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Breve storia della Sardegna
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E-book412 pagine4 ore

Breve storia della Sardegna

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La lunga e affascinante storia dell’isola più misteriosa del Mediterraneo

La Sardegna è «la perla dell’occidente mediterraneo». Così la definiva Giovanni Patroni, riferendosi alla prima vera civiltà del bacino: quella nuragica. Ma la storia dell’isola ha radici ben più antiche, che affondano nelle prime culture neolitiche, un sostrato autoctono destinato a resistere fino all’arrivo dei fenici e ai traumatici domini cartaginese e romano. La successiva occupazione vandalica è presto superata dall’influenza bizantina, a sua volta spezzata dalle scorrerie arabe, quando in Sardegna vanno formandosi i quattro giudicati autonomi di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura: unicum nel contesto europeo. Il tempo dell’occupazione aragonese che, tra alterne vicende, confluisce in modo pacifico nel periodo spagnolo, avvia la nascita del Regno di Sardegna, destinato a passare ai Savoia per intrecciare il proprio destino con quello dell’Italia, fino ai nostri giorni.

Storia e storie di un’isola da sempre al centro del Mediterraneo

Tra gli argomenti trattati:

Grotta Corbeddu e la Venere di Macomer
La cultura di Monte Claro. Una tradizione spezzata
Sa Turricula. L’alba di una civiltà
La collocazione geografica degli insediamenti fenici
Nascita ed espansione di Roma
Tra arabi e giudici
La conquista aragonese della Sardegna
La guerra di Mariano IV
Giovanni Maria Angioy e l’antifeudalesimo
Verso l’unità d’Italia
Dalla Brigata Sassari alla nascita del Partito Sardo d’Azione
L’Anonima Sequestri
Gianmichele Lisai
È nato a Ozieri, in provincia di Sassari, nel 1981. Editor e autore, con La Newton Compton ha pubblicato una quindicina di volumi. Ha vinto il premio Gualtiero De Angelis per la cultura sarda (Voci tra le onde 2021). Con Antonio Maccioni ha pubblicato Il giro della Sardegna in 501 luoghi; Guida curiosa ai luoghi insoliti della Sardegna, Luoghi segreti da visitare in Sardegna e Breve storia della Sardegna. Curatore di diversi volumi anche per «La Nuova Sardegna», ha un sito web dedicato ai suoi libri e alla sua isola: www.gianmichelelisai.com
Antonio Maccioni
È originario di Scano Montiferro (Oristano). Laureato in Filosofia, è insegnante e dottore di ricerca in Letterature comparate. Ha lavorato nella redazione di alcune case editrici e curato le biografie di Emilio Lussu e Giovanni Spano per la biblioteca storica del quotidiano «La Nuova Sardegna». Con la Newton Compton ha pubblicato, tra gli altri, I luoghi e i racconti più strani della Sardegna. Con Gianmichele Lisai ha pubblicato Il giro della Sardegna in 501 luoghi; Guida curiosa ai luoghi insoliti della Sardegna, Luoghi segreti da visitare in Sardegna e Breve storia della Sardegna.
LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2021
ISBN9788822754530
Breve storia della Sardegna

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    Anteprima del libro

    Breve storia della Sardegna - Gianmichele Lisai

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    768

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    Storie segrete della storia di Genova

    101 perché sulla storia di Genova

    Prima edizione ebook: novembre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5453-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Punto a Capo, Roma

    Gianmichele Lisai - Antonio Maccioni

    Breve storia

    della Sardegna

    La lunga e affascinante storia
    dell’isola più misteriosa del Mediterraneo
    marchio.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    La Sardegna preistorica e protostorica di Gianmichele Lisai

    Tracce delle prime presenze umane. Il Paleolitico inferiore (450.000-120.000 a.C.)

    La grotta di Ziu Santoru e le evidenze corse. Il Paleolitico medio (120.000-35.000 a.C.)

    Grotta Corbeddu e la Venere di Macomer. Il Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C.)

