La signora del pavone blu
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La signora del pavone blu - Maria Concetta Preta
polizia
CAPITOLO I
1
15 settembre. Notte fonda. Estate torrida che languisce e lascia le ultime zampate, prepotente graffio di una stagione che non vuol morire ed esala in un’afa boia che non fa chiudere occhio. Finestre spalancate, si boccheggia lo stesso. Gola riarsa, muscoli intorpiditi, ossa rotte, capelli appiccicati.
Via Pirandello, cuore del quartiere residenziale ambito dai parvenu: modernissimi palazzoni con attici panoramici si stagliano alteri come giganti di cemento a soffocare il verde dei prati in cui i figli degli operai correvano liberi. Uno sbeffeggio alle casette del rione popolare, la preclusione alla vista sul mare che alimentava sogni e fantasie. La borghesia della provincia si crogiola nei vizi, nella megalomania, nell’ansia di apparire. Il benessere alimenta un’edilizia selvaggia che progetta, espropria, edifica senza sosta, pronta a esaudire le continue richieste dei neo-ricchi. Complice la politica corrotta e la delinquenza efferata, la cittadina ha cambiato volto e dell’immoralità fa la sua bandiera.
Iside miagola impietosamente, ma il caldo non la tocca: davanti alla luna, si sa come sono le gatte impazzite d’amore. Luna piena, tonda, paurosamente bianca, cristallizzata nello splendore, troppo lontana dal mondo, dea irraggiungibile per chi si agita nel letto disfatto e impreca contro un caldo maledetto. Berenice è madida di sudore… sta letteralmente impazzendo, non resiste più, deve bere, rinfrescarsi… forse, provare a respirare. Una fuga: camera bagno frigo terrazzo. Che canaglia la menopausa! Alle vampate improvvise si aggiunge questo caldo insopportabile e la testa scoppia! Un’estate senza fine che massacra corpo e mente. La messa in piega fresca non tiene, i bigodini sono una corona di spine imposta per supplizio … in un attimo li sfila via, sollevata, li getta sul tavolino in vimini. Mi ci vuole una doccia salvifica… bagnarmi tutta e rimanere umida in terrazzo, magari nuda, tanto chi mi vede? Ma sotto il casco del parrucchiere c’è stata una mattinata, come rovinare i costosi ricciolini creati ad arte per riempire e abbellire una testa che si sta spelacchiando e incanutendo? Che brutta bestia la vecchiaia che avanza! Sessanta anni … sentirseli tutti, dalla punta dell’alluce fino all’ultimo filo bianco! Un pellegrinaggio continuo: estetista visagista callista massaggiatrice, spendere così gli avanzi dell’eredità. La pelle decade, si avvizzisce, si smaglia. Strie giallognole la attraversano, un reticolo di rughe su fronte e zigomi, cosce rinsecchite e spalle afflosciate, d’un tratto un’andatura goffa mai avuta. Una paura l’appuntamento allo specchio ogni mattina. Vecchiaia: decadimento senza sosta. Che carogna la senescenza! Per me, un crescendo di sciagure! Pensare che in antichità la si lodava come bagaglio di esperienze e momento di raggiunta serenità … Che se ne fa di belle parole una che combatte con l’artrosi che avanza e l’indolenzimento delle ossa? Non m’è bastato un mese al mare per alleviare i reumatismi, mi ci vorranno cicli invernali alle terme, se mai basteranno! Serenità la mia? Manco per scherzo! In quanto a fonte di saggezza… la vecchiezza tutto è, tranne che savia! Ogni giorno, un filo di pazzia in più, un piccolo colpo di testa, ora meditato ora compiuto. A volte le traveggole, la memoria che manca e non si trovano le parole giuste, la voce che si serra in gola … Lei, Berenice Cassini, a chi dovrebbe infondere saggezza? Chi istruire una come lei che non ha mai amato le facili catechesi?
Notte inoltrata, imperversa la tempesta. Calo di ormoni e depressione, acuiti dall’impossibilità a prender sonno, portano Berenice a sorseggiare un Cinzano in cui ha sciolto del ghiaccio. Il bicchiere freddo è appoggiato sulle guance. Un refrigerio momentaneo. Iside le si avvicina a far le fusa, ronfa e reclama carezze. La stagione degli amori la avvolge completamente, sovente ci sono fughe notturne, serenate e duelli in cui i gatti maschi si sfregiano per le femmine in calore, ma presto giungerà una bella figliata e tutto questo fremito si acquieterà … Beata te, piccola Iside! Invidio la tua animalità, il tuo istinto … ma che mistero la vita, anche per le bestiole! Sul terrazzo un filo d’aria proprio non c’è. Inutile sventagliarsi. Il mare in lontananza è una plaga sconfinata biancastra immobile, una laguna addormentata e senza vita … Non è che arriverà un terremoto? Che faccio? Prendo un libro, accendo la radio, metto un disco? E’ mezzanotte, di dormire nessuna voglia. Ma non è la sola, a quanto pare.
