Breve storia di Verona
Di Giulia Adami
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Info su questo ebook
Dai primi insediamenti degli antichi veneti fino ai romani, dalla dominazione longobarda a quella veneziana, napoleonica e austriaca: la città di Verona ha sempre vissuto in prima linea tutti i grandi avvenimenti e mutamenti che hanno caratterizzato la storia italiana ed europea. Questo libro ripercorre la lunga vita della città, mettendone in luce il ruolo e l’importanza nei secoli. Attraverso la descrizione degli eventi e dei personaggi più iconici della storia veronese, Giulia Adami conduce il lettore in un viaggio alla scoperta delle radici della città scaligera, ripercorrendone l’evoluzione fino ai giorni nostri. Dalla Lega di Cambrai a Giovanni Fincato, dalle tracce di Dante e Petrarca ai circoli letterari sotto gli austriaci: l’appassionante racconto di una delle più straordinarie città italiane.
Dalla preistoria a oggi, la storia veronese è un susseguirsi di eventi e personaggi memorabili
Tra gli argomenti trattati:
Un villaggio dai mille volti
I templi si fanno chiese
Furono davvero secoli bui?
La capitale di un grande stato
La fine sanguinosa degli Scaligeri
All’ombra del leone di Venezia
Verona parla francese
Una nuova aquila su Verona
Museo diffuso ante litteram
Città al fronte
Verona americana e la fine del Novecento
Verso il nuovo millennio
Giulia Adami
È nata nel 1989 a Verona. Si è laureata in Beni culturali e discipline artistiche e ha conseguito il dottorato con uno studio multidisciplinare sull’attività artistica cinquecentesca nella sua città natale. Con la Newton Compton ha pubblicato Le incredibili curiosità di Verona e Breve storia di Verona.
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Anteprima del libro
Breve storia di Verona - Giulia Adami
557
Prima edizione ebook: novembre 2021
© 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-5253-6
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma
Giulia Adami
Breve storia di Verona
Guerre, arti e letteratura: alla scoperta dell’appassionante storia
di una delle più straordinarie città italiane
Newton Compton editori
Indice
Introduzione
le origini
Abitare le acque, abitare le terre
Un villaggio dai mille volti
Grandi infrastrutture per una grande città
Arrivano i barbari
I templi si fanno chiese
l’evo di mezzo
Furono davvero secoli bui?
Impero odi et amo
La capitale di un grande stato
La fine sanguinosa degli Scaligeri
Milanesi a Verona
il dominio della serenissima
All’ombra del leone
Radicarsi in Terraferma
Sul fiume, tra burchi e mulini
Il mal del popolo
Verona illuminata
l’ottocento
Verona parla francese
Una nuova aquila su Verona
Museo diffuso ante litteram
Veronesi in Italia, italiani a Verona
Canali e ciminiere
l’età contemporanea
Città al fronte
Il nero e il buio
La città si rialza
Verona americana e la fine del Novecento
Verso il nuovo millennio
Bibliografia
Introduzione
Questo libro nasce dalla volontà di integrare il percorso iniziato con la redazione del volume Le incredibili curiosità di Verona, pubblicato da Newton Compton editori alla fine del 2020, un anno che noi tutti ricorderemo per le vicende sanitarie che hanno inesorabilmente modificato la nostra quotidianità e i nostri progetti.
Questo percorso, che mi vede coinvolta ormai da due anni, mi ha messa a confronto, per la prima volta, con la pubblicazione di un volume divulgativo, che raccontasse gli eventi che più mi hanno affascinata del passato della città in cui sono nata e il lungo e intricato racconto della sua storia. Fin dal primo momento, l’obiettivo che mi sono posta è stato quello di condividere un sentimento di appartenenza che, da sempre, mi porta a impegnarmi, in vari ambiti, per il futuro di Verona. Nasco come storica dell’arte e la storia pura è sempre stata, per me, uno strumento di lavoro importante, una passione, una sfida, ma mai la mia professione.