    Nuove testimonianze dal passato. Il Mesolitico (10.000-6000 a.C.)

    L’oro nero della preistoria. Il Neolitico antico (6000-4900 a.C.)

    Le culture di Bonuighinu e di San Ciriaco. Il Neolitico medio (4900-4000 a.C.)

    La cultura di Ozieri. Il Neolitico recente (4000-3200 a.C.)

    Ozieri ii. Tra la Pietra e i Metalli (3500-2900 a.C.)

    La continuità tra Ozieri ii, Filigosa e Abealzu. L’Età del Rame (3200-2200 a.C.)

    La cultura di Monte Claro. Una tradizione spezzata (2900-2200 a.C.)

    La cultura Campaniforme. Tra Rame e Bronzo (2400-2100 a.C.)

    La cultura di Bonnanaro. L’Età del Bronzo antico (2200-1600 a.C.)

    Sa Turricula. L’alba di una civiltà (1700-1500 a.C.)

    Il Nuragico arcaico. L’Età del Bronzo medio (1600-1300 a.C.)

    Il Nuragico. L’Età del Bronzo tardo (1300-900 a.C.)

    Il Nuragico finale. L’Età del Ferro i (900-500 a.C.)

    La Sardegna antica di Antonio Maccioni

    Sulle rotte degli scambi: l’espansione dei Greci verso l’isola

    Greci colonizzatori: racconti mitici al confine tra la leggenda e la storia

    Scorrerie levantine a largo dell’isola di Sardegna: l’arrivo dei Fenici

    L’antica Stele di Nora e la datazione della prima città

    La collocazione geografica degli insediamenti fenici

    Il sacro sonno di fanciulli morti troppo presto

    Rapporti commerciali e frequentazioni: Etruschi, Fenici, Cartaginesi

    La battaglia del mare Sardonio

    Fortificazioni cartaginesi nell’isola

    Tuvixeddu, continuità d’uso di un’area funeraria

    Il riso sardonio e la maschera della tomba punica di San Sperate

    La Sardegna punica tra protezionismo e cerealicoltura

    Africa, antica madre della Sardegna

    Nascita ed espansione di Roma

    Roma nell’isola: Tito Manlio Torquato, Hampsicora, Hosto

    Roma nell’isola da Tiberio Sempronio Gracco a Cesare

    Cicerone, Cesare e la vicenda del cantante Tigellio, uomo da evitare

    Barbaria e Romania tra fine della Repubblica e nascita dell’Impero

    La moneta che rappresentava un intreccio di tradizioni e culture

    Il tempio dedicato da Nerone alla schiava che amava

    Rete stradale e resistenza dei Sardi ai Romani

    Frumento sardo nei granai di Roma

    Acque termali e culti di sanatio

    L’esilio di antichi seguaci dei culti giudaici ed egizi

    La Sardegna tra scienze occulte e introduzione del Cristianesimo

    I martiri e le prime comunità cristiane

    La Sardegna dal Medioevo ai re spagnoli di Gianmichele Lisai

    I Vandali

    I Bizantini

    Tra Arabi e giudici

    I primi giudici della quadripartizione

    Pisa, Genova e Barisone re di Sardegna

    L’ascesa delle famiglie pisane

    La fine dei giudicati di Cagliari e di Torres

    Arborea tiene, la Gallura passa a Pisa

    La conquista aragonese della Sardegna

    I primi focolai di ribellione

    La guerra di Mariano iv

    Eleonora, la carta de logu e la fine del giudicato

    L’eredità arborense: Leonardo Alagon

    I re spagnoli

    La Sardegna sabauda di Antonio Maccioni

    Dalla Spagna ai Savoia

    Vittorio Amedeo ii, il primo re

    La repressione del banditismo

    Il riformismo sabaudo

    Gli anni delle rivolte

    La cacciata dei Piemontesi

    Giovanni Maria Angioy e l’antifeudalesimo

    La tragica fine di Francesco Cilocco e Francesco Sanna Corda

    La restaurazione sabauda

    La congiura di Palabanda

    L’editto delle Chiudende

    L’abolizione del feudalesimo

    La fusione perfetta

    La cultura sarda nell’Ottocento

    Verso l’Unità d’Italia

    La Sardegna contemporanea di Antonio Maccioni

    Le inchieste parlamentari

    Crisi economica, questione della terra e pastorizia

    Criminalità e banditismo

    Il mondo operaio

    La legislazione speciale

    La prima guerra mondiale

