Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L’ascesa di Buon Ordine
L’ascesa di Buon Ordine
L’ascesa di Buon Ordine
E-book445 pagine6 ore

L’ascesa di Buon Ordine

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Se il sole non sorgesse mai, se le onde non si propagassero, si potrebbe comunque dire che il tempo stia scorrendo?
George è sia porcospino, sia umano, un’entità talmente complessa da essere in grado di rispondere a domande come questa. Il tempo pare essersi piegato e moltiplicato in lui, inseguendolo con visioni di luoghi anacronistici e di una vita dal sapore nostalgico: -Isho… Perché questo nome è così importante per me?
Accompagnato da Brandon, un omone dalla mente un po’ ottusa ma dall’animo candido e gentile, si trova a dover fare i conti con situazioni surreali su ambo i lati della sua esistenza. Nel momento in cui streghe, sedicenti profeti e creature di ogni tipo tentano di porre fine alla sua avventura, George si accorge di non essere l’unica entità a detenere le chiavi della parte più intima di sé stesso.
-Chi sei tu?

Nato il 24 dicembre 1993, a Genova, fin da subito si scopre
attratto da tutto ciò che è colorato e luminoso.
Dopo diversi anni nel mondo della cultura pop
giapponese, inizia a scrivere quasi per scherzo:
-Mi serve il background del tuo personaggio.
Aveva detto il suo Master.
-Va bene. Fu la risposta.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830677166
L’ascesa di Buon Ordine

Correlato a L’ascesa di Buon Ordine

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L’ascesa di Buon Ordine

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L’ascesa di Buon Ordine - Larco Mucci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PROLOGO

    Tante volte mi è capitato di chiedermi quale fosse la mia identità… Il tempo è passato affamato e quella che poteva godere di un’ineludibilità assoluta adesso non è altro che una risposta inefficace.

    Purtroppo non ho più i mezzi per capire chi sono, tuttavia, grazie a ciò ho guadagnato qualcosa di molto più importante: ora conosco lo scopo più intimo della mia esistenza.

    Sì, lo conosco e la mia non è una di quelle certezze alimentate dalla sola arroganza, no. Indubbiamente è stata fortuna, ma quella fortuna mi ha donato certezza e questa certezza si è arrogata il titolo di maledizione. Una condanna dal sapore ambivalente che alla fine non sono riuscito ad affrontare completamente, demandandone il peso a qualcuno di molto vicino.

    Questo mondo è scomparso oppure, semplicemente, non è mai esistito? Al momento non sono in grado di dirlo; la vita stessa ha sospeso il proprio giudizio sulla sua essenza, stagnando in una tensione che si risolverà solamente nei prossimi attimi.

    In questo momento tutti quanti sono spettatori di un’esistenza che mi vede come suo unico Dio, in questo preciso istante solo io dispongo del potere necessario per plasmare un qualsiasi tipo di futuro, nessun altro.

    L’ho sempre saputo in cuor mio, fin dal giorno in cui ognuno di noi sedeva legato in quel vagone tanto sporco e maleodorante.

    Grazie, Brandon e grazie anche a te, Uainey.

    1

    Il sole era già alto nel cielo, potevano essere le sette come le otto e nell’aria l’odore di cambiamento aleggiava indisturbato. Io non ero ancora in grado di discernere quelle che sarebbero state le mie emozioni, per fortuna però qualcun altro si era preso l’onere di farlo al mio posto: tre individui che avrebbero significato quasi tutto per me cercavano di sopravvivere come potevano all’inedia di quel momento.

    Brandon, così si chiamava il più rozzo e tarchiato tra loro, era concentrato nell’osservare il paesaggio venire strappato via dalla stessa velocità che ci avrebbe permesso di attraversare il deserto. Sabbia, sabbia e ancora sabbia, miliardi di granelli si fondevano tra loro nel creare le strutture più bizzarre: un colabrodo dalla forma conica, due paia di calzini che chiedevano ad un orsetto tre birre da portare ai propri nipoti e diverse altre. Ogni figura variava dalla più semplice alla più complessa, trovando la propria forma grazie ad un estro un po’ infantile. Brandon era così, un bambino dalla costituzione abbastanza massiccia per poter proteggere il corpo al posto di un ingegno che non sarebbe mai intervenuto.

