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Archeologia, storia e paesaggio: Atti III e IV convegno
Archeologia, storia e paesaggio: Atti III e IV convegno
Archeologia, storia e paesaggio: Atti III e IV convegno
E-book586 pagine5 ore

Archeologia, storia e paesaggio: Atti III e IV convegno

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Info su questo ebook

Il convegno “Archeologia, storia e paesaggio” è un’iniziativa dei Gruppi Archeologici d’Italia esclusivamente dedicata ai neolaureati o ai giovani ricercatori che si affacciano al mondo del lavoro o della ricerca, per valorizzare i migliori talenti tra di loro. Obiettivo è affinarne le competenze e offrire loro una maggiore visibilità in campo nazionale. Possono partecipare al Convegno Nazionale tutti i giovani Soci iscritti ai Gruppi Archeologici d’Italia, o che svolgono attività collaborativa con essi. I relatori possono portare, come loro interventi, le proprie tesi di laurea o parti di esse, oppure ricerche inedite, sia su argomenti locali di storia, archeologia (e affini come tradizioni culturali o antropologia), sia di carattere nazionale o internazionale, vertenti su tematiche che riguardano il patrimonio culturale, che possono essere incluse nelle tematiche di “ Archeologia, Storia e Paesaggio”. Sono qui pubblicati  gli Atti del Convegno, che rappresentano interessanti studi, frutto di giovani menti, appassionate della storia e della cultura, da leggere tutti con l’attenzione che meritano.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mag 2021
ISBN9788831381819
Archeologia, storia e paesaggio: Atti III e IV convegno

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    Anteprima del libro

    Archeologia, storia e paesaggio - AA.VV.

    Note

    AVVERTENZA del GAdI

    Gli Autori degli interventi qui pubblicati si assumono ogni responsabilità in ordine alla paternità e alle valutazioni riportate nei presenti atti, sollevando gli organizzatori da ogni eventuale contenzioso legale e giudiziario.

    Foto copertina

    Abside Abbazia di S. Michele Arcangelo Lamoli (Foto Massimo Gurra)

    Castello di Montalfina di Castel Giorgio

    Introduzione

    Il 7 e l’8 ottobre 2017 il Comitato Regionale Marche-Umbria dei GAI ha organizzato il III Convegno Nazionale Archeologia, Storia e Paesaggio.

    La manifestazione culturale si è articolata all’interno della XIV edizione di Archeologia Ritrovata e ha visto il massimo coinvolgimento di tutti i Gruppi locali del Comitato; in tale circostanza, si sono previsti, inoltre, interventi sul territorio in collaborazione con Enti e Istituzioni.

    La manifestazione ha avuto come location il teatro parrocchiale di Lamoli, presenti il Sindaco di Borgo Pace Romina Pierantoni ed il Sindaco di Sant’Angelo in Vado, il V. Sindaco di Scheggia-Pascelupo Mariella Facchini, e da altri Enti, Istituzioni ed Associazioni quali i G.A.L. rappresentati dal Presidente Bruno Capanna e dalla Società ComunicArte con la presenza del Presidente Luciano Pettinari. L’organizzazione dell’Evento è stata curata dal gruppo archeologico della Massa Trabaria, guidato dal direttore Massimo Guerra, con distribuzione di materiali informativi, collocati in luoghi particolarmente frequentati come Musei, Archivi, Biblioteche, strade e piazze dei centri storici delle cittadine di Borgo Pace e Sant’Angelo in Vado coinvolte nella manifestazione con giornate di studio sui Longobardi.

    Il primo giorno è stato dedicato alla visita del territorio circostante: Urbania, Sant’Angelo in Vado e Mercatello sul Metauro. Tutti punti di partenza per prossime ricerche storico-archeologiche, che certamente arricchiranno la conoscenza delle presenze longobarde nel territorio di Urbino, che potrà costituire il cluster delle abbazie benedettine di età longobarda nell’ambito del progetto europeo Longobard Ways across Europe , itinerario culturale e turistico candidato all’approvazione dell’ Institut Européen des Itinéraires , emanazione del Consiglio d’Europa. Il Cluster delle Abbazie longobarde in Appennino Umbro-Marchigiano Centrale è stato presentato da Vincenzo Moroni che ha esposto la realtà delle Abbazie Longobarde tra Marche ed Umbria, la più imponente concentrazione abbaziale d’Europa .

