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L Ottocento - Arti visive (65): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 66
L Ottocento - Arti visive (65): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 66
L Ottocento - Arti visive (65): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 66
E-book486 pagine3 ore

L Ottocento - Arti visive (65): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 66

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Info su questo ebook

Accanto alle glorie saldamente installate nel Pantheon dell’arte, l’Ottocento ci ha consegnato acquisizioni importanti che sono alla base di una mutazione così radicale nell’estetica e nel pensiero da lasciare un’impronta nel secolo nuovo. L’invenzione di uno spazio non più definito dalla scatola prospettica brunelleschiana, la raffigurazione di uno spazio ambiguo e illimite, nell’Inghilterra di Turner e nella Germania di Friedrich, segnano una cesura definitiva nei confronti della civiltà umanistica che esprimeva invece la padronanza della coscienza dell’universo: la prospettiva fiorentina, che costituiva lo strumento per governare otticamente e intellettualmente il mondo viene messa in discussione dall’Ottocento romantico, in cui l’orizzonte si spalanca a 360 gradi e l’uomo piccolo e solitario si confronta titanicamente con una natura indomita e misteriosa e con un’anima incontrollabile e per molti aspetti sconosciuta. In questo ebook si può trovare tutto lo splendore dell’arte Ottocentesca con i suoi protagonisti, da Géricault a Manet, da Goya a Blake, a Friedrich, alla Scuola architettonica di Chicago, fino al primo Picasso, e con tutte le sue espressioni, dal romanticismo all’impressionismo, fino all’esperienza americana.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2014
ISBN9788897514961
L Ottocento - Arti visive (65): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 66

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    Anteprima del libro

    L Ottocento - Arti visive (65) - Umberto Eco

    copertina

    L’Ottocento - Arti visive

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    L’Ottocento

    Arti visive

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alle arti visive dell’Ottocento

    Anna Ottani Cavina

    Il primato della Francia

    Nel campo della arti figurative è in atto un fenomeno di assestamento. È cambiata la prospettiva che regolava la percezione del secolo, scandito finora da una serie di landmarks, di pietre miliari, tutte rigorosamente francesi, dal Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David che cade ancora nel Settecento (1784) ma inaugura il nuovo corso della pittura, alla Zattera di Jean-Louis-Théodore Géricault, al Déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet fino alle Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso, che chiudono trionfalmente questo tracciato francocentrico.

    Certo esistevano anche Turner e Goya, Blake, Schinkel e Friedrich, la Scuola architettonica di Chicago, Pugin, Böcklin, van Gogh, ma l’autorità di Parigi ha impedito a lungo una reale internazionalizzazione dell’arte dell’Ottocento. Che è stata letta in funzione del suo contributo alle avanguardie storiche del XX secolo, in scena – come si sa – nel gran teatro di Francia.

    Contro questo Ottocento portato alle stelle in quanto profetico di modernità, e contro una scala di valori fissata in base al tasso di audacia nell’anticipare ciò che sarebbe più tardi accaduto (non a caso in area francese) si sono levati alcuni libri recenti.

    Nel solco di molti studi parziali Modern Painting and the Northern Romantic Tradition: Fredrich to Rothko (1975) di Robert Rosenblum rappresenta il tentativo affascinante di spostare il baricentro della nostra cultura, recuperando la storia carsica di quei pittori del Nord che, nel secolo ormai laicizzato, cercarono di reintrodurre il trascendente e il divino attraverso il vettore dell’arte romantica.

    Questo rovesciamento di prospettiva nasce dall’esigenza di riscattare esperienze cruciali a lungo confinate nella marginalità.

    Come era prevedibile, la nuova strada non fa scalo a Parigi. La sfida infatti è rileggere l’Ottocento da postazioni diverse, abbandonando l’osservatorio privilegiato francese. C’è in tutto questo una dose notevole di provocazione, alimentata dalla ribellione alla superpotenza mercantile francese che, con una efficientissima rete di gallerie, ha imposto il prodotto nazionale nel mondo.

