Aretusa Jammin
()
Info su questo ebook
Correlato a Aretusa Jammin
Ebook correlati
Il dottor Nero Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniOrtensia Rakar e il Ladro di Anime Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMattinate napoletane Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa freccia del parto ed altre novelle Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMore uxorio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniOcchio di vipera Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniStorie del secolo breve Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCiò che resta del silenzio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMaccaia: Una settimana con Bacci Pagano Valutazione: 3 su 5 stelle3/5La vigna sul mare Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa voce dell’orfano Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTempi moderni – Racconti & poesie Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGiorni pazzi, monna Lagia! Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCreature selvatiche Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAl cambio di luna: Racconti Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLe ore inutili Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniMatrimonio in campagna Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Fede e bellezza Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL’arcobaleno Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAntologia del Concorso AmicoLibro 2014 Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPer la sua bocca Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLiz e il destino della creatura Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNon posso dirti addio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniOra, il mostro, vive in me ed ogni tanto se ne esce e va a pisciare: Poesie e un racconto Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniInfinite Solitudini Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa signora del pavone blu Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniFolisca Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLa bestiaccia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTra realtà e fantasia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNon tornare a Mameson Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Gialli hard-boiled per voi
Le conseguenze della Mole: Il ritorno del commissario Giorgio Paludi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTorino la chiusura del cerchio: Una nuova indagine di Vivaldi e Meucci Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Mariani e le parole taciute Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Mariani allo specchio Valutazione: 4 su 5 stelle4/5I delitti di Varese: La prima indagine del magistrato Elena Macchi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAppuntamento mortale: Un'indagine di Teresa Maritano Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Giallo in Versilia: Un'indagine di Pompilio Nardini Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Le confessioni di un adolescente psicopatico: Trilogia dello psicopatico Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCittà di sogni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara Valutazione: 3 su 5 stelle3/5Mariani e le ferite del passato Valutazione: 3 su 5 stelle3/5La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniNessun ricordo muore: La prima indagine di Teresa Maritano e Marco Ardini Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl passato non muore: Un nuovo caso per il magistrato Elena Macchi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl bacio della mantide: Rose e veleni per il maresciallo Bonanno Valutazione: 4 su 5 stelle4/5Il giallo di Varese: Una nuova indagine del magistrato Elena Macchi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniGente sbagliata: La prima indagine di Jacopo Ravecca Valutazione: 4 su 5 stelle4/5
Categorie correlate
Recensioni su Aretusa Jammin
0 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Aretusa Jammin - Fabio Centamore
633/1941.
UNO.
Non era l'alba, non ancora. Nell'aria, però, si sentiva già il suo sapore insieme al profumo intenso della salsedine e alle grida acute dei gabbiani.
Minuscole e pigre, le scintille del primo sole correvano nell’atmosfera buia. Veloci e insistenti come note di un assolo di chitarra, come suoni che si torcevano fino a toccare anche le corde dell'anima. Così appariva il cielo di Ortigia lungo la notte. Barlumi, semplici intuizioni di luce, si stiracchiavano lenti verso il buio vago e screziato. Stentati appigli di sole, percettibili più dalla fantasia che dagli occhi. Presto sarebbe stato giorno. I vicoli e le facciate barocche, i luoghi su cui un tempo avevano passeggiato Platone e Archimede, si sarebbero arroventati di effluvi marini e candide sabbie portate dal raro vento di fine settembre. Rapidi turisti, impiegati, gente comune intenta in ogni genere di affare avrebbe sciamato fra quelle antiche pietre, spremuto sudore e pensieri di ogni tipo. Ma non ancora. L'alba era solo mia.
Giunse il momento di lasciarla cantare. Fra le mura spagnole e le antiche rovine greche, Olivia si lasciò adagiare contro le mie labbra. Liscia, fresca, così sensuale. Sfiorai le prime note basse, dolcemente, con una piccola punta di lingua. Poi sempre più acute, strazianti, le minuscole note iniziarono a cavalcare l'aria verso il sole ancora non nato o, forse, verso l'oscurità in via d'estinzione. Afferravano ogni minimo filamento di brezza. Rapide e strascicate fra le mie labbra vibranti, pieghe sempre più increspate dal crescendo. Infine, ecco che sfumavano dolci verso l'orizzonte marino. Solo un attimo, un lento impossibile attimo, prima di riprendere a crescere e salire di tono. Gemeva la piccola, modulava piano. Cadenzati, preziosi picchi da contralto. C'eravamo quasi. Aspirai lentamente l'aria salata combinando sol e fa. I gemiti di Olivia si fecero acuti, sempre più, fino a raggiungere i tetti delle case, le persiane polverose e sgangherate, le sparute barche di pescatori ancora in mare. Toccarono il cielo una, due, tre volte. Lasciai che si spegnessero nell’umido, madido, discreto scenario del lungomare.