    Dargli dell’ottuso sarebbe stato approssimativo, è probabile infatti che al momento della sua nascita stesse imperversando una delle tempeste più violente degli ultimi anni, con un vento che spirava a centinaia di chilometri orari. In quel circolo così esclusivo solo le caratteristiche più forti poterono raggiungere la sua carne, lasciando i lati più fragili e sensibili a vagare smarriti tra le intense folate.

    Erano passati ormai otto giorni, un tempo che non significherebbe nulla nella stragrande maggioranza dei casi, ma che in quella particolare situazione stava per assumere i connotati della morte stessa. Erano otto giorni che nessuno di noi riceveva il nutrimento sufficiente per il proprio sostentamento.

    Se Brandon non sembrava patirne troppo le conseguenze, altro non si poteva dire per Taigal, la sua retina aveva cominciato a registrare bande grigio/nere alternarsi a puntini bianchi. Il continuo susseguirsi di queste immagini le causava un senso di spossatezza acuito dai molti giorni di digiuno, la vedevo agonizzante e avvilita, impotente strisciava per terra, cercando con la lingua resti di cibo sul pavimento.

    Quante volte mi ero chiesto cosa le passasse per la testa, anche lì, su quello stramaledetto treno, la fame avrebbe dovuto essere il pensiero prioritario di ognuno di loro, ma a lei non importava, ero stato superficiale nel mio giudizio, i suoi occhi ambivano a qualcosa di più di semplici briciole: lei voleva lui. Nonostante si fossero conosciuti da così poco e soprattutto in una condizione dove nessuno dei due avrebbe potuto esprimere il meglio di sé stesso, era come se Brandon rappresentasse per lei la cosa più importante di tutte. Più li osservavo più mi chiedevo come fosse possibile.

    Solo adesso mi rendo conto della superficialità che avevo mostrato.

    Tutto ha un senso, basta avere abbastanza fiducia per coglierlo.

    L’ultimo passeggero, invece, sembrava essere ancora bello vispo, il suo piccolo manto spinoso emanava una luce violacea molto tetra, la quale faceva risaltare il colore zaffiro dei suoi aculei. Le zampette, di un beige chiaro raro da trovare, fornivano supporto a sottili unghie rosa shocking.

    Si chiamava George ed era un porcospino in grado di comunicare con gli esseri umani: – Miss Taigal, potrebbe cercare di essere un pelino più civile? – Esordì quest’ultimo. A fissarlo si mostrarono un paio di occhi molto pallidi, due piccole nocciole dal colore rosa spento, tanto incantevoli quanto irrequiete.

    Fa’ silenzio, George! Forse ci sono, lo vedo, quella riuscirà a sfamare tutta me stessa! – Rispose Taigal prima stizzita, poi speranzosa, i capelli le caddero sopra la fronte, adagiandosi sulla pelle nero corvino.

    Mi spiace crearle ulteriori delusioni Miss Taigal, ma è solo un frammento di unghia di Brandon…

    Esatto! – Replicò lei urlando. – Ed è fantastico a dir poco! – Diverse venature di colore verde smeraldo correvano lungo i suoi arti, mi ricordavano pacifici ruscelli dalle sfumature rilassanti. – Finalmente posso fondere il mio corpo con il suo. Non vedo l’ora, sono eccitatissima! – Esclamò.

    Miss, la sua reazione non corrisponde alle sue esigenze, qualcosa mi sfugge per caso?

    George non era solo in grado di comunicare con gli altri, gli istinti propri del suo essere animale avevano trovato uno sfogo efficace all’interno di un cervello simile per molti versi a quello umano, garantendogli così una sensibilità unica nel suo genere.

    Taigal non aprì bocca, forse non sapeva cosa rispondere, oppure, più probabilmente, era troppo impegnata nella sua ricerca.