    Ma c’è anche, nella reazione di una critica ancora recente, il riconoscimento del valore fondante che alcuni studi hanno avuto per generazioni, da Les peintres modernes di Lionello Venturi ai volumi di John Rewald sul secondo Ottocento a Parigi. Studi che hanno portato mattoni essenziali alla costruzione del primato francese.

    Il processo di revisione, che stiamo vivendo in questi anni, mette in discussione non tanto una politica imperialista attribuita alla Francia, quanto un sistema di valori fondato su icone e individui che non sembrano interagire con gli eventi della storia.

    Accanto alle glorie saldamente installate nel Pantheon dell’arte, l’Ottocento infatti ci ha consegnato acquisizioni importanti. Esse sono alla base di una mutazione così radicale nell’estetica e nel pensiero da lasciare un’impronta nel secolo nuovo. Il quale, nonostante la linea di confine segnata dall’Esposizione universale del 1900, risulta essere per molti aspetti una filiazione del XIX secolo, se pure imprevedibile e avventurosa.

    Nel passare a indicazioni concrete, cioè a una lista minimale e aperta delle conquiste del secolo, dobbiamo ricordare che, nella società entro cui tutto accade, la classe media svolge un ruolo sempre più rilevante. Anche nel settore dell’arte, dove il peso tangibile della borghesia attribuisce ai fenomeni artistici una risonanza prima di allora sconosciuta.

    Uno spazio fluttuante e illimite

    L’invenzione di uno spazio non più definito dalla scatola prospettica brunelleschiana, la raffigurazione di uno spazio ambiguo e illimite, nell’Inghilterra di Turner e nella Germania di Friedrich, segnano una cesura definitiva nei confronti della civiltà umanistica che esprimeva invece la padronanza della coscienza dell’universo.

    In termini figurativi, la prospettiva fiorentina, che costituiva lo strumento per governare otticamente (e intellettualmente) il mondo, ne era il simbolo più pregnante. Tutto questo viene messo in discussione dall’Ottocento romantico prima che dalle avanguardie francesi e dal manifesto cubista.

    Il monaco in riva al mare di Caspar David Friedrich, allo sguardo contemporaneo del grande drammaturgo Heinrich Kleist, appare come il solitario punto centrale di un cerchio solitario [...] quando lo si guarda è come se ai propri occhi fossero state asportate le palpebre.

    Quel dipinto non era più dunque, nella divisione convenzionale dei generi, una marina di tradizione olandese, scandita dalla prospettiva. Inizialmente, per un attimo, forse lo era anche stata: i raggi X hanno rivelato barchette e vascelli dipinti sul mare, che Friedrich ha subito cancellato, spalancando l’orizzonte a 360 gradi. Senza più quinte ad arginare lo spazio illusorio del quadro il paesaggio si propaga all’infinito, oltre i limiti segnati dalla cornice.

    Mentre la sua forte connotazione simbolica esprime quella spiritualità e senso del divino che non coincidono più con la religione di sempre, ma che Friedrich aspira a recuperare attraverso il soprannaturale e l’arcano: Il Divino è ovunque, anche in un granello di sabbia. Una volta io l’ho raffigurato in un canneto.

    Una diversa percezione dello spazio cosmico, a vortice e circolare, è anche alla base del sensazionalismo di Turner: arcobaleno che ‘sfonda’ la conca dei monti o nembo che insidia la grandezza degli eroi; stella isolata nel cielo o vascello che lotta nella tempesta; locomotiva in velocità o mostro marino all’alba come afferma Francesco Arcangeli. L’immagine di questi fenomeni è sbalzata a distanze infinite che neutralizzano la certezza, consegnataci dal Rinascimento, di un mondo conoscibile, non magmatico.

    Scienza, tecnologia, produzione artistica

    Il rapporto fra produzione artistica e il suo consumo è in questo secolo molto dinamico, mentre i confini dello specifico artistico si fanno sempre più labili.