Per questo motivo, il libro Breve storia di Verona non nasce con velleità manualistiche, ma vuole essere un agile racconto della nascita dell’identità collettiva di noi veronesi che, da più di due millenni, siamo parte di un sistema culturale complesso e stratificato, che pone le sue radici già nelle prime manifestazioni preistoriche del territorio e che è mutato nel tempo grazie agli eventi e alle persone che ne hanno plasmato la forma. I monumenti, le personalità, le opere, le architetture sono, infatti, elementi imprescindibili per ricostruire un contesto storico e, per questo motivo, ho scelto tra di essi il punto di partenza di ogni capitolo, per far comprendere come la storia non sia una materia evanescente, lontana o noiosa, ma possa invece essere concepita come parte integrante e materiale della vita di ognuno di noi, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo.
Il lavoro è stato realizzato grazie all’imprescindibile consulenza di Pietro Giovanni Trincanato, grande amico, ma soprattutto straordinario professionista in discipline storiche. Senza di lui, i suoi consigli e la sua ineguagliabile penna non sarebbe stato possibile giungere alla fine di questo ambizioso percorso. Non gli sarò mai abbastanza grata per le quotidiane chiacchierate, la condivisione del suo acuto spirito critico e per la sua unica capacità di rendere la storia (per me e per tutti i fortunati che hanno potuto assistere alle sue lezioni) una materia intrigante e divertente.
Un ringraziamento particolare va anche alla mia mamma Nicoletta, a Clotilde e ad Alessia che, con pazienza e generosità, si sono dedicate alla rilettura del testo, evidenziando le criticità che presentava nella sua prima stesura.
LE ORIGINI
Una veduta dell’arena di Verona, da La Patria di G. Strafforello.
Abitare le acque, abitare le terre
Questa breve storia di Verona inizia a Washington d.c., sulla costa orientale degli Stati Uniti d’America. Sembra un paradosso ma, proprio nella metropoli che ospita la celebre Casa Bianca, ho avuto la conferma di qualcosa che ho sentito ripetere fin da quando ero bambina: il territorio veronese è un tassello essenziale per lo studio del mondo preistorico. Era il 2016 e passeggiando tra le immense sale del National Museum of Natural History dello Smithsonian Institution, uno tra i più imponenti istituti museali e di ricerca al mondo, sono stata attratta da una piccola mostra dedicata ai reperti fossili. E lì, a inaugurare l’esposizione, erano esibiti alcuni resti della flora e della fauna veronese di milioni di anni fa, provenienti dal sito di Bolca. Da quel momento, ho guardato la città con occhi diversi.
Pare strano a dirsi, ma addentrarsi nel centro storico di Verona significa immergersi in acque profonde e galleggiare su una svariata stratificazione di memorie e testimonianze di un passato gelosamente conservato in piccoli dettagli nascosti e sfuggevoli. D’altronde, la sensazione di vivere in un incessante dialogo con l’acqua non è solamente legata al mormorio del corso dell’Adige, che accompagna gli avventori dei lungadigi e delle regaste¹, ma anche ai segni preistorici rimasti impressi nelle pietre più di quaranta milioni di anni fa, utilizzate, nel corso dei secoli, per lastricare ampie porzioni del centro storico cittadino. Lungo i marciapiedi e nella pietra che impreziosisce le facciate di numerosi edifici veronesi si scoprono, infatti, quei piccoli fossili incastonati nelle lastre lapidee che raccontano un passato antico, anzi antichissimo: le ammoniti, esemplari estinti della famiglia dei molluschi cefalopodi, che ancora oggi popolano corso Porta Borsari, esattamente come succedeva circa duecentocinquanta milioni di anni fa, quando un caldo mare tropicale ricopriva gran parte del territorio veronese e queste creature marine, dal caratteristico guscio a chiocciola, abitavano le acque preistoriche locali.
