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Il Vecchio dal Mantello Rosso
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E-book159 pagine2 ore

Il Vecchio dal Mantello Rosso

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Info su questo ebook

Il Vecchio dal Mantello Rosso è un viaggio onirico e fantastico tra le fragilità umane dove il protagonista, come un moderno Faust, fa i conti con una regalata immortalità.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2020
ISBN9788831666251
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    Anteprima del libro

    Il Vecchio dal Mantello Rosso - Spartaco Enrico

    Spartaco Enrico

    Il vecchio

    dal mantello rosso

    I racconti della Grigia

    La copertina e le nove illustrazioni sono dell’Autore

    Tutti i diritti riservati

    2019

    A mia moglie Adiles

    compagna di sogni

    e d’avventura

    PREFAZIONE

    Solo dopo aver scritto, letto e riletto e corretto molte volte questo racconto, mi sono reso conto quanto sia importante per noi, presuntuosi umani, il legame con il mondo animale ed in special modo con i cavalli.

    Vivendo parte della mia vita con il cavallo, come ho avuto la fortuna di fare,viene instaurato un rapporto che molti definiscono di Reiki.

    Il cavallo passa all’uomo parte del suo coraggio, della sua forza, della sua sete d’avventura, di ricerca di libertà e della sua immensa chiara amicizia e onestà.

    Queste ultime non hanno alcun riscontro umano e sono in grado di migliorare anche i nostri peggiori istinti.

    L’importante è che l’uomo non cerchi di umanizzare l’animale, che scenda dal suo piedistallo e faccia di tutto per essere e ragionare come il suo compagno. Almeno per il tempo che è in sua compagnia: meglio se lo prolunga anche in altri periodi della sua vita.

    Solo così l’uomo imparerà: il suo comportamento dovrà essere sempre meno umano e pertanto capirà i grandi messaggi del suo compagno e fratello.

    San Francesco chiamava fratello il famelico lupo, e qui bisogna chiarire se il lupo era a noi fratello dal lato umano o se l’uomo era fratello del lupo dal lato animale.

    San Francesco lo chiamò fratello abbandonando la tracotanza e l ‘ostilità umana e con le parole ed il gesto amorevole si è posto al livello del feroce lupo. Questo non è riduttivo, anzi. Viene usato il linguaggio del Creato ed il lupo, atavica mente avvezzo ad ogni sopruso e ostilità da parte dell’uomo, capì immediatamente il gesto amorevole e si ammansì.

    La parola fratello ed il gesto amorevole va più spesso esternato verso gli animali, che ricambieranno senza condizioni e daranno a noi più di quanto non ricevano.

    Verso i bambini il gesto è ovvio e spontaneo poiché in essi gli istinti non sono stati eliminati dalla nostra cultura, mentre con gli adulti la cosa è più difficile.

    Compiere un gesto amorevole è proprio il passaggio verso una nuova umanità e verso la pace.

    Cerchiamo inoltre di non svilire il comportamento degli animali con falsi atteggiamenti per umanizzarli, ma approfittiamo del loro millenario istinto per ridimensionare il nostro modo di vivere e se proprio dobbiamo parlare di umanità e di cristianità, facciamolo a loro favore.

    Per quanto mi riguarda il cavallo mi ha portato verso il mondo dei sogni, della fantasia, delle piante, delle acque e dell’erba ed ora posso entrare in questi luoghi in punta di piedi, scusandomi con la ninfa del luogo per la mia intrusione.

    Lo posso fare serenamente perché entro in essi non come umano ma come una nuvola che passa alta in cielo e che non lascia tracce, distruzioni o guerre.

    Mi perdoneranno gli amici cacciatori per averli inseriti in una caricatura tragicomica della nostra società. Il mio scritto in alcuni punti è da considerarsi come una vignetta satirica.

    Voglio ringraziare la campagna ed il luogo dove sono nato, che mi hanno dato la possibilità di fare queste esperienze e che, purtroppo, la presenza di umani con idee troppo umane e di falso progresso, contribuisce non poco a distruggere.

    Questa pubblicazione non sarebbe stata possibile senza il lavoro di mio figlio Giovanni e mio nipote Matteo, che lo hanno rivisto e impaginato.

