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Il Settecento - Arti visive (59): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 60
Il Settecento - Arti visive (59): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 60
Il Settecento - Arti visive (59): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 60
E-book399 pagine4 ore

Il Settecento - Arti visive (59): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 60

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Info su questo ebook

Nel campo delle arti figurative il mutamento di modelli, di cultura e di stile non coincide affatto con l’inizio del secolo: è negli anni Quaranta che si apre una faglia marcata. È la “resurrezione” improvvisa delle città di Ercolano e Pompei, sepolte dalle ceneri dell’eruzione del 79 d.C e ritrovate dagli scavi del quinto decennio, a imprimere quella svolta radicale in direzione neoclassica che, per le imperscrutabili ragioni della simmetria, viene a coincidere con il solco lasciato nella storia dalla pace di Aquisgrana e dalla conclusione della guerra di successione austriaca. La prima parte del secolo ci consegna l’immagine di una civiltà elegante, frivola, spregiudicata, dedita al lusso, alle feste e ai plaisirs dello stile rocaille. Da questa prospettiva parziale scaturisce quella mitologia dell’ancien régime che insieme a una vena di nostalgia proietta sulle feste galanti di Jean-Antoine Watteau, sulle favole pastorali di Boucher e sulle mascherate di Francesco Guardi l’ombra di una colpa legata al piacere e dunque un destino di dissoluzione fatale.

In questo ebook si snoda l’affascinante percorso dell’arte settecentesca, dallo stile rocaille, con l’esaltazione di un superfluo decorativismo, e la contrapposizione degli spazi grandiosi e gerarchicamente scanditi dell’architettura barocca con interni miniaturizzati e in sequenza, che mira a un raffinato piacere dei sensi e al continuo compiacimento estetico, al funzionalismo e alla razionalità, per approdare poi nella propensione per la notte e nella scoperta dell’inconscio.
LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2014
ISBN9788897514978
Il Settecento - Arti visive (59): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 60

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    Il Settecento - Arti visive (59) - Umberto Eco

    copertina

    Il Settecento - Arti visive

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Settecento

    Arti visive

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alle arti visive del Settecento

    Anna Ottani Cavina

    Il XVIII secolo presenta una cesura nettissima, una faglia molto marcata attraversa infatti gli anni Quaranta: nel campo delle arti figurative il mutamento di modelli, di cultura e di stile non coincide affatto con l’inizio del secolo. È la resurrezione improvvisa delle città di Ercolano e Pompei, sepolte dalle ceneri dell’eruzione del 79 d.C. e ritrovate dagli scavi del quinto decennio, a imprimere quella svolta radicale in direzione neoclassica che, per le imperscrutabili ragioni della simmetria, viene a coincidere con il solco lasciato nella storia dalla pace di Aquisgrana e dalla conclusione della guerra di successione austriaca (1748).

    La prima parte del secolo ci consegna l’immagine di una civiltà elegante, frivola, spregiudicata, dedita al lusso, alle feste e ai plaisirs dello stile rocaille.

    Un’immagine che è in parte il frutto di un’elaborazione più tarda, dovuta al disagio e al falso moralismo delle classi borghesi del secondo Ottocento, cui la Rivoluzione francese aveva garantito una rapida ascesa sociale. Da questa prospettiva parziale scaturisce quella mitologia dell’ancien régime che insieme a una vena di nostalgia proietta sulle feste galanti di Jean-Antoine Watteau, sulle favole pastorali di François Boucher e sulle mascherate di Francesco Guardi l’ombra di una colpa legata al piacere e dunque un destino di dissoluzione fatale.