Qualcuno applaudì. Voltai le spalle riponendo l'armonica nella giacca.
– Tu sì che fai godere le donne. Peccato che lo fai solo con la musica – disse la spettatrice sorridendo. Il candore dei denti le illuminò il viso bruno come la notte, la pelle color ebano traeva lucide faville dall'aria salmastra. Corti capelli neri, come gli occhi. Quasi buie macchie d'inchiostro sulla liscia superficie ebano del volto. Era l'eterno contrasto delle donne africane, capelli e occhi nero pece contro denti candidi come neve. Fasciata nell'elegante vestito corto tempestato di tenui figure cangianti, sembrava perfino ancor più sfuggente e misteriosa della notte che stava per svanire.
– Chiunque tu sia, buongiorno – le replicai ammirandone il corpo esile e privo di sbavature, inguainato nel succinto abitino. – Sei tutta sola?
– Pof! – Sbottò riavviandosi una ciocca pendente dietro l'orecchio. – Per oggi ho dato abbastanza a turisti e mariti insoddisfatti, quindi ora riposo.
– Hahahaha… Tanta sincerità merita una buona colazione, posso offrire?
– Merito anche un marito europeo come te, non la patente di protezione dello stato. – Sentenziò scurendosi in volto. Fu solo un lungo attimo di imbarazzo, poi tornò a sorridere. – Portami al bar, ti prego.
– Hai mai visto quest'uomo? – Le chiesi mostrando l'immagine che mi portavo nello smartphone ormai da qualche notte.
– No, mai visto. Scappato dalla moglie?
– Come fai a dirlo?
– So riconoscere due tipi di uomini, quelli che scappano dalla moglie e i pervertiti. Lui non ha la faccia del pervertito, ha gli occhi buffi come i tuoi – rispose storcendo di lato le belle labbra carnose.
– Questa non me l'aveva ancora detto nessuno. E che vuol dire occhi buffi?
– Occhi che guardano fuori dal mondo reale. Occhi da sognatore.
Mi scappò da ridere mentre scuotevo la testa. – Così finisce che ti sposo davvero. – Le dissi fra i singulti.
– Sei di quelli che lo dicono sempre e non lo fanno mai, come tutti gli altri uomini. – Ribatté tornando seria per la seconda volta. – Tu, però, almeno suoni l'armonica e sai carezzare un cuore.
– E offro anche la colazione alle prostitute che sanno farmi simpatia, mi chiamo Andrea.
– Occhio, Andrea! Sono affamatissima dopo una notte di lavoro. Ti consumo un patrimonio di briochese granite.
– Granite, brioches calde e bella compagnia. Mai patrimonio fu consumato con più piacere.
Mi ringraziò con un bacio in fronte, come se le avessi proposto un viaggio premio. Si appese al mio braccio e si lasciò accompagnare lungo la salita, verso la piazza. Tremava. Eppure non c'era freddo e l'alba era così dolce e fresca da risvegliare le menti e rianimare i cuori. Potevano essere tremiti di paura (non era proprio normale trovare una prostituta patentata in piena Ortigia, a quell'ora) o semplice sollievo per la fine dell'ennesima notte di uomini. Stavo per caricarmi addosso l'ennesimo vagone di guai in formato femminile? Mi accadeva fin troppo spesso, incerti del mio mestiere di vivere. Qualcosa mi diceva che sarei presto finito a chiederle di dormire nella mia reggia. Dopotutto, c'era spazio per un piccolo reggimento in quella specie di castello.