    Un ringraziamento grande e particolare a Michele Racco, che con la sua amicizia e con il suo prezioso aiuto ha reso possibile la prima stesura di questo racconto, correggendone gli errori più evidenti, così che, ora, è comprensibile a tutti.

    Spero che lo sia per gli uomini umili e, perché no, anche ai cavalli, poiché la storia è stata scritta per loro e, cosa strana, da un appartenente alla razza umana.

    Spartaco Enrico

    Montanaro, Febbraio 2003

    Dicembre 2019

    Capitolo 1

    La Grigia e Flores

    La storia iniziò con un incontro, anzi tutto ebbe principio con l’incontro.

    Fu un modo di evidenziare una storia, il movente per diversificare e trasformare una vita. Un incontro straordinario, direi quasi fatato o miracoloso, che accadde in un luogo selvaggio, ma che molti credono comune perché non lo conoscono.

    In un angolo di una regione che di selvaggio non ha quasi più nulla, se non i pensieri ossessivi di alcuni dei suoi abitanti. Un luogo insolito per l’uomo e solo amato da alcuni solitari. Un luogo che può essere in ogni luogo e che già esisteva molti secoli prima e che ora è in via di estinzione, come ogni cosa.

    Avvenne su un’isola molto piccola con poche centinaia di metri quadri di estensione e stretta fra due braccia tumultuose e spumeggianti di un torrente. L’isola si era costruita con la propria sabbia fina, ciottoli bianchi e verdi, salici tremolanti e fiori gialli appiccicosi.

    Per Goülis fu un incontro straordinario che lo cambiò profondamente. In lui restarono pensieri che lo condizionarono per mesi e per anni. Solo ora, dopo la conclusione di questa storia, nel suo cuore è rimasta una grande serenità. Credo si debba chiamare serenità spirituale.

    Quando avvenne l’incontro era solo con la Grigia, anzi a cavallo della Grigia.

    Era una cavalla importata dalla Patagonia, o forse più in giù, addirittura dalla Terra del Fuoco, dieci anni prima del nostro racconto. Allora aveva sette anni ed ora, a conti fatti, la bella età di diciassette anni. Perciò non era più una giovinetta e stava bene con Goülis che della giovinezza conservava un ricordo per altro non affatto sbiadito.

    Qui tutti la chiamavano la Grigia, dando la preferenza al suo mantello, e alcuni con termine inglese, GREY. Per essa queste questioni del nome, così importanti per gli uomini, legati alle tradizioni ristrette di un luogo o di una genealogia, non avevano alcuna importanza. Essa aveva una grande apertura mentale e poi i suoi pensieri semplici non avevano nulla delle morbosità e delle malizie umane.

    Per la Grigia il nome era il richiamo di una voce amica. Si faceva amare perché non annoiava nessuno. Non avendo parola le sue avventure e disavventure le teneva per sé. Era chiaro che aveva pensieri internazionali, anzi transoceanici; figlia del proprio tempo aveva provato l’emigrazione.

    Anche se non aveva parola Goülis aveva letto nei suoi umidi occhi neri, la sua storia e ne trovava conferma in più di un’occasione, tanto da poterla raccontare. La patria nativa l’aveva vista puledra spensierata nelle grandi Pampas. Aveva vissuto brada, pascolando e galoppando felice nella sua natura. I venti e la pioggia erano cose del tutto naturali per essa ed aveva imparato molte astuzie per sopravvivere nelle più dure condizioni.

    Già allora la prateria non era più come molti l’immaginano.

    L’uomo l’aveva chiusa con grandi recinti di filo spinato e le carte geografiche avevano assunto l’aspetto di molti rettangoli, rombi, triangoli colorati. E dove prima c’era solo natura, acqua, terra, aria montagne, ora c’erano i grandi proprietari terrieri. Molti credevano che questa miriade di colori sulla topografia del luogo avrebbe portato un grande giovamento nella mente del popolo, stimolandolo a vedere dove prima c’era solo il Creato.