    Penso di aver compreso a grandi linee tutto… Ah, l’amore, che cosa stupida e affascinante allo stesso tempo! – Riprese il porcospino strofinandosi il naso con una delle zampe, poi, assunta una posizione eretta poco consona alla sua specie, cominciò un breve monologo sulla magnificenza di questo sentimento.

    Ho sempre ammirato tale emozione, soprattutto per come, senza un apparente sforzo, fosse in grado di adombrare e oscurare ogni altra cosa, portando il soggetto a compiere azioni a dir poco inspiegabili. Se dovessi trovare un aggettivo per descriverlo, sarebbe sicu…

    Vidi le sue parole perdersi nell’ambiente, dissipandosi molto prima di incontrare i timpani di qualcuno. In quella piccola stanza non avrebbero comunque potuto fare grossi giri, quattro pareti a pochissimi metri di distanza erano connesse da una pavimentazione legnosa colma di paglia e fieno. Eravamo soli, soli e prigionieri di una situazione nella quale non avevo idea di come ci fossimo ritrovati. Un treno che non ricordavo di aver preso e delle catene di cui sentivo ancora una flebile sensazione addosso. Attorcigliate alle mie braccia, mi stringevano il tronco, mi ricordo il freddo di quel momento, ma nulla più. L’alone di oscurità che avvolgeva la mia mente non aveva un inizio e una fine ben definiti, lasciandomi il presente come unica memoria.

    Quel presente che narrava di noi intrappolati, legati all’interno del vano merci di un espresso pieno di gente di ogni tipo.

    Tutte quelle persone erano sul nostro stesso treno, ma nessuno avrebbe potuto vederci.

    Eravamo isolati nell’ultima carrozza, tenuti prigionieri per un motivo che nessuno di noi conosceva.

    L’unica altra informazione in mio possesso era che nel vagone subito prima, due delinquenti a cui era stato ordinato di tenerci d’occhio, riposavano in attesa di giungere a destinazione. Si trattava di due fratelli gemelli che condividevano quasi ogni caratteristica tra loro, tutto eccetto un singolare neo che nel più giovane era posto subito sotto alle labbra, mentre nel più anziano subito sopra. Non avevano l’aria di essere persone totalmente malvagie, soprattutto il primo, o, come a me piaceva chiamarlo: neo inferiore, tuttavia uno strano senso del dovere li aveva spinti a seguire il volere di qualcun altro, trascinandoli tra le carrozze di quello stesso treno che ci avrebbe portati chissà dove.

    Per quale ragione eravamo tenuti prigionieri? Sentii questa domanda rimbalzare due, tre volte tra i miei neuroni, vidi un passaggio illuminato, stavo per imboccarlo, quando un gemito molto acuto paralizzò George e il suo soliloquio. Era Taigal, o almeno era stato il suo corpo a produrlo, ma con altrettanta certezza avrei potuto affermare che quel suono non le apparteneva. Udii il portellone sbattere con violenza e il più giovane tra i due fratelli irrompere d’urgenza nella stanza, ma ormai era troppo tardi: le venature della ragazza avevano iniziato a pulsare di luce. Una luce tetra che, catturando ogni oncia dell’attenzione esterna, aveva fatto piombare la carrozza nell’oscurità più totale.

    Ad intervalli ben definiti il bagliore profondeva in tutto l’antro, rendendo partecipi gli ostaggi di quello spettacolo angosciante.

    Mi girai verso Brandon, aveva la faccia impressa sulle sbarre, gli occhi chiusi e una pace che lo aveva fatto cadere in un sonno profondo.

    Lo spazio di tempo tra un bagliore e l’altro continuò a ridursi fino a quando un nuovo e sconosciuto albore si impadronì in modo permanente della zona circostante. Taigal era zitta, ferma, cosciente di quel processo di metamorfosi a lei forse familiare.

    Non aveva ancora mosso un muscolo, eccezion fatta per quell’unico e fugace lamento. Il suo sguardo era concentrato, ma non afflitto da paura o preoccupazione, immobile, nell’attesa di un momento che probabilmente ricercava da diversi giorni.