    Sono seguiti gli interventi specifici a cura degli Storici: Gualtiero Mariotti – Sant'Ansovino di Avacelli e Sant'Angelo in Monte: Architetture monastiche ai confini del Ducato di Spoleto. Federico Uncini – Abbazie Benedettine fondate da signorie longobarde. Renzo Franciolini – Fondazioni Monastiche in zona appenninica, Area Sentinate, tra XI e XII secolo. Flavio Cenci – Sulle tracce di San Michele Arcangelo tra Abbazie, Pievi e Valli dell’Appennino Umbro Marchigiano.

    L’offerta culturale è stata arricchita da visite guidate. Il secondo giorno, invece, è stato dedicato al Convegno vero e proprio, caratterizzato dall’intervento di dodici relatori, Soci di vari Gruppi provenienti da tutta Italia, che hanno contribuito sintetizzando tesi di laurea o ricerche personali. Le relazioni, in seguito, verranno raccolte e pubblicate in un volume dedicato agli Atti del Convegno.

    Dopo la prolusione e introduzione di Gianfranco Gazzetti e Vincenzo Moroni, rispettivamente direttore e vicedirettore nazionale dei G.A. d’Italia si aprono i lavori del 3° Convegno Nazionale Archeologia Storia e Paesaggio.

    L’ intervento di Enrico Ragni, presidente nazionale si è incentrato sullo stato dell’arte dei Beni culturali e Ambientali nel nostro paese, attraverso una figura ancora poco conosciuta, il lucchese Giovanni Rosadi, appassionato avvocato e deputato che ha studiato e inserito le leggi a tutela del paesaggio e dell’ ambiente nel grande corpus legislativo dello Stato, a metà e verso la fine degli anni venti del XX secolo, mettendo l’ Italia all’avanguardia in questo settore.

    A seguire l’ esposizione, con immagini sul ricco e interessante territorio di Massa Trabaria e i suoi siti, tenuta da Maurizio Guerra. Si apre finalmente la vera sessione dei lavori, riservata ai giovani studiosi che presentano undici contributi, inediti su archeologia, storia, arte e architettura. Un archeologo preistorico Andrea Panebianco ha presentato una relazione interessante e ricca di immagini sulla cultura artistica nel paleolitico, Eleonora Poltronieri ha illustrato le dedicazioni nell’antica Akragas oggi Agrigento. Iconografie e ritrovamenti archeologici relativi alle torques in Etruria e area medio-adriatica è stata presentata da Margherita Moruzzi.

    I contributi di Rachele Botti su "dall’ Heraion di Hera Argiva sul Sele, presso Paestum, alla antica Madonna del Granato di Caputaquis , cattedrale sul monte Calpazio e della sorella Lina Botti: il culto mariano nel Cilento, dalla cristianizzazione dei culti Ancestrali al pellegrinaggio, sono stati letti e consegnati per la pubblicazione degli atti. Emanuela Giammarioni ha incentrato sull’imperatrice bizantina Teodora, figura femminile di una grande modernità, dal mosaico di San Vitale a Ravenna alle collezioni di alta moda del 900. Miriam Brugnoni ha presentato le testimonianze artistiche del territorio di Scheggia e Costacciaro durante il ducato dei Montefeltro e poi dei Della Rovere. Selene Lozito ha presentato un capolavoro ligneo rinascimentale della Lucania, il maestro della Madonna del polittico di Stigliano( Matera). A seguire Lucia Panetti ha illustrato un incarico e l’esecuzione di alcune opere per la Chiesa di Santa Maria di Ponte di Piano a Borgo basso in Sassoferrato di uno dei più grandi pittori della prima metà del 600 nelle Marche: Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone che grazie a questa committenza venne chiamato a Roma, perdendo la definizione di pittore provinciale. Infine ha chiuso i lavori Elisabetta Carlino con una esposizione di spiccato livello artistico -creativo, la genesi del processo creativo attraverso le citazioni dall’antico.