    Dalla Brigata Sassari alla nascita del Partito Sardo d’Azione

    Il primo fascismo in Sardegna

    Esemplare repressione: Emilio Lussu e Antonio Gramsci

    Economia, cultura e scuola sotto il fascismo

    Il primato della letteratura

    La seconda guerra mondiale

    La nascita della Regione Sardegna

    La lotta contro la malaria

    Il Piano di rinascita

    L’Anonima sequestri

    La nuova autonomia

    La nascita del turismo di massa

    La vicenda indipendentista

    Una nuova stagione culturale

    La Sardegna del nuovo secolo

    Bibliografia

    Introduzione

    Fare divulgazione storica sull’isola, nell’attuale clima culturale sardo, è cosa delicata. In merito l’odierna produzione editoriale vede generalmente da una parte gli specialisti, che tra tante incertezze provano a ricostruire il nostro passato con metodo, dall’altra studiosi più o meno consapevoli che, pur senza averne i titoli, elaborano in contrapposizione teorie proprie con una discreta presa sul pubblico, specialmente laddove il sentimento identitario – variamente declinato in ognuno di noi – influisce in modo dirimente sul giudizio.

    Fare divulgazione, almeno per quanto ci riguarda, implica collocarsi fuori da simili conflitti, traducendo dalla complessità all’accessibilità le ipotesi accreditate, senza congetture personali, riconoscendo dunque prima di tutto il ruolo degli esperti, ma anche le difficoltà che il fruitore dell’opera potrebbe incontrare nell’approccio con testi troppo specialistici. Con ciò si premette, doverosamente, una distinzione tra i ruoli, nella quale chi scrive non pretende di sostituirsi ad archeologi, storici, antropologi etc., ma prova a fare da filtro tra un mondo scientifico talvolta percepito come distante e il lettore comune.

    Questa complessità, che invade più in generale l’intera storia della Sardegna, si amplifica in modo particolare laddove l’assenza di fonti scritte limita la ricostruzione del passato alle tracce materiali e monumentali, come nei casi della preistoria e della protostoria. È indicativo in questo senso il fatto che ancora mezzo secolo fa la prima comparsa dell’uomo sull’isola si faceva risalire al Neolitico, certezza scalfita con una certa determinazione solo a partire dal 1979, con il rinvenimento nei giacimenti dell’Anglona di selci scheggiate inquadrate nel Paleolitico inferiore (450.000-120.000 a.C.). Il presente volume prende quindi le mosse da questo momento preistorico, per seguirne l’evoluzione fino al Neolitico (6000-3200 a.C.) delle vere e proprie culture prenuragiche le quali, a loro volta, progredendo nel corso dell’Età del Rame (3200-2200 a.C.) concluderanno il proprio ciclo nel primo Bronzo (2200-1600 a.C.), dando origine alla civiltà Nuragica.

    Per questioni di sintesi e chiarezza espositiva si è preferito, in questa sede, suddividere il Nuragico in tre macrofasi con terminologia descrittiva: Nuragico arcaico (1700-1350 a.C.), ovvero il periodo in cui iniziano a definirsi i primi tratti distintivi della relativa civiltà, con peculiari manifestazioni monumentali, ben codificate soprattutto in ambito funerario; Nuragico (1350-900 a.C.), cioè l’apogeo della stessa civiltà che vede la diffusione del nuraghe, semplice e complesso, e di altre forme architettoniche ugualmente caratterizzate da un’elevata uniformità tipologica; e Nuragico finale, già nel primo Ferro (900-500 a.C.), quando entrato in crisi il sistema dei nuraghi, non più costruiti dalle ultime fasi del precedente periodo e anzi ormai sistematicamente distrutti, mutano gli assetti sociali e territoriali. Di conseguenza, si è operata una scelta coerente nella suddivisione dell’Età del Bronzo, optando per un generico momento tardo indifferenziato tra recente e finale, che chiude l’apogeo nuragico senza ulteriori frammentazioni cronologiche.