    Scienza e tecnologia interagiscono nel campo dell’arte. Gli effetti sono dirompenti in primo luogo nell’architettura che, con paradosso rivoluzionario, è ormai l’architettura degli ingegneri. Un’architettura che, senza rinunciare alla realizzazione di edifici altamente rappresentativi, introduce un sistema di progettazione fondato su procedimenti ingegneristici: materiali nuovissimi e utilitari (ghisa, vetro, ferro, cemento, conglomerati plastici), elementi seriali e prefabbricati che comportano una diversa organizzazione del cantiere, abbattimento dei costi e dei tempi di lavorazione, sviluppo accelerato nell’applicazione di tecniche matematiche (calcolo dei carichi e delle spinte, ottimizzazione nell’impiego dei materiali, calcolo e resistenza delle strutture). E una attitudine sperimentale che sollecita soluzioni formali spericolate e inedite.

    Dal Palazzo di Cristallo per l’Esposizione universale di Londra del 1851, alla selva di edifici a sviluppo verticale resi possibili dall’invenzione dell’ascensore idraulico (i grattacieli del New England e Chicago), ai 300 metri del traliccio metallico costituito dalla Tour Eiffel (1889), il processo di consacrazione dei tecnici appare inarrestabile. Funzionalità ed esigenze rappresentative risultano a tal punto integrate che la Tour Eiffel può permettersi di rappresentare nient’altro che l’emblema della propria funzionalità, monumento della Parigi moderna a una struttura avveniristica, a giorno.

    La società paleoindustriale italiana – nota il critico Giulio Carlo Argan – si rispecchia invece, nello stesso giro di anni nella mole incombente del Monumento a Vittorio Emanuele II di Giuseppe Sacconi, ambizioso prodotto di un’architettura a dir poco retrospettiva e glaciale.

    Nei centri culturalmente avanzati, il pericolo della ripetitività e dell’omologazione implicite nelle unità modulari di base su cui si fonda l’architettura moderna è contrastato dalle folate di creatività che le nuove tecniche sanno attivare.

    Analogamente, l’invenzione della fotografia (il dagherrotipo nel 1837, poi il collodio su lastra di vetro) diventa un fattore scatenante di mutazioni sul piano della percezione e su quello correlato degli orientamenti pittorici.

    Da un lato gli artisti, da Courbet a Delacroix a Degas a Toulouse-Lautrec non esitano a servirsi della fotografia quale strumento insuperato di reportage, dall’altro, tallonati dal mezzo meccanico in termini di resa oggettiva, estremizzano l’interpretazione della realtà puntando il cannocchiale verso l’interno e verso una caratterizzazione accentuata dell’io (simbolismo, espressionismo).

    Le cose in realtà sono ancora più complesse, se davvero l’invenzione della fotografia è stata culturalmente prevista – e preparata nei tagli, nelle inquadrature, nella messa a fuoco ravvicinata – da una tradizione pittorica di nobile origine, che ha radici nel Settecento.

    Sullo sfondo di uno sviluppo scientifico e industriale che non conosce battute d’arresto, sono tantissime le intersezioni fra l’arte e la scienza: la scoperta dell’inconscio e degli enigmi figurativi di Böcklin o Redon; la formulazione delle leggi dell’ottica e l’esaltazione della luce nelle tele abbacinanti degli impressionisti o nei colori fondamentali del divisionista Seurat, il cui termine di riferimento è il ciclo cromatico di Chevreul; i traguardi raggiunti dai procedimenti della stampa e il trionfo del design, dell’illustrazione, della nascente pubblicità.

    Cambiano intanto lo status sociale e il mobilissimo identikit dell’artista: in una commistione profonda fra l’arte e la vita, venata di pessimismo, l’artista è esteta, dandy, flâneur; o invece propositivo, sperimentale e fortemente engagé quando l’idea di un’arte d’élite viene erosa alla base dalla dilatazione di campo che comporta l’assunzione di nuove tecniche.