Una villetta di centocinquanta metri quadri, circondata da ampio e rigoglioso giardino, fuori Siracusa e adiacente alla zona protetta del Plemmirio. Ampia camera da letto signorile con bagno annesso, un bellissimo studio biblioteca, tre confortevoli camerette, patio sul giardino e luminoso soggiorno. Nulla che mi appartenga realmente, un generoso regalo del conte Carlo Maria Aurelio Impastato Alaimo, grand'ufficiale del rinato Regno D'Italia e senatore emerito dell'Unione Europea. Ho sempre pensato che sia un regalo sproporzionato e poco adatto a me. Dopotutto, ormai non sono più un poliziotto. Carriera naufragata nell’alcol, dicono i più. Non sono altro che un suonatore di jazz, salvato da un’armonica a bocca e rigettato dentro una nuova vita priva di prospettive. Frequento locali notturni di secondo ordine, dormo poco e scialacquo tempo. Uno, insomma, che vive costeggiando i margini e le periferie dell'antica e signorile Siracusa, la crema del Regno. Dove vivo io non si vedono di buon occhio le cravatte, la buona posizione economica, una moglie e una famiglia magari. Sono la mosca nella torta di crema, uno che vive alla – come viene viene. – Uno così la luce del giorno la frequenta poco e malamente perché l'ha sempre trovata scialba, di poca sostanza, inutilmente illusoria. Uno fatto così poco ha a che fare con le persone normali, con le case enormi e con le ricchezze. Però, anche per uno del genere, non è considerato giusto rifiutare simili doni quando vengono offerti. Soprattutto se chi li offre ha un debito fin troppo grosso da colmare, con la propria coscienza più che con il sottoscritto. Il motto di uno come me è sempre stato lo stesso, in fondo. Mai farsi comprare da un banale pacco di soldi, se puoi scroccare favori a vita.
Maestosa nel suo miscuglio di architetture, la piazza era assolutamente deserta. Vuota e rischiarata appena da una luce livida, poco accennata. Il cielo era ancora nero e più umido del solito, sconosciuto, umore salmastro e persistente. Ci sedemmo all'unico tavolino già apparecchiato dell'unico bar aperto. Aspirai il profumo pungente dell'aria marina, mi resi conto che il monotono sciabordare della risacca arrivava fin lì. Che cosa incredibile! Ennesima nottata sconclusionata.
– Granita e brioche, signor Spada? – esordì il ragazzo del bar.
– Certo, Pippuzzu. Per me e la signora stavolta. Ah, senti… ma come fai ad essere così inappuntabile a quest'ora?
– Sempre spiritoso lei – concluse allontanandosi.
La mia nuova amica mi appuntò addosso i suoi occhi bui accavallando le lunghe gambe luccicanti, lo spacco fece quasi svanire il vestito già corto.
– Signor Spada… – sussurrò abbassando il tono di voce fin quasi a imitare il rantolio di un gatto.
– Il mio cognome. Tu un nome non ce l'hai?
– Greta, mi chiamano tutti così – rispose secca. Scrollai le spalle, qualsiasi prostituta, patentata dallo stato o meno, aveva sempre grossi problemi a presentarsi per nome. – Lo cerchi da molto?
– Chi?
– Il tuo amico, quello della foto
– Solo da un paio di settimane. Si chiama Leone Di Grande, la moglie lo rivorrebbe a casa ma io non sono ancora riuscito a trovarne la più piccola traccia. – L'immagine vivida dal televisore gigante del bar catturò la mia attenzione. Si trattava dell'ennesima replica dello sbarco cinese su Marte, i televisori dell'intero Occidente ne erano pieni ormai da giorni e non c'era angolo di Siracusa in cui non se ne parlasse.
– Diciamo che la cosa mi inquieta, sembra svanito nel nulla. – Ripresi distogliendo lo sguardo dalle pietraie del pianeta rosso, la politica mi aveva sempre annoiato. – Di solito, quando decido di mettermi in caccia, avverto la traccia del mio ricercato quasi come un odore inconfondibile.
– Pof, forse è giusto così.
– Che vuoi dire?
– Se avessi un marito e scappasse di casa, mi cercherei subito un altro uomo. Forse per sua moglie è meglio se non lo ritrovi.