    Questa suddivisione del Bronzo, semplificata rispetto alle più precise analisi della corrente letteratura specialistica – ma condivisa da autorevoli studiosi ancora negli anni Novanta –, è figlia anche della difficoltà di distinguere, con un sufficiente grado di definizione, l’aspetto finale del periodo dalla prima Età del Ferro. Perciò nel volume non troverete le cinque fasi nuragiche di Giovanni Lilliu, né le molteplici sottofasi individuate più di recente da altri esperti, ma le sole tre summenzionate, la prima delle quali collochiamo tra lo scorcio conclusivo del Bronzo antico e il Bronzo medio, la seconda tra Bronzo medio finale e Bronzo tardo indifferenziato, la terza nel primo Ferro ma solo fino al vii secolo a.C., quando presumibilmente il ciclo nuragico si conclude divenendo una sorta di sardo-fenicio.

    La presenza della Sardegna all’interno delle rotte commerciali che interessavano il Mediterraneo, d’altra parte, si attesta già a partire dal i millennio a.C., per quanto ormai da secoli navigli orientali di varia provenienza praticassero quegli stessi mari alla ricerca di nuovi approdi: portavano con sé mercanti ma anche pirati, trafficanti di oggetti preziosi e poveri schiavi. I Fenici raggiungono appunto l’isola per spinte primariamente legate al commercio e non come conquistatori, integrandosi nella realtà territoriale interessata dal Nuragico e dando impulso alla nascita e alla trasformazione di numerosi insediamenti. Insieme ai prodotti materiali, però, la Sardegna era già entrata in contatto con il più ampio mondo dei Greci colonizzatori, le cui fasi di penetrazione erano state diverse, legate a vicende la cui trattazione si pone ancora adesso ai confini tra il mito antico e la ricostruzione della storia.

    Il rapporto tra i Fenici di Sardegna e le città etrusche si presenta per certi versi in parallelo alla relazione tra i centri etruschi e Cartagine, in particolare alla luce della presenza di materiali etruschi nell’isola e di materiali fenici individuati in ambito etrusco. Le tappe di avvicendamento saranno diverse e piuttosto articolate: dopo la battaglia del mare Sardonio e le guerre sardo-puniche, la Sardegna passa negli atti ufficiali sotto la sovranità cartaginese, pur restando in quella fase aperta al commercio romano. Viene il tempo delle fortificazioni e del protezionismo in campo economico, già prima della conquista di Roma che otteneva l’isola nel iii secolo a.C., pur passando anch’essa attraverso fasi complesse e oltremodo diverse. La distinzione tra Barbaria e Romania, appunto – tra territori colonizzati e territori resistenti alla colonizzazione –, tra fine della Repubblica e nascita dell’Impero, verrà affermata e criticata più tardi, per certi versi superata dalla rilettura degli storici e degli archeologi di professione. Nel cuore della pratica di scienze occulte e riti antichi, giungerà pian piano in Sardegna la buona novella del Cristianesimo – la prima Chiesa sarda arriverà nel iv secolo tra la disgregazione dell’Impero e l’affermazione di Teodosio –, portando con sé i primi martiri e le primissime comunità di fede.