    Dallo stile rocaille al funzionalismo e alla razionalità

    L’esaltazione di un superfluo decorativismo, estraneo ai concetti di funzionalità e di comfort, costituisce l’asse portante del rococò – stile guida del primo Settecento – che tende ad attenuare la valenza simbolica e ideologica delle immagini. Per questo stile contano la grazia, la leggerezza, l’invenzione fantastica, l’estro cromatico, la maestria nelle tecniche. La rarefazione semantica – dovuta al declino di un potere assoluto che nella retorica dell’arte barocca aveva trovato uno strumento di legittimazione e di proiezione simbolica dell’autorità – vede trionfare libertà, bizzarria e virtuosismo nelle forme sinuose e serpentinate teorizzate da William Hogarth. Nel suo trattato L’Analisi della Bellezza, Hogarth difende a oltranza la supremazia della linea zigzagante e ondulata, linea perfetta della Bellezza, come riflesso del modo di procedere folgorante e arguto dell’intelletto (wit). Esempio fiammeggiante di decorazione turbinosa e metamorfica è il portale del palazzo del marchese di Dos Aguas a Valenza, efflorescenza leggera, dove la pietra si gonfia e si torce per diventare urna, atlanti, serpenti, frutta, apparizioni della Vergine (Starobinski).

    Il Settecento rocaille, che esalta la vita sociale e di relazione, contrappone agli spazi grandiosi e gerarchicamente scanditi dell’architettura barocca interni miniaturizzati e in sequenza, molto intimi e allegri, decorati con materiali in grado di catturare e rifrangere ogni tipo di luce e animare dinamicamente lo spazio con specchi, cristalli, stoffe cangianti, boiseries e porcellana nella gamma prediletta dei colori pastello.

    Analogamente, da Nymphenburg a Versailles, i parchi si popolano di padiglioni, casini, piccoli luoghi di piacere, modellati con flessibilità ed eleganza nella ricerca incessante dell’artificio, dell’arabesco, dell’esotica bizzarria. Il sogno è quello di realizzare una mitica Arcadia, dove natura e cultura convivano in una giunzione perfetta, anche se l’approdo è talvolta l’irrazionale, l’illogico, l’antieconomico.

    Più tardi la critica alle follie del rocaille, lanciata da un versante ormai classicista, diviene corrosiva e ironica: Gli orefici sono pregati, quando eseguono sul coperchio di un orciuolo un carciofo o una gamba di sedano a grandezza naturale, di non mettervi accanto una lepre grande come un dito; [...] di non mutare la funzione delle cose e di ricordarsi che un candeliere dev’essere diritto e perpendicolare per poter reggere la candela e un bocciuolo deve essere concavo per poter reggere la cera che cola. [...] Noi forniamo loro dei bei legni ben diritti ed essi ci fanno spendere delle somme favolose volendone ricavare delle forme sinuose. [...] In quanto poi all’avere incurvato le pareti degli appartamenti, la sola comodità che vi troviamo consiste nel non saper più dove appoggiare le sedie e gli altri mobili. È evidente che Charles-Nicolas Cochin il Giovane, autore di questa paradossale Supplica agli orafi, appartiene ormai a quella cultura razionalista che costituisce la dominante del Settecento. L’attacco è sferrato in nome dell’ordine, della logica, della funzionalità e del principio di economicità e rientra nell’ambito dei nuovi orientamenti funzionalisti teorizzati in architettura da Antoine Laugier, Carlo Lodoli, Francesco Milizia. Ma è soprattutto la figura di Abel-François Poisson marchese di Marigny, giovane fratello di Madame Pompadour, a imporre le nuove direttive del gusto, sfruttando il potere che gli viene dall’Académie Française e dalla carica di sovrintendente ai monumenti del re di Francia.

    Le scelte di Marigny, che determinano progetti urbanistici di grande rilievo (riorganizzazione di Place Louis XV, attuale Place de la Concorde; scuola militare e chiesa di Sainte-Geneviève a Parigi) concorrono a segnare la svolta classicista che caratterizza la seconda parte del secolo e che coinvolge anche l’Académie Française a Roma, riformata dal pittore Joseph-Marie Vien, per incarico di Marigny.

    Il viaggio in Italia e la classicità

    Alle spalle del programma di restaurazione classicista promosso da Marigny sta l’esperienza vissuta negli anni 1749-1750, quando Marigny compie il suo viaggio culturale in Italia, come momento conclusivo del rito settecentesco del Grand Tour.