    Un secondo urlo, questa volta più grave e feroce uscì dalle sue interiora. I suoi occhi si allungarono d’improvviso. Le pupille cambiarono colore tingendosi di pennellate rossastre. Il naso iniziò una protrusione verso l’esterno, arricciandosi poi su sé stesso. Dalla bocca uscirono avidamente i canini superiori, lacerando la scura carne. Per qualche secondo George non riuscì a scorgere altro, il fulgore verdastro aveva inglobato la totalità della sua figura e la luce era troppo intensa per essere sopportata. Chiuse gli occhi, sentì grida. Percepiva che stava accadendo qualcosa di molto grave, sapeva di dover aprirli, ma non ci riusciva. Quella figura doveva aver rievocato in lui macabri ricordi, assopiti da tempo all’interno di una camera oscura della sua psiche.

    Poi, come se un messaggero divino avesse assistito alla scena, una forza misteriosa premette un altrettanto misterioso pulsante che lo fece rinsavire.

    Lo vidi caricarsi di risolutezza: – Ciò che è passato è passato, – si disse. In quel preciso istante una presa di coscienza lo indirizzò a focalizzarsi su ogni elemento che lo avrebbe potuto aiutare in quel frangente. Era sbagliato sostenere che il passato dovesse rimanere lì dov’era, George lo capì, comprese che avrebbe dovuto sfruttare tutti i suoi precedenti errori, redimendosi dal non esser stato in grado di agire le volte precedenti. Fu in quel momento che lo scorsi, quel senso di impotenza che per molti anni aveva caratterizzato non tanto il suo modo di rapportarsi con gli altri, quanto quello di vedere le cose stesse, lo vidi mostrarsi e scivolare ancora più nel profondo, laddove solamente una manciata di stimoli avrebbe potuto raggiungerlo.

    Aprì lentamente gli occhi, una barra luminosa tagliava longitudinalmente il campo visivo, era sottile e dava l’impressione di essere molto affilata. Sopra, Taigal era sospesa per aria, ormai non più riconoscibile e propria di una destrezza mai avuta, appoggiò le mani sulle sbarre dove Brandon era sopito. Con una piroetta si diede uno slancio verso l’alto e piombò di fronte a colui che ci teneva imprigionati. Le ciglia del porcospino non fecero in tempo a sbattere che di quell’uomo rimasero solo le gambe. Un’eruzione di emazie e materia linfatica conferì alla parete gratuite pitture rupestri.

    Le ossa di George avevano iniziato a tremare e qualcosa si stava facendo spazio nella ripida risalita verso la libertà. Il suo esofago non sarebbe riuscito a trattenere ancora per molto la grande quantità di acido. Una piccola pozza di urea si formò ai suoi piedi, per poi, poco dopo, venire arricchita dalla maleodorante sapidità.

    Richiuse gli occhi, un’esplosione lo fece sobbalzare su una delle pareti e i suoi sensi cominciarono ad affievolirsi. Non aveva immaginato potesse essere così difficile, certo era conscio del fatto che richiedesse sì uno sforzo, ma mai così grande come gli era stato appena sbattuto in faccia.

    Passarono diversi secondi, forse alcuni minuti, all’interno dei quali frastuoni di vario tipo arrivarono alle sue orecchie, facendolo ritrarre sempre di più; poi qualcosa accadde e il suo udito si acquietò.

    Aprii lentamente gli occhi, gli unici ancora in quel vagone erano lui e Brandon, il primo sembrava aver ritrovato le sue energie, era agile e risoluto nel muoversi verso il corpo di Brandon. Lo vidi arrampicarsi attraverso la sua massa e, una volta a livello delle orecchie, proiettare uno dei suoi aculei sulla sua pelle.

    Ahia! – Gridò il malcapitato, riprendendo immediatamente conoscenza.

    Si può sapere perché lo hai fatto?! – Il ronzio di un insetto ruppe un silenzio altrimenti insopportabile. – Perché non mi rispondi? Vuoi ancora un po’ del mio sangue? – Domandò Brandon rivolgendosi alle ali di una zanzara evanescente.