    La breve occupazione vandalica tra la seconda metà del v e la prima del vi secolo avrà un impatto insolito sulla religiosità locale. La politica filoariana dei nuovi invasori, infatti, particolarmente repressiva in Africa, sembra non estendere all’isola la persecuzione dei seguaci dell’ortodossia cattolica. In Sardegna trovano anzi rifugio numerosi esiliati del clero, avviandovi una fase di grande vitalità culturale. Con l’ascesa di Giustiniano, fermo nell’intento di riunire sotto di sé l’impero, avviene la riconquista. L’isola passa così sotto l’influenza bizantina, che apre un periodo povero di fonti, salvo la notevole eccezione delle lettere di papa Gregorio Magno, volte soprattutto a moralizzare gli ecclesiastici sardi a partire dall’arcivescovo di Cagliari, Gianuario. Scarse sono anche le testimonianze sulla transizione al tempo dei giudicati, ovvero i quattro regni autonomi di Cagliari, Torres (o Logudoro), Arborea e Gallura, sorti in modi e tempi incerti prima dell’xi secolo, quando la Sardegna si è dovuta dare un nuovo assetto per fronteggiare le incursioni barbaresche. Di lì a poco sarebbe iniziata la penetrazione pisana e genovese. Pisa, in particolare, sarebbe giunta al controllo di buona parte dell’isola, esclusi i territori del giudicato d’Arborea, unico a superare pressoché indenne il xiii secolo. Sarà proprio l’alleanza iniziale tra questo regno e la Corona d’Aragona ad aprire la porta al dominio iberico. Un’alleanza destinata a rompersi sotto il governo di Mariano iv, scomparso improvvisamente nel 1376 quando, escluse le roccaforti di Cagliari e Alghero, aveva riunito sotto il proprio giudicato l’intera Sardegna. La guerra avviata dal giudice arborense sarebbe proseguita prima sotto il regno del figlio Ugone iii, poi della figlia Eleonora, celebre per aver promulgato la Carta de logu. Soltanto nel 1420 gli aragonesi ottengono l’effettivo controllo di tutta l’isola, con la caduta del giudicato d’Arborea. Un nuovo periodo di tensioni si sarebbe registrato nella seconda metà del xv secolo, al tempo dei conflitti tra il marchese di Oristano Leonardo Alagon e il viceré Nicola Carroz, mentre il passaggio dalla Sardegna aragonese a quella spagnola sarebbe avvenuto pacificamente, nello stesso secolo, con la successione al trono di Ferdinando ii il Cattolico, già marito della regina Isabella di Castiglia.

    Pressoché archiviata la dominazione iberica sull’isola, con l’acquisizione della Sardegna, pur avendo superato il feudalesimo nei loro Stati di terraferma, i Savoia si ritrovano nel 1720 a capo di una terra rimasta ancora legata agli antichi feudatari spagnoli, i quali auspicavano il ritorno dei vecchi sovrani ponendosi così in contrasto con Vittorio Amedeo ii, il nuovo re. Eppure, il lungo periodo di governo piemontese era in quel momento soltanto all’inizio, giacché si sarebbe addirittura dovuto protrarre nell’isola sino all’anno 1861, quando la regione entrava di fatto a far parte del nuovo e nascente Regno d’Italia.

    La Sardegna insieme all’Italia si presentava comunque ancora da farsi: la cosiddetta questione sarda si individua all’origine delle inchieste parlamentari condotte nell’ambito del nuovo regno, orientate a individuare una soluzione alla drammatica situazione sul fronte dei trasporti e delle strade, del lavoro, dell’economia in genere e della pubblica sicurezza. Questioni rimaste irrisolte, naturalmente: la crisi economica viene anche a caratterizzarsi come problema della terra e della pastorizia, nell’emergere di complessi fenomeni di criminalità e, più nello specifico, di un efferato banditismo.

    Tra fine Ottocento e primi del Novecento il mondo operaio sardo si consolida nel cuore dei bacini minerari del più caldo Sud: la massificazione della politica porta al nascere delle prime leghe e delle prime realtà sindacali, fino ai fatti di Buggerru che nel settembre del 1904 contribuiranno alla proclamazione, a partire dalla Camera del lavoro di Milano, del primo sciopero generale della storia d’Italia.