    Viaggio iniziatico degli inglesi nel continente, il Grand Tour era praticato già negli anni di Elisabetta I. Solo più tardi però, elevato a sistema di conoscenza e legittimato da un trattato di Francis Bacon del 1615 (Of travel), diviene un’esperienza educativa irrinunciabile per le classi alte di tutta Europa. Ha una durata di circa tre anni, viene intrapreso fra i diciotto e i vent’anni di età e segue fedelmente le rotte indicate da alcune intramontabili guide: per gli Inglesi, e non solo per loro, riferimento privilegiato è Joseph Addison e il suo Osservazioni su varie parti d’Italia, di cui si serve anche Montesquieu.

    Ormai alla metà del secolo, l’Italia cercata è quella dell’antichità classica e luoghi privilegiati sono Roma, Napoli, Paestum, gli scavi di Ercolano e Pompei: Oggi [14 giugno 1740] ho visto qualcosa che non si è mai letto e forse mai udito [...]: un’intera città romana conservata sotto terra con tutti i suoi edifici (Horace Walpole). È questo incontro emozionante con l’antico, reso improvvisamente accessibile da centinaia di campagne di scavo e dalla resurrezione delle città inghiottite dal Vesuvio, ad accendere in Marigny, Anton Raphael Mengs, Winckelmann e Goethe il mito di una bellezza assoluta, di un’antichità incorrotta, esemplare. Su queste premesse a Roma sulla via Salaria viene costruita Villa Albani (1756-1763); essa rappresenta la proiezione del sogno antiquario del cardinale Alessandro Albani che intende ricreare il clima di un’antica villa romana e definire i luoghi di un pellegrinaggio ideale verso i reperti dell’arte classica, ordinati e classificati da Winckelmann. Sullo sfondo dei lecci, degli allori e dei pini, che evocano gli orti suburbani di Lucullo e Sallustio, il passato appare intellegibile, razionale e proponibile nel presente.

    La propensione per la notte e la scoperta dell’inconscio

    Quella stessa antichità, che alimenta il sogno purista e neoclassico, ispira anche le fantasie tenebrose di Giovanni Battista Piranesi, colme di pathos e di allusioni alchemiche.

    Nell’infrangere le leggi dello spazio euclideo e nello scardinare ogni convenzione prospettica, Piranesi è attratto dall’iperbole, dall’ambiguità, dall’abisso, da una poetica che si dirà del Sublime. Il mondo solare dell’illuminismo aveva infatti risvolti negativi e pessimisti, esplorati dall’Indagine sulle origini delle nostre idee del sublime e del bello dell’inglese Edmund Burke che dà risalto alle forze trascendenti la razionalità, dove il Sublime, antitetico al Bello, è tutto ciò che è insieme terrore e piacere, secondo una gamma di sentimenti che vanno dal visionario al tenebroso, al malinconico e al sepolcrale.

    Nel campo dell’arte, l’estetica del Sublime introduce una seconda polarità. Contrapposte alla bellezza esemplare di Raffaello stanno infatti la terribilità e il titanismo di Michelangelo, che gli artisti nordici della cerchia di Heinrich Füssli – tra cui James Barry, John Brown, Tobias Sergel e Nicolai Abraham Abildgaard – amano fino all’esaltazione. La loro esperienza si consuma in Italia, negli anni Settanta e Ottanta del Settecento: denominatore comune è un forte antinaturalismo e la svalutazione del dato fenomenico, cioè di quella percezione sensibile che era stata una delle grandi conquiste del Seicento. E proprio tale percezione, fondata sull’esperienza esterna, sembra a quegli artisti estremamente riduttiva di fronte alla scoperta dell’inconscio e alla possibilità di una percezione interiore. Maledetta realtà, non finisce mai di disturbarmi!, sono parole di Füssli che potrebbero funzionare come didascalia all’inquietante Autoritratto di Londra, dove l’ostentazione di una maschera tragica e la volontà di proporsi come eroe negativo sono il segno di quel rapporto disperante e sfiduciato con la Ragione che è la faccia nascosta dell’Illuminismo.