    A quel punto un peso estraneo catturò la sua attenzione, qualcosa aveva invaso il suo spazio vitale e non sembrava volerlo abbandonare. La coda dell’occhio scorse rapidamente la parte inferiore del corpo, giunse poi il momento del tronco, ma anche lì niente di anomalo.

    Il giovane barbaro avrebbe potuto affidarsi ad altri sensi, ma, data l’assenza di nutrimento in cui versavano i neuroni, il suo cervello dovette abbandonare il sogno di esprimersi all’apice del proprio potenziale, raggiungendo così un livello di ottusità ancora più elevato.

    Collo ruotato di novanta gradi e la figura del piccolo amico fece la sua apparizione, urlava qualcosa, ma le sue orecchie ancora sopite non gli permisero di sentire alcunché. La decisione di alzarsi arrivò di conseguenza, accompagnandolo in una realizzazione scioccante: – Cosa è successo? – Un coacervo di sangue e budella divenne l’interruttore per il suo animo, il suo sguardo cambiò registro, mostrandomi quel grado di serietà al quale avevo deciso di donare tutta la mia fiducia.

    George, tu sai qualcosa di tutto ciò? – Chiese.

    Sono minuti che provo a spiegarlo! È importante, ora mi ascolti: prenda quella spada e fuggiamo da questa carrozza. Abbiamo pochissimo tempo, forse solo qualche secondo! – La voce di George era accompagnata da una paura molto intensa, Brandon se ne accorse e non esitò a raccogliere l’arma da terra. L’istante successivo vedeva entrambi fuori dalla carrozza, ammutoliti da uno spettacolo infame.

    Una monotonia avvilente avvolgeva ogni cosa: sabbia e solitudine facevano da padrone in uno spazio dimenticato da dio, dove anche il cielo sembrava volersi allontanare il più possibile. A terra una serie incalcolabile di corpi giaceva esanime, lo sguardo di molti ritraeva una paura rara da sperimentare. Brandon iniziò a vagabondare tra essi, scorgendo tuttavia anche espressioni allegre, spensierate, rilassate o macchiate da quel tipo di preoccupazione caratteristica di ogni lungo viaggio. – Per fortuna non sembrano aver sofferto, – affermò subito dopo.

    Curiosa era la scena di una madre abbracciata al proprio figlio: il suo riso, i suoi occhi privi d’innocenza, ma carichi di una volontà tale da assecondare le labbra in quel gesto così gravoso. Uno sforzo utile a mostrare una fila di denti giallastri cari solamente all’infante che aveva in braccio. Lui, invece, aveva trovato nella cupezza la sua espressione, come se, non riuscendo a percepire cosa stesse accadendo, avesse compreso ogni finzione dietro ai cenni della madre, caricando così la situazione di una gravità simile a quella che le apparteneva realmente.

    Il suo vagabondare continuava, la speranza ne era il motore, la caparbietà la benzina, mentre il continuo sommarsi di cadaveri, nuovi fori all’interno del serbatoio.

    I vagoni del treno erano stati scoperchiati quasi del tutto, focolai di diversa grandezza divampavano ai margini e la possibilità di trovare anime vive al loro interno era scarsa. A Brandon tuttavia non sembrava importare, un forte senso del dovere aveva pervaso il suo cuore, spingendolo verso una ricerca destinata a fallire.

    Ehi! C’è qualcuno lì dentro? – Urlò, ma nessuno rispose, nessuno avrebbe potuto.

    Dopo aver ispezionato sei carrozze su sette una caparbietà fuori dall’ordinario lo portò di fronte all’ultima. L’ardore aveva invaso il suo cuore, carezzandolo nello stesso modo in cui le fiamme splendevano attorno all’abitacolo di fronte a lui: una gaia criniera avente come unico rimpianto quello di non appartenere ad una testa altrettanto fiera.

    Qualche passo e un rumore dall’interno del vagone rinvigorì la speranza che lo aveva mosso fino a quel momento: – All’interno c’è qualcuno!