    Nel primo pomeriggio dopo il pranzo nel ristorante dell’ Abbazia benedettina convento di San Michele Arcangelo a Lamoli di Borgo Pace e i saluti, una parte dei convegnisti con alcune macchine si sono recati nella non lontana cittadina di Sant’Angelo in Vado per visitare il bellissimo centro storico, ricco di monumenti, arte e storia e vedere con una visita guidata la bellissima domus romana dei mosaici in b.n. e a colori Domus del Mito del I sec. d.C. con i suoi 1000 mq. visibili e tanti altri da scoprire con lo scavo delle altre zone dell’antico municipio di Roma : Tifernum Mataurense .

    Massimo Guerra, direttore del Gruppo Archeologico della massa trabaria

    E’ di notevole importanza sottolineare che, il giorno stesso dello svolgimento del Convegno (il 7 ottobre), è stata consegnata alla segreteria dei Gruppi Archeologici d’Italia, la seconda medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica Italiana destinata alla XIV edizione delle giornate nazionali di Archeologia Ritrovata e alla III edizione del Convegno Nazionale Archeologia, Storia e Paesaggio.

    Ma il Comitato Regionale Marche-Umbria non è soltanto coinvolto nell’organizzazione del Convegno varie volte summenzionato.

    Ogni singolo Gruppo locale provvede ad organizzare eventi culturali territoriali che coinvolgono Enti, Scuole, Comunità, ecc. dedicando volontariamente tempo e forze alla salvaguardia e alla tutela del proprio territorio.

    Bisogna, inoltre, ricordare che il Comitato territorialmente abbraccia anche le realtà locali coinvolte dal sisma del Centro Italia ed alcuni Gruppi locali sono direttamente coinvolti alla tutela e alla salvaguardia di questi territori colpiti dal terremoto.

    Quindi, un sentito ringraziamento per le attività svolte a livello locale e regionale va a tutti i Gruppi locali, nella fattispecie: G. A. Alta Valle Esina, G. A. Amerino, G. A. Appennino umbro-marchigiano, G. A. dell’Alfina, G. A. Guardeese, G. A. Massa Trabaria, G. A. Noukria, G. A. Perusia e G. A. Cascia.

    Un momento dell’incontro serale presso l’Abbazia di Lamoli, per festeggiare la seconda medaglia di riconoscimento conferitaci dal Presidente della Repubblica. ( da sinistra: Gianfranco Gazzetti, Vincenzo Moroni, Camilla, Leonardo Lo Zito, Felice Pastore, Massimo Guerra ed Enrico Ragni. Foto di Claudio Gunetti )

    Presentazione

    Enrico Ragni, Presidente dei Gruppi Archeologici d' Italia, illustra l'importanza del paesaggio attraverso la figura dimenticata di Giovanni Rosai (Lucca 1862 - Firenze 1925 ), ambientalista della prima ora e difensore della cultura e delle belle arti. Avvocato e scrittore, deputato e poi senatore del Regno d'Italia, brillante figura di propugnatore e artefice di una politica che proteggeva il paesaggio e divenne un convinto estensore dei documenti relativi alla creazione di Parchi nazionali e antesignano della difesa dei beni ambientali oltre a quella dei beni artistici e storici. Le sue idee vennero raccolte nelle proposte delle leggi da lui fortemente volute e presentate insieme a Benedetto Croce nel 1922, confluirono in vari articoli e vennero approvate dal Parlamento nella legge n. 748.

    Massimo Guerra, direttore del Gruppo Archeologico di Massa Trabaria, ha presentato il territorio dove guidando le ricerche, opera d VARI ANNI il gruppo. Molto interessanti sono le presenze storiche, archeologiche e architettoniche, presentate con una dominante fantastica: il paesaggio incontaminato. Ma ciò malgrado alcune strutture antiche in questa terra storica intorno al Monte Carpegna sono lasciate all' incuria e all'abbandono e come se non bastasse sono sconosciute ai più. La voce e le immagini del direttore chiedono interesse e aiuto per salvaguardare queste testimonianze, proteggerle e valorizzarle con i loro contesti ambientali e paesaggistici, giunti intatti a noi .