    Nel gruppo di artisti irregolari e nevrotici, che giungono a Roma dall’estremo nord (Svezia, Germania, Danimarca), Füssli è certo la figura di maggiore rilievo, quella intellettualmente più forte e più ricca culturalmente, la più adatta a incanalare entro gli argini dello stile le intuizioni oscure dell’irrazionale e dell’inconscio.

    Tuttavia anche alcuni disegni di Tobias Sergel – grande scultore svedese colpito da ricorrenti crisi depressive, a partire dal suo arrivo a Roma nel 1767 – evocano con straordinaria lucidità gli incubi, le angosce, le ansie suicide degli artisti nordici ossessionati dalla grandezza di Roma: sono forse i primi straordinari documenti che ci siano pervenuti sul rapporto fra arte e follia e sulla funzione curativa e catartica dell’espressione.

    Utopia, urbanistica e Rivoluzione

    Insieme alla razionalità e a quel sentimento tellurico e lunare che alimenta le premesse del romanticismo, il Settecento è attraversato anche dai sentieri dell’utopia. È stata essenzialmente la Francia, con l’opera degli architetti Claude-Nicolas Ledoux e Etienne-Louis Boullée, a determinare la svolta verso una progettazione allusiva e concettuale, in grado di interpretare l’esigenza rivoluzionaria di monumenti simbolici in cui potesse riconoscersi la collettività. Valga l’esempio del Cenotafio per Newton, sepolcro deserto dedicato alla scienza – mai realizzato – immaginato come una sfera gigante, entro cui riversare l’immensa volta del cielo. Questo e molti altri ambiziosi progetti, corredati di piante e spaccati, giacciono nella Biblioteca Nazionale di Parigi a documento dell’eloquenza, e megalomania, incompatibili con le finanze intermittenti e precarie dei mutevoli governi rivoluzionari. La Rivoluzione francese del resto costruisce pochissimo, almeno sul piano delle realizzazioni durevoli, e al contrario abbatte molto, volendo dotare la città di una forma che sia insieme razionale e imponente.

    Così in un centro antico quale Parigi, dove il cuore gotico viene letto come groviglio di povertà, miseria e terreno di coltura per le ingiustizie sociali, la Rivoluzione promuove gli sventramenti in nome di una città più vivibile e giusta. A eccezione di Notre-Dame, l’imperativo è rien épargner e dunque sventrare senza pietà nella trama medievale e tortuosa, affinché nel nuovo ordine della città si specchi la moderna ideologia di Parigi e la sua riorganizzazione sociale. E mentre l’idea medievale della città-foresta scompare sotto le ruspe rivoluzionarie, nuovi edifici si ergono nello spazio vuoto a rivendicare una doppia funzione, prospettica e socio-politica: templi e prigioni, propilei e dogane, mercati, ospedali, caserme, sono questi i monumenti della città neoclassica e i suoi nuovi fulcri direzionali.

    Sognata dagli architetti della Rivoluzione, la città utopica radicalmente nuova non viene realizzata in quegli anni in Europa, ma al di là dell’Atlantico secondo i progetti di Pierre Charles L’Enfant per la nascente capitale che porta il nome di Washington, dove un tracciato di piazze stellari, destinate ai monumenti agli eroi, interferisce con l’asse del Mall che guida alle rive del fiume Potomac.

    Accanto, la città si dilata seguendo un sistema di sviluppo a scacchiera gravido di significati criptici ed esoterici, quali le esigenze egualitarie del secolo, la composizione federale dello stato, l’ideologia della città massonica: i simbolici strumenti della squadra e del compasso si sovrappongono così al tracciato a mosaico della città.

    Le icone di fine secolo

    Il clima eroico e altamente drammatico di fine secolo è chiaramente sintetizzato in alcuni ritratti di Jacques-Louis David, come Bonaparte al valico del Gran San Bernardo, Madame Récamier nella sua spoglia bellezza, Madame Trudaine tragica e vulnerabile, e nella morte icastica del ragazzino Bara. Osservate nella loro imminenza, nella loro fermissima certezza di durare oltre la fatalità di un destino crudele e comunque segnato, queste figure esaltano la determinazione di attraversare da eroi, e addirittura da martiri, un’esistenza inaccettabile come grigia routine, esprimendo la fiducia nel rapporto positivo con la ragione che attraverso la volontà può modificare il quadro della storia.