    Un pensiero fugace ma dalla forza travolgente profuse in tutto il suo corpo, dando una scossa ad ogni singolo muscolo che lo componeva. La determinazione avvolse la sua mente, nello stesso istante in cui un destino infausto ne stava crogiolando le pareti.

    Si fermi! – Sbraitò George – Solo un pazzo penserebbe di voler entrare là dentro! – Esclamò.

    No, George, non posso, fino a che ci sarà qualcuno a chiedere aiuto io non potrò mai rifiutarmi di ascoltarlo!

    Erano parole piene di una determinazione che ammiravo, che lo stesso animaletto ammirava, sentii uno sbuffo levarsi dalla sua tenera bocca: – E va bene, Mr. Brandon, però quantomeno veda di coprire entrambi con qualcosa.

    Il mio amico assunse una posa di riflessione, qualcosa lo turbava, un sentore o un principio forse, poi, alzate con vigore le spalle, si gettò su uno dei cadaveri stesi a terra, strappò lui le vesti di dosso e le avvolse grezzamente attorno alla sua carne.

    A quel punto lo vidi gettarsi tra le fiamme senza esitare un secondo, il rumore dei suoi passi fece da sottofondo ad una delle scene più belle a cui potei assistere nella mia vita: il barbaro avanzava a gran velocità verso il convoglio, fuoco e fumo inghiottivano ogni elemento al loro interno, un rumore sordo e vidi la testa di Brandon rimbalzare in direzione opposta al suo corpo. Il terrore di George giocò il ruolo della ciliegina sulla torta e una risata lontana si rifiutò di giungere fino alle loro orecchie.

    Il mio amico aveva sbattuto la faccia contro la parete del vagone, crollando stordito a pochi metri di distanza.

    Una manciata di secondi e ritrovò l’energia appena perduta, gli abiti erano incolumi così come la sua pelle. L’esperienza non lo avrebbe di certo aiutato, per sua fortuna però la voce di qualcun altro riuscì a raggiungerlo, ritagliandosi un posticino all’interno del suo cranio: – Mi ascolti, amico mio, – disse – studiando a grandi linee la struttura, viene logico pensare che la porta sia dall’altra parte, inoltre potrebbero esserci ingressi decisamente più visibili.

    Brandon si limitò a fare un cenno con la testa prima di iniziare a perlustrare l’esterno della carrozza. Sul versante che dava ad est, ovvero quello opposto a loro, un’enorme fenditura squarciava il vagone a metà, lo spazio creato era abbastanza largo da permetterne l’ingresso ad almeno una persona.

    George, è troppo pericoloso per un animaletto come te, lasciami andare da solo! – Esordì il mio amico dimenticandosi dell’episodio appena accaduto.

    Per mia sfortuna ho la forte sensazione che non riuscirebbe a combinare un bel nulla senza di me, quindi facciamo così: io mi nascondo qua dentro e inizio a pregare, nel frattempo lei irrompe e vediamo cosa si cela all’interno. – Rispose George con il suo caratteristico accento occidentale.

    E va bene, – replicò il barbaro bofonchiando – alla carica!

    Un grido che accompagnò l’intera durata della corsa, fiamme ovunque e un immenso vuoto oltre: due donne di mezza età e un anziano signore giacevano a terra immobili, probabilmente già dall’altra parte. Nessun altro occupava la stanza.

    George, dov’è, dov’è? – Chiese Brandon logoro di preoccupazione.

    Guardi là, dietro a quell’uomo!

    Dove? Non vedo niente io.

    Stupido! Quello è un sacco dell’immondizia! Dietro all’anziano signore intendo.

    Alcuni rametti stavano dando alito a fiammelle isolate, generando nell’aere un solleticare delicato e potenzialmente letale.

    Vedo solo dei rami secchi! – Esclamò il barbaro in un impeto di delusione.

    Esatto, sono proprio quelli la fonte del suono che stava cercando.

    Cosa stai dicendo? Com’è possibile che una cosa senza vita produca un rumore con vita?