    I grandi benefattori dell’umanità si erano impossessati di questa terra incolta ed ora fornivano proteine ai carnivori umani. Resta inteso solamente a chi poteva pagarle. Agli altri invece avevano permesso di lavorare molto, anzi moltissimo alle loro dipendenze e la certezza di un perdono, religioso o no, veniva loro dato, ma solo in cambio di più lavoro.

    Queste sono le grandi opere umanitarie che possono cambiare il mondo.

    Un giorno la Grigia, nel bel mezzo di una galoppata nella Pampa argentina, con gioiose sgroppate, aveva infilato la gamba posteriore sinistra in un groviglio di fino spinato sentendolo penetrare nella carne. Altri cavalli avevano già avuto la sua disavventura e molti scheletri biancheggiavano la linea del reticolato. Si fermò di scatto con gli occhi sbarrati cercando una salvezza.

    La sua natura non le offriva una via di scampo. Non c’erano esempi simili nella sua esperienza. Non c’era nulla nei geni suoi, né di suo padre, né di sua madre che avesse creato una difesa, una possibile liberazione da un filo spinato.

    Se al posto di esso ci fosse stata una pianta spinosa, da tempo già conosciuta, con un salto l’avrebbe evitata. Se fosse stato un serpente velenoso forse l’avrebbe schiacciato con una zoccolata, o forse si sarebbe fatta sorprendere e mordere. Però il dolore sarebbe stato breve e poi la morte l’avrebbe invasa, come liberazione. Nel breve torpore precedente non l’avrebbe disdegnata come alternativa veloce ad una crudele agonia. Ma un cavallo non può conoscere un filo di ferro con aculei.

    Anche Goülis pensava alla morte qualche volta, ed in cuor suo, ne invocava una rapida. Goülis e la Grigia erano coscienti di queste soluzioni estreme.

    Qui invece era uno stupido filo di ferro, creato e costruito dall’uomo per separare, dividere e soprattutto dare una morte lenta. Essa giustificava chi l’aveva creato. Se la morte è lenta l’uomo può sempre intervenire con un salvataggio all’ultimo momento oppure - di questo certamente ne parlavano tutti i giornali umanitari - alleviare le atroci sofferenze con un colpo misericordioso di fucile.

    Per la Grigia non si avverava nessuna delle due ipotesi.

    Guardava con occhi velati il cielo che si faceva sempre più spento. I cavalli guardano il cielo solo in caso di morte, come gli uomini in un triste e crudele periodo storico, prigionieri tra fili spinati, guardano il suo livore fare da sfondo cupo alla loro fine.

    Molti non sapevano più rivolgersi al cielo per chiedere un perché, e quei momenti erano così amorfi che la speranza era precipitata in un abisso di indifferenza e di sorda rassegnazione. I loro pensieri non erano né sublimi, né banali; lo sfinimento li portava al non esistere. Anche molti animali muoiono in questo modo, ma l’uomo giustifica il suo operato con il profitto. Questo fa crescere la nazione. Capi di Stato hanno fatto dei discorsi che sono rimasti opere d’arte.

    La schiavitù, la morte dei propri simili, le guerre, la morte di animali fa andare su la Borsa che registra soldi e le spese militari, ma non la morte di un essere vivente.

    Il dolore diventava insostenibile e la Grigia si era buttata all’indietro caricandosi sui garretti.

    In quella posizione stette per quasi un giorno poi, presa dalla sete, cercò la salvezza nella fuga. Il filo spinato, che prima serpeggiava nella sabbia si tese come corda di chitarra, vibrando tra la sua gamba ed il paletto. Un suono che diventò un urlo, ma il cavallo non sa urlare. Il cappio scese verso lo zoccolo, squarciò per una buona spanna l’arto e si chiuse, sulla corona dello zoccolo.

    Fu la sua salvezza: lo zoccolo era una parte dura e poco sensibile al dolore. La grande macchia nera del sangue che bagnava la sabbia stava per essere divorata dalle formiche e la Grigia era rimasta per ore ed ore spiazzata sulle gambe, con gli occhi vitrei. Smarrita.

    Poi, lentamente, si mise in piedi e, con antica filosofia, aveva brucato parte dell’erba che la circondava. Passarono due giorni. La sete era insopportabile e la disidratazione la stava uccidendo. La pioggia era venuta ma la terra si era presa

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