    Nella tensione fra razionalità e pessimismo latente, che ne costituisce l’ineliminabile risvolto, il ritratto giacobino-davidiano rappresenta in certo modo la risposta a quella progenie di eroi negativi scaturiti dalla mente di Füssli e dei pittori nordici e ripropone fino alla fine del secolo quella dicotomia fra clarté e oscurità che sta alle origini dell’Europa romantica.

    Il primo Settecento: il rococò e la gioia di vivere

    La grande pittura decorativa in Europa

    Emilia Calbi

    Nel passaggio tra Seicento e Settecento il valore ideologico delle immagini si allenta: l’iconografia celebrativa dell’arte barocca è riproposta solo in termini di finzione e artificio. In questo clima mutato si afferma il nuovo gusto rococò, riconoscibile in pittura per un generale schiarimento della tavolozza, un aggraziarsi di forme, un’invenzione libera e una tematica laica e mondana. L’estro e la genialità degli artisti trovano allora espressione nella compiaciuta esibizione delle proprie capacità d’invenzione e di abilità tecnica.

    Dalla retorica barocca al decorativismo rococò

    Nel Seicento e nell’età barocca l’ostentazione del fasto e del lusso da parte di principi e sovrani era sentita come indispensabile all’affermazione di un potere assolutistico. Nelle dimore, nel cerimoniale e nelle feste lo spettacolo si trasformava infatti in sfoggio di sovranità, in atto pubblico che soggiogava i sudditi facendoli partecipi di un rito di sottomissione. Nei cicli dipinti il linguaggio dei simboli e delle allegorie esaltava le virtù del sovrano legittimandone l’autorità e l’investitura divina. Ma all’inizio del Settecento l’equilibrio tra potere assoluto e ubbidienza dei sudditi si incrina: le sconfitte militari di Luigi XIV, gli scandali della reggenza e la conquista del trono d’Inghilterra da parte della casa d’Orange mettono in crisi un po’ ovunque il principio di autorità. Inizia così un’epoca in cui i riti maestosi della sovranità saranno soppiantati dai loro simulacri, e se questi riti resisteranno ancora a lungo sarà solo in termini di finzione e artificio, come occasioni di svago e di evasione, per una corte sempre più isolata dal resto della nazione e intenta al soddisfacimento di interessi e piaceri privati.

    Anche in campo artistico il significato ideologico delle immagini si allenta: gli schemi e i temi della decorazione barocca resistono solo come formule convenzionali adatte a lusingare la vanità dei principi, divenuti unici destinatari di un universo di immagini che non soggioga più, ma seduce e diverte. La retorica del repertorio celebrativo tradizionale si trasforma in vuoto balbettio, o meglio, in un discorso pieno solo di nobili luoghi comuni. La perdita di significato dei vecchi contenuti offre allora all’artista la possibilità di affermare più liberamente la propria personalità, senza vincoli né condizionamenti, in una compiaciuta esibizione delle proprie capacità di invenzione fantastica e di abilità tecnica. Così, nel passaggio tra barocco e rococò, la pittura decorativa perde in tensione ideologica, ma acquista in vivacità e freschezza grazie ad abilissimi decoratori, più preoccupati di affermare la propria bravura che di dare credibilità al loro mondo di favola e di sogno. Ha scritto Jean Starobinski: Il lusso settecentesco sfrutta, modificandole, le diverse forme attraverso cui si era espresso il linguaggio dell’autorità, ma non corrispondendo più al contenuto che era stato il loro, queste restano fini a se stesse: l’artista può servirsene capricciosamente per soddisfare il gusto della varietà. L’affermarsi del nuovo gusto è riconoscibile in pittura, specie in quella ad affresco, per un generale schiarimento della tavolozza, per un aggraziarsi delle forme rispetto alle esuberanze barocche, per un farsi più audace, libero e spiritoso delle invenzioni prospettiche, […] per un’intonazione insieme tenera e frivola che coinvolge lo spettatore nel gioco delle composizioni illusionistiche e delle storie narrate, ma chiamandolo appunto a partecipare a una finzione (Bossaglia).

