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Firenze, i Fiorentini e il Fiorentino
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E-book111 pagine3 ore

Firenze, i Fiorentini e il Fiorentino

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Info su questo ebook

A cosa deve le sue fortune una città come Firenze, la più piccola tra le grandi città del mondo? Agli artisti? Ai poeti? Alla bistecca? Alla "C" aspirata? Alla simpatia dei suoi cittadini? Forse quest'ultima un po' meno, ma mentre mi ponevo queste domande ho iniziato a prendere qualche appunto ed è nato un piccolo "zibaldone" di pensieri in libertà. Un libretto nato per gioco, come spesso accade, e inizialmente stampato in poche copie da distribuire agli amici, che oggi vede la sua pubblicazione ufficiale in una nuova edizione ampliata ed arricchita. Il testo scorre come una chiacchierata tra amici, discutendo sulla modernità delle antichità di Firenze. Una città che vive di divertenti contraddizioni e nel continuo confronto di opposti sentimenti: Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Chiesa e Impero. Una passeggiata fortemente autobiografica attraverso le viuzze del centro storico, per mano a Dante, Brunelleschi e Pinocchio, chiacchierando con Masaccio e Antonio Meucci, ricordando l'origine di proverbi quasi dimenticati e le particolari regole grammaticali del vernacolo Fiorentino.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2019
ISBN9788831600453
Firenze, i Fiorentini e il Fiorentino

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    Anteprima del libro

    Firenze, i Fiorentini e il Fiorentino - Marco Crisci

    Genitori

    PREMESSA

    Decidere di scrivere un libro è un atto di coraggio che va oltre il piacere sottilmente esibizionistico di poter dire ho scritto un libro!, poiché la parola scritta è un conto aperto che ti può essere presentato in qualsiasi momento. Mettere mano alla seconda edizione di un libro scritto dieci anni fa, stampato, regalato agli amici e mai pubblicato è una decisione ancora più azzardata, dopo che avevo promesso a me stesso e ai miei pochi lettori che non ci sarebbe stata una seconda volta. Sono trascorsi dieci anni, pieni di eventi, di cose e di persone. Anch’io ho dieci anni di più: come la mia Firenze, che ha vissuto momenti piuttosto tumultuosi, tanti piccoli episodi di normale cronaca che, visti in prospettiva, l’hanno trasformata rendendola sempre più diversa dalla Città che mi ha visto nascere e crescere. Mi batte il cuore se ripenso ai miei anni Ottanta, quelli dell’università, di Craxi e Spadolini, delle discoteche, delle serate passate a cercare gli amici nei soliti posti dove sapevi di trovarli, senza cellulare e senza Internet, in una Firenze che già da Febbraio iniziava a profumare di primavera, il tetto della Cinquecento aperto per lasciare uscire il fumo delle sigarette. Gli anni novanta mi hanno visto diventare trentenne, uomo e professionista, in un romantico clima di euforia che ci portava a pensare di poter superare la congiuntura economica negativa in un perenne revival dello splendido decennio precedente. Ho viaggiato, ho abitato lontano da Firenze, ho conosciuto e lavorato con tante persone, tornando comunque sempre a casa alla fine della settimana o del mese. Ma la frenesia del quotidiano non mi ha fatto comprendere quanto stava cambiando la mia città e la mia vita fino a quando non mi sono fermato: ho cambiato attività, e adesso insegno agli altri come fare il mio mestiere. La Cupola riprodotta ad acquaforte in copertina non la vedo più dalle mie finestre, ma dalla collina di Marignolle dove mi sono trasferito. E anche l’amore per la mia Città sta diventando meno emotivo e impulsivo, ma più appassionato e consapevole. Se dieci anni fa ancora speravo di riuscire a scrivere qualcosa per il puro piacere di farlo, oggi sento una piccola responsabilità in più, che è quella di lasciare, per chi avrà voglia di guardarla, una fotografia di Firenze che forse inizia a sopravvivere solo nella mia memoria. Resta sempre la speranza che un amico, leggendomi, riesca ancora a riconoscere la vena goliardica del compagno di scorribande giovanili. Col passare degli anni, càpita che parte delle speranze vengano sostituite dalle poche certezze che l’esperienza ti suggerisce; salvo essere smentito da nuovi fatti, che si accavallano ad un ritmo sempre più frenetico e che non dobbiamo mai smettere di cercare, di osservare, di studiare e di capire.

    Uno dei motivi del mio trasferimento in collina è proprio questo: abitare a Firenze, non esattamente a Firenze, in un luogo da dove puoi osservare Firenze dall’alto. Quindi scendo a Porta Romana, mi incammino per il viale Machiavelli, arrivo al Piazzale Michelangelo ed ho il tempo di riflettere, di pensare, e di contemplare nella loro quiete olimpica quei monumenti di cui non potrei mai fare a meno, che si ergono immobili e maestosi, impassibili di fronte alle brutture umane, al traffico, alle orde di turisti sciamanti al traino di guide turistiche radio connesse, armati di improbabili gelati nella mano sinistra e di asta-porta-cellulare nella mano destra. La Cupola, il Campanile, le Cappelle Medicee, la Torre di Arnolfo, Orsammichele, sembrano emergere tra gli altri edifici come isole da un arcipelago, insensibili agli eventi, intatti dopo secoli di storia, eventi, guerre e distruzioni, portando con sé un senso di eternità che conforta, protegge e rasserena l’anima.