– Io so solo che la cosa comincia ad annoiarmi. Che posso farci? La signora, però, continua a insistere. Dice che di sicuro lui è qui, a Siracusa. Dovrei mollare le ricerche. Invece eccomi qui, a perdere tempo senza sapere cosa fare e senza riuscire a rinunciare. Ma che te le dico a fare 'ste cose? Non so nemmeno perché ti parlo dei fatti miei.
– Forse non lo fai per la signora, magari lo fai per qualcun altro.
– Sei quasi inquietante – la rimproverai irrigidendo la schiena sulla gelida spalliera metallica. – Ma chi sei, una specie di maga? Te l'hanno insegnato nel posto da cui vieni a leggere dentro la gente?
Non mi rispose, si limitò ad allargare le labbra carnose in un ampio sorriso prima di tuffare il naso nel bicchiere di granita.
La noia nauseabonda riprese a montare insieme alla luce del giorno, senza che la fragranza di burro della brioche o la dolcezza algida della granita potessero mitigarne il sapore amarognolo. Greta la misteriosa aveva colto nel segno, ero arrivato a quella situazione di stallo per colpa di Rose e solo per lei. Tutti hanno dei punti deboli, il mio è lei. Stanga, rossa, occhi verdi, elegante, irlandese di Galway. Adorava il jazz, viveva di musica organizzando concerti notturni con artisti locali. Mani in pasta con tutti i locali più interessanti di Ortigia e dintorni, sposata con uno stronzo molto più vecchio, uno degli americani più potenti di Siracusa. Questa è Rose, il mio agente musicale, la mia ex. Forse era la crescente amarezza che mi impastava la bocca, forse solo il senso di sconforto di quel mattino. Io, però, a distanza di anni ormai, continuavo a definirla sempre e solo – fallimento. – Qualcosa prese a ronzare nella tasca interna della mia giacca. Non era proprio un ronzio sonoro, piuttosto un ronzio misto a vibrazione persistente. Non era Olivia, la mia armonica riposava inerte. Si trattava dell'altra bestiolina, quella super tecnologica scroccata all'illustre senatore e nobiluomo Impastato Alaimo. Gualtiero, uno smartphone Hangmei non predisposto per la visione olografica (in collegamento olografico, le persone sembrano fantasmi ed io non amo parlare con i fantasmi), non mi stava affatto simpatico, lo odiavo anzi. Quella mattina, però, con mezzo disco di sole che già faceva capolino fra i palazzi dagli elaborati fregi barocchi, mi salvò insperatamente dai soliti cattivi ricordi. Tirandolo fuori mi accorsi, infatti, che l'icona dei messaggi lampeggiava allegramente distraendomi da qualsiasi pensiero malato. Avevo appena ricevuto una email risalente alla sera del giorno prima. Possibile che una tecnologia che non si concede mai riposo, nemmeno quando il mondo dorme, ritardasse così la consegna di un banale messaggio? Mi affrettai ad aprire il link, una serie di caratteri ben marcati e rotondi si compose veloce sotto i miei occhi sgranati.
La prego di contattarmi appena possibile, vorrei incontrarla per l'ora di pranzo. Ho qualcosa per lei. Agata Crifò Di Grande.
– Problemi? – chiese la mia nuova amica asciugandosi le labbra umide di granita.
– Fastidi, Greta. Inutili fastidi. La signora tira le redini, vuole novità ed io non so che dirle.
Il televisore gigante emise un rombo prolungato e costante. Dalle pietrose sabbie di Marte, la Xiezi Sha VI si apprestava a far decollare il piccolo velivolo da esplorazione Mafeng dal piccolo hangar sulla sommità dell'astronave. Osservai per qualche secondo quel piccolo oggetto tozzo e bombato, una sorta di sgraziato calabrone privo di ali, mentre si staccava goffamente dal suo ancoraggio. Poi la noia ebbe il sopravvento. Se la notte era stata inconcludente, la giornata si apprestava a diventare peggio di una trappola bollente. Girai la testa e fissai lo sguardo sul sorriso illuminante di Greta, quindi sulle sue lunghe gambe nere, luccicanti e in bella mostra.
DUE.