    La scuola nativa americana

    Il XIX secolo, caratterizzato in Europa dalle rinascite nazionali, rivendica sul piano dell’arte un orgoglio patriottico che spegne per sempre i sogni universalistici dell’età dei Lumi.

    A contrastare l’idea di un’arte al di sopra delle nazioni (il cui sacrario vorrebbe essere il Musée Napoléon di Parigi), il Congresso di Vienna sancisce la restituzione dei capolavori razziati dalle armate francesi, ripristina le sedi d’origine delle collezioni e dà libero corso alla celebrazione delle diverse identità nazionali all’insegna di riscoperte e revival (il medioevo, l’esotico, il passato primitivo e gaelico) e di una tematica nazionalista (per l’Italia, l’apice è rappresentato dall’epopea del Risorgimento nei soggetti militari di Giovanni Fattori).

    È in questo contesto che la giovane pittura d’oltreoceano si esprime per la prima volta con un linguaggio autoctono, solo in parte influenzato dal paradigma dominante europeo.

    Sono gli intrepidi esploratori del Paradiso inviolato nord-americano, i pittori di frontiera della Hudson River School.

    Nasce con loro la mitologia di una natura vergine e maestosa, abitata dalla divinità.

    Dalla valle dell’Hudson alle terre del Labrador agli scenari dell’Ovest, la sacralità della wilderness del nuovo continente, teatro dei racconti di Washington Irving, diventa lo specchio dell’identità nazionale, il segno di un destino alto e inevitabile, di una missione leggendaria e forse impossibile: salvaguardare civiltà e natura, progresso e incanto dell’Eden a fronte dello sfruttamento capitalistico del territorio, della saturazione accelerata degli spazi, della nascita incontrollata delle metropoli, della perdita del senso del divino nel mondo.

    Una sfida destinata a segnare molte ricerche portanti del Novecento.

    Pittura e scultura nell’Europa romantica

    Géricault, Delacroix e Gérard

    Silvestra Bietoletti

    In Francia, il ritorno della dinastia borbonica agevola l’affermazione della pittura romantica. Pittori di storia, di paesaggio e ritrattisti elaborano infatti nuovi modi di rappresentazione che si discostano con chiarezza dai modelli culturali dell’Impero.

    Premessa

    La definitiva sconfitta di Napoleone comporta, fra l’altro, l’allontanamento di David dalla scena artistica parigina; costretto all’esilio, il pittore si rifugia a Bruxelles dove rimane fino alla morte.

    La prima mostra importante, organizzata dopo la restaurazione della monarchia, è il Salon del 1817: le opere esposte riflettono la volontà di rendere chiara l’unità dinastica dei Borbone; esse celebrano le vittime del Terrore oppure esaltano la devozione di Luigi XVI alla Francia. Anche la pittura religiosa, spesso rappresentata sotto forma di pittura di storia o di genere, assume nuovamente importanza.

    La pittura di genere è infatti la prima a esprimere l’esigenza di ordine e quiete sociali, tipica della Restaurazione: il pittore Marius Granet dipinge interni secondo prospettive neoquattrocentesche e i suoi quadri raffigurano spesso scene di convento che sottolineano la volontà di attenuare il pathos della narrazione, eliminando palesi implicazioni sentimentali. La pittura di Granet diventa modello di riferimento per molti pittori di genere: Boguet fils e Constant Desbordes eseguono scene di vita contemporanea, talvolta edificanti, che coniugano la maniera di Granet con i rimandi alla pittura di interni del Seicento olandese.

    Anche il genere figurativo del paesaggio assume un’importanza nuova, tanto che dal 1817 l’Ecole des Beaux-Arts istituisce un Prix de Rome specifico per la pittura di paesaggio e nel 1820 viene pubblicata un’edizione ampliata dell’opera teorica sulla pittura di paese di Pierre-Henri de Valenciennes, uno dei più importanti paesisti del neoclassicismo francese.

