L’altro saltò dentro allegro e l’auto partì con un rombo. Durante il tragitto la ragazza si guardava attorno: era così diverso quel posto rispetto ai luoghi da cui veniva. Mentre l’aria calda del pomeriggio le accarezzava i capelli biondi, Anne ripensava alla casa che lasciava alle spalle. Ora iniziava un’altra vita. Quella precedente era solo un ricordo, come suo padre.
«La casa di zio James è fuori città, ma non è isolata, - cominciò ad un tratto John Parkerman - in qualche minuto arriveremo. Mi hai trovato per caso, di solito a quest’ora sono fuori a portare turisti sulla mia barca lungo la costa. Sarebbe stato meglio se avvisavi i tuoi: se avesse saputo che venivi oggi, zio James sarebbe venuto a prenderti con tanto di autista e limousine. Non bada a spese, lui. È talmente ricco che potrebbe comprare tutta la città, se volesse, e credo che prima o poi lo farà sul serio. Saranno tutti felici di vederti. Charlie ieri mi diceva...»
«Zio… James?» interruppe Anne. John arginò il fiume di parole e si voltò verso di lei, stupito.
«Sì, zio James… Ah, sì, è vero, sono abituato a chiamarlo così, lo conosco da sempre, ma non è il mio vero zio. Siamo solo vicini di casa.»
Le lanciò uno sguardo, lei sorrideva divertita.
«Sono nato qui e sono cresciuto insieme a Charlie. Ho passato più tempo da loro che a casa mia. Accidenti, se penso a tutta la pubblicità che ti hanno fatto... E tu arrivi così, in sordina…»
«Hanno detto a qualcuno del mio arrivo?»
«A qualcuno? A tutta la città! Da un mese a questa parte non si parla d’altro!»
«Oh…» Anne si portò una mano alla gola, spaventata. John la vide e rise.
«Oh, ma non aver paura, siamo gente abbastanza pacifica.»
«Zio James si è risposato, vero?»
«Sì, con Ester. Era ora. Dopo che la prima moglie è morta, sono passati anni prima che decidesse. Sarà un anno e mezzo, ormai, che sono sposati. Ti piacerà, Ester, è una gran bella donna. Ah, siamo quasi arrivati.»
Anne si volse e si accorse che ormai erano giunti sulla costa. Percorrevano infatti un lungo viale di palme, mentre il mare s’infrangeva spumoso sugli scogli al di là del parapetto. Dall’altra parte della strada le case allineate sembravano salutarla sotto quel sole brillante, dipinte di colori accesi e luminosi, coi verdi balconi aperti e gli anziani seduti fuori della porta, lungo la via. Poi si lasciarono alle spalle la cittadina e cominciarono a salire un colle ricoperto di bosco. Il percorso era un po’ tortuoso e in qualche minuto arrivarono davanti ad un cancello di ferro battuto. Le cicale estive si fecero sentire all’improvviso, non appena si spense il motore rombante di quella spider. John andò a suonare il campanello e, dopo due parole al citofono, tornò al volante. Il cancello si aprì piano e l’auto entrò nel giardino. Aggirando una grande e fiorita aiuola rotonda si fermò proprio davanti al portone d’ingresso.
Anne si guardò attorno mentre il giovane posava le sue valigie sulla soglia. La casa aveva la parte destra della facciata ricoperta da una meravigliosa bouganville viola che saliva lussureggiante fino al tetto. Il sole scottava i mattoni chiari a vista, intervallati in qualche punto da ciuffi d’erba scossa appena dal vento; più in alto, uno dei balconi aperti e scuri lasciava che una tenda candida si agitasse nell’aria. Fece qualche passo sentendo crocchiare la ghiaia sotto i suoi piedi. La porta d’ingresso si aprì per farli entrare.
«Beh, io devo andare, adesso.» farfugliò John.
«Come, non entri?»
«No, no.»
«Allora, grazie per avermi accompagnato.»
Anne gli tese la mano, il giovane arrossì appena e gliela strinse.
«Ma figurati. Io vado. Abito qui vicino, vedi? Proprio là dietro.»
Le indicò un po’ impacciato la macchia di alberi al di là del muro di cinta del giardino.
«Se avessi bisogno di qualcosa, c’è un cancello nel muro ed è sempre aperto.»
In quel momento Anne si sentì chiamare dall’interno della casa.
«È Charlie. - disse John - Io vado. Spero, spero che ci rivedremo.»
Prima che Anne potesse trattenerlo corse via e sparì con la sua auto.
«Anne! Finalmente!»
La ragazza comprese confusamente che suo cugino la stava abbracciando.
«Non vedevo l’ora che arrivassi! Quanto tempo è che non ci vediamo? Troppo! Avrei voluto venirti a trovare mille volte!»
La trascinò dentro e lei lo guardò frastornata. Aveva i capelli neri e ricci e due forti occhi scuri dietro alla squadrata montatura nera degli occhiali. Con due braccia vigorose la tirò nell’atrio e le presentò la famiglia.
«Per Giove, mia cara, sei qui! Benvenuta! Siamo molto felici che tu sia qui, avrei voluto venirti a prendere. Vorrà dire che dovrò farmi perdonare in qualche modo.» le disse James Van Dyke, con un sorriso sincero che mostrava i suoi piccoli denti. Era brizzolato ma ancora giovane e la sua voce, così calda e sicura, le trasmise subito il senso di essere a casa.