Per uno stravagante gioco del destino – o per meglio dire della natura – questi animali, insieme ad altre numerose razze di pesci e di vegetali, furono protagonisti di un peculiare processo di estinzione causato dall’emersione delle terre nel corso dell’Eocene (circa cinquanta milioni di anni fa), che seppellì i corpi di queste creature prestoriche nelle profondità del terreno, sotto strati e strati di sedimenti calcarei millenari.
Fu un processo di così ingente portata da divenire oggetto di ricerca per numerosi studiosi già a partire dal Settecento, quando furono elaborate le prime teorie volte a spiegare un fenomeno apparentemente incomprensibile per l’uomo dell’epoca. Di certo, lo sviluppo degli studi in materia ha permesso di conoscere la diffusione di animali e piante preistorici nella regione e le loro peculiari caratteristiche morfologiche.
I monti e le valli dell’odierno Parco Naturale Regionale della Lessinia erano dunque, ancora nell’era terziaria, parte di un vasto promontorio sommerso ricco di flora e di fauna, contraddistinto da aspri speroni di roccia a picco sul mare.
Il ritiro delle acque e la conseguente emersione delle terre innescarono un profondo processo di evoluzione dell’habitat locale che vide, dapprima, la formazione di piccole isole e, in un secondo momento, la trasformazione del fondale marino in un vero e proprio territorio montuoso, nelle cui profondità erano rimasti intrappolati i corpi e i resti dell’arcaica flora e fauna marina. Proprio nelle profonde insenature della costa, infatti, durante il ritiro delle acque, si erano depositati i corpi senza vita di molluschi, crostacei, pesci, uccelli e rettili che furono ricoperti, man mano, di fango e di sabbia, divenendo parte della stratificazione del terreno e trasformandosi in vere e proprie sagome di pietra. Quelle scure sagome che vediamo emergere dalle pietre, esposte oggi nelle sale del Museo di Storia Naturale di Verona e nel prezioso museo di Bolca, non sono solo le impronte lasciate dai corpi sommersi dalla fanghiglia in migliaia di anni, ma i resti materiali di animali o di vegetali che animavano il preistorico mare veronese. Il lento processo di fossilizzazione riscontrato in Lessinia ha portato, infatti, alla conservazione di ampie parti di tessuti organici, oltre a quelli ossei più consueti, che hanno permesso agli studiosi di suddividere e catalogare centinaia di specie preistoriche veronesi
e di annoverare Bolca tra i più importanti siti di rinvenimento di testimonianze fossili del Terziario.
Le prime tracce della formazione del territorio di Verona sono ancora oggi celate negli strati di calcare dell’antica Pesciara di Bolca e dei monti Postale, Spilecco e Purga che, fin dal Cinquecento, hanno restituito migliaia di esemplari fossili agli increduli avventori della Lessinia.
Nonostante il repentino cambiamento climatico avvenuto nel corso del Pleistocene, che vide una discontinua glaciazione del territorio alpino, l’area veronese si rivelò un luogo ideale per le creature che la popolavano e che vagavano alla ricerca di un riparo.
Le terre emerse, scavate e limate dall’erosione a cui il territorio veronese fu soggetto per milioni di anni, assunsero l’aspetto di una vasta zona montuosa attraversata da strette e lunghe valli, simili a piccoli canyon, ricche di risorse che nel Paleolitico divennero essenziali per la vita dei primi uomini preistorici. L’abbondanza di selce in queste zone permise infatti, prima all’uomo di Neanderthal durante il Paleolitico medio e poi all’Homo sapiens nel Paleolitico superiore, di fabbricare oggetti affilati con cui cacciare e procacciarsi cibo e di accumulare merce di scambio per interagire con gruppi di uomini provenienti da altre aree abitate della penisola. Il ritrovamento di grandi quantitativi di piccole conchiglie bucate in Valpolicella ha suggerito che la selce veniva scambiata non solo con beni di prima necessità, ma anche con oggetti decorativi che venivano utilizzati per realizzare gioielli o ornamenti parietali: secondo gli studiosi, questa fu la vera rivoluzione portata dalla specie dei Sapiens nel mondo preistorico. L’idea che l’Homo sapiens abbia avvertito la necessità di produrre e collezionare oggetti a fini ornamentali, rispetto ai più utili manufatti di selce sfruttati per le attività quotidiane, fa ancora molto discutere gli studiosi.