    Ma la recente storia di Francia è troppo coinvolgente sul piano emotivo e della memoria, e non tutti gli artisti accettano con pacatezza un programma di restaurazione che ribadisce idee di ordine e di stabilità. Si fa forte l’esigenza di creare un’espressione figurativa capace di suscitare sentimenti e passioni, e saranno proprio gli allievi di David – o gli allievi dei suoi allievi – a rinnovare il linguaggio della pittura dopo l’avvento al trono di Luigi XVIII. Da un punto di vista formale, adesso i riferimenti dei pittori non sono più i modelli classici, ma i grandi maestri del Cinquecento, da Raffaello a Michelangelo, da Correggio a Tiziano e ai Carracci; i temi dei dipinti sono episodi della storia di Francia medievale e rinascimentale, sono soggetti tratti dalla letteratura di Ariosto, di Shakespeare e di Byron, e talvolta le opere ripropongono temi religiosi o di storia contemporanea, come La zattera della Medusa di Géricault.

    Jean-Louis-Théodore Géricault

    La formazione di Géricault, più che nell’atelier del suo maestro Guérin, avviene nelle sale del Louvre, dove il pittore si esercita ininterrottamente alla copia dei maestri italiani del Rinascimento, ma anche di Rubens e Rembrandt. Egli espone per la prima volta al Salon del 1812, presentando il dipinto Un ufficiale dei cacciatori a cavallo, rimeditato sul dipinto Napoleone ad Arcole di Gros, come dimostrano la composizione e l’enfasi della pennellata. E proprio Gros inizia Géricault alla pittura di cavalli, tema che egli tratta per tutta la vita: ne è un esempio il Cavallo pomellato spaventato dal fulmine, dove la resa rigorosamente naturalistica dell’animale e dell’atmosfera temporalesca esalta il tono drammatico e misterioso della scena. Anche i temi militari di Géricault riflettono il suo interesse per Gros e suggeriscono l’entusiasmo del pittore per i soldati napoleonici, protagonisti di una vicenda che ha la grandezza epica del mito antico e l’immediatezza della storia contemporanea. Ma la disillusione dovuta alla caduta di Napoleone infonde nelle opere dell’artista il senso della drammatica precarietà dell’uomo, privato degli ideali; così nel 1819 Géricault espone al Salon La zattera della Medusa, un dipinto imponente che narra una vicenda realmente accaduta con i toni epici del terribile e del sovrumano, consoni alla tragedia classica. E anche nei volti di alienati che Géricault dipinge nel 1822-1823, poco prima di morire, emerge un forte senso di desolazione e solitudine.

    Le influenze della pittura di Géricault e il Salon del 1824

    La pittura di Géricault diventa subito d’esempio per molti artisti: essi adottano lo stile del pittore e infondono il senso drammatico dei suoi dipinti in scene religiose, di soggetto storico e letterario. Nel 1820 Horace Vernet, un caro amico di Géricault, dipinge un soggetto tipico dell’artista, La partenza della corsa dei barberi e nel 1822 Eugène Delacroix, anch’egli allievo di Guérin, espone la sua prima opera di grande impegno, La barca di Dante, decisamente influenzata da Géricault; due anni più tardi al Salon del 1824, Ary Scheffer presenta il dipinto San Tommaso d’Aquino nella tempesta ed Eugène Delacroix il Massacro di Scio, ispirato alla guerra d’indipendenza della Grecia. Questo evento storico, nel quale perde la vita anche Byron, è spesso commemorato dalla pittura della Restaurazione, per la commistione di drammaticità contemporanea e di eroismo atemporale. E proprio Delacroix sublima in un’unica figura di donna desolata, in atto di resa, il dramma universale della guerra e della precarietà umana: La Grecia sulle rovine di Missolungi.

    Al Salon del 1824 sono presenti anche quadri ispirati da sentimenti differenti e da modelli diversi della pittura del Rinascimento: Ingres, ad esempio, presenta Il voto di Luigi XIII, ispirato alla Madonna Sistina di Raffaello; il dipinto sottintende un desiderio di stabilità sociale affine al sentimento di quiete che traspare dal quadro di Constant Desbordes dal titolo La vaccinazione, dove il pittore coniuga le virtù domestiche della cura dell’infanzia con il trionfo della medicina moderna.