    Aprendo la sessione dei lavori dei giovani studiosi

    Andrea Panebianco che lavora con l' Università di Ferrara dopo essersi laureato all' Alma Mater Studiorum di Bologna, ci parla di preistoria e riguarda la lettura artistica dei manufatti del paleolitico dove l'archeologo, illustra ben documentandola, l'espressione artistica con dovizia di immagini prese sul campo, sul territorio, sugli scavi con grafici e diagrammi. L' arte o meglio l'espressione artistica realizzata sulla superficie dei manufatti e sugli oggetti e sulle pareti dall'uomo del Paleolitico definito dai specialisti : cacciatore - raccoglitore che trovava il suo riparo rifugiandosi principalmente nelle grotte.

    Eleonora Poltronieri, anche lei laureata a Bologna, riguarda l’età classica e il mondo greco, nello specifico una nuova lettura delle dediche alle divinità dell'antica metropoli greca di " Akragas poi romana con il nome di Agrigentum".

    Margherita Moruzzi , laurea all'Università Carlo Bo di Urbino, si occupa del mondo Etrusco e di quello celtico prendendo in esame e confrontando le interessanti e bellissime " torques" (collari) realizzate con fusioni in bronzo tra Etruria e Area medio-adriatica, analizzando la loro iconografia e le rappresentazioni, in relazione alle zone di rinvenimento e agli scavi archeologici effettuati in passato dalle Soprintendenze.

    Rachele Botti, laureata all'antica Università degli Studi di Perugia, fondata nel 1308, presenta una lettura della figura della divinità greca di Hera Argiva a Posidonia ( Paestum ) e la continuità di culto e di devozione nel corso dei secoli sul territorio, con il culto dell' immagine cristiana della Madonna del Granato di Caputaquis (origine dell'acqua) oggi Capaccio-Paestum.

    Un viaggio tra il famoso Heraion sorto in epoca arcaica alla foce del fiume Sele, eccezionale scoperta del grande Umberto Zanotti Bianco insieme a Paola Zancani Montuoro nel 1934 e oggi in gran parte non visitabile e l'antica Cattedrale sorta sullo sperone del Monte Calpazio che ospita la Madonna del Granato. Esempio di una grande continuità del culto antico e pagano nel culto cristiano del frutto del melograno simbolo di fertilità, produttività, ricchezza e unione di tutti i figli della Chiesa.

    Lina Botti anche lei laureata all'Università degli Studi di Perugia, si occupa del culto di Maria nel Cilento dalla cristianizzazione dei culti ancestrali nel corso delle varie fasi, dall' epoca cristiana alla sua evoluzione, come oggetto di percorsi e pellegrinaggi devozionali.

    Emanuela Giammarioni, laureata Università degli Studi Carlo Bo di Urbino, presenta la grande figura dell'imperatrice Teodora e la sua iconografia tra il mosaico ravennate della Basilica di San Vitale, e la sua immagine nelle monete, nelle fonti antiche e altri ritratti ufficiali, che delineano una grande personalità e una lettura artistica e critica, con un salto nel tempo e una attualizzazione con una serie di idee e creazioni che rivivono nelle collezioni di moda del ventesimo secolo. Il paradigma di una fortuna e sfortuna critica di una donna ante-litteram che può essere capovolta a favore di una immagine di donna che torna in auge e che viene rivalutata per il suo splendore, in una positiva e moderna visione.

    Miriam Brugnoni, viene presentata una sua ricerca nel ricco territorio di Scheggia e Costacciaro, mettendo sotto la lente i grandi momenti e le espressioni artistiche che fioriscono nel arco di pochi secoli, godendo della protezione e del mecenatismo nell' epoca d'oro del rinascimento, prima sotto la Signoria dei Montefeltro e poi sotto quella dei Della Rovere.