    La pittura veneziana in Inghilterra

    Estro, genialità ed esuberanza creativa unite a facilità d’esecuzione e assoluta padronanza della tecnica sono, non a caso, le doti che fanno di Giambattista Tiepolo il più apprezzato e richiesto tra i pittori in Europa, l’ultimo grande interprete di una pittura illusionistica che spalanca gli spazi sul teatro della storia e sui cieli rosati di un Olimpo sempre pronto a celebrare glorie e apoteosi. La sua arte, che domina incontrastata il panorama artistico veneziano nella prima metà del Settecento, raccoglie e porta alle estreme conseguenze le conquiste di quei pittori veneziani che, nei primi due decenni del secolo, avevano offerto una valida alternativa al tenebrismo tardobarocco, riportando nella pittura locale la ricchezza cromatica che era stata il lascito più fecondo della tradizione decorativa di Paolo Veronese: Giovanni Antonio Pellegrini, Sebastiano Ricci, Jacopo Amigoni, Antonio Bellucci, Gaspare Diziani.

    In questo senso dovettero giocare un ruolo importante le opere lasciate allo scadere del Seicento da Luca Giordano, esempio di libertà pittorica e di ritrovata sensibilità ai valori della luce e del colore. Gli effetti di questo rinnovamento si fanno sentire a Venezia solo alla fine del secondo decennio: le premesse sono all’estero, dove i pittori veneziani, chiamati a lavorare presso le principali corti europee, gettano le basi di una nuova, felicissima koinè figurativa, diffondendo in termini di grande decorazione il linguaggio rocaille nato all’inizio del Settecento negli interni degli hôtels particuliers parigini.

    I primi esempi del nuovo linguaggio decorativo si registrano in Inghilterra, dove nel 1708 giunge Giovanni Antonio Pellegrini, il più estroso e audace dei pittori itineranti veneziani. Lontano dalla patria e dai vincoli di una cultura attardata e conservatrice l’artista, in collaborazione con il paesaggista Marco Ricci, crea una pittura sensuale e raffinata, freschissima per rapidità di tocco e preziosità di tinte. Le occasioni di lavoro gli vengono offerte dai membri della nuova aristocrazia whig che proprio in quegli anni aveva affidato all’architetto John Vanbrugh la costruzione di eleganti dimore in stile neopalladiano: Lord Manchester a Kimbolton Castle, Lord Carlisle a Castle Howard, Sir Andrew Fontaine a Narford Hall. Il Pellegrini impreziosisce gli interni di quese abitazioni con allegorie, storie bibliche, miti galanti e gustose comparse di derivazione veronesiana, realizzate in uno stile levitante e corsivo, quasi da bozzetto.

    Dopo la partenza del Pellegrini nel 1713 il successo dei pittori veneziani in Inghilterra prosegue con Sebastiano Ricci che vi era giunto nel 1711, al termine di un lungo itinerario di formazione, compiuto a Bologna, Parma, Roma e Napoli, che gli aveva consentito di dotarsi di una vasta cultura visiva e di rinnovare progressivamente l’impronta barocca del suo stile attraverso il recupero delle larghe e luminose stesure cromatiche di Paolo Veronese. Prima della partenza per Londra, l’artista aveva riproposto l’illusionismo aereo e le tematiche celebrative dei modelli fiorentini di Pietro da Cortona e Luca Giordano nel soffitto della sala degli Specchi del castello di Schönbrunn a Vienna (1702). Il soggetto, L’esaltazione del condottiero virtuoso, viene sviluppato lungo i lati della volta con la messa in scena di una battaglia navale e una campale, dando vita ad un continuum narrativo incalzante che si placa solo al centro, dove il condottiero è portato sulle nubi per essere glorificato e incoronato dalle virtù. Dopo la distruzione dell’ambiente, resta a documentare questa impresa il modelletto (Treviso,

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