    Grava sulla storia dell’isola il peso enorme della prima guerra mondiale – in termini di conseguenze economiche ma, soprattutto, di vite umane –, allorché dall’esperienza della Brigata Sassari e, più in generale, degli ex combattenti sopravvissuti, si avvia nel dopoguerra in Sardegna l’articolato percorso che porta alla nascita del Partito Sardo d’Azione. Una storia politica esemplare è quella isolana in quegli anni gravi e bui, oscuri ma non abbastanza da poterla qualificare come la patria di almeno (e non soltanto) due grandi protagonisti dell’articolata storia italiana: Emilio Lussu e Antonio Gramsci. Esemplare sarà però anche la repressione che li coinvolgerà sotto il fascismo, le cui conseguenze lasceranno ferite profonde nell’economia, nella società e nella cultura in generale, fino alle estreme conseguenze di un nuovo conflitto epocale.

    Si afferma nel secondo dopoguerra la Regione Sardegna: capitoli centrali dei suoi primi decenni di vita sono la lotta alla malaria, il Piano di rinascita, le complesse vicende dell’Anonima sequestri, fino alla progettazione di una più adeguata e nuova autonomia. L’economia dell’isola è in questa fase caratterizzata dall’avvento del turismo di massa, da questioni di crisi profonda e dalle profonde radici, da fatti politici di ampio rilievo come quello della questione indipendentista, reazione di parte ma pur sempre reazione a una ferita ancora aperta nel cuore della Sardegna intera.

    Seguendo questo percorso, più spesso accidentato, più di rado lineare, l’isola stessa si prepara adesso – in un rapporto conflittuale con il resto dell’Italia, di avvicinamento e distanza a un tempo, ma anche passando attraverso una ricca e vivace stagione culturale – al mondo ancora sconosciuto che verrà.

    La Sardegna preistorica e protostorica

    di Gianmichele Lisai

    Tracce delle prime presenze umane. Il Paleolitico inferiore (450.000-120.000 a.C.)

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    La radicata convinzione di un iniziale popolamento della Sardegna a partire dal Neolitico antico fu timidamente messa in dubbio verso la metà degli anni Cinquanta, con l’individuazione in territorio di Dorgali, sulla costa orientale presso la grotta di Ziu Santoru, di tracce di focolare associate a resti di cervo megacero del Pleistocene. Il rinvenimento fu accolto con un certo scetticismo e il successivo saggio di scavo non produsse evidenze tali da confermare l’ipotesi, ragion per cui fu necessario attendere nuove scoperte per consolidare il parere degli esperti. Più nello specifico, dal 1979, gli studi si concentrano sui giacimenti dell’Anglona, nel nord dell’isola, in seguito al ritrovamento nelle campagne di Perfugas, presso le sponde del Riu Altana, di numerosi strumenti in selce realizzati nella cosiddetta tecnica clactoniana, inquadrata nel Paleolitico inferiore. Ricerche più sistematiche nel bacino fluviale furono condotte nei due decenni successivi, consentendo di incrementare la raccolta, in parte ascrivibile a un momento antico del Pleistocene medio, in altra inserita, nelle attuali supposizioni, in un periodo più avanzato dello stesso piano.

    Tralasciando in questa sede altre evidenze dell’area interessata, in maggioranza fuori contesto, è necessario menzionare i due complessi in giacitura primaria da cui sono emersi materiali utili a un confronto tipologico con le industrie di superficie di Riu Altana e che, soprattutto, hanno fornito dati adeguati a una parziale attribuzione. Al momento antico del Pleistocene medio possiamo riferire i rinvenimenti di Sa Coa de Sa Multa, in territorio di Laerru, sito in altura sul versante destro dell’Altana, indagato tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà del successivo decennio. Allo stadio più recente quelli di Sa Pedrosa-Pantallinu, su un altro rilievo tra il Riu Altana e il Riu Anzos, oggetto di ricerche nei primi anni Ottanta e sul finire dei Novanta.