    Selene Lozito, dell' Università degli Studi di Perugia, ci presenta una grande scoperta della nostra meravigliosa Italia del Sud. In Lucania, nel territorio materano, nella diocesi di Tricarico, nel centro di Stigliano un eccezionale opera frutto della realizzazione di grandi maestranze, autori del bellissimo e monumentale polittico policromo. Il manufatto di grandi dimensioni, circa 27 metri quadrati, che lo rende ,l'opera di maggiori dimensioni di tutta la Basilicata, è in realtà composto da vari dipinti, nove, opera del maestro Simone da Firenze e da altre parti policrome, scolpite a tuttotondo come la figura di Maria Vergine e altre come i quattro bassorilievi a tondo, il tutto racchiuso dalla bellissima cornice lignea attribuita ad eccezione dei dipinti, dagli studiosi al cd. Maestro del Polittico di Stigliano. Il polittico è datato con uno scritto nel dipinto all' anno 1521. Molto bella è la cimasa con la figura di Dio Padre, opera sempre di Simone da Firenze. Ma analizzando il polittico si osserva che l'opera purtroppo si presenta priva nella parte inferiore, manca della predella, scomparsa nel corso dei vari trasferimenti che ebbe l'opera nel corso dei secoli dalla sede originaria, la chiesa del Convento di Sant' Antonio da Padova. Il grande polittico oggi conservato nella Chiesa Matrice dedicata a Maria Assunta nella cittadina lucana doveva apparire bellissimo dipinto entro una preziosa cornice policroma, vista l'alta qualità dell' opera composita dovuta alla committenza del Duca di Mondagrone poi poi Principe di Stigliano Don Antonio Carafa, successivamente passò al Duca di Medina e Vicerè di Napoli Don Ramiro Torres che sposa una principessa della famiglia napoletana Carafa, che le porta in eredità il territorio, in cui Stigliano nel XVI° secolo diventerà il primo capoluogo della Basilicata.

    Lucia Panetti, laureata all'Università degli Studi Carlo Bo di Urbino, ha parlato dell' importante pittore marchigiano di Fossombrone, Giovanni Francesco Guerrieri, che ha operato tra i tanti luoghi del territorio che apparteneva al Ducato di Urbino e allo Stato della Chiesa, anche a Sassoferrato. Parlando del grande artista che opera nella prima metà del "600 nella cittadina sassoferratese per una importante committenza legata alla Città Eterna. Lavorerà all'interno della Chiesa di Santa Maria del Ponte di Piano, la più importante struttura ecclesiastica fuori dalle mura, che lo mise sulla strada di Roma per una RICCA carriera di artista MOLTO APPREZZATO nella sua epoca.

    Elisabetta Carlino, ha presentato delle sue originalissime creazioni artistiche attraverso una personale e spiccata ed elegante visione creativa, con una genesi di immagini, che hanno una loro dinamica, creata e stimolata dall' autrice dell'intervento, attraverso delle indovinate citazioni ispirate al passato.

    Dott.Arch. Enrico Ragni

    Presidente Emerito Gruppi Archeologici d’Italia

    La massa trabaria: storia, cultura e paesaggio di un territorio

    a cura del GA Massa Trabaria

    immagine 1

    Mingucci 1626, confini della Massa Trabaria

    La Massa Trabaria è un luogo d’ incantevole atmosfera che racchiude in sé una storia che inizia intorno all’anno 1000 d.C.

    Questa è una terra devozionale di forme e colori che, ai boschi e paesaggi, accosta panorami rurali di interesse storico-artistico-culturale.

    Il visitatore può vivere questo magico territorio che ha saputo fermare le lancette del tempo, attivando tutti e cinque i suoi sensi per gustare e apprezzare un’area che ha mantenuto la sua identità nel corso dei secoli.

    La Massa Trabaria è un territorio montano che fu talvolta detto Massa di S. Pietro, perché era tributaria della Basilica del Principe degli Apostoli e comunque si chiamava Massa Trabaria perché la maggior parte dei suoi terreni, specialmente a ridosso dell’Appennino, era coltivata ad abeti e piante ad alto fusto, convertibili in travi, molti dei quali venivano mandati appunto a Roma, per essere destinati alle fabbriche delle chiese e ad altri edifici.

    E’ stato un territorio che ha sempre mantenuto la sua identità ed indipendenza nel corso dei secoli. Federico da Montefeltro, che ebbe in dote la Massa Trabaria dalla sua prima consorte Gentile Brancaleoni, visse a lungo in queste terre divenendo uno dei più grandi condottieri e mecenati del Rinascimento.

    Nel Medioevo la Massa Trabaria era un piccolo cantone forestale di proprietà privata della Santa Sede ricchissimo di foreste d’alto fusto.

