Cartagine oltre il mito: prima e dopo il 146 a.C.
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Anteprima del libro
Cartagine oltre il mito - Giovanni Di Stefano
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2023 Oltre edizioni
Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)
www.librioltre.it
ISBN 9791280075574
isbn_9791280075574.jpgTitolo originale dell’opera:
Cartagine oltre il mito
prima e dopo il 146 a.C.
di Giovanni Di Stefano
Collana * Passato remoto *
NOSTALGIE CARTAGINESI
La nostalgia di un giorno trascorso a Cartagine
l’avverti quando l’infuocato sole africano
in un cielo fiammeggiante, fra silenzi fragorosi,
tramonta dietro il marabout de La Malga
.
Quando i ragazzi tunisini tornando da scuola
attraversano le cisterne
capisci che un altro giorno è finito.
Quando annusi nell’area
il profumo indimenticabile dello zucchero
caramellato di un tè
scaldato fra i muri antichi de La Malga
il tempo di un giorno, che qui ha altre ore,
è già finito.
La nostalgia di quel tempo l’assapori nell’aroma
diffuso del miele selvatico
raccolto al tramonto, fra le rovine.
La nostalgia più forte
è una fotografia guardata
al di là del mare.
G. D.
02.psdTopografia urbana della Colonia Iulia Concordia Kartages, (Rakob), (da S. Bullo, Provincia Africa, Roma, 2002).
A Cartagine si compie
«…la rifondazione materialistic degli studi classici»
(Andrea Carandini, Archeologia e cultura materiale, 1979, p.10).
INTRODUZIONE
di Massimo Cultraro
Poche città del Mediterraneo antico possono vantare un ampio ed articolato palinsesto di eventi, che ha contribuito per secoli ad alimentare un’appassionata narrazione nella quale fatti reali ed immaginari convivono senza confini. Cartagine, la città nuova
(come indica il toponimo fenicio qrt ḥdšt) è certamente il centro politico e culturale di un più vasto processo di aggregazione e sperimentazione multietnica che, dopo la diffusione del fenomeno neolitico nel VI e VII millennio a.C., riporta la costa nordafricana a saldarsi con le regioni dell’Europa sud-occidentale.
Il libro di Giovanni Di Stefano si inserisce all’interno di una ricca produzione editoriale, in parte anche di matrice nazionale, che da oltre un secolo include saggi specialistici ma anche opere di grande divulgazione scientifica dedicati alla regina del Mediterraneo
. La prospettiva dell’autore, tuttavia, si discosta dalle presentazioni più tradizionali e mira a ricostruire la lunga storia della fondazione fenicia attraverso singole narrazioni, brevi quadretti sapientemente costruiti, che traggono spunto dall’analisi di un singolo complesso o di un monumento. Il risultato, pertanto, non è lo studio di Cartagine nella sua proiezione mediterranea, né quello di rivedere l’annoso tema dell’alterità rispetto a Roma (stereotipo ancora oggi imperante e che continua a condizionare l’immaginario collettivo). La via prescelta è il tentativo di fornire una serie di riflessioni e possibili chiavi di lettura su una metropoli multiculturale, all’interno di un rigoroso e aggiornato quadro scientifico.
Nel primo capitolo l’autore scardina il mito della pluriennale cooperazione internazionale sul campo, dominata dal’’archeologia francese e anglo-americana, dando voce al contributo di studiosi e viaggiatori italiani che a partire dal XVII secolo, in un Grand Tour simmetrico a quello europeo, hanno visitato le rovine dell’antica città di Didone. Queste vicende sono ancora contrassegnate da numerose lacune sul piano storico e possono essere comprese solo alla luce dello stretto legame tra la nascente politica estera dell’Italia neounitaria e il contributo della ricerca scientifica, percepita quale strumento di futura penetrazione militare e di contrasto ad analoghe iniziative straniere. La storia degli interessi italiani nel vasto quadrante magrebino presenta ancora molti lati oscuri e l’unica certezza risiede nel fatto che i sogni coloniali si infransero definitivamente dopo lo schiaffo di Tunisi
da parte dei Francesi nel 1881. In questo contesto va spiegata quella che Di Stefano chiama l’anomalia della ricerca archeologica italiana
, costretta a spostarsi verso l’Egeo, ma pronta a rientrare nella costa nordafricana nel 1911, quando interessi militari e scientifici trovano una rinnovata saldatura in Cirenaica e Tripolitania. All’interno del ristabilito quadro di relazioni italo-francesi, dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, si inserisce la visita di Biagio Pace (1889-1955) nel 1922 a Cartagine, con l’ambizioso obiettivo di studiare le relazioni tra il mondo punico e la Sicilia. Solo a partire dal1973 l’avvio della Missione Archeologica Italiana di Cartagine, sotto la guida di Antonino Di Vita e Andrea Carandini, segna il ritorno sul campo, inaugurando una stagione assai fervida sul piano della sperimentazione metodologica che finirà per produrre interessanti e positive ripercussioni sull’archeologia nazionale.