    George impiegò qualche secondo per tradurre ai suoi schemi un messaggio tanto grezzo e soprattutto privo di ogni bellezza estetica. – Molti rumori possono esser scambiati per voci o comunque suoni appartenenti ad esseri umani, è la vita che lo dice. – Sentenziò poi severo.

    Sul serio? Cazzo! A stare con te si imparano un sacco di cose, sai?

    Un breve sospiro si levò dalla bocca dell’animaletto. – Sì, a stare con me. – Ripeté.

    Senza alcun preavviso, un corpo alieno sfondò la parete alla nostra sinistra. Un attimo, neanche il tempo di realizzare e aveva già raggiunto la seconda facciata, un altro tonfo e nulla esisteva più a trattenerci.

    Quella che prima poteva essere definita come una gabbia mortale ora era soltanto una vecchia latta di tonno pronta per essere sgocciolata. Le pareti crollarono subito dopo: la prima si abbatté su di loro, mentre la seconda si aprì all’esterno, fornendo un’uscita ben più comoda di quella da dove erano entrati.

    Brandon non si fece trovare impreparato e, alzando le braccia al momento giusto, riuscì a sorreggere la barriera per i secondi utili alla fuga. Purtroppo per lui, dovette abbandonare l’idea di preservare i corpi dei defunti, trovandosi a versare tristi gocce lungo le proprie guance.

    Con un agile balzo i due sgusciarono via dal pericolo. In quel momento la figura sconosciuta giaceva a terra tremante. Non servì molto a Brandon per riconoscerla, era neo superiore. Il più grande tra i due fratelli giaceva lì, steso su un fianco, avvilito. Vistosamente dolorante, si toccava il costato. Voleva urlare di dolore, ma qualcosa, forse l’orgoglio, glielo impediva. Sapeva che quello sarebbe stato a tutti gli effetti uno degli ultimi momenti della sua vita, tuttavia non aveva ancora trovato il coraggio di ammetterlo.

    Un pianto nevrotico accompagnò quegli istanti, mentre un’altra figura, molto più atterrente della precedente, gli si avvicinava a passo lento ma deciso.

    Era esattamente sopra di lui, piegò le gambe e flesse il tronco in avanti fino a formare un angolo di novanta gradi con il bacino.

    I due si guardarono, uno aveva occhi colmi di un terrore mai provato, l’altra, con uno sguardo gelido e distaccato, si limitava ad alimentare questa profonda paura. Il gomito destro della creatura, come sollevato da un filo invisibile, si alzò lentamente fin sopra la testa. Le unghie della mano risplenderono di un bagliore fulmineo. Una scintilla che diede il via ad un’azione di forte impatto. Un fotogramma… Un fotogramma era tutto ciò che riuscì a catturare il poco attento sguardo di Brandon. Quel fotogramma ritraeva cinque lame acuminate che perforavano con facilità la carne di neo superiore. Dritte al mediastino, superarono agilmente le coste e colpirono con precisione il cuore, forandolo in cinque punti.

    Un ultimo sospiro ed erano soli, loro e la creatura, l’atmosfera si silenziò d’improvviso, il tempo si fermò. I suoni, ovattati com’erano, funsero da tela sulla quale immagini sfocate e piene di emozione si gettarono senza un ordine ben definito. Lacrime sincere iniziarono a scorrere tra i solchi della pelle di Brandon. A terra giacevano una trentina di corpi senza vita, un numero troppo elevato in un lasso di tempo troppo breve.

    Ormai era tutto perduto. – Perché? – Mormorò singhiozzando. – Sei stata tu? – Aggiunse tremante, il suo era stato un errore di giudizio, mai avrebbe pensato che una ragazza tanto dolce e premurosa avrebbe potuto compiere una strage simile. – Rispondimi, Taigal, sei stata tu a farlo?! – Tuonò tra le ire di una volontà eccessivamente risoluta.

    Lei non rispose, i suoi occhi sembravano come rinchiusi dietro una prigione buia e tempestosa, laddove solamente gli istinti più animaleschi trovavano una loro assoluzione.