La Lessinia offrì uno scenario privilegiato per lo sviluppo dei primi gruppi di uomini preistorici sul territorio, a partire dalle due valli più note, la Valpantena e la Valpolicella. Queste zone del veronese conservano le testimonianze della presenza di ominidi risalenti al Paleolitico inferiore, circa centoquindicimila anni fa. Tra le numerosissime stazioni paleolitiche della valle, individuate e studiate da Francesco Zorzi e Angelo Pasa a metà del Novecento, si annoverano il Riparo Tagliente, che presenta testimonianze del Paleolitico medio e superiore, Ca’ Verde a Sant’Ambrogio, dove furono rinvenuti manufatti di selce e un osso frontale del cranio di un ominide, e il ponte di Veja, forse il sito preistorico più antico dell’area della Valpolicella. In quest’area, infatti, i resti attribuiti al Paleolitico medio e superiore sono numerosi, come quelli relativi agli scavi della famosa Grotta di Fumane, dove sono stati rinvenuti oggetti di selce e osso utilizzati per la caccia dei grandi animali che abitavano il territorio, tra cui orsi, cervi, stambecchi, bisonti e addirittura elefanti, e pietre dipinte con figure zoomorfe.
Nel novero dei reperti del cosiddetto Riparo Solinas di Fumane, dal nome dello studioso Giovanni Solinas, si ricordano le già citate conchiglie forate, utilizzate dagli uomini Sapiens come oggetti decorativi e ottenute verosimilmente dagli scambi avvenuti con le popolazioni provenienti dal mar Ligure.
I ritrovamenti sono confluiti, insieme a una moltitudine di oggetti provenienti dalle collezioni di studiosi di età moderna, come quella cinquecentesca di Francesco Calzolari, nella raccolta dei Musei Civici di Verona e sono oggi esposti e visitabili presso la prestigiosa sede espositiva di Palazzo Pompei in lungadige Porta Vittoria.
Anche nei pressi degli odierni paesi di Avesa e Quinzano, a poca distanza dal centro di Verona, grotte e spelonche scavate nella pietra tufacea fecero da riparo ai Sapiens, che lasciarono segni inconfutabili della loro permanenza in queste aree collinari, a partire da quindici milioni di anni fa.
Il cosiddetto Riparo Mezzena, dal nome dello studioso Franco Mezzena, è uno dei luoghi più noti di ritrovamento di frammenti materiali risalenti al periodo del Paleolitico superiore ed è stato oggetto, negli ultimi anni, di numerosi dibattiti sulla natura dei resti umani emersi dagli scavi archeologici del 1957. Il ritrovamento, da parte di Cleto Corrain, di una mandibola umana primitiva fu la scoperta più rilevante per quanto riguarda lo studio dell’evoluzione dell’uomo in queste aree. Inizialmente ritenuta dallo studioso parte di uno scheletro di donna neanderthaliana, fu ipotizzato nel 2013 che questa creatura fosse invece il risultato dell’ibridazione della specie dei Neanderthal con i Sapiens, dal momento che presentava una peculiare protuberanza nella parte bassa del volto: si trattava di un accenno di mento, un tratto distintivo presente solamente negli esemplari Sapiens. Studi più recenti, compiuti da Jean-Jacques Hublin nel 2016 presso il Max Planck Institute, uno dei più celebri istituti di ricerca a livello internazionale, hanno tuttavia dimostrato che la mandibola apparteneva, con discreta certezza, a un uomo Sapiens, afferente ai gruppi di uomini che abitarono la zona già a partire da quarantamila anni fa e che avevano lasciato segni indelebili della loro presenza grazie a