    La produzione inserita nei contesti industriali dell’Anglona, anche oltre quelli citati, è caratterizzata in gran parte da raschiatoi corti e denticolati. Gli strumenti più antichi, riporta la professoressa Tanda, presentano analogie con manufatti coevi dell’Emilia Romagna, dell’Abruzzo e del Gargano, quelli del periodo più avanzato con industrie litiche del Tayaziano francese e italiano¹. A tali elementi si sono aggiunte, nel 2012, le raccolte provenienti dal territorio di Ottana, nel Nuorese, dove in seguito alla segnalazione di Pino Fenu è stata individuata, in cinque siti in prossimità, un’industria litica ancora in fase di studio ma attribuita al periodo di riferimento.

    Tali testimonianze attesterebbero quindi al Paleolitico inferiore la più antica presenza umana sull’isola. Quanto all’origine di queste genti, in base ai raffronti tra i materiali rinvenuti nei siti dell’Anglona e altri della penisola, gli esperti convergono a maggioranza sull’ipotesi di una provenienza dal territorio italiano, individuando il punto di transito nello stretto braccio di mare che separava Capraia e Capo Corso, quando con l’emersione delle piattaforme costiere l’arcipelago toscano appariva come una penisola collegata al continente, mentre Corsica e Sardegna formavano un unico blocco. Per questa via sarebbero giunti, nel medesimo periodo, anche il cervide Megaceros cazioti e altre specie della cosiddetta fauna Tyrrhenicola.

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    Strumenti in pietra scheggiata rinvenuti nei dintorni di Laerru e Perfugas. Disegni di Fabio Martini e Giuseppe Pitzalis tratti da Francesco Floris, La grande enciclopedia della Sardegna, Newton Compton editori, Roma 2002.

    È bene precisare subito – e ciò vale per l’intero Paleolitico sardo descritto tra questo capitolo e i due successivi – che le ipotesi appena illustrate non costituiscono prova di un popolamento sistematico della Sardegna, per il quale si dovrà attendere comunque il Neolitico, né il quadro generale è abbastanza chiaro da determinare un’interpretazione univoca, come si evince dalla prudenza del professor Lugliè, che placa gli entusiasmi parlando di indizi di una possibile frequentazione dell’isola nel Pleistocene².

    La grotta di Ziu Santoru e le evidenze corse. Il Paleolitico medio (120.000-35.000 a.C.)

    Come accennato in apertura del precedente capitolo, già nel 1955 alcuni studiosi considerarono la possibilità di una prima manifestazione pleistocenica dell’uomo in Sardegna. In particolare fu Alberto Carlo Blanc a osservare nella citata grotta di Ziu Santoru le tracce di focolare costituite da alcuni frammenti di carbone e ossa combuste di paleocervo, ma al tempo pressoché tutti gli studiosi escludevano l’esistenza di un Paleolitico sardo.

    Giovanni Lilliu, tra le massime autorità in materia, nella prima edizione di una delle sue opere più rappresentative, ovvero La civiltà dei Sardi. Dal Neolitico all’età dei Nuraghi, così menzionava il contesto: «Fumavano i vulcani contro i cieli di silenzio e di luna; vasti incendi spontanei di foreste (quali si sono potuti riconoscere nei lembi quaternari con fauna di cervo della grotta di Ziu Santóru - Dorgali, Nuoro) illuminavano le notti senza uomini»³. Era il 1963, e oltre lo stretto riferimento al sito di nostro interesse, il grande archeologo offriva un’immagine davvero efficace sul millenario spopolamento attribuito all’isola. Tuttavia, quando dalla fine degli anni Settanta i giacimenti dell’Anglona iniziarono a produrre reperti inquadrabili nel Pleistocene, lo stesso Lilliu rivide alcune sue posizioni. La civiltà dei Sardi, nel 1988, cambiò il sottotitolo in Dal Paleolitico all’età dei Nuraghi, e i frustoli di carbone e le ossa di megacero della grotta di Ziu Santoru acquisirono una dignità diversa: «Sono resti culturalmente indefinibili per mancanza di manufatti umani, che dal punto di vista geologico, però, potrebbero risalire all’ultima glaciazione, e spettare quindi al Paleolitico medio se non al superiore»⁴.