Dalla lussuosa terrazza di fronte, s’intravvedono grandi manovre. La dirimpettaia ha apparecchiato il tavolino rotondo di giunco cinese laccato. Cenetta romantica, di sicuro. Ha acceso il barbecue: strano! Lascia sempre che sia l’esile cameriera a imbandire tutto, lei si siede guarda osserva parla al telefono consulta l’agenda. Mai vista stendere uno slip ad asciugare. Fortunati i ricchi! I soldi evitano il mortificante lavoro materiale. Te ne stai in panciolle e comandi, tanto c’è chi suda per te!
Anche Berenice era abituata a non muovere un dito, prima che la famiglia decadesse per gli svariati debiti contratti dal nonno e dal papà. I vecchi Cassini per le manie di grandezza giunsero al tracollo, consegnato all’ultima generazione con leggerezza e audacia.
In preda alla completa insonnia, pur esausta, le sopraggiunge una strana agitazione… una notte in bianco non è quello che le serve. Domani avrò così tanto da fare! Altro che poltrire a letto! Sonia, quindici anni compiuti, andrà in primo liceo, reclama i manuali, una nuova capiente tracolla, materiale di cancelleria. Sarà una mattinata tra librerie, cartolerie e mercatino del libro…
I ricordi l’assalgono. Settembre di quasi mezzo secolo fa, inizio dell’anno scolastico: ansia trepidazione nuovi amori amicizie speranze fretta di crescere e diventare donna … per fare cosa? Quello che non fece mai, solo sogni irrealizzati. Allora si diceva adolescente, oggi teen-ager: ma quindici anni son sempre quindici anni. C’è una canzonetta che impazza alla radio, Sonia la canticchia sempre: Quindici anni, quindici anni, quindici anni, / poesia di un'età che non ritorna, / sulla bicicletta in due senza mani, / matti come due cavalli io e te.
La nipotina dorme beata, lei il caldo neanche lo sente, così esile delicata diafana, capelli lisci lisci, frangia lunga che copre gli occhi e nasconde sguardo e pensieri, treccine annodate con elastici, magliettine strette e jeans attillati sfrangiati in basso, collanine e braccialetti multicolori, lucidalabbra e rimmel… Che meraviglia della natura che sei, piccola mia…! Ogni giorno, sempre più bella, ti schiudi alla vita, fai scoperte, sei curiosa, prendi tutto con leggerezza e ingenuità, sei alla ricerca di qualcosa da imparare … E mi sopporti con paziente amore, mi cerchi, mi chiedi tante cose. Cosa sono io per te? Certo non una vecchia stanca e insofferente. Tu sei l’unica a darmi fiducia, ad amarmi per come sono. Sonia è una rosellina che sboccia e la zia-zitella (così la chiama al telefono con le amichette) perde petali … Non c’è rimedio: questo è il destino, tanto è ingrata la vita. Averla spesso in casa è un toccasana, a volte svago a volte impegno. Un modo per sentirsi utile e viva. Agosto: tre settimane in riviera nello sfavillio magnifico dell’estate. Il rito della vacanza che, al suo finire, consegna un anno trascorso. Settembre: il rientro impone il ripasso, ripetere giova, presto si torna a studiare. Sua sorella s’è sbarazzata di Sonia, senza consultarla, di punto in bianco.
Sua sorella Edwige: eternamente di fretta, una furia, un uragano che scompiglia. Il suo esatto contrario e sedici anni in meno. Parole che pesano come macigni. Tanto tu sei sempre sola, Sonia ti fa compagnia, sennò ti deprimi. E poi con quelle due pesti dei gemelli non si concentra a tradurre le versioni! Tu puoi aiutarla, che devi fare tutto il giorno? Al liceo eri bravissima, mentre io non ricordo niente!Sonia ti adora, invece con me, è un litigio continuo. Dice che non la capisco, che la giudico e basta. Il fatto è che tu non hai responsabilità verso di lei. Se avessi avuto figli, avresti capito. E poi a sessant’anni, ti godi la festa dei sentimenti, la totale libertà, la pace dei sensi! Non hai doveri … altro che l’inferno in cui vive una povera madre come me! …
Sonia trascorre la mattina tra esercizi e vocabolari sfogliati senza gioia, la radiolina accesa con l’hit-parade, canticchiando le canzonette per cui va pazza, colonna sonora di una minuscola vita:
E sei bella da morire, ragazzina tu/ sul tuo seno da rubare/ io non gioco più / Che sei bella da morire/ tutto sembra un film / da girare troppo in fretta / con la fine sopra i tuoi blue-jeans …
Tu mi rubi l’anima / ma poi la porti via da me / io la inseguo e trovo sempre te / tu mi rubi l’anima / e poi non so che te ne fai …
Noi siamo figli delle stelle / figli della notte che / ci gira intorno / Noi siamo figli delle stelle / non ci fermeremo mai/ per niente al mondo …
Berenice s’immerge nelle estati lontane, prima che arrivasse la bufera a far piazza pulita di desideri e attese. Gli anni del liceo: pallidi fidanzatini, insegnanti austeri, grigie aule con banchi di legno, grembiuli neri, due odiose trecce legate con fiocchi bianchi e che si restrinsero in una sola, i Classici come amici fidati. La maturità arrivò d’un baleno, ai tempi dell’università spiravano venti di guerra. Poi, l’esame con la Storia, quella vera. Le estati al mare, così innocenti e leste, svanirono d’un colpo. I libri furono chiusi. I pensieri persero la leggerezza.