«L’ultima volta che ti ho vista avevi tre anni. Sono proprio contento che ti sia convinta a stabilirti da noi. Qui c’è tanto spazio che... Per Giove, scusami Anne, scordavo. Voglio dirti che ci dispiace molto per tuo padre. Era un uomo meraviglioso. Mia sorella lo adorava e mi scriveva sempre tanto bene di lui finchè era in vita.»
«Grazie.» disse lei, col sorriso appena offuscato.
«Cara, sono contenta che tu sia qui. Sono Ester.»
Anne si rivolse alla donna sorridente che aveva parlato: si sorprese della sua ancor fresca giovinezza; gli abiti semplici erano in netto contrasto con la bellezza sofisticata del suo viso, ma soprattutto dei suoi occhi, di un colore chiaro che la ragazza non seppe definire.
«Piacere, zia. Posso chiamarti così, vero?»
«Ma certo. Hai fatto buon viaggio? Ora potrai rinfrescarti con calma e sistemare le tue cose.»
«Dov’è Natalie? Doveva essere qui.» esclamò James, guardandosi attorno. Ester vide che Anne non comprendeva e si affrettò a spiegarle.
«Natalie è mia figlia, avete più o meno la stessa età.»
«È uscita, papà, torna più tardi. - disse Charlie - Intanto vieni, Anne, ti mostro la tua camera.»
La ragazza lo seguì su per le scale e lungo un corridoio, fino ad una stanza ariosa e piena di luce. Charlie pose i suoi bagagli ai piedi del grande letto, appoggiati su una morbida moquette azzurra. Di fronte a lei, la porta per il bagno privato, con le mattonelle anch’esse azzurre. I mobili erano in legno chiaro e disposti lungo le pareti: un armadio, una cassettiera e uno scrittoio posto proprio sotto una delle finestre, che Charlie aprì facendo entrare l’aria fresca che lei respirò a pieni polmoni.
«Allora che ne dici, ti piace? L’ho scelta io, era quella della nonna. Certo, se non ti va, possiamo sempre cambiare.»
«No, no, mi piace molto! Sei stato molto gentile. Avete una casa meravigliosa.»
«È l’orgoglio di papà. L’ha comprata in rovina molti anni fa e se l'è sistemata un po' alla volta.»
Anne si affacciò ad una finestra e vide, oltre uno spuntone di roccia, la distesa blu-verde del mare e un piccolo promontorio che faceva una lieve curva prima di affondare nelle onde.
«È bello, vero? - disse Charlie - La mia camera è in fondo al corridoio, sistemati pure con calma. Se hai voglia più tardi ti porto a fare due passi qua intorno.»
«Sì, grazie. Lasciami riposare un paio d’ore e poi ci vediamo giù.»
Il giovane le strizzò l’occhio, raggiunse la porta e prima di uscire dalla stanza le si rivolse ancora.
«Anne, sei venuta in taxi dalla stazione?»
«No, ho incontrato un tuo amico e mi ha accompagnato lui.»
«Era John?»
«Sì, perché?»
Invece di risponderle, Charlie si mise a ridacchiare e, allo sguardo interrogativo di lei, scosse la testa e chiuse la porta. Anne non ci badò; contemplò ancora un po’ il paesaggio luminoso che aveva davanti e si mise a disfare le valigie. D’un tratto si rese conto del grande contrasto tra le sue povere cose e quel mondo annegato nel lusso. Provò un vago senso di paura, al vedere cosa l’aspettava: una vita tutta nuova, una nuova famiglia. Si sarebbe mai abituata?
Levò dal fondo della valigia un quaderno nero chiuso con un paio di elastici, andò alla scrivania e dal quaderno tirò fuori una busta, l’aprì e si mise a leggere la lettera.
"Mia cara Anne,
siamo profondamente addolorati per tuo padre. Non lo conoscevo abbastanza ma tua madre, la mia cara sorella Margaret, lo amava e tanto mi basta per capire che uomo specialissimo doveva essere.
Ti scrivo anche perché, essendo a conoscenza della tua situazione economica, vorrei offrirti di venire ad abitare a casa nostra. L’appartamento a Cambridge di tuo padre resterà comunque tuo e potrai decidere di tornarci quando vuoi.
Allego il biglietto con prenotazione sulla nave Queen Elizabeth
, in partenza il 20 maggio dal porto di Dover.
Dall’Europa certamente sarebbe più rapido un aereo per venire fin qui in Florida, ma un viaggio più lungo forse ti consentirà di distrarti e ritrovare un po’ di serenità.
Se per caso non volessi accettare la mia proposta, ti prego ugualmente di metterti in contatto con me se avessi bisogno di qualsiasi cosa.
con affetto, tuo zio James Van Dyke"
Anne sospirò, persa in pensieri lontani. Le sue dita giocherellarono con il ciondolo a forma di cuore che le pendeva dal collo. Aprì il primo cassetto e ci buttò dentro la lettera e il diario nero. Poi si alzò e cominciò a riempire l’armadio.
2
Charlie accompagnò la nuova arrivata a fare una passeggiata nella cittadina, piccolo ma caratteristico paese di pescatori. La riempì di attenzioni cortesi, presero un gelato e andarono a camminare sulla spiaggia. A cena raggiunsero gli zii in sala da pranzo e la conversazione scorreva fluida, finchè ad un tratto Ester non si rivolse verso la porta.
«Natalie, finalmente! Vieni, presto: è arrivata Anne!» esclamò.
Anne si voltò col sorriso e vide la ragazza ferma sulla soglia. In un attimo ne colse tutti i particolari: dai capelli ramati, ondulati e fluenti sulle spalle all’abito azzurro e aderente. Ma più ancora fu colpita dalla bellezza del suo