    La storia di questo piccolo feudo si può dividere in tre periodi: il primo fino al XII secolo, come " patrimonium ecclesiastico; il secondo fino al 1376 come comunità" provinciale; il terzo fino al 1631 come parte del ducato di Urbino.

    Durante il XII secolo mentre la zona circostante era frazionata in piccole signorie o feudi e nell’Italia centro settentrionale iniziavano a formarsi i Comuni cittadini, la Massa Trabaria si era strutturata in Comune territoriale, una sorta di federazione unitaria di piccole comunità raggruppate in quattro distretti: Mercatello, Sant'Angelo in Vado, Belforte all’Isauro e Sestino.

    Fu la Chiesa ad amalgamare ed a unificare in una sola Provincia oltre 100 territori castellani, anche distanti tra loro, ubicati nei bacini montani di quattro fiumi diversi: Marecchia, Foglia, Metauro e Candigliano.

    Questa originale federazione comunitaria durò circa due secoli e rappresentò il simbolo della " libertas ecclesiastica" (in un territorio di piccoli tiranni).

    Nella seconda metà del '300, l’unità territoriale si frantumò e il nostro territorio passò al conte Antonio da Montefeltro.

    Sotto questa dinastia, particolarmente nel periodo del suo più grande esponente, Federico II, l’intera area conobbe la splendida stagione del Rinascimento urbinate.

    Nel 1631, con l’estinzione della casa dei della Rovere, succeduta ai Montefeltro, il territorio della antica Massa Trabaria entrò a far parte dello Stato della Chiesa assieme alle altre terre e città del ducato di Urbino.

    Una definizione di queste terre, molto appropriata nel modo e nei contenuti, è quella fatta da Luigi Michelini Tocci nel suo bellissimo libro Storia di un mago e di cento castelli che riportiamo con tutta l’ammirazione per l’opera di studio compiuta;

    "Una terra che ha conservato, più viva che in altre, l’eco di voci antichissime e nella quale persistono i miti e i riti arcaici.

    Anche le contrade ormai quasi completamente spopolate riescono, come per una arcana alchimia, a trasmutare i silenzi dell’abbandono e della solitudine in presenze magiche e senza tempo.

    La santità delle pievi foranee in rovina, o degradate a fienili, convive con la magia dei castelli diroccati, testimonianze le prime di una pietà adorante e di primato dello spirito, i secondi di una storia quasi sempre crudele; convive con i miti della vita patriarcale nelle grandi case abbandonate, invase dai rovi e destinate in breve a sparire.

    In quella terra, il mito è una presenza arcana ma reale, che, specialmente nelle ore notturne, levita sotto il silenzioso palpitare delle costellazioni e acquista qualcosa di immediato e sensibile, quasi direi impalpabile".

    Il crinale appenninico dell'Alpe della Luna costituisce il confinamento naturale del territorio massano più occidentale, si prosegue dalle sorgenti del Metauro fino a Monte Maggiore raggiungendo Arsiccio e Via Maggio; i limiti fisici seguiranno poi il corso del Fiume Marecchia fino a che questo non si incontra con il Torrente Torbello in località Bascio.

    Da qui i confini forma­no una parte curva, risalendo dal fiume sui monti dal Novelletto a Monte Maggiore, alla Calcinaria di S. Benedetto fino a partire dal monte che regge il castello di Miratoio.

    Dal castello che era escluso perché apparteneva ai Carpegna e fino ad una delle principali sorgenti del Mutino, i limiti settentrionali erano quasi identici a quelli attuali, delimitati dalle tre Provincie.

    Si raggiunge il Sasso di Simone dopo aver toccato Spino o Busconi e dal Simoncello si continua­va seguendo il corso del Mutino fino al punto in cui quel torrente si scarica sul Foglia.

    I confini toccano quasi Lunano e arrivano a Ricciole, oggi detta Casacce, Montenero e Paganico. Da S. Paolo di Selvanera si proseguiva verso il Montepesiliere, oggi Montefrondoso.

    La Massa non occupava affatto il territorio di Peglio e di Urbania né Montenuovo; rasentando il Comune di S. Angelo i confini correvano da Montepesiliere a Monte Specioso, racchiudendo la Villa di Scalocchio e la Villa di Matera, per arrivare poi alla Villa Parnacciano, posta sulle rotte appenniniche.