Cartagine è la rappresentazione di un numero potenzialmente infinito di relazioni stratigrafiche, non solo in verticale, ma anche in orizzontale. Uno dei maggiori problemi rimane quello della cronologia e topografia del primo impianto della città, che la tradizione antica collocava nell’anno 814 a.C. (Timeo, FGrHist 566 F82). Di Stefano correttamente separa il livello della documentazione archeologica da quello delle fonti storiche e mitiche degli autori classici. Nel primo segmento di indagine, i dati più recenti, che includono i risultati di siti costieri (Utica) e dell’immediato entroterra tunisino (Althiburos), convergono nell’assegnare un ruolo assai dinamico ai centri indigeni che, a partire dal IX sec. a.C., mantenevano contatti con il continente europeo, inclusa la Sardegna, e con i primi prospectors levantini. Anche Cartagine rientrava in questo sistema di insediamenti indigeni che si sarebbero sviluppati fin dal Bronzo Tardo, come indica la presenza, nell’area del porto, di ceramica egeo-micenea del Tardo Elladico IIIB (1290-1220 a.C.). La concentrazione di importazioni dal Mediterraneo centrale, che sono stati oggetto anche di un mio recente studio (2019), potrebbe indicare un ruolo di primo piano giocato dal Golfo di Tunisi nel sistema di scambi a lunga distanza nel corso del I millennio a.C. La scelta di ubicare Cartagine in quest’area, pertanto, sembra inserirsi nel solco di una consolidata tradizione che prevedeva l’esistenza di un antico avamposto commerciale, che faceva da tramite tra la costa e l’entroterra occupato dai Maxitani.
L’elemento su cui insiste Di Stefano, nel secondo capitolo, è quello relativo ad un’eventuale componente euboico-calcidese presente al momento della fondazione della prima colonia fenicia che avrebbe il suo nucleo nella collina di Byrsa. Il gruppo di ceramiche di ispirazione del Tardo Geometrico greco dalla Chapelle Cintas, di recente ristudiato da A. Orsingher (2019), non solo rafforza il tema della presenza di importazioni e di imitazioni locali a Cartagine, ma soprattutto pone la più antica colonia tiria all’interno di una rete di collegamenti, verosimilmente gestiti da personaggi di origine egeo-insulare, tra costa nordafricana, Sardegna e basso Tirreno.
La questione di elementi di tradizione egea nel più vasto sostrato multiculturale cartaginese ritorna nella puntuale analisi del problema del culto di Demetra e Kore a Cartagine (cap. 3). La localizzazione del santuario sul promontorio di Santa Monica a Nord della città, dove negli anni Venti del secolo scorso venne alla luce un deposito di terrecotte votive, implica la riconsiderazione di un celebre passo di Diodoro Siculo (XIV 77.4-5) sulle modalità di trasferimento del culto demetriaco dalla Sicilia al mondo nordafricano.
La dimensione internazionale e multiculturale di Cartagine segna la trama entro la quale si muove il discorso dell’Autore nel caso della rifondazione romana, dopo la tragica distruzione del 146 a.C. Dalle travagliate vicende della Colonia Iunonia voluta da Caio Gracco nel 122 a.C. fino al processo di messa in opera della Colonia Concordia Ioulia Carthago nel 28 a.C. per volontà do Ottaviano, la storia dell’antica metropoli si salda con quella di due altre importanti realtà urbane del Mediterraneo, Roma e Troia. L’altare in marmo, oggi conservato al Museo del Bardo, ristudiato da Di Stefano nel 4 capitolo, è la sintesi figurativa del messaggio ideologico veicolato nel I libro dell’Eneide di Virgilio. Il nobile Enea, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio, riassumono le tre generazioni di profughi che trovano forza e speranza nel trasporto dei Penati. Ritorna, pertanto, la questione delle origini della città fenicia e, nel riprendere la prospettiva di quel secondo livello di indagine a cui prima si faceva riferimento, viene alla luce l’intreccio di