    Tali resti, come riferiscono alcune fonti, deporrebbero quindi a favore dell’ipotesi di una frequentazione dell’isola anche nel Paleolitico medio, ma in assenza di altri elementi a supporto gli esperti mostrano sul tema una decisa cautela.

    Dati più affidabili su questo periodo arriverebbero dalla Corsica, dove gli scavi di Eugène Bonifay, presso una grotta all’estremità del lungo capo peninsulare a nord-est, avrebbero messo in luce testimonianze antropiche per un periodo compreso tra i 60.000 e i 44.000 anni fa. Nell’area interessata, infatti, lo studioso avrebbe individuato numerosi resti di Megaceros cazioti e, all’esterno della cavità, punti di combustione.

    «L’evidenza corsa», spiega Fabio Martini, «fornisce un ulteriore contributo al dibattito sul popolamento pleistocenico della Sardegna in quanto apre uno scenario di presenza umana in ambiente insulare in un’epoca che sul continente riguarda i gruppi neandertaliani»⁵.

    Grotta Corbeddu e la Venere di Macomer. Il Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C.)

    Il Paleolitico superiore presenta un quadro più composito, a partire dal rinvenimento (1993), presso la grotta Corbeddu nel Supramonte di Oliena, di una falange attribuita dalla maggioranza delle fonti ad almeno 20.000 anni fa, e che sarebbe dunque, allo stato attuale degli studi, il più antico reperto fossile umano dell’isola. Dalla stessa cavità sono emersi inoltre alcuni strumenti litici, databili al 12.000-10.000 a.C., e resti di Megaceros cazioti. Quest’ultimi erano ampiamente rappresentati nel terzo strato archeologico della sala 2, risalente al 15.000-14.000 a.C. circa, che avrebbe restituito del cervide anche alcune ossa con tracce di intervento antropico.

    Al 1949 risale invece la scoperta di diversi manufatti preistorici presso il Riparo s’Adde, una piccola cavità vicina al torrente omonimo in territorio di Macomer. Il Soprintendente del tempo, Gennaro Pesce, effettuò un esame preliminare, concentrandosi in particolare sulla cosiddetta Venere di Macomer, per la quale ipotizzò una generica collocazione preneolitica. Questa statuetta antropozoomorfa, infatti, rappresenta una figura femminile, dal capo lagomorfico e glutei rotondi e sporgenti, come nelle veneri paleolitiche.

    Sebbene il confronto tipologico suggerisse punti di contatto con analoghi modelli dell’età di riferimento, la scultura primordiale, unica nel quadro preistorico dell’isola, stando alla relazione di Pesce fu trovata «[…] non nell’ammasso degli altri manufatti, ma imprigionata in un masso di breccia ossifera, formatosi per deposito all’interno della grotta»⁶. Un contesto incerto quindi, poiché la circostanza impediva una netta associazione con le altre evidenze, per altro riconducibili a un arco temporale esteso tra Neolitico e periodo romano. Ciò rese difficoltosa l’assegnazione del manufatto da parte degli esperti, tanto che Giovanni Lilliu, ancora nel 1999, pur riconoscendo nella figurina di S’Adde la persistenza di stilemi paleolitici li interpretava come arcaismi ascrivibili al Neolitico antico della Sardegna⁷.

    Giovanni Lilliu 

    in una caricatura 

    di Giancarlo Buffa 

    del 1992, tratta da 

    Francesco Floris, op. cit.

    Lilliu.tif

    A inquadrare più di recente la Venere di Macomer nell’orizzonte culturale del Paleolitico superiore è stata Margherita Mussi che, introducendo il contesto, individua nei materiali in ossidiana, trasportati dal giacimento del Monte Arci a una cinquantina di chilometri di distanza, un’industria successiva, si legga neolitica, a quella caratterizzata dalla rozza pietra locale, che sarebbe dunque preneolitica. Quanto all’interpretazione

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