    Il Salon del 1827

    Il 1824 è l’anno dell’ascesa al trono di Carlo X; per commemorare l’evento il re ordina un dipinto a François Gérard, un allievo di David, che già nel 1817 ha dipinto un quadro per celebrare il ritorno dei Borbone: L’entrata di Enrico IV a Parigi nel 1594. L’incoronazione di Carlo X di Gérard presenta indubbie assonanze con il Napoleone incoronato imperatore di David ed è esemplare della maniera di intendere il dipinto di storia contemporanea in linea con le esigenze di regime; ultimato solo nel 1827, quando Carlo X è sempre più impopolare e prossimo all’esilio, il quadro non ottiene il successo sperato in confronto alle opere esposte al Salon. Fra i quadri di storia presentati nel 1827, ottengono invece il favore del pubblico e della critica Le donne suliote di Ary Scheffer, un soggetto ispirato ancora una volta alla guerra d’indipendenza greca, e Giulio II commissiona i lavori del Vaticano e di San Pietro a Bramante, Michelangelo e Raffaello di Horace Vernet; nell’opera il tema celebrativo dei grandi artisti del Rinascimento è elaborato da Vernet come decorazione di un soffitto del museo del Louvre e diventa tipico della cultura della Restaurazione.

    Fra i dipinti di ispirazione letteraria esposti al Salon del 1827 sono particolarmente significativi due quadri ispirati da opere di Byron, il poeta inglese morto nella difesa di Missolungi nel 1824: il Mazeppa di Louis Boulanger, un dipinto che suggerisce l’interesse dell’autore per la pittura di animali di Géricault, e il monumentale quadro di Delacroix, La morte di Sardanapalo, opera conclusiva di una ricerca pittorica dettata dalla volontà di unire in una vitale rispondenza gli elementi formali e cromatici di un dipinto all’esuberanza del sentimento.

    Fra i quadri di paesaggio esposti nel 1827 al Salon parigino vi sono ancora opere legate ai modelli di Granet, come la Veduta della loggia Aldobrandini a Frascati di Boguet fils, ma accanto a essi sono presentati per la prima volta due dipinti di un artista destinato ad assumere una grande importanza per la pittura dell’Ottocento: Il ponte di Narni e Campagna di Roma di Camille Corot.

    Conclusione

    Mentre i paesaggi di Corot annunciano un nuovo modo di intendere l’arte, finalmente libera da implicazioni morali e didascaliche, il dipinto di Delacroix La Libertà guida il popolo di Parigi (1830) può invece essere considerato conclusivo del percorso della pittura francese nei primi quindici anni della Restaurazione. Ispirato alla rivoluzione di Luglio del 1830, che porta al governo Luigi Filippo d’Orleans, il quadro narra un episodio della storia francese contemporanea ed è l’ultima opera di questo genere che unisce in maniera mirabile il tema coevo al mondo dell’allegoria. C’è stato bisogno del genio di Delacroix – scrive Robert Rosenblum – per far incontrare questi due mondi in una visione esplosiva, travolgente, che trasporta la guerra civile di Parigi a livello di un inno universale alla gloria e alla libertà.

    Rimandi

    Volume 53: Georges de La Tour

    Volume 53: Nicolas Poussin

    Volume 59: I pittori illuministi

    Volume 59: Diderot e i Salon

    Volume 59: Jacques-Louis David

    Volume 59: Il ritratto in Francia

    Volume 62: La Restaurazione

    Volume 62: La Monarchia di Luglio

    Volume 62: La Francia del secondo Ottocento

    Jean-Baptiste Camille Corot

    Potere e declino delle accademie

    Jean-Léon Gérôme e l’art pompier

    John Constable e il naturalismo romantico

    Alberto Del Giudice

    Constable è il primo grande pittore naturalista nella storia del paesaggio. Determinato a rinnovare ed elevare questo genere di pittura, Constable ritrae sempre gli stessi luoghi della campagna inglese, quasi con ossessione, in quanto per lui la pittura è al tempo stesso scienza e poesia. La visione pura e verosimile della natura è lo scopo ultimo della sua arte.