    I confini toccavano due o tre ospizi nati per soccorrere i lavoratori che si infortunavano nella lavorazione delle travi e prima ancora per accogliere i viandanti; uno di essi era situato sul Monte S. Antonio (Poggio del Romito, 1100 m) e da qui i limiti della Provincia massana si ricongiungevano alle sorgenti del Metauro.

    Questa piccola provincia appartenne idrograficamente alle alte valli del Metauro e del Foglia, e per minor parte a quelle del Marecchia e del Candigliano, ma non del Tevere.

    Dal Diploma di Ottone IV si evidenziano otto Comuni appartenenti alla Massa: Badia Tedalda, Sestino, Frontino di Massa, Belforte all’Isauro, Piandimeleto, S. Angelo in Vado, Mercatello sul Metauro e Borgo Pace, che esistevano anche nel secco XIII.

    Oltre ai territori degli otto Comuni, la Massa comprendeva alcune piccole porzioni degli attuali comuni di Urbino, Urbania, Apecchio, Piobbico, Città di Castello e S. Giustino.

    immagine 2

    Località Fonte Abeti, nel cuore della Massa Trabaria

    Raccoglitori, cacciatori e ... artisti nella Preistoria

    di Andrea Panebianco

    Come ben sappiamo, il Paleolitico è stato suddiviso dagli studiosi in: Paleolitico inferiore, Paleolitico medio e superiore. Il range cronologico è molto vasto, infatti parliamo di più di due milioni di anni (precisamente il Paleolitico Inferiore viene datato a 2,5 milioni di anni fa, il Medio a 120.000 mila anni fa e il Superiore a 35 mila anni fa, con il suo termine a circa 10.500 mila anni fa).

    I fossili guida per lo studio del Paleolitico sono gli strumenti (questi reperti si possono identificare come manufatti, dal latino manu factus «fatto a mano») in pietra. Attraverso lo studio di questi reperti (e all’analisi di altre evidenze) noi archeologi riusciamo a ricostruire le varie fasi dell’evoluzione e degli spostamenti effettuati dai nostri antenati.

    Dobbiamo ricordarci sempre che il lungo cammino dell’uomo anatomicamente moderno (bipede) non avviene in maniera totalmente omogenea in tutto il mondo, infatti ogni fase evolutiva del Paleolitico italiano non coinciderà con la stessa fase del Paleolitico Africano o con quella del Paleolitico Asiatico.

    Anche gli strumenti variano, possiamo prendere come esempio l’Asia, nel paleolitico abbiamo una scarsa quantità di selce lavorata finemente, però molti archeologi sostengono che la materia prima più usata fosse il Bambù, materiale deperibile.

    Quindi la selce non era l’unica materia utilizzata (sicuramente era quella privilegiata) per la realizzazione di utensili come lame, grattatoi, raschiatoi e bifacciali, altre attestazioni ci dimostrano che l’uomo riusciva a lavorare materiali più complessi come: ossidiana, cristallo di rocca, quarzite o semplicemente la materia dura animale.

    L'essere umano fin dalle origini ha cercato di mostrare arte e tecnica in ciò che realizzava, diventando sempre più simile a noi uomini evoluti del XXI secolo.

    Il suo lungo cammino evolutivo lo ha reso capace di costruire, fabbricare, adattare elementi naturali alle sue esigenze.

    Non c'è dubbio sulla realizzazione dei primi segni lasciati dall'uomo, infatti, nel Sudafrica (precisamente a Cape Agulhas, circa 300 km a est di città del capo) è stata scoperta una piccola grotta identificata successivamente come Blombos Cave (BBC), gli studi l’hanno datata a 100 mila anni fa e la sua frequentazione è stata sicuramente discontinua per almeno 140 mila anni.

    Sappiamo che la sua stratigrafia è di 80cm e questo sito è stato identificato come il più antico laboratorio d’arte preistorico. Il rinvenimento di una Haliotis Midae (Gasteropode della famiglia delle Haliotidae) con al suo interno tracce d’ocra hanno fatto ipotizzare che questo grande gasteropode sia stato utilizzato come un moderno mortaio e, un ciottolo rinvenuto poco distante ha attestato l’utilizzo di questi due oggetti, infatti vennero usati assieme come un moderno mortaio e pestello.

    immagine 1

    Fig.1: Foto di repertorio che mettono in evidenzia il luogo di ritrovamento della Haliotis Midae e del mortaio, utilizzati per la macerazione dell’ocra rosso. Il sito venne datato a più di 100.000 anni fa.

