Spiriti Estensi
Di V. Sgarbi, R. Pazzi, G. Inzerillo e L. Caro
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Anteprima del libro
Spiriti Estensi - V. Sgarbi
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Intro
I rari e preziosi saggi qua riportati, tutti dedicati ad aspetti artistici, storici e culturali della città estense, sono nell’ordine: Ferrara: lo spleen e l’arte (di Vittorio Sgarbi), Lo sguardo di Farinata. La sfida di scrivere a Ferrara dopo Bassani (di Roberto Pazzi), Francesco Viviani, ferrarese di Verona (di Giuseppe Inzerillo) ed Ebrei a Ferrara (di Luciano Caro).
SPIRITI ESTENSI
Gli autori di questi saggi, che indagano e hanno come filo conduttore aspetti artistici, storici e culturali di Ferrara, sono nell’ordine:
Vittorio Sgarbi
Sorico e critico dell’arte
Roberto Pazzi
Scrittore di fama internazionale
Giuseppe Inzerillo (1934-2014)
Già Provveditore agli Studi di Ferrara
Luciano Caro
Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Ferrara
FERRARA: LO SPLEEN E L’ARTE
Vittorio Sgarbi
Ferrara assente
La mia idea di Ferrara è quella di un luogo di estrema infelicità che ha la sua rappresentazione e la sua ragione soprattutto nella nebbia; grazie a essa a Ferrara le stagioni hanno ancora un volto e il passaggio dell’una nell’altra è perfettamente avvertibile. Così avviene che, corrispondendo a richiami interiori della memoria infantile e alle categorie precostituite nella nostra mente, Ferrara è sempre la stessa, come una stabile metafora dell’ordine della natura. Qualunque cosa accada altrove, qualunque novità trasformi il mondo, siamo sicuri che, tornando a Ferrara, tutto sarà come prima; che lì le persone fanno le stesse cose, che nelle case il ritmo della vita è inalterato. Ma non si tratta della solita condizione della provincia, come potrebbe essere per Brescia, per Macerata o per Forlì: si tratta propriamente di una condizione metafisica.
La prova è questa: se passate a Ferrara in una qualunque ora del giorno, in qualunque mese dell’anno, con qualunque tempo, troverete come per un appuntamento fissato, infallibilmente ma senza che nessuno lo abbia stabilito, le stesse persone, negli stessi luoghi. Stanno lì inamovibili, come entità incomparabili, libere da ogni esigenza fisica e psicologica. Stanno. Ogni generazione fornisce il suo obolo di immoti in alcuni angoli predisposti, sulla soglia di alcuni caffè della città. Sono i simboli dell’infelicità della permanenza, o dell’infinito appagamento dell’assenza, non meno delle strade vuote e dei gatti turchini che incantarono il presidente de Brosses.
Ho detto questo subito perché è la sensazione che ho provato, e provo, ogni volta che, invece che nella mia casa di campagna, passo qualche ora in città, a Ferrara; seguendo i ritmi della vita quotidiana attraverso i miei amici. Delle due l’una: o trascino loro nel vortice gratuito e inarrestabile di Ro o mi adagio, io, nei ritmi molli della città ovattata nella nebbia e nell’afa. L’infelicità esalta la bellezza dei monumenti, degli affreschi, i dati assoluti: le sculture del Maestro dei Mesi, gli affreschi di Schifanoia o le atmosfere del monastero di Sant’Antonio in Polesine.
Tutto quanto si alza, e appare come una visione, sorge da una città morta; non nel senso di una città dei morti, mito simbolista, ma nel senso che attribuiamo ai grandi comprensori archeologici: come Pompei o Delfi, città che vivono soltanto per ciò che sono state. C’è un mito di Ferrara che può apparire inspiegabile a chi la visiti distrattamente, ma che cattura immediatamente chi si disponga con «intelletto d’amore», come avrebbe detto Dante la cui madre era di famiglia ferrarese. Ferrara è una città piatta. L’unico limite delle sue campagne è segnato dagli argini del grande fiume che le scorre accanto con calma forza. Dalla sua piattezza, per contrasto, si innalzano emergenze, che solo potremo chiamare metafisiche se appartengono all’intelligenza, alla sensibilità e alla fantasia dell’uomo.
La corte degli Estensi in pochi anni riunì a Ferrara i vertici della poesia, della pittura e dell’architettura. Tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento nessuna città d’Italia può competere col primato di Ferrara, che celebra il trionfo della fantasia con la poesia cavalleresca dell’Orlando furioso; con le sfrenate invenzioni, al limite della follia, negli affreschi per Schifanoia di Francesco del Cossa e di Ercole de’ Roberti che, insieme a Cosmè Tura e ad Antonio da Crevalcore, trasfigurarono l’insegnamento di Piero della Francesca, di Pisanello e di Roger Van der Weyden, attivi alla corte di Ferrara. La stessa immagine della città si rinnova con l’urbanista Biagio Rossetti. Per