Dal sopore di ricordi dolci-amari un vociare, non troppo sommesso, ridesta Berenice. E’ la vicina, Jolanda Pascucci, meglio nota come la signora del Pavone blu
. S’intrattiene con qualcuno, non è una novità. Continuamente gente da lei, chiacchiere a voce alta, senza minimamente pensare a chi ti sente. Spesso ricevimenti e feste sull’attico, per lo più cene in piedi con musica e danze, sfoggio della più torbida borghesia di questi tempi incerti.
La vede sbucare sul terrazzo, epifania di un essere meraviglioso. Testa avvolta in un foulard di Hermes da cui sfuggono alcuni boccoli biondi, truccatissima, occhi ingranditi a dismisura dall’eye-liner sapientemente profuso, ciglia finte che sono ali di farfalla, unghie smaltate di vermiglio, bocca che sembra una rosa. Per Jolanda la tetra notte è un fulgido giorno. Come farà con questo caldo e tenere tutto quel fondotinta? Quella è una salamandra, l’ho sempre detto. Sangue freddo e perfidia, è una senza ritegno, una sguaiata che i soldi non sa dove ficcarseli! Abbronzata dal sole della Grecia, seducente in abito lungo di Gucci con fantasie astratte e larghe maniche a pipistrello a sottolineare esili braccia ricoperte da una teoria di bracciali pieni di strass, lunghissime gambe svelate da ampi spacchi, ai piedi il sandalo dorato con zeppa in sughero sardo, must della stagione. La moda fatta persona. La regina dello charme. Un’icona di gusto e bellezza in un ambiente dedito al lusso sfrenato. Jolanda Pascucci, la proprietaria del Pavone blu, la boutique più chic che c’è in città.
Non è col marito che sta parlando, con lui non usa quel tono di voce così alterato, non mescola strilli ferini gesti inconsulti espressioni tirate del volto. Con Marcello non litiga mai, non volano piatti bicchieri parolacce e altra roba proletaria… su, nella mitica terrazza in maiolica amalfitana del superattico panoramico che tutti le invidiano. Mobili e soprammobili ricercati, inarrivabile mix tra antiquariato e contemporaneo, barocco napoletano con opere di Giò Pomodoro e Guttuso, souvenir di viaggi intercontinentali. Una ventata di cosmopolitismo nella provincia che fa i conti col passato. L’eterna diatriba tra classicità e modernariato, tra antico e nuovo, tra arretratezza e progresso, tra scioperi occupazioni licenziamenti e mega-ville yatch supervacanze.
Giovane attraente per giunta intelligente, libera nonostante il marito, imborghesita d’un colpo, priva di coscienza civile e forsanche di coscienza, Jolanda ha un fascino innato che cattura, talento gusto e fiuto per gli affari così infallibile da divenire ricca e odiata. Vita lavorativa piena, vita affettiva frivola, onori lodi elogi osanna del fatuo mondo della moda. Una creativa, una musa per artisti locali che ne hanno immortalate le fattezze.
Quella di stanotte non è una conversazione piacevole. Con chi Jolanda parla, proprio non si vede. A Berenice non va di sbirciare. Di solito a mezzanotte dorme, non sta ad origliare. I sonniferi le fanno effetto, assicurandole un sonno piacevole, solo che adesso c’è la complicazione del caldo misto alle caldane. La dirimpettaia è per lei un ingombro chiassoso. Chiamarla così è offensivo, sa di alloggi popolari dove se ti affacci, trovi il pensionato che fuma o la casalinga che stende i panni, ma questo è il termine che la nobile Berenice le ha affibbiato, non volendone pronunciare il nome. Favore ricambiato, comunque. Mai che Jolanda abbia tenuto conto di lei, che l’abbia degnata di un saluto, a meno che non fosse una forzata apertura della bocca, rigorosamente a denti stretti. A stento ne conosce il nome, sa che appartiene alla noblesse oblige, quella sorpassata dai neoricchi come lei. Avrà un cognome importante, ma è tanto insignificante negli anonimi tailleur cuciti dalla sarta