    Oggetti di uso comune si trasformano in veri strumenti d'arte, abbiamo testimonianze archeologiche che ci dimostrano il piacere puro del creare, del realizzare qualche cosa di elegante, un'oggetto che racconta una storia. Blombos Cave al suo interno non conteneva solamente questo splendido reperto, infatti gli abitanti della grotta che occuparono successivamente il sito realizzarono anche conchiglie forate e un particolare blocchetto d’ocra rosso inciso con un probabile strumento in selce, questi oggetti sono stati datati a 70.000 anni fa.

    Se per l’evoluzione umana l’Africa è considerata la culla della vita, per l’arte si può dire che l’Europa è la fiamma dell’espansione artistica.

    In Croazia (precisamente a Krapina) vennero trovati diversi artigli d’aquila con tracce ricollegabili all’utilizzo come monili, questi reperti di 120.000 anni fa non sono gli unici, infatti artigli simili vennero identificati anche in Italia, 50.000 anni fa l’uomo di Neanderthal che abitava la grotta di Fumane realizzava monili simili. Estirpava gli artigli dei rapaci per realizzare pendagli o semplici monili che servivano per abbellire il proprio corpo.

    Il nostro lontano cugino, date le nuove scoperte, non è più identificabile come un uomo-scimmia ma effettivamente deve essere messo al nostro stesso livello. Il primo pensiero simbolico, infatti, è del Neanderthal, era capace di un comportamento simbolico, come già citato sopra decorava sia grotte che conchiglie, ne è la prova in rinvenimento effettuato nella Cueva de los aviones in Spagna, una conchiglia dipinta di ocra rosso con due fori che ne ipotizzano l’utilizzo come ciondolo.

    Quindi il nostro antenato decorava le pareti delle grotte già 65.000 anni fa e usava oggetti a scopo ornamentale 120.000 anni fa. L’utilizzo di conchiglie era solo una piccola parte degli innumerevoli oggetti utilizzati come gioielli.

    immagine 2

    Fig.2: La conchiglia rinvenuta in Spagna, possiamo notare le tracce di usura che si possono ricollegare all’utilizzo come un pendaglio. Datata 50.000 anni fa.

    Canini e placchette d’avorio assieme alle conchiglie erano il kit d’abbellimento rinvenuto nel sito della Grotta du Renne ad Arcy-sur-Cure.

    L’arte non è solo estetica ma, in questo caso anche sonorità, infatti, 35.000 anni fa l’uomo creò il primo strumento musicale. In Germania, precisamente nella cava di Hohle Fels, vennero scoperti 12 frammento di un radio di Grifone durante la campagna scavo del 2008.

    La porzione di flauto restaurata misura quasi 22 cm e il diametro misura circa 8 mm e si possono notare cinque buchi che sicuramente servivano per il passaggio dell’aria durante l’utilizzo dello strumento stesso.

    Successivamente gli scavi hanno portato alla luce due frammenti di due flauti in avorio attribuiti al primo Aurignaziano (più antichi di 34.000 anni fa). Le misure differenti ci fanno ipotizzare che i due frammenti siano di due strumenti differenti.

    La realizzazione di un flauto che sia in avorio o in osso è una lavorazione molto complessa, quindi le mani dell’artigiano dovevano essere molto esperte. Il primo flauto realizzato in osso animale, come già citato prima, sfruttava il radio di un grifone, un’animale con un’apertura alare di circa due metri.

    Anche se l’osso era molto lungo, la resistenza era minore di un osso di un’eventuale grande mammifero.

    Invece la lavorazione dell’avorio è talmente complessa che i ricercatori affermano che la realizzazione di un flauto in avorio richiedeva un pezzo di materia prima curvata naturalmente; attraverso rotture e successive saldature che in un secondo momento aiuteranno a confezionare l’artefatto finale. I nostri antenati probabilmente suonavano questi strumenti musicali in diversi sistemi

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