    Mr. Brandon? – Disse la preoccupazione di George, qualcosa stava accadendo al mio amico, non era riuscito a proteggere nessuno, neanche un singolo essere umano e ciò assumeva le connotazioni dell’imperdonabile per lui. La sua sensibilità vacillò, spintonata a gran vigore dalla sensazione di impotenza, ciò generò un vuoto, un vuoto che sarebbe stato colmato da qualcosa di oscuro. La tristezza si trasformò in delusione e la delusione in rabbia, una rabbia così grande da produrre una scarica in grado di risvegliare anche i cuori più pigri.

    Il pianto cessò e la sua espressione divenne più marcata. Lo spazio sopraccigliare diminuì, un paio di vene sulla sua fronte presero vita, i margini delle labbra si arricciarono, i denti vennero appannati da alitate cariche d’odio. La temperatura di Brandon aumentò vertiginosamente e una foschia candida, quasi eterea, cominciò ad avvolgere il suo corpo massiccio. I muscoli acquisirono ancora più tono fino quasi ad esplodere.

    Come era accaduto poco prima a Taigal, una metamorfosi di simile origine aveva colpito il barbaro, trasformandolo in un mostro altrettanto temibile.

    George tremò per la seconda volta, un terremoto ben più pericoloso del primo aveva appena fatto crollare l’unico pilastro al quale aveva deciso di aggrapparsi. La sua era una caduta nell’ignoto, non sapeva cosa sarebbe accaduto, sapeva solamente che da lì in avanti sarebbe stato solo, solo in un mondo che ancora conosceva così poco.

    Lo vidi saltare a terra, sentivo avrebbe voluto fuggire il più lontano possibile, ma qualcosa lo trattenne, impalandolo a pochi passi dai due mostri. Forse un’intuizione o magari una flebile speranza, non sapeva cosa, ma era certo di dover rimanere lì, nascosto in un angolino ad osservare le conseguenze di uno scontro in cui solo lui aveva da perdere qualcosa.

    Fu Brandon a prendere l’iniziativa e, dopo un urlo di disperata collera, cominciò una carica verso Taigal. Era veloce, molto più veloce di prima, ma George sapeva che quella velocità non sarebbe bastata. L’inquietante creatura si levò in cielo, schivando con grazia il colpo, l’impeto però non si concluse lì: un secondo fendente cercò di raggiungere la spalla destra della ragazza, ma anche questa volta si dovette accontentare della sola aria. Un terzo longitudinale, un quarto dall’alto verso il basso e un quinto obliquo, ma nulla. Sembrava di stare assistendo alla patetica scena di un bambino che, durante un’afosa giornata estiva, provava con tutte le sue forze a spiaccicare una mosca sulla propria palettina. Tuttavia, se al primo sarebbe bastato un solo colpo, al secondo…

    Dopo dodici fendenti gli occhi del mio amico brillarono per un istante e la lama della sua spada trovò finalmente la pelle del nemico, vidi il suo ventre squarciarsi e una bolla di sangue deflagrare in un torrente di zampilli. Lo sguardo di Brandon si macchiò di quella visione e una sensazione di sgradevole pericolo mi congelò le vene.

    Ha un non so che di elegante, il sangue… – Fu un attimo, ma lo sentii forte e chiaro, qualcuno, probabilmente lo stesso barbaro, aveva pronunciato quelle parole, destando una preoccupazione che non avrebbe potuto che accrescere con il passare dei minuti.

    George lanciò una nuova occhiata a Taigal, percepii una forte ansia crescere in lui. Un rumore fine e acuto al tempo stesso, simile per certi versi al fischio di una pentola a pressione, faceva da accompagnamento alla caduta di ogni nostra speranza. La ferita della creatura si stava rimarginando e a breve nessuno avrebbe potuto confermare la riuscita di quell’ultima sciabolata.

    In quel momento una sensazione di leggerezza assoluta invase la coscienza di George, l’oblio più totale aveva demolito ogni sua capacità di fiducia e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1