– In molti hanno parlato del suo particolare talento, signor Spada. Una dote unica e rara che solo lei possiede, ritrovare persone scomparse senza utilizzare la minima traccia, senza bisogno di indagare. Pensi, mi avevano riferito di una specie di sesto senso. Una sorta di leggenda siracusana, in cui lei ritrova le persone quasi a fiuto come un segugio. Vedo, tuttavia, che non è affatto così.
– Tutte chiacchiere, signora Di Grande – replicai cercando di ignorare il volume alto del televisore. – Leggende, signora, pure leggende metropolitane.
Storie vecchie, risalivano alla mia vita precedente di poliziotto. Di scomparsi ne avevo trovati solo una decina e non certo per sesto senso. Macché! La verità? Devo dirla tutta? Fortuna. Una specie di destino che, per gli ex scomparsi doveva avverarsi. Io, in fondo, che avevo fatto di mio? Ero stato una semplice vittima di eventi che scorrevano a caso, incontrollabili e incontrollati. Portato sempre al posto giusto, al momento giusto. Tutto qui. Ma quale intuito, quale sesto senso? Pilotato dal caso, trascinato dalla corrente e punto. Mi girai tutto intorno fingendo di cercare il cameriere. Volevo solo distogliere lo sguardo dal faccione tondo, roseo e occhialuto di Han Ho Xiang, ministro dello sviluppo della Repubblica Popolare Cinese e protagonista assoluto del programma televisivo diffuso nella sala. A dispetto di quella sua vocina monocorde e suadente, ottimo sottofondo per un pranzo di lusso, i sottotitoli in esperanto continuavano a ballarmi sotto gli occhi a magnificare i risultati dello sviluppo spaziale del grande alleato cinese. Il ristorante, però, era quasi vuoto sebbene fosse la una spaccata del pomeriggio. Una giornata di strepitoso sole, l'ennesima, gettava la sua luce impudica insieme a vampate di calore settembrino ovunque. Tavoli, tovaglie immacolate, sedie barocche restaurate e camerieri inappuntabili. Tutto gettato lì così, nella più esplicita banalità. Sconfitto dall'assenza di camerieri in divisa, sganciai sulla lingua il contenuto della forchetta. Meglio tapparsi la bocca con del buon pesce fresco, saturare il palato con l'odore pungente di mediterraneo e limone, che svelare ad alta voce la mala pianta che coltivavo in testa. Tanto alla gente, in fondo, piace credere alla magia, al tocco risolutore. Tutti, nessuno escluso, amano credere alla buona politica americana, al grande alleato cinese e alla crescita economica. Perché, dunque, distruggere la leggenda metropolitana di AndreaSpada e del suo sesto senso.
Masticai senza ritegno, un boccone dietro l'altro. Gli occhi castano ramato della signora non smettevano di squadrarmi gettandomi addosso una sorta di repressa inquietudine. Ma che pretendeva, che il marito glielo trovassi in quattro e quattr’otto? E poi, mica le avevo chiesto soldi o pagamenti giornalieri? Tutto gratiis et amore dei. Stirai le labbra in un sorriso e lasciai che pensasse ciò che le pareva, fingere con gli abitanti del giorno era sempre la miglior soluzione. Soprattutto se la signora era così generosa da offrire il pranzo. In fondo, il vero deluso ero io non lei. Cacciai la delusione giù, in fondo allo stomaco, insieme all'ultimo pezzo di spigola. Mi illudevo sempre che, alla fine, qualcuno mi cercasse per come suonavo l'armonica. Invece…
– Signora – mormorai quasi a me stesso – adesso sono solo un musicista. Adoro il jazz, la notte e il calore della gente. Non faccio sedute spiritiche e non sono un medium. Se non ci crede, perché non viene a sentirmi al Birdie Pub? Non è lontano da qui, basta seguire il lungomare di Ortigia.
Ricambiò il mio sorriso accavallando le gambe. Aveva un volto setoso e pallido, solo qualche ruga d'espressione. Si vedeva che non molto tempo fa era stata bellissima. A vederla adesso, con il corpo reso essenziale dall'età matura, non si capiva esattamente quanto tempo era passato, potevano essere mesi o anni. Ora era semplicemente