    La vita di John Constable

    John Constable si forma presso la Royal Academy di Londra che frequenta dal 1799 e dove approfondisce i paesaggisti del Seicento e del Settecento; come Turner, ammira soprattutto Claude Lorrain.

    Dal 1803 espone regolarmente i suoi dipinti alla Royal Academy, senza tuttavia riscuotere molti apprezzamenti dalla critica e dal pubblico inglesi. La pittura di Constable è più ammirata in Francia, dove l’artista espone per la prima volta i propri dipinti al Salon del 1824.

    Deluso dai corsi della Royal Academy, Constable decide di tornare nella sua campagna a osservare direttamente la natura, per liberarsi dai condizionamenti delle tradizioni e delle regole accademiche e produrre qualcosa di realmente originale.

    Nonostante la sua ammirazione per i dipinti di Lorrain, Poussin e altri grandi paesaggisti, egli cerca di superare la tradizione classicista del paesaggio idealizzato e arcadico.

    Constable esegue disegni e studi a olio dal vero dei dintorni di East Bergholt, studiando assiduamente il cielo, le nuvole e ogni angolo di campagna. Con questi bozzetti – spesso rielaborati in dipinti a olio destinati all’esposizione – l’artista inaugura il paesaggio naturalistico: la natura è ritratta dal vero, con immediatezza, come dimostra l’opera Barca in costruzione, vicino al mulino di Flatford (1815).

    Scienza e poesia

    Per Constable il pittore deve indagare la natura con criteri il più possibile scientifici e deve imparare a osservare e comprendere i fenomeni naturali con lo stesso impegno di chi impari a decifrare i geroglifici egiziani.

    Egli sostiene infatti che la pittura, oltre a un valore artistico e sentimentale, possiede anche un valore scientifico e conoscitivo.

    Sulla base di queste idee Constable esegue una ricca serie di bozzetti che hanno per soggetto le nuvole, basandosi sull’osservazione diretta del cielo nei diversi momenti della giornata, e sui fogli di questi schizzi registra spesso anche il luogo, il giorno e le condizioni meteorologiche in cui ha eseguito il disegno.

    Constable dà enorme importanza al cielo, attribuendo ad esso una funzione compositiva e insieme sentimentale, in una lettera del 1821 a John Fisher, vescovo di Salisbury, scrive: È molto difficile indicare una categoria di paesaggio in cui il cielo non sia l’elemento chiave, la misura della bilancia e il principale organo del sentimento.

    All’inizio degli anni Venti Constable perfeziona la sua tecnica, ricercando la maggiore fedeltà dei pigmenti artificiali ai colori naturali dei suoi soggetti. L’artista compie inoltre ricerche analitiche sulle variazioni cromatiche provocate dalle mutazioni della luce e dell’atmosfera nelle diverse ore del giorno. A questo scopo impiega una tavolozza molto varia e ricca, dipingendo frequentemente all’aperto (en plein air), per cogliere direttamente gli effetti dell’umidità dopo la pioggia e le variazioni determinate dal vento o da altri agenti atmosferici.

    Nonostante le pretese di oggettività e scientificità, i paesaggi di Constable restano delle rappresentazioni soggettive, in cui il sentimento provato dal pittore di fronte alla natura viene rievocato continuamente. Nei dipinti non vi è contemplazione, ma adesione e identificazione panteistica dell’artista nel paesaggio naturale.

    Nella grande tela intitolata Il carro di fieno (1821), Constable raffigura un’umanità che vive in perfetta armonia con la natura.

    Il carro che attraversa il fiume guidato dal contadino e la casa rurale sulla sinistra sono parte del paesaggio come gli alberi, l’acqua e risvegliano in egual modo il sentimento dell’artista che in una

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