    Ed ecco che mi sono deciso a mettere mano alla seconda edizione del mio libretto, sempre in maniera spiritosa e un po’ autobiografica. Certamente non erudita. La mia speranza resta quella di dare un piccolo contributo a preservare e tutelare una minoranza etnica, quale siamo diventati noi Fiorentini. E di favorire la tradizione linguistica, che oggi non si trasmette più di padre in figlio ma è un’attività ormai delegata agli spot televisivi e agli emoticon di Whatsapp.

    Definirei questo libretto un "Manuale d’istruzioni per l’uso di Firenze per Fiorentini, almeno per quei pochi rimasti che ancora ridono piangendo mentre guardano Amici Miei". Un libretto scritto con la speranza di far sorridere scoprendo l’origine di un proverbio ripetuto dai nonni, o magari riflettendo su quegli elementi della Fiorentinità in cui ci imbattiamo quotidianamente senza mai farci troppo caso, e sul cui vero valore e significato raramente ci soffermiamo. Auguro quindi ai miei lettori, ma soprattutto alle mie lettrici, di provare le stesse emozioni che ho provato io mentre sceglievo e mettevo insieme pensieri e ricordi. Eventi, cose e persone che sento un po’ più vere di altre, perché le ho vissute e fatte mie nel corso di questo cammin di nostra vita.

    CENNI STORICI

    A scuola ci insegnano che Virgilio scrisse il poema dell’Eneide per omaggiare l’imperatore romano Ottaviano Augusto, facendo risalire e collegando la fondazione di Roma e la successiva espansione dell’Impero a una precisa volontà divina. Ma spesso i professori fanno finta di dimenticarsi che gli Etruschi erano sbarcati in Toscana molto prima che i Troiani in fuga, guidati da Enea, sbarcassero alla foce del Tevere, e le origini di Roma sono state fortemente influenzate dalla civiltà Etrusca. A parte Romolo, sulla cui effettiva esistenza ci sarebbe molto da discutere, i re di Roma sono stati quasi tutti Etruschi e i Romani hanno ricevuto numerosi vantaggi da questa dominazione: per la lingua, le arti, la raffinatezza dei costumi e, soprattutto, per il gusto della bella vita. Se notate, tutti gli affreschi di epoca etrusca ritraggono uomini e donne che mangiano, bevono, ballano e si divertono. In pratica quello che ancora oggi sappiamo fare molto bene a Firenze, castrum¹ romano costruito per ridimensionare il potere della città etrusca di Fiesole, nel periodo in cui aveva dato supporto militare a Catilina. La parlata in uso tra gli Etruschi era già caratterizzata dalla gorgia, che è la tipica pronuncia di gola del Toscano moderno. Ovviamente nessuna registrazione audio lo può certificare, ma il poeta Catullo² trascrive fedelmente la pronuncia delle ci e delle ti aspirate - o addirittura elise - tipiche nella parlata toscana dell’epoca. Con l’eccezione del vernacolo toscano e di quello romano, tutte le altre parlate oggi in uso in Italia sono dialetti e derivano più o meno da lingue forestiere: spagnolo, francese, celtico, turco, eccetera.

    Firenze deve l’origine del suo splendore e della sua ricchezza al marchese Ugo di Toscana, principe tedesco che elesse la sua residenza sulla sponda dell’Arno. Fu lui a spostare il baricentro dei traffici commerciali italiani dall’antica via Francigena, posta a metà strada fra Firenze e l’Aurelia, alla via Bolognese che scendeva dal passo della Futa. Ugo il Grande morì a Firenze il 21 dicembre 1001, il dì di San Tommaso, come ci ricorda anche Dante³. Fu sepolto nella Badia Fiorentina, fatta edificare nel X sec. da sua Madre all’incrocio tra le odierne via del Proconsolo e via Dante Alighieri. Da quel giorno, ogni anno, il 21 dicembre, un nobiluomo fiorentino ricorda Ugo di Toscana durante la Santa Messa di commemorazione che si celebra nell’antica Badia. Caso forse unico in Italia, questa tradizione continua ancora oggi ad essere rispettata, ininterrottamente, da più di mille anni. Assistervi è un’emozione molto particolare, che raccomando a tutti quelli che dicono di amare la Città del Fiore. Man mano che Firenze, per una serie di circostanze favorevoli, accresceva la propria egemonia sul resto della Toscana, iniziò ad esercitare un primato commerciale e culturale sul resto dell’Italia e del mondo conosciuto, facendo sì che, nel corso dei secoli, il vernacolo toscano fosse sempre di più identificato col Fiorentino. Ma al contrario di città come Roma o Venezia, Firenze ‘un è mai stata una città con ambizioni di conquiste territoriali. A noi dell’impero e ‘un ce n’